Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

IL MONDO..IN MUSICA...

UN DOLCE SUONO..biografie di tutti gli artisti del mondo della musica..

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    Shivaree

    Shivaree



    Biografia del gruppo


    Gli Shivaree sono un gruppo musicale pop rock formato nel 1999. Band americana capitanata da Ambrosia Parsley, assieme al tastierista Danny McGough e al chitarrista Duke McVinnie. Il loro stile spazia dal rock, al soul e al gospel. Il nome della band è stato scelto da Ambrosia durante la lettura della biografia del leggendario Jesse James. Shivaree (dal francese charivari, una serenata per sposi novelli, usata spesso lungo le coste del fiume Mississippi) è la sigla dietro la quale si cela Ambrosia Parsley, ventinovenne californiana il cui nome evoca il nettare degli Dei e la cui voce sensuale sussurra canzoni delicate e ironiche. L’album d’esordio della band, I Oughtta Give You A Shot In The Head For Making Me Live In This Dump ha conquistato le classifiche di mezzo mondo, sull’onda dello struggente singolo “Goodnight moon”. Una splendida melodia triste e a più colori, cantata da Parsley in un registro pop rauco stile Stevie Nicks e che la Breil ha voluto come colonna sonora del suo ultimo spot. "Non ho mai visto lo spot - racconta Ambrosia - è arrivata una telefonata e poco dopo quel brano era dappertutto. Del resto, nella mia vita, le cose sono sempre accadute un po' per caso e un po' per magia. Come nei film". Nata in California a San Fernando Valley, Parsley è cresciuta in una famiglia numerosa e eccentrica, dove ha appreso subito il gusto per la musica. "Mio padre e i miei due fratelli suonavano sempre musica country, la mia nonna materna il piano e lo ukulele. Mia madre si limitava a sognare e a non voler mai fare da mangiare. Per questo andavamo spesso in pizzeria e lì, per caso, ho cominciato a cantare sui tavoli del locale insieme a dei suonatori di banjo. Avevo sette anni". Proprio le nonne sono due figure fondamentali nella vita di Ambrosia. Quella materna, romantica, le ha insegnato a suonare, l’altra, a capire le passioni. "Mi raccontava sempre di quando, anni prima, era andata a riprendersi mio nonno, un rubacuori che l’aveva abbandonata per un’altra donna. Lei ha preso i figli e dalla West Virgina si è trasferita in California, dove lui era andato a vivere. Poi, una mattina, ha suonato alla porta di casa sua e l’ha pugnalato alla spalla. In modo leggero, ma tanto per lanciare un messaggio. Naturalmente la storia ha avuto un lieto fine e il nonno è tornato da lei". L’incontro con i due session-men degli Shivaree, il chitarrista DukeMcVinne e il tastierista Danny McGough, avviene anch’esso per fatalità. "Dopo le prime esperienze da bambina non pensavo che sarei diventata una cantante. Ho fatto un sacco di lavori, cameriera, commessa in un negozio di libri, rappresentante di cosmetici…però scrivevo molto. Mi piaceva trovare storie che mi dessero emozioni forti, lasciarle decantare dentro di me e poi rivestirle di suoni e di parole. Duke l’ho conosciuto a un party e lui si è intrufolato nella mia vita subito, arrangiando una mia canzone". Da lì, la nascita di un trio affiatato che per il nome Shivaree si è ispirato alle "drunken serenade" (grida in stile country per l’addio al celibato). L’interminabile titolo del disco (“Dovrei spararti un colpo in testa per lo schifo in cui mi fai vivere”) ha un impatto comico immediato: "L'ho scelto perché mi piaceva e non per la sua lunghezza. Le parole hanno a che fare con una sit-com americana degli anni ‘60: una mucca ha ingoiato una radiolina, e quelle parole sono la strofa di una canzone che la radio sta trasmettendo quando il veterinario riesce ad estrarre l'apparecchio dallo stomaco dell'animale". Le dodici tracce dell’album propongono una vivace commistione di ballata folk e slanci pop. Un’alchimia di suoni, emozioni e rumori di fondo tenebrosi, bizzarri e fascinosi, che la voce morbida da femme fatale di Ambrosia riesce a esaltare. Si passa così dal trip-hop di “Bossa Nova” allo spiritual di “Arlington Girl”, dalla tenera ballata per piano e chitarra di “Idiot waltz” al blues alticcio alla Tom Waits di “Lunch”, dalla danza febbrile di “Pimp” alla sonnolenta trance di “I don’t care”. E' un repertorio memore della lezione trip-hop di Bristol (Massive Attack, Portishead), ma anche del folk tradizionale americano. Tra le canzoni, anche una con un titolo italiano: “Arrivederci”, che prende spunto "da un malinconico addio in un aeroporto milanese cinque anni fa", come ha spiegato la cantante. "Facciamo solo canzoni ma ciascuna deve essere un piccolo, eccitante universo a sé. L’importante è che anche nei brani più drammatici (“Ash wednesday”, ad esempio, racconta l’attesa, dopo la sua cremazione, dei resti di Patricia, la sorella di Duck, morta di cancro) si mantenga pacatezza, distacco, e un lieve senso dell’humour. Per esorcizzare il dramma e vivere la vita più serenamente". Cresciuta tra gli hippie (“mio padre aveva i capelli lunghi e la barba incolta, mia madre era la tipica freak”), ascoltando Billie Holiday e Nina Simone, Ambrosia dice di essere sempre stata molto attratta dalla country-music, ma di ascoltare oggi soprattutto PJ Harvey, Bjork, Radiohead, Vic Chestnut, Sparklehorse e Rufus Wainwright. Linda Berry e Garcia Marquez sono le sue letture preferite, mentre al cinema non sopporta i film troppo violenti. A dispetto della sua aura sensuale, la cantante californiana è essenzialmente un’antidiva, che gioca con la sua popolarità con l’ironia di una consumata bluffatrice. Se il buon giorno si vede dal mattino, di Ambrosia Parsley, con o senza Shivaree, continueremo a sentire parlare. Nel 2002, Rough Dreams, conferma infatti il talento della formazione statunitense, seppur offuscato, qua e là, da un pizzico di manierismo. Il titolo, questa volta sintetico, nasce da una canzone di Otis Redding: "Ci piaceva l'idea del sogno turbolento, della prospettiva onirica sconvolta. Brutto o bel sogno che sia", racconta Ambrosia. L'album è un'eclettica rassegna di pop, trip hop, techno rock e molto altro. Si passa dall'energia di "Thundercats" alla malinconia trasognata di ballate come "Stealing Home". Sempre maggiore l'influenza di Tom Waits (Stephen Hodges, il batterista, ha suonato per diversi anni con il cantautore di Pomona), ma l'impressione è che manchi un brano in grado di rinnovare le emozioni e il successo di "Goodnight Moon". La voce di Ambrosia, comunque, continua a incantare anche su Who's Got Trouble? (2005), mescolando inflessioni sexy con un candore quasi infantile. L'upbeat di "It Got All Black" e "I Close My Eyes", i toni più dimessi della suadente "I Will Go Quietly" mantengono su livelli dignitosi uno standard che, ormai alla terza prova, mostra un po' la corda. Ormai nella semi-clandestinità, la band californiana partorisce anche il quarto lavoro in studio, Tainted Love: Mating Calls & Fight Songs (2007), una raccolta di cover di love-song internazionali. Si alternano una versione quasi industrial di “I Wanna Be Your Driver” di Chuck Berry, una sensuale “Half On A Baby” di R.Kelly, la rilettura in chiave cinematica di “Would You Lay With Me (In A Field Of Stone)” di Tania Tucker, il jazz-pop di “My Heart Belongs To You” di Ike Turner, la riedizione di “Paradise” delle Ronettes e una stravagante trasformazione lounge di “Look That Kill” dei Motley Crue. Da menzionare anche la cover di “”Don’t Stop ‘Til You Get Enough” di Michael Jackson. Ma la sigla Shivaree è ormai praticamente un fantasma.





    Discografia
    Album
    1999 - I Oughtta Give You a Shot in the Head for Making Me Live in this Dump
    2002 - Rough Dreams - mai rilasciato ufficialmente in USA
    2005 - Who's Got Trouble?
    2007 - Tainted Love: Mating Calls and Fight Songs


    EPs
    2004 - Breach

    Singoli & Videoclip
    1999 - Goodnight Moon
    1999 - Bossa Nova
    2002 - John 2/14
    2005 - I Close My Eyes
    2005 - New Casablanca





     
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    Pearl Jam


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    Biografia


    La storia dei Pearl Jam parte da lontano, esattamente dal 1984, quando il bassista Jeff Ament, insieme con Mark Arm (futuro leader dei Mudhoney), forma i Green River, uno dei gruppi che maggiormente hanno influenzato il rock di Seattle degli anni '80, ai quali si aggiunge, l'anno seguente, il chitarrista Stone Gossard. Nel 1987 i Green River si sciolgono, e dalle loro ceneri prendono vita i Mother Love Bone, composti da Andy Wood, Stone Gossard, Jeff Ament, Bruce Fairweather e Greg Gilmore. Dopo l'Ep "Shine" del 1989, il gruppo ha in preparazione l'album di esordio, "Apple", ma il 16 marzo 1990 muore per overdose di eroina il cantante Andy Wood. Il disco uscirà ugualmente postumo per la Polydor, ma, nonostante il contratto con una major, i componenti della band, distrutti dal tragico evento, decidono di abbandonare il progetto. Dopo alcune esperienze musicali poco impegnative, Ament si ritrova con Gossard, e i due, insieme al chitarrista Mike McCready (da poco conosciuto) e a Matt Cameron (il batterista dei Soundgarden), incidono un nastro contenente il materiale che di lì a poco sarebbe diventato la musica dei Pearl Jam. Nel frattempo Dave Krusen rimpiazza Cameron alla batteria e il demo finisce nelle mani di Jack Irons, ex drummer dei Red Hot Chili Peppers, il quale lo consegna a Eddie Vedder, un amico che lavora a una pompa di benzina a San Diego e passa il tempo libero facendo surf e cantando nei Bad Radio, una band locale. Nel giro di pochi giorni Vedder scrive le parti vocali e i testi dei brani (quelli che diventeranno "Alive", "Footsteps" e "Once") arrivatigli da Seattle, in una sorta di mini-opera sulle vicende della sua adolescenza, dal nome Mamasan. Nell'arco di pochissimo tempo, dopo la reazione entusiasta dei mittenti, parte per la città del grunge, dove, altrettanto celermente, avviene la stesura dei brani di Ten, il primo album del gruppo. Inizialmente la band decide di chiamarsi Mookie Blaylock, come un famoso giocatore di basket, ma quasi subito il nome si trasforma in Pearl Jam, in riferimento a una particolare marmellata allucinogena che la nonna di Vedder (Pearl, appunto) preparava con il peyote per il marito indiano, secondo i canoni e la tradizione dei popoli precolombiani (il titolo dell'album - Ten - richiama, tuttavia, il primo nome del gruppo, essendo dieci il numero di maglia con cui giocava Blaylock nei New Jersey Mets). Prima dell'esordio vero e proprio dei Pearl Jam, nel 1990 Vedder, Ament, McCready e Gossard prendono parte, su invito di Chris Cornell e Matt Camenron dei Soundgarden al progetto Temple Of The Dog, concepito in memoria dello scomparso Andy Wood. Il disco, inizialmente recepito tiepidamente, diventerà un bestseller dopo l’esplosione del Seattle sound. Inoltre i Pearl Jam partecipano, nel 1991, sia come comparse che come autori della colonna sonora (insieme, tra gli altri, a Soundgarden, Alice In Chains, Mudhoney, Screaming Trees e Smashing Pumpkins), al film "Singles, l'amore è un gioco" di Cameron Crowe, una pellicola sui "modesti patemi della gioventù di Seattle, a metà strada tra il grunge e lo yuppismo riveduto", come è stata autorevolmente definita. Tra il marzo e l'aprile del 1991 vengono effettuate le riprese di Ten, il primo disco dei Pearl Jam (Krusen lascia il gruppo poco tempo dopo, rimpiazzato prima da Matt Chamberlain e poi definitivamente da Dave Abruzzese). L'album, a differenza della maggior parte di quelli dei loro "cugini grunge" (che hanno reso celebre l'etichetta indipendente Sub Pop) esce per la Epic (Sony), per via dei contatti che Ament e Gossard hanno mantenuto con Michael Goldstone (prima Polydor, poi passato alla Sony) dai tempi dei Mother Love Bone. Il disco, probabilmente il migliore dei Pearl Jam insieme a Vs, potrebbe essere definito un capolavoro del rock reazionario, tante sono le tracce evidenziabili delle influenze che la band ha assimilato dai musicisti del passato: il drumming pesante, alla maniera di John Bonam, i soli di chitarra di hendrixiana memoria, la voce di Vedder, che suona come una sorta di riedizione anni 90 di quella di Jim Morrison (non a caso Vedder sarà invitato dai superstiti Doors nel 1993 per interpretare, dal vivo, "Roadhose blues", "Light my fire" e "Break on throught"). Non solo: anche gli Who (uno dei gruppi preferiti di Vedder, dei quali dal vivo spesso il gruppo esegue svariate cover) e il Neil Young più "elettrico", considerato giustamente un autore grunge ante litteram, fanno sentire la loro presenza nel sound della band. Il giornalista Allan Jones, riferendosi a "Oceans", il brano più delicato e malinconico del disco, trova nella voce di Vedder addirittura tracce del lirismo di Tim Buckley, e immagina la song come l'ideale proseguimento di "Starsailor". Forse un accostamento un po' azzardato, ma non completamente campato in aria. Indubbiamente l'esordio dei Pearl Jam si discosta in maniera massiccia dai lavori degli altri gruppi di Seattle: nulla a che vedere con la furia punk dei Nirvana o con l'heavy suond di Alice In Chains e Soundgarden, per citare le band più rappresentative. Si può affermare che i Pearl Jam sono il lato hard rock seventies (ma non solo, nella loro musica sono rintracciabili anche "citazioni" di artisti come U2 e Rem) del fenomeno grunge, che, d'altronde, è un movimento che si contraddistingue principalmente per la sua origine geografica e per il malessere di fondo, tipico della disillusione post anni '70, che esprimono i suoi adepti, più che per le caratteristiche formali della musica che ne è l'espressione. Tutto ciò non toglie meriti all'esordio dei Pearl Jam: infatti, pur non presentando grandi innovazioni formali o sperimentazioni, Ten è un disco che, tramite brani rock ottimamente concepiti, sa trasmettere, anche nei momenti più hard, proprio l'atmosfera malinconica e disillusa, a volte quasi depressa, tipica della poetica grunge. Anche per quanto riguarda i testi di Vedder, vale lo stesso discorso. Seppur a volte vi siano riferimenti a vicende realmente accadute ("Jeremy" e "Why go"), e quindi emerga una sorta di impegno sociale della band, le denunce delle liriche dei Pearl Jam sembrano fini a se stesse, solo una amara constatazione dei fatti seguita da un timido accenno di ribellione, ma fondamentalmente sono nichiliste ed espressione di impotenza e rassegnazione. Il discorso è ancora più accentuato quando oggetto dei versi di Vedder sono riflessioni più intimiste, spesso ermetiche, o storie che in qualche modo traggono spunto dalla sue travagliate vicende adolescenziali (la celebre "Alive", per esempio). Ten catapulta i Pearl Jam nell'olimpo del rock nel giro di pochi mesi, con un numero di copie vendute davvero notevole, anche in considerazione del fatto che la sua uscita coincide (ma qual è la causa e quale l'effetto?) con l'esplosione del grunge, e segue di poco la pubblicazione di "Nevermind" dei "cuginetti" Nirvana. Il successo dei singoli “Alive”, “Even Flow” e soprattutto “Jeremy”, forte di un video massicciamente trasmesso da Mtv spingono il disco alto nell classifiche. Contribuisce a tenere alte le quotazioni del gruppo la partecipazione all’Mtv Unplugged. Inoltre i Pearl Jam partecipano, nel 1992, sia come comparse che come autori della colonna sonora (insieme, tra gli altri, a Soundgarden, Alice In Chains, Mudhoney, Screaming Trees e Smashing Pumpkins), al film "Singles, l'amore è un gioco" di Cameron Crowe, una pellicola sui "modesti patemi della gioventù di Seattle, a metà strada tra il grunge e lo yuppismo riveduto", come è stata autorevolmente definita. La colonna sonora include due brani ripescati dalle prime session dei Mookie Blaylock, e riveduti e corretti: “Breath” (sulla stessa falsariga di “Alive”) e il grunge da manuale di “State of Love and Trust”. Il film è meno che mediocre, ma con esso (e con la fortunata colonna sonora) l’attenzione sulla scena di Seattle è al massimo. Nella primavera del 1993 i Pearl Jam tornano in studio per la registrazione del loro secondo lavoro, Vs. Con il nuovo produttore Brendan O'Brian (che ha lavorato, tra gli altri, con Aerosmith, Stone Temple Pilots, Red Hot Chili Peppers e Black Crows), cambia l'approccio con lo studio di registrazione: i brani vengono suonati praticamente live, con il minor numero di takes possibili e sovraincisioni ridotte all'osso. Il risultato è evidente: Vs suona molto più crudo e vigoroso, meno artefatto. Nei brani più pesanti ("Go", "Animal", "Blood") continuano a sentirsi le influenze dei guru del rock vecchio stampo (tra cui, oltre a soliti Led Zeppelin e Hendrix, anche Stooges e MC5), ma compaiono anche alcune ballate che richiamano in modo piuttosto evidente gli Rem. ("Daughter", "Ederly woman behind the counter in a small town"). L'album (inizialmente pubblicato solo in vinile) vende un milione di copie in una settimana, con le sole prenotazioni, un record destinato a restare imbattuto a lungo. L’improvviso (ed enorme) successo crea delle tensioni all’interno della band, ma soprattutto tra la band e l’”esterno”, con una crescente insofferenza nei confronti dei meccanismi promozionali dell’industria musicale. Così, a partire da Vs. il gruppo decide di rinunciare ai videoclip dei singoli, una scelta mantenuta sino al 1998. Il passo successivo è Vitalogy (1994), disco pubblicato inizialmente solo in vinile ed anticipato da “Spin The Black Circe”, brano garage punk che spiazza le radio. Vitalogy (1994) è il terzo album del gruppo ed è la logica continuazione di Vs, essendo identica la formula utilizzata per la sua produzione. Per un verso è il disco più heavy dei Pearl Jam ("Last exit", "Not for you", "Spin the black circe", "Whipping"), per l'altro presenta alcune ballate nello stile di quelle contenute nell'album precedente ("Nothingman", "Better man", "Immortality"). All'interno di Vitalogy c'è spazio anche per alcuni momenti "sperimentali", come "Pray, to", "Bugs" (in cui Vedder si cimenta con la fisarmonica), ma soprattutto "Hey foxymophandlemama, that's me", un brano di otto minuti formato da un delirante collage di voci e rumori, decisamente il momento più psichedelico della carriera dei Pearl Jam. La pubblicazione dell'album coincide con l'abbandono del gruppo da parte del batterista Dave Abruzzese, poi sostituito dal già citato Jack Irons, ex Red Hot Chili Peppers. Il suicidio di Kurt Cobain lascia una chiara impronta sul disco, evidente in brani come “Not For You” ed “Immortality”. Tale evento costituisce uno spartiacque non solo per la storia del rock anni 90 ma anche per la storia dei Pearl Jam, che dopo Vitalogy prenderanno sempre più le distanze da quello che resta del movimento grunge per cercare di ritagliarsi uno spazio autonomo all’interno della scena rock. Per certi versi, infatti, il passo successivo del gruppo costituisce il canto del cigno del movimento grunge (e non a caso chiuderà "Hype!", il documentario del 1996 sulla scena di Seattle). Si tratta della Self Pollution Radio, una diretta radiofonica officiata dalla band (mai pubblicata ufficialmente ma ampiamente reperibile come bootleg) che vedrà alternarsi, per tutta la notte, esibizioni di Pearl Jam, Soundgarden e, tra gli altri, dei Mad Season. Questi ultimi, un supergruppo formato da Layne Staley degli Alice In Chains, Mike McCready dei Pearl Jam e Barrett Martin degli Screaming Trees, pubblicheranno di lì a poco il notevole "Above" (1995), disco grunge filtrato dal blues e dalla psichedelia. Nel 1995 i Pearl Jam registrano insieme a Neil Young, con il quale hanno già suonato dal vivo svariate volte, Mirror Ball. Il disco, tuttavia, esce a nome del solo canadese, per problematiche legate alla burocrazia delle case discografiche e Vedder, McCready, Ament, Gossard e Irons vengono citati solo come musicisti di accompagnamento all'interno del book dell'album, senza che si faccia menzione del nome Pearl Jam. Mirror Ball solo è un disco per appassionati di Neil Young e Pearl Jam. Molto meglio fa l’Ep "Merkinball", uscito a nome Pearl Jam e costituito da due brani avanzati dalle session con Neil Young. “I Got Shit” è un rock ruvido tipico della precedente produzione del gruppo, mentre “Long Road” è una splendida ballata che guarda già al disco seguente. No Code, il capitolo successivo della discografia della band, è dell'anno successivo e si distingue per il tentativo dei Pearl Jam di scrollarsi di dosso il sound tipico che li ha caratterizzati fino a questo momento. Ma il risultato è un lavoro a volte troppo frammentario, privo di amalgama. Si può dire che è un disco riuscito a metà, con, di volta in volta, strizzate d'occhio al punk ("Lukin"), al country rock à la Neil Young, con il quale non a caso i Pearl Jam hanno lavorato l'anno precedente ("Smile", "Red mosquito"), addirittura a una sorta di glam rock britannico ("Mankind", composta e cantata da Stone Gossard). D'altro canto l'album contiene alcune buone composizioni, una su tutte la bellissima "Present tense", uno dei massimi vertici artistici raggiunti dai Pearl Jam in tutta la loro carriera, un concentrato di malinconia, delicatezza, disperazione e poesia. Il disco successivo, Yield è datato 1998 e segna un ritorno al sound più classico del gruppo, con forse una cura diversa per i suoni, a tratti più "puliti", più "moderni" del solito. Da menzionare, quali brani degni di nota, "Brain of J.", "Faithfull", "Pilate", "Do the evolution" e "M.F.C.". E' invece imbarazzante la somiglianza esistente tra il singolo "Given' to fly" e "Going to California" dei Led Zeppelin. Il maggior successo dei Pearl Jam arriva, invece, nel 1999. Il singolo “Last Kiss”, uscito per raccogliere fondi per i rifugiati del Kosovo, diventa inaspettatamente la più grande hit della band, tuttora insuperata. Yield è l'ultimo album dei Pearl Jam che valga la pena prendere in considerazione. Se è vero che la band non ha mai osato più di tanto per rinnovare il suo sound, che già di per sé non trabocca di originalità, è altrettanto indiscutibile che fino a questo momento della loro carriera i cinque paladini del grunge avevano saputo proporre dell'ottimo rock, soprattutto perché ispirati in fase compositiva. Venuta meno tale ispirazione, con il passare degli anni, i Pearl Jam hanno gradualmente sempre più scimmiottato se stessi, mantenendo la forma della loro musica ma perdendone la sostanza. Sostanza che è del tutto svanita con l'ultimo disco menzionato. I lavori successivi, a parte Live on two legs, un disco nato dalle registrazioni del tour mondiale del 1998 (a partire dal quale Matt Cameron, ex Soundgarden, prende il posto di Irons alla batteria), non sono altro che ciò che uno (in maniera del tutto disillusa) poteva aspettarsi dalla band ed è puntualmente arrivato. Binaural, uscito nel 2000, e Riot Act del 2002, due album assolutamente mainstream, nulla aggiungono alla storia dei Pearl Jam, se non un rinnovato e più esplicito (ma non nuovo) impegno politico della band, che emerge dalle liriche dell'ultimo loro capitolo ("Bu$hleaguer" su tutte). Binaural si segnala per un cambio di produzione e per un tentativo, riuscito a metà, di rivestire i brani di un sound più avvolgente e caldo. Trascurabili i brani rock, fanno un po’ meglio le ballad (soprattutto “Light Years” e “Parting Ways”). Riot Act può vantare un’altra hit (“I Am Mine) e atmosfere decisamente più tetre, come se alla rabbia del passato fosse subentrata una cupa rassegnazione. Tuttavia il disco risulta deludente, con troppi riempitivi e pochi brani davvero notevoli. Meglio allora la raccolta di rarità e memorabilia Lost Dogs (2005), che ha il merito di recuperare b-sides e chicche fino ad allora appannaggio dei fan di più stretta osservanza. La vera dimensione dei Pearl Jam “anni 2000” sembra essere, più che quella su disco, quella su palco. Il gruppo passerà la decade girando i palchi di tutto il mondo. Alla dimensione live sono consegnati i momenti più difficili (la tragedia di Roskilde, nel 2000) come i più gloriosi. Non a caso, con una particolare trovata, dal tour di Binaural in poi ogni concerto dei Pearl Jam sarà disponibile in cd come una sorta di bootleg ufficiale (alla dimensione CD è stata recentemente affiancata quella digitale). D'altronde i Pearl Jam si sono sempre saputi vendere bene e hanno cercato di rendere originale ogni loro uscita, a partire dalla cura e dal particolare formato delle copertine dei loro dischi e dalle pubblicazioni "a sorpresa" degli album (come avvenne per Vitalogy), per finire con l'assolutamente lodevole lotta con la Ticketmaster, l'agenzia che gestisce in modo quasi monopolistico l'organizzazione degli spettacoli musicali che si tengono negli Stati Uniti, contro il prezzo elevato dei biglietti dei concerti, che costò alla band l'annullamento di un intero tour. Tra tragiche morti, come Andy Wood, Kurt Cobain e Layne Staley e scioglimenti inevitabili come quello dei Soundgarden, i Pearl Jam sono rimasti, insieme ai Mudhoney, gli unici testimoni del movimento grunge, nato, cresciuto (o meglio bruciato) e spirato a Seattle a cavallo tra gli anni 80 e gli anni 90. Nel 2006 esce l'omonimo Pearl Jam. Niente orientalismi stavolta, niente spoken-word o stravaganze sperimentali alla Tom Waits: al loro posto un sound platealmente chitarristico, sanguigno, energico, vitale, feroce, abrasivo. La posta in gioco simbolica è il futuro dell’America “post 11-09”, la vittoria “dimezzata” in Iraq e le troppe scelte sbagliate fatte sinora dall’amministrazione. Possiamo dividere arbitrariamente l’album in una prima parte dedita al ritorno in auge delle atmosfere di Ten e Versus, con le elettriche sferraglianti in prima linea, e una seconda più eclettica, in cui spesso la rabbia si stempera in arrangiamenti e interpretazioni differenti. Del primo ciclo fa parte il tris d’apertura: “Life Wasted”, “Worldwide Suicide” e “Comatose” sono calci nel culo selvaggi, antagonismo punk sorretto da una possente e compatta ritmica. “Severed Hand” e “Marker In The Sand” dimostrano invece di saper cambiare le carte in tavola: la prima illude nella parte iniziale (con i nastri al contrario), ma è un falso allarme, perché il riff di chitarra è in agguato e muterà ancora, tra wah-wah e contromelodie di McCready; la seconda stravolge l’ostinato tribale della batteria e apre nel ritornello una finestra melodica irresistibilmente “innodica”. Deliziosa, com’è del resto la successiva “Parachutes”, pop acustico sospeso tra Beatles ed Elliott Smith, morbida e soffusa, con un organo hammond di sottofondo. La seconda tranche esordisce con due episodi trascurabili (“Unemployable” e “Big Wave”, rispettivamente mid-tempo alla Rem e hardcore sfrenato, entrambe da rispedire al mittente) per poi cedere alla ballad “Gone”, che ha struttura affine alla mitica “Betterman”: partenza solitaria con la chitarra arpeggiata e cavalcata con il gruppo al completo. Dal vivo promette faville, su disco non decolla facilmente. Ascoltato il mini-tributo a Mirror Ball di “Wasted Reprise” (cinquanta secondi di organo a canne) e l’altro filler (“Army Riserve”) l’album volge al termine: il congedo è affidato a “Come Back”, vibrante di passione soul dedicata a un’ipotetica compagna scomparsa (emotivamente si muove sulla falsariga di “Black”), e quindi “Inside Job”, lungo e maestoso rock elettro/acustico punteggiato di pianoforte, con un bel crescendo che si protrae per ben sette minuti. L’“avocado album”, come è stato ribattezzato a causa della copertina, in cui il frutto esotico fa bella mostra di sé su sfondo azzurro, non sarà il risultato più esaltante raggiunto sino ad oggi, ma rimane comunque prova discografica più che sufficiente, superiore per spessore effettivo al confuso e deludente Riot Act e al debole Binaural. Nel frattempo Eddie Vedder si concede un riuscitissimo intermezzo solista, firmando la colonna sonora di Into The Wild, pluripremiato film di Sean Penn, tratto dal bestseller omonimo di Jon Krakauer sull'esperienza di Christopher McCandless. Vedder firma, da solo, un lavoro che è probabilmente quanto di meglio sia uscito dalla sua penna dai tempi di No Code. L’album, una sorta di concept sulla vicenda di McCandless, è composto da undici brani brevi e concisi, adatti alla pellicola quanto a un ascolto che risulta fluido e mai stancante. Il disco è rock-folk a tratti epico (“Setting Forth” e “Hard Sun”) a tratti riflessivo, tutto basato sull’efficacia del baritono di Vedder e di chitarre fingerpicking (“Long Nights” e “Guaranteed”, forse due delle migliori composizioni mai dispensate dal cantante dei Pearl Jam). Altra vetta è la cover di “Society”, una collaborazione tra Vedder e l’autore Jerry Hannan. In un’ideale “guida all’ascolto” di Pearl Jam e progetti affini, questo disco potrebbe benissimo figurare tra le opere migliori in assoluto. Ma i Pearl Jam sono ormai un gruppo vecchio. Anzi, per vecchi. Come direbbe Cormac McCarthy. Vecchi ragazzi (degli anni 90), s'intende. Ma pur sempre invecchiati. E non bene. Ma neanche tanto male. Così così, diciamo. Anche per questo, oltre che per un fisiologico calo dell'ispirazione dopo quasi vent'anni di militanza, i loro ultimi lavori palesano uno standard abbastanza immobilistico, manierato, conservatore. Perché hanno principalmente due motivi d'essere: ospitare i vecchi fan alloggiandoli in sonorità datate e rassicuranti e immettere nuovo carburante da incendiare nel motore inesausto delle loro tournée mondiali, dimensione nella quale il gruppo riesce ancora a dare il meglio di se, giustificando nel tempo la propria costanza e linearità. Backspacer (2009) denota una certa continuità rispetto all'approccio ruvido e diretto del predecessore ma, smaltita la sbornia d'indignazione civile contro l'amministrazione Bush, i toni si fanno meno accesi e vibranti, le gradazioni più soft, l'umore generale più disteso ed edonista. E' rock classico con qualche escrudescenza punk, qualche anabolizzazione hard, la solita predisposizione al pathos, qualche episodio cantautorale. L'opener "Gonna See My Friends" con quel riff stentoreo e familiare è una botta street-rock, magari un po' triviale ma adrenalinica. Poi anche "Got Some", "Johnny Guitar" e "Supersonic" insistono e sviluppano, con risultati non proprio esaltanti, quest'ebbrezza rock'n'roll da "American Graffiti". Sempre meglio di "The Fixer", comunque, spuntatissimo singolo con fregole sintetiche vagamente new wave (!?). La scrittura si risolleva quando la palla torna di nuovo tra le mani di Vedder che pennella due acquerelli acustici niente male - la bucolica "Just Breathe" e la sofferta "The End" - e in quelle di McCready con la fluente vena soft-rock di "Force Of Nature". Per il resto, niente di nuovo sul fronte occidentale: "Amongst The Waves" e "Unthought" sono strade che gli abbiamo già visto percorrere, mentre "Speed Of Sound", un accorato mid-tempo col piano e l'organo in evidenza e le chitarre in sordina, punta (quasi) tutto sullo charme dolente e carezzevole del cantato. La nuova uscita solista di Vedder lo vede alle prese con l'ukulele, strumento per il quale non ha mani nascosto una particolare passione e che per l'occasione diviene motivo conduttore di un intero album. Ukulele Songs offre una raccolta di brani per lo più originali, alcuni pienamente compiuti, altri veri e propri schizzi, alcuni già editi (l'opener "Can't Keep", già sul "Riot Act" dei Pearl Jam e la commovente "Goodbye", uscita nel 2006 sulla colonna sonora di "A Broke Down Melody") e alcune cover, tra cui una sorprendente "Dream A Little Dream" in chiusura. Caratterizzato da un'accentuata componente roots, "Ukulele Songs" a tratti ristagna, ma può vantare alcuni momenti memorabili, su tutti lo splendido singolo "Longing To Belong" che testimonia anche (casomai ce ne fosse stato bisogno) le notevoli abilità di paroliere di Vedder (verrebbe da chiedersi perché tali livelli qualitativi latitino da un po' sui dischi della band maggiore). In "Tonight You Belong To Me", altro vertice del disco, a dar man forte a Vedder c'è Cat Power, in meno di due minuti di irresistibile romanticismo. In sostanza, Vedder punta tutto sull'aspetto intimo e lirico, sacrificando di contro ricchezza e varietà musicale. A metà tra il divertissement e il disco da cantautore "adulto", Ukulele Songs si pone come un'opera per certi versi minuta, fragile, introspettiva ma non macchiata di autocommiserazione; un'opera che anzi, in un certo senso, trae giovamento da un senso di "leggerezza", che la rende compagna ideale di solitarie gite fuori porta, a rincorrere spiagge assolate.






    Discografia
    album
    1991 - Ten
    1993 - Vs.
    1994 - Vitalogy
    1996 - No Code
    1998 - Yield
    1998 - Live on Two Legs (live)
    2000 - Binaural
    2002 - Riot Act
    2003 - Lost Dogs (raccolta di B-side)
    2004 - Rearviewmirror: Greatest Hits 1991-2003 (raccolta)
    2004 - Live at Benaroya Hall (live)
    2006 - Pearl Jam
    2006 - Live at Easy Street (EP)
    2007 - Live at the Gorge 05/06 (live)
    2009 - Backspacer
    2011 - Live on Ten Legs (live)


    Videografia
    1992 - Jeremy
    1998 - Single Video Theory
    2000 - Touring Band 2000
    2003 - Live at the Showbox
    2003 - Live at the Garden
    2007 - Immagine in Cornice


    Tour
    Ten Tour
    Lollapalooza
    Pearl Jam 1993 European/North American Tour
    Vs. Tour
    Vitalogy Tour
    No Code Tour
    Yield Tour
    Binaural Tour
    Riot Act Tour
    Vote for Change
    Pearl Jam 2005 North American/Latin American Tour
    Pearl Jam 2006 World Tour
    Pearl Jam 2007 European Tour
    Backspacer Tour
    Pearl Jam Twenty Tour


    Premi
    American Music Awards
    1993: Favorite Pop/Rock New Artist
    1993: Favorite New Heavy Metal/Hard Rock Artist
    1996: American Music Award for Favorite Alternative Artist
    1996: Favorite Heavy Metal/Hard Rock Artist
    1999: Favorite Alternative Artist


    MTV Video Music Awards
    1993: Video of the Year - Jeremy
    1993: Best Group Video - Jeremy
    1993: Best Metal/Hard Rock Video - Jeremy
    1993: Best Direction - Mark Pellington per Jeremy


    Grammy Awards
    1996: Best Hard Rock Performance - Spin the Black Circle

    Esky Music Awards
    2006: Best Live Act


     
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    Tasmin Archer

    Tasmin+Archer

    Biografia


    Tasmin Archer è nata a Bradford in UK, il 3 agosto del 1963. Mentre lavora come operaio in una fabbrica entra come corista nel gruppo 'Dignity' e successivamente incontra due musicisti John Hughes e John Beck proprietari della "Flexible Response Records" ed inizia a lavorare al suo primo disco. Nel 1990 viene contattata dalla EMI, dove guadagna un contratto discografico grazie ad un demo. Bisogna aspettare due anni prima del debutto e nel 1992 la cantante lancia il suo primo singolo "Sleeping Satellite". Il pezzo arriva direttamente alla #1 in UK, riscuote un buon successo anche in Europa. In America invece si piazza nella top 25 ma diventa una delle canzoni piu' popolari in quel periodo grazie a varie accoppiate come soundtrack a telefilm e spot. Il disco "Great Expectations" riesce ad avere un discreto successo e nel 1993 Tasmin vince un Brit Awards per la categoria "Best British Breakthrough Act". Ritorna da una lunga pausa durata tre anni e nel 1996 pubblica il suo secondo disco "Bloom" anticipato dal singolo "One More Good Night With The Boys". Il successo sperato non arriva, Tasmin accusa la casa discografica di mancanza di promozione e successivamente decide di lasciare la EMI. Tasmin abbandona lo showbiz per ritirarsi a vita privata, in questi anni ha una specie di blocco, non riesce piu' a scrivere musica. Nel frattempo diventa tifosa insieme al suo compagno del Sunderland AFC, infatti viene spesso avvistata allo stadio. Nel 2003 insieme al suo partner storico Hughes inizia a lavorare ad un nuovo album e fonda la sua etichetta discografica la "Quiverdisc Records". Tre anni dopo a settembre del 2006, esce "On", il suo terzo disco che non lascia segno.








    Discografia
    Singoli
    "Sleeping Satellite" (1992)
    "In Your Care" (1993)
    "Lords of the New Church" (1993)
    "Arienne" (1993)
    "Shipbuilding" (EP) (1994)
    "Somebody's Daughter" (Germany Only Release)
    "One More Good Night With The Boys" (1996)
    "Sweet Little Truth"
    "Every Time I Want It (Effect is Monotony)" (Digital download) (2006)
    "Sedan" (Promotional video for YouTube) (2006)


    album Studio
    Great Expectations (1992)
    Bloom (1996)
    ON (2006)


    Compilation albums
    Premium Gold Collection (2000)
    Singer/Songwriter (2004)
    The Best Of (2009)






    Edited by falcon58 - 31/10/2011, 19:04
     
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    Tears For Fears

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    Biografia

    I Tears for Fears sono un gruppo musicale New wave britannico formato nei primi anni ottanta dal chitarrista Roland Orzabal e dal bassista Curt Smith.Il gruppo fu inizialmente associato ai movimenti New wave e New Romantic ma presto irruppe nel mainstream delle grandi hit parade internazionali.Il nome del duo deriva da un trattamento psicoterapeutico sviluppato dallo psicologo Arthur Janov, nel corso del quale il paziente riprova le primissime sensazioni dell'età perinatale, da cui il nome "Tears for Fears" (lacrime di paura). Orzabal e Smith si incontrarono da adolescenti nella città di Bath. Il loro primo approccio alla musica avvenne con il gruppo dei Graduate, una sorta di performance sulla scorta del movimento Mod Revival/New wave che riassumeva in sé le maggiori influenze musicali del tempo, come The Jam ed Elvis Costello. Nel 1980 i Graduate pubblicarono un primo album, Acting My Age, che raggiunse appena la Top 100 nel Regno Unito e che si esibì dando buona impressione in Spagna e in Olanda.Nel corso del 1981, Orzabal e Smith intesero concentrarsi sull'emulazione di altri artisti dell'era Post-Punk, come i Talking Heads e Brian Eno. I due abbandonarono quindi i Graduate e formarono un gruppo chiamato The History of Headaches, nomignolo che fu presto cambiato in Tears for Fears. Il progetto fu per Orzabal e Smith quello di formare il nucleo del gruppo e di attorniarsi di musicisti per completare il quadro.Tears for Fears furono scritturati dalla Phonogram Records nel 1981 dal manager di A&R Dave Bates. Il loro primo singolo come Tears for Fears, Suffer the Children, fu pubblicato per quella etichetta nel Novembre 1981, seguito dalla prima edizione della hit Pale Shelter nel Marzo 1982. Il vero successo fu raggiunto con il terzo singolo Mad World che raggiunse il podio nel Regno unito nel Dicembre 1982. Il loro primo album, The Hurting, fu pubblicato nel marzo 1983. In questo album, e nel seguente, il tastierista e compositore Ian Stanley e il batterista Manny Elias furono considerati a pieno titolo membri della band. L'album offriva canzoni raffinate basate sull'uso del sintetizzatore e testi che riflettevano l'infanzia amara e l'educazione vissuta da Orzabal. The Hurting può essere considerato l'unico vero concept album della band, in base al fatto che i riferimenti allo sconvolgimento e alla prima terapia sono frequenti in ogni canzone. Lo stesso album raggiunse il 1º posto nel Regno Unito - dove ebbe un largo impatto - e sfornò le prime hit, Mad World, Change e Pale Shelter.Alla fine del 1983 la casa discografica mise sul mercato un singolo inedito, The Way You Are, per mantenere l'attenzione del pubblico sulla band mentre lavorava sul suo secondo album. Questo singolo fu l'ultima immersione dei Tears for Fears nell'atmosfera New Wave con largo uso di sintetizzatori. Orzabal e Smith abbandonarono per sempre i temi leggeri del pop per concentrare la loro attenzione sull’era del governo di Reagan negli USA e della Thatcher nel Regno Unito. L’album che uscì nel febbraio 1985, Songs from the Big Chair ne fu il risultato, in quanto esulò dal marchio Synthpop per catapultare la band verso un genere più raffinato e studiato. Col contributo del team di produzione di Chris Hughes e Ian Stanley, il nuovo suono dei Tears for Fears fu l’ideale propellente del lancio di Songs from the Big Chair sul mercato, raggiungendo vendite da quadruplo disco di platino. Il titolo dell’album si ispirava a una mini-serie britannica famosa, Sybil, la storia di una donna dalla personalità multipla che spesso si rifugiava nella sua personale "grande sedia" (in inglese, big chair).L’album rappresentò un grande successo mondiale e divenne assai famoso grazie ai singoli Mothers Talk, Shout (1° negli USA), Everybody Wants to Rule the World, Head Over Heels e I Believe.Dopo Songs from the Big Chair la band si mise in viaggio per un lungo tour mondiale, a seguito del quale Manny Elias abbandonò il gruppo. Durante il 1985, irruppe una controversia riguardo alla mancata partecipazione della band al Live Aid di Bob Geldof. I Tears for Fears furono originariamente scritturati per esibirsi al JFK Stadium a Filadelfia, e la mattina dello storico evento, il 13 luglio 1985, fu annunciato che il gruppo non avrebbe più partecipato allo show. La ragione ufficiale del loro forfait era la mancata disponibilità dei componenti del gruppo, il chitarrista Andrew Saunders e il sassofonista William Gregory, in quanto il loro contratto era scaduto. La band comunque assicurò che avrebbe donato all’organizzazione Aid di Geldof i proventi delle quattro più importanti date del loro tour mondiale in Tokyo, Sydney, Londra e New York. Sei settimane dopo, però, fu rivelato che il vero motivo della mancata partecipazione all'evento, era che Orzabal pretendeva garanzie dall’organizzatore Geldof perché i soldi dell’evento fossero effettivamente utilizzati per combattere la fame nel mondo. Fu anche detto che Geldof fece un certo pressing sulla band perché partecipasse dicendo che i Tears for Fears avrebbero contribuito alla morte di mezzo milione di africani se non si fossero esibiti. Nel 1989 il gruppo pubblicò il suo terzo album, The Seeds of Love a un costo di produzione di oltre un milione di sterline inglesi. Muovendosi tra vari studi di registrazione e avvalendosi di vari set di produzione, la band scelse il meglio, e anche la strada più dispendiosa. Molto del materiale del disco fu registrato in jam-session e più tardi edito sul mercato.La durata della produzione lasciò band e casa discografica in debito e in cerca di guadagni. L'album offrì al pubblico tuttavia il miglior sound della band, con influenza provenienti dal jazz e dal blues sino ai Beatles, matrice assai evidente nel suo singolo più famoso, Sowing the Seeds of Love. Dell'album fa parte anche un altro singolo, Woman in Chains, che raggiunse la Top 20 in Francia, Italia, Olanda, e in molti altri paesi, nel quale compaiono Phil Collins in veste di batterista, e Oleta Adams - di cui Orzabal si avvarrà nella sua carriera solista - alla seconda voce.L'album rappresentò un reale successo in tutto il mondo, anche se si posizionò in posti più bassi nelle classifiche rispetto a Songs from the Big Chair. La band cominciò il lunghissimo tour Seeds of Love, sponsorizzato dalla Philips per cominciare a riparare i debiti contratti per la produzione. Lo show apparve sul video Going to California, che includeva anche le clip dei singoli Advice For the Young at Heart e Famous Last Words, rispettivamente terzo e quarto estratto dall'album. In seguito a The Seeds of Love, Orzabal e Smith ebbero un'irrefrenabile caduta. Sebbene soltanto vicini ai trent'anni, i due finirono per circoscrivere il loro maggior successo alla decade degli anni ottanta, e presto sciolsero il loro sodalizio artistico.La separazione fu imputata all'approccio alla produzione di Orzabal, macchinoso e frustrante, e al disgusto di Smith per il mondo della musica pop. Smith fu inoltre piuttosto colpito dalla rottura del suo matrimonio. I due passarono buona parte degli anni novanta attaccandosi l'un l'altro tramite i mezzi di comunicazione e la loro musica. Orzabal tenne in vita il nome della band incidendo nel 1992 il singolo di successo Laid So Low (Tears Roll Down) per promuovere la raccolta di greatest hits Tears Roll Down , contenente tutti i singoli eccetto The Way You Are e la canzone per la ricerca di fondi per lo Spot Aid.Smith si trasferì a New York e impiegò diversi anni a riprendersi dagli effetti della notorietà. Nel 1993 registrò l'album Soul on Board. Sebbene i fan più leali di Smith abbiano apprezzato l'album, Smith ha detto in numerose occasioni che lo disprezzava. Nel 1995 incontrò l'autore e produttore locale Charlton Pettus, col quale fondò il duo Mayfield, e cominciò a scrivere canzoni semplici e basate sulla melodia, e registrandole in casa con equipaggiamento analogico d'annata.Tra il 1996 ed il 1998 il duo si esibì occasionalmente in alcuni club di Greenwich Village e SoHo, tra cui Brownie's, il Mercury Lounge, ed il CBGB. Il nome del gruppo deriva da un gioco di parole sui nomi di Smith e di Curtis Mayfield ("Curt is Mayfield"). Essendo costruita per esibirsi solo dal vivo, la band trascorreva poco tempo in studio e senza alcun obbligo commerciale, il che riconciliò Smith con il suo senso artistico per la prima volta dalla sua adolescenza.Per pubblicare la musica dei Mayfield, Smith creò una sua etichetta, la Zerodisc, scartando quelle delle grandi case discografiche, e diventando un precursore della distribuzione musicale indipendente attraverso internet. Il secondo album, Aeroplane, venne pubblicato nel 1998: in esso vennero presentate le canzoni scritte nel corso del periodo in cui i Mayfield si esibivano nei club. Inoltre Smith assunse la gestione, totale o parziale, di numerosi artisti indipendenti. Nel 1993, Orzabal registrò l'album Elemental con la collaborazione di Alan Griffiths, pubblicandolo ancora con il nome dei Tears for Fears. Il disco fu accompagnato da una tournée di successo nei college degli Stati Uniti, dove il singolo Break it Down Again raggiunse la posizione numero 25 della classifica, ed entrò nella Top 20 in UK, Francia, Italia e Olanda.Nonostante il pregiudizio di qualche fedelissimo che lo ritenne semplicemente «un album senza Smith», per molti l'opera fu un piacevole miscuglio di buona scrittura e di campionamenti creativi. I singoli Cold, Elemental e Goodnight Song sono stati successi di classifica a livello mondiale.Orzabal e Griffiths pubblicarono un nuovo album dei Tears for Fears nel 1995, Raoul and the Kings of Spain opera dai toni più riflessivi che mostrava anche la novità di influenze musicali latine (Raoul era il primo nome che i genitori di Orzabal pensarono di dare al figlio, nonché il nome di uno dei figli del cantante). Nonostante l'album fosse all'altezza dei livelli di scrittura, di produzione e di varietà di influenze musicali dei precedenti dischi dei Tears for Fears, il fatto di creare un'opera incentrata sull'esotismo di una discendenza spagnola, escluse tutte le canzoni, eccetto il singolo di lancio God's Mistake, da ogni possibilità di grande successo commerciale. Raoul and the Kings of Spain vedeva nuovamente la partecipazione di Oleta Adams, che collaborò con Orzabal in Me and My Big Ideas.La pubblicazione dell'album venne rimandata di quasi un anno per via di un passaggio all'ultimo momento dall'etichetta discografica Mercury alla Sony, e la confusione che ne conseguì (la Mercury aveva ne già iniziato la promozione) di certo non contribuì alle possibilità di vendita dell'album. La Sony reagì al flop commerciale rescindendo il contratto con i Tears for Fears.Nel 1996 una raccolta di interessanti b-sides del gruppo, Saturnine Martial & Lunatic, fu pubblicata dalla Mercury. Nel 1999, la Mercury Records pubblicò edizioni rimasterizzate dei primi tre album dei Tears for Fears che includevano b-sides, remix, e versioni estese sotto la supervisione del produttore Chris Hughes.La logica delle acquisizioni e delle unioni tra etichette discografiche degli anni novanta ha fatto finire i diritti sul catalogo dei Tears for Fears di nuovo tra le mani della Universal.Dopo aver rilevato la produzione della cantautrice islandese Emiliana Torrini, Orzabal si è di nuovo unito a Griffiths per registrare l'album Tomcats Screaming Outside, pubblicato dalla Eagle Records come progetto solista e sotto il suo nome di battesimo. Mentre i lavori dei Tears for Fears si basavano comunque sul suono delle chitarre, Tomcats Screaming Outside mostrava uno stile completamente orientato all'elettronica e di tonalità nettamente più oscure. L'album fu pubblicato l' 11 settembre 2001, per cui l'uscita venne notata solo da un ristretto numero di affezionati fan dell'artista. Nel 2001, obblighi burocratici portarono Orzabal e Smith ad incontrarsi e parlarsi per la prima volta dopo circa dieci anni. I due appianarono le controversie e cominciarono a comporre nuovo materiale.L'album che ne venne fuori, Everybody Loves a Happy Ending, contenente dodici brani, avrebbe dovuto uscire per la Arista Records alla fine del 2003, ma un passaggio all'etichetta New Door, una branca della Universal, ne spostò la data di pubblicazione fino al 14 settembre 2004. L'album fu pubblicato nel Regno Unito ed in Europa a febbraio 2005 per la Gut Records. L'edizione inglese, francese e italiana del disco conteneva tutte e quattordici le tracce scritte durante la lavorazione dell'album. Ad aprile iniziò il tour britannico. L'esibizione allo stadio Parc des Princes di Parigi registrata a giugno 2005, venne pubblicata su CD e DVD in Francia e Benelux con il titolo Secret World Live in Paris.Nel 2006 il disco Songs from the Big Chair fu ripubblicato in edizione deluxe con aggiunta di b-sides e rarità. Nel 2003 l'eredità dei Tears For Fears tornò sorprendentemente alla ribalta quando una cover per voce e piano del loro successo di debutto Mad World, interpretata da Michael Andrews e Gary Jules raggiunse la vetta delle classifiche britanniche nel periodo natalizio, grazie soprattutto alla spinta del film Donnie Darko, in cui il brano compariva. Nonostante avessero già raggiunto la prima posizione diverse volte negli USA, per i Tears for Fears fu la prima occasione in cui arrivarono in vetta alla classifica nel loro paese d'origine.Il successo del singolo spinse le vendite anche della raccolta di greatest hits Tears Roll Down, che resistette per otto settimane nella classifica inglese, a dodici anni di distanza dalla pubblicazione.Altre critiche sono state rivolte alla band per la pubblicazione nel corso degli anni di numerosi greatest hits, compilation, DVD, ed edizioni alternative delle stesse, nonostante tali uscite non rappresentino decisioni del gruppo. A riprova di ciò, la Universal Records ha ristampato i loro primi tre album ad inizio 2004 sulla scia del successo della cover di Andrews e Jules, vendendone anche oltre le aspettative.






    Discografia
    Album studio
    1983 - The Hurting
    1985 - Songs from the Big Chair
    1989 - The Seeds of Love
    1993 - Elemental
    1995 - Raoul and the Kings of Spain
    2004 - Everybody Loves a Happy Ending


    Singoli
    1981 - Suffer the Children
    1982 - Pale Shelter (You Don't Give Me Love)
    1982 - Mad World
    1983 - Change
    1983 - Pale Shelter [re-incisione]
    1983 - The Way You Are
    1984 - Mothers Talk
    1984 - Shout
    1985 - Everybody Wants to Rule the World
    1985 - Head Over Heels
    1985 - I Believe (A Soulful Re-Recording)
    1986 - Everybody Wants to Run the World
    1986 - Mothers Talk (US remix)
    1989 - Sowing the Seeds of Love
    1989 - Woman in Chains
    1990 - Advice for the Young at Heart
    1990 - Famous Last Words
    1991 - Johnny Panic and the Bible of Dreamsè[2]
    1992 - Laid So Low (Tears Roll Down)
    1993 - Break It Down Again
    1993 - Cold
    1993 - Goodnight Song
    1994 - Elemental
    1995 - Raoul and the Kings of Spain
    1995 - Falling Down
    1995 - Secrets
    1996 - God's Mistake
    2005 - Closest Thing to Heaven
    2005 - Call Me Mellow/Everybody Loves a Happy Ending
    2006 - Secret World


    Compilation ed album live ufficiali
    1992 - Tears Roll Down (Greatest Hits 82-92)
    1996 - Saturnine Martial & Lunatic
    2001 - Shout: The Very Best of Tears for Fears (pubblicata solo negli Stati Uniti)
    2006 - Gold
    2006 - Secret World (Live in Paris 2005)



    Altre compilation
    1986 - Everybody Wants to Mix the World (raccolta di remix pubblicata per l'Argentina)
    1991 - Flip (raccolta di B-side pubblicata per il Giappone)
    2000 - The Millennium Collection: The Best of Tears for Fears
    2001 - Classic Tears for Fears
    2001 - The Working Hour: An Introduction to Tears for Fears
    2003 - Tears for Fears: The Collection


    Videocassette e DVD ufficiali
    1983 - The Videosingles (Mad World, Change, Pale Shelter)
    1984 - In My Mind's Eye (Live at the London Hammersmith Odeon)
    1985 - Scenes from the Big Chair
    1990 - Sowing the Seeds (The Seeds of Love videosingles)
    1990 - Going to California (Live from Santa Barbara)
    1992 - Tears Roll Down (Greatest Hits 82-92)
    2006 - Secret World (Live in Paris 2005, con DVD)


    Altre videocassette e DVD
    1990 - Tears for Fears: Live at Knebworth '90 (Change, Badman's Song, Everybody Wants to Rule the World)
    2003/5 - Tears for Fears - 20th Century/Universal Masters (due raccole di video minori che includono alcuni video promozionali successivi al 1992 non inclusi su "Tears Roll Down")


    Media
    Nella canzone In Love With The 80's (Pink Tux to the Prom) del gruppo Relient K, vengono citati i Tears for Fears («Favorite band will always be Tears for Fears»).
    La canzone Sowing the Seeds of Love è stata la colonna sonora di uno spot pubblicitario di Vodafone




     
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    The Knack

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    Biografia


    La band dei The Knack nasce in California nel 1977, grazie ai quattro amici e musicisti : Berton Averre, Prescott Niles, Bruce Gary e Doug Fieger, tutti provenienti da altri gruppi. La fortuna arriva durante un festival, quando i ragazzi eseguono "My Sharona". La canzone piace ai dirigenti della Capitol Records che offre al gurppo un contratto discografico. Nel 1978 la band inizia a lavorare col produttore Mike Chapman. Nel 1979 "My Sharona" viene pubblicata come primo singolo. Il successo del pezzo è immediato, debutta in America al 1 posto in classifica e ottiene un gran successo in tutto il mondo l'anno seguente, vendendo in totale dieci milioni di copie. Il primo disco "Get The Knack", raggiunge la 1 posizione in patria restandoci per ben sei settimane consecutive. In poco tempo diventa sei volte disco di platino, grazie alla promozione massiccia. Nel 1980 i Knack pubblicano il loro secondo LP "...But The Little Girls Understand". L'album non ottiene un successo brillante, vede in patria a stento mezzo milione di copie. La band a poco a poco cade nel dimenticatoio anche continuando a pubblicare dischi. Nel 1981 esce "Round Trip", dieci anni dopo nel 1991 "Serious Fun". Bruce Gary decide di lasciare il gruppo, il batterista durante i concerti, viene sostiuito da altri componenti : Billy Ward, Terry Bozzio , e David Henderson. Nel 1998 esce un nuovo disco "Zoom", che ottiene un pò di successo nei paesi asiatici. Prima dello scioglimento esce nel 2001 l'ultimo disco in studio della band, "Normal As The Next Guy". Bruce Gary ha lavorato come batterista per molti artisti come : Bob Dylan, George Harrison, Stephen Stills, Rod Stewart, Sheryl Crow, Bette Midler, e Yoko Ono.
    A 55 anni muore per un tumore. Berton Averre ha lavorato come arrangiatore e adesso come screenplayer. Doug Fieger e Prescott Niles lavorano come musicisti e produttori. Dopo l'abbandono del gruppo, i tre si sono riuniti spesso per varie manifestazioni musicali. Il power pop di My Sharona ed il suo riff accattivante, insieme all’aspetto “retrò” anni sessanta, stile new wave della band, si guadagnò i paragoni con le canzoni dei Beatles. Critici di musica, odiavano la disco music, che dominava l'industria della musica in quel tempo, ed erano brillantemente aperti agli altri generi in sviluppo come il punk-rock, l'hip hop e l'heavy metal. Il power pop dei Knack fece guadagnare loro la fiducia della critica. Dopo alcuni album, tuttavia, l’avversione contro la band, simile a quella capitata ai Monkees una generazione prima, era forte, e la band si separò subito dopo l'uscita del terzo album, Round Trip. Il gruppo si riunì una prima volta nel 1991, e pubblicò l'album Serious Fun, e si sciolse nuovamente. Intorno al 1998 la band si riunì per la seconda volta, e produsse l'album Zoom. Nel 2001 è uscito il loro album Normal as the Next Guy ed il loro DVD Live From The Rock N'Roll Funhouse. Il cantante Doug Fieger, originario di Detroit, Michigan, aveva suonato prima dei Knack in un complesso rock di paese chiamato Sky. Degli altri tre membri originali dei Knack (Berton Averre - chitarra, Prescott Niles - basso, e Bruce Gary - batteria), Averre e Niles suonano attualmente ancora nei Knack, mentre Bruce Gary è morto nel 2006. Molti batteristi hanno fatto parte del gruppo negli anni, incluso Billy Ward (nell’album Serious Fun), Terry Bozzio (nell’album Zoom), e David Henderson con lo pseudonimo di Holmes Jones (Normal as the Next Guy e Live From The Rock N'Roll Funhouse). Attualmente Pat Torpey (Mr. Big) è il batterista del gruppo. Nel 2005 la band ha fatto un'apparizione nel programma TV Hit Me Baby One More Time. The Knack continuano a scrivere e registrare nuove canzoni, e continuano la loro attività dal vivo. Il cantante Doug Fieger muore il 14 febbraio 2010 dopo una lunga malattia.









    Discografia
    Album studio
    1979 - Get the Knack
    1980 - ...But The Little Girls Understand
    1981 - Round Trip
    1991 - Serious Fun
    1998 - Zoom
    2001 - Normal As The Next Guy
    2003 - Re-Zoom


    Live
    1979 - The Knack Live at Carnegie Hall
    2001 - Live From The Rock N'Roll Funhouse


    Raccolte
    1992 - Retrospective
    1995 - My Sharona
    1998 - Proof: The Very Best Of The Knack


    Singoli
    1979 - My Sharona #
    1979 - Good Girls Don't
    1980 - Baby Talks Dirty
    1980 - Can't Put A Price On Love
    1981 - Pay The Devil


    Videografia
    2004 - Getting The Knack


     
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    Biografia


    I Sweet sono uno storico gruppo rock formato a Londra, Regno Unito nel 1968. Furono tra i più grandi esponenti del movimento glam rock e hard rock negli anni settanta. Furono tra i pochi gruppi glam rock degli anni '70 che sperimentarono il suono heavy metal in questa decade, ed influenzarono in particolar modo la sottocorrente glam/pop metal, genere nato nei successivi anni ottanta . Le origini dei Sweet vanno fatte risalire alla metà degli anni sessanta, quando in Inghilterra erano attivi gli Wainwright's Gentlemen, un gruppo soul dove troviamo il futuro batterista dei Sweet, Mick Tucker. Fu proprio negli Wainwright's Gentlemen che avvenne il primo contatto fra Tucker e Brian Connolly, che dei Sweet diventerà il frontman, visto che quest'ultimo sostituì dietro il microfono un certo Ian Gillan, che poi diventerà noto con i Deep Purple. I due rimasero negli Wainwright's Gentlemen fino al 1968, quando decisero di avviare un nuovo progetto musicale, chiamando il bassista Steve Priest. L'organico fu completato dal chitarrista Frank Torpey. Il nome scelto per questa nuova avventura musicale fu "Sweetshop", cambiato subito in Sweet (1968), e quasi immediatamente il gruppo firmò un contratto con la Fontana Records, pubblicando un singolo oggi rarissimo, Slow motion, che fallì clamorosamente a livello commerciale. Le conseguenze furono immediate: la Fontana rescisse immediatamente il contratto e Torpey, nel 1969, se ne andò sbattendo la porta. Con il nuovo chitarrista Mick Stewart, arrivato nel 1969, i Sweet firmarono un nuovo contratto discografico con la EMI Records e pubblicarono in poco tempo tre singoli, che anche in questo caso si rivelarono un autentico flop, provocando la dipartita di Stewart (1970); il suo posto verrà preso da quello che diventerà il chitarrista storico del gruppo, Andy Scott, sempre nel 1970. Un volta assestata la formazione, al gruppo fu affiancata una coppia di compositori allora sconosciuta (Nicky Chinn e Mike Chapman), mentre Phil Wainman diventò il loro produttore esecutivo. Già da allora le canzoni dei Sweet cominciarono ad essere in bilico tra brani di facile ascolto (tipici del resto della bubblegum music), per la quasi totalità composti dal duo Chinn/Chapman, ed altri molto più heavy, realizzati dagli stessi Sweet. Se si aggiunge una grande cura per le armonie vocali, ecco trovata la chiave per aprire la porta del grande successo internazionale, che puntualmente arriva con "Funny Funny". Una serie di singoli successivi ("Co-Co" su tutti) di grande successo, non furono tuttavia da traino per il primo album ufficiale della band Funny How Sweet Co-Co Can Be, pubblicato alla fine del 1971. Nel frattempo i rapporti tra il gruppo e la coppia Chinn/Chapman divennero sempre più tesi, e gli stessi fans non sapevano se effettivamente il gruppo intendesse essere a livello prioritario quello delle canzonette inserite nei lati A dei singoli (composte da Chinn e Chapman), o una vera e propria band hard rock, come dimostravano tutti i lati B dei relativi singoli (e i brani erano composti dal gruppo). Inoltre dal vivo, i singoli di successo venivano raramente suonati. Tale situazione però durerà ancora per qualche anno. Chinn e Chapman compresero che bisognava indurire il sound del gruppo; fatto sta che i singoli successivi, tutti enormi successi, proponevano un sound decisamente più elettrico oltre ad un atteggiamento da parte del gruppo molto più "shockante" rispetto agli esordi. Abbigliati in maniera esageratamente colorata con presenti parecchie ambiguità di carattere sessuale tipicamente glam rock, i Sweet pubblicarono uno dietro l'altro singoli come "Little Willy""Wig wam bam", "Blockbuster", "Hellraiser", , "The ballroom blitz", che sbancarono le classifiche inglesi e di tutta Europa. Il 1974 segnò l'inizio ufficiale della crisi tra i Sweet e il duo Chinn/Chapman: il gruppo scartò un brano "Dyna-mite" proposto dal "Dynamic Duo C&C" che poi lo diedero ai Mud che ne fecero un successo battendo proprio il singolo dato agli Sweet con "Teenage Rampage" che continuò la serie di #2 nelle charts UK. Il gruppo, stanco dell'onnipresenza manageriale dei due ed indispettito dal fatto che Chapman & Chinn scrivessero brani di successo per altri artisti "in concorrenza di classifica" come i citati Mud, Suzi Quatro e altri, si chiuse in studio col producer Phil Wainman e pubblicò per la RCA Records Sweet Fanny Adams, titolo alquanto duro, in quanto ricorda un efferato omicidio compiuto da tale Frederick Baker ai danni di una bambina di 8 anni (Fanny Adams), titolo entrato anche nel linguaggio comune Inglese avendo come significato "nothing at all" o ancora più esplicitamente "fuck all". Il disco, nonostante presenti due composizioni di Chinn e Chapman, è sicuramente Sweet al 100 %, con capolavori metallici come la title track o "Set me free" o la più oscura "Into the night". Il successo ottenuto, l'album infatti entrò nella top 40 inglese, convinse il gruppo che la strada era quella giusta, tanto da pubblicare, con la produzione di Chapman & Chinn, nello stesso anno Desolation Boulevard. L'album sicuramente è più maturo rispetto al precedente, le sonorità sono molto da "live in studio" allo scopo di volersi esprimere in un linguaggio musicale più rock e meno commerciale. Il risultato, seppur buono, fu inferiore alle aspettative. Il primo singolo tratto dall'album, "The Sixteens" rimane un classicissimo e, a detta dei membri della band, è sicuramente il brano migliore mai scritto da Chapman & Chinn. Il singolo successivo, "Turn It Down", ancora scritto da Chapman & Chinn, venne censurato e non trasmesso dalla BBC per il testo "For God's sake turn it down". Nonostante il successo nel resto d'Europa, il singolo in UK arrivò solo al 41° posto nella classifica, interrompendo una serie che fino ad allora sembrava interminabile di singoli permanentemente arrivati nella top ten. Da sottolineare nell'album la presenza di un brano classicissimo del gruppo "Fox on the run", che come vedremo diverrà di importanza notevolissima per il gruppo. Intanto la band firma un contratto per la distribuzione negli USA e Asia con la Capitol Records e inizia la scalata al mercato americano con la pubblicazione di "Desolation Boulevard" che raccoglie il meglio dei brani delle versioni eurpee di "Sweet Fanny Adams" e "Desolation Boulevard" con una facciata per i brani scritti dal gruppo e l'altra da Chapman & Chinn. Il brano d'apertura è "The Ballroom Blitz" che diventa un classico oltreoceano e entra in classifica americana due anni dopo la sua prima pubblicazione in Europa. L'album è un grande successo e arriva nella top 20 americana. Con la doppia distribuzione RCA - Capitol gli albums del gruppo avevano una tracklist diversa a seconda se pubblicata in Europa o negli Stati Uniti; noi continuiamo a riferirci alla discografia pubblicata nel Vecchio Continente. Il 1975 fu un anno di transizione, il brano "I Wanna Be Committed", nei piani di "Batman e Robin" come il gruppo aveva ribattezzato C&C", avrebbe dovuto essere il singolo successivo a "Turn It Down". Il brano non fu recepito dal gruppo come potenziale hit e la RCA intravvedeva il più che probabile secondo "ban" che la BBC avrebbe riservato al singolo per le tematiche "scomode" del testo che parla di disordini mentali. La RCA ed il gruppo avevano bisogno di un nuovo singolo per tornare sotto i riflettori delle charts e la lontananza di Chapman negli States per altri progetti fu ghiotta occasione per il gruppo per tentare una propria via al lato A dei singoli. Il brano scelto come nuovo singolo fu quindi una nuova versione del brano "Fox On The Run" che con un nuovo arrangiamento, arricchito dai synths, divenne un successo mondiale e il singolo più venduto degli Sweet. La band scoprì con enorme piacere che c'era la possibilità di una strada propria senza l'oppressiva presenza di Chapman & Chinn e pubblicò il doppio semi-antologico dal titolo Strung Up . Già dalla copertina i quattro Sweet sono i manovratori delle "marionette" rappresentanti loro stessi sul palco dando significato alla loro volontà di gestire il proprio indirizzo musicale e carriera da loro stessi, senza più i lacci che li legavano a Chapman & Chinn. Il doppio contiene una selezione di brani registrati live nel 1973 a parte l'opener "Hellraiser" le altre sono tutte composizioni della band che ripropone i rocker usciti come B-side dei loro più grandi successi e un gande assolo di Mick Tucker alla batteria in una rivisitazione di "the Man with the Golden Arm". L'altro disco, registrato in studio, contiene i migliori singoli post 1972, alcune album tracks e B-sides e "I Wanna Be Committed", inoltre il recente smash hit "Fox On the Run" nella nuova fiammeggiante versione e una prima versione su album dello scoppiettante singolo scritto dal gruppo:"Action". Per la cronaca, solo in Italia, l'album fu pubblicato come singolo contenente solo la parte in studio, la parte live fu pubblicata a fine 1976 come album singolo solo in Italia, intitolandosi semplicemente Live in England. Ormai la frizione tra i Sweet e la coppia Chinn/Chapman era diventata insostenibile, così il gruppo decise finalmente di fare tutto in casa propria, dalla composizione alla produzione. Nasce così nel 1976 lo splendido Give Us a Wink, "Action" viene riproposta in una versione se possibile ancora migliorata; è un violento attacco a Chinn e Chapman, accusati senza mezzi termini di avere usato la fama del gruppo per fare soldi a palate. Il disco è splendido, durissimo per i tempi, e contiene un altro classico del gruppo "The lies in your eyes"che pubblicato come singolo non passa la 35ima posizione nelle charts UK. Come sempre il resto d'Europa, e specialmente la Germania e i Paesi Scandinavi trattano l'album meglio che nella patria UK In generale comunque, in termini puramente commerciali, purtroppo il risultato non è dei migliori, tanto che il gruppo si trova a riflettere sul proprio futuro. All'inizio del 1977 il gruppo si ripresenta con un album contraddittorio Off the Record, che se da un lato anticipa di qualche anno il pop metal dei Def Leppard (ascoltare "Fever of love" per credere), in altri brani, come "Windy city" e "Hard times" ricorre in pieno a sonorità tipiche dei maestri dell'heavy metal inglese, i Black Sabbath. Il riff di Windy City è fortemente ispirato a quello di "Woman From Tokyo" dei Deep Purple. Tuttavia il disco è molto più melodico rispetto al precedente, con una maggiore attenzione per gli arrangiamenti e per gli intrecci vocali. Particolarmente curiosa la presenza nel disco di una canzone, "Funk it up", che nulla ha a che vedere con il classico repertorio dei Sweet, trattandosi di un pezzo ballabile, adatto per le discoteche. Anche i testi, sembrano seguire questa tendenza all'ammorbidimento generale, abbandonando quasi del tutto l'atteggiamento oltraggioso dei primi tempi, per sposare tematiche più mature, ed in parte abbracciando sogni e speranze di giovani che vivono alla giornata legati ad un ambiente che li deprime e dal quale vorrebbero fuggire ("Windy city"). I due singoli tratti dall'album "Lost Angels" e poi "Fever Of Love" falliscono l'entrata nelle charts UK ed iniziano a mostrare la corda anche nei sempre più favorevoli mercati di Germania e Nord Europa in generale. L'abum, qualitativamente di livello comunque molto elevato, non trova però riscontri a livello di vendite, tanto da costringere la RCA a rescindere il contratto con il gruppo che lascia con un altro singolo fallimentare "Stairway To The Stars" ed una antologia dei singoli 1973-1977 "The Golden Greats" che non da i risultati di vendita sperati, tuttavia la band riesce a firmare per la tedesca Polydor Records un buon contratto. Il 1978 è l'anno di Level Headed, che colpisce fin dalla copertina, molto scarna, dove il quartetto viene fotografato con un abbigliamento che più semplice non si può. Risulta chiaro che la foto non è che il pretesto per fare comprendere ai vecchi fans, che i Sweet di un tempo sono morti e sepolti; non solo, il primo brano della raccolta, una dolcissima ballata per pianoforte e orchestra "Dream on", risulta qualcosa di veramente nuovo a livello compositivo. Level Headed è comunque ricordato per la presenza dell'ultima hit single del gruppo, la famosissima "Love is like Oxygen", un brano dal riff essenziale ma di grande presa e con un Brian Connolly che modula la sua voce in maniera molto soft, rispetto alle prestazioni precedenti. Peccato che il singolo non corrisponda pienamente allo stesso brano inserito nell'album, di tre minuti più lungo, e risulta "troncato" nella parte centrale, quella strumentale, dove si alternano arpeggi di chitarra acustica e pianoforte, e che culminano infine in un melodico assolo di chitarra. A livello musicale i Sweet, come detto, abbandonano l'hard rock, per dedicarsi ad un suono molto pomposo, che ricorda in parte alcune composizioni della Electric Light Orchestra (gruppo in bilico tra pop e progressive molto famoso negli anni settanta), con la presenza, in parecchi brani di una intera orchestra che appesantisce il suono. Non mancano tuttavia brani di un certo spessore, come ad esempio la rockeggiante "Fountain", cantata da Andy Scott, che presenta la particolarità nella parte finale, di un lungo assolo di clavicembalo. Brian Connolly, insoddisfatto della direzione stilistica attuata dal gruppo, e in secondo luogo affetto da gravi problemi legati all'abuso di sostanze alcoliche, decide di abbandonare il gruppo, che prosegue la sua attività come trio pubblicando tra la fine del 1978 e l'inizio del 1979 Cut Above the Rest, disco che accentua le somiglianze con gli Electric Light Orchestra e che si concentra su un sound vagamente progressivo soprattutto in alcuni brani, perlatro ben suonati, come "Mother earth" e "Discophony". Nel disco trovano spazio anche brani che molto vagamente ricordano i tempi che furono, come "Play all night", ma nel complesso questo è sicuramente il disco dove il gruppo si esprime alla grande a livello di tecnica strumentale e di arraggiamenti. Ma i fans non ne vogliono sapere; è l'inizio della fine. I tre Sweet rimasti vanno avanti e compiono un imperdonabile passo falso con Waters Edge, una insipida raccolta di brani pop, che nulla hanno a che vedere con il passato del gruppo ma anche con le recenti proposte. Un disco stanco, che però è un capolavoro paragonato a Identity Crisis, che già dal titolo dice tutto. La formazione originale dei Sweet si scioglie nel 1981. Negli anni a seguire il gruppo cercherà di riunirsi, arruolando svariati musicisti, e nel 1989 la formazione originale si ritrova unita per riregistrare alcune hit del periodo d'oro, ma la prestazione vocale di Brian Connolly non soddisfa gli altri tre, tanto che il progetto viene nuovamente accantonato. Nel frattempo, Andy Scott rimette su una formazione dei Sweet, con il solo Mick Tucker tra i membri originali e pubblica un bell'album dal vivo Live at the Marquee, con un repertorio che necessariamente, tranne "Love is like Oxygen", prende a piene mani dal primo periodo della band. Ormai dimenticato dai metal fans degli anni 90, Brian Connolly muore il 9 febbraio del 1997 a causa di ripetuti infarti, conseguenza del suo pessimo stato fisico, minato in maniera esagerata dall'alcool; qualche anno più tardi, il 14 febbraio 2002 ad andarsene è il batterista Mick Tucker, stroncato dalla leucemia. Dei due Sweet superstiti il più attivo resta sicuramente Andy Scott, che rimette assieme una formazione dei Sweet, gli "Andy Scott's Sweet". Il gruppo è stato in tour fino all'estate 2008.







    Discografia
    In studio
    1971 Funny How Sweet Co-Co Can Be
    1974 Sweet Fanny Adams
    1974 Desolation Boulevard
    1976 Give Us a Wink
    1977 Off the Record
    1978 Level Headed
    1979 Cut Above the Rest
    1980 Waters Edge
    1982 Identity Crisis

    Live
    1989 Live at the Marquee
    2000 Live at the Rainbow 1973
    2002 Stairway to the Stars: Live & Rare


    Raccolte
    1970 Gimme Dat Ding (6 dei Sweet + 6 dei Pipkins)
    1972 The Sweet's Biggest Hits
    1973 The Sweet
    1975 Strung Up
    1977 The Golden Greats
    1978 The Sweet
    1989 The Collection
    1991 First recordings 1968-1971
    1995 Platinum Rare
    1995 The private collection
    1998 The Ballroom Blitz & more Sweet hits
    2005 The very best of Sweet
    2006 Hellraiser
    2009 Action: the Sweet anthology




     
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    A ME MI PIACE VIVERE ALLA GRANDE – Franco Fanigliulo – (1979)

    franco+fanigliulo-



    Franco Fanigliulo, all’anagrafe Gian Franco (La Spezia, 9 febbraio 1944 – La Spezia, 12 gennaio 1989), è stato un cantautore italiano.

    Tra i più originali cantautori italiani degli anni settanta, insieme a Giorgio Gaber e a Rino Gaetano, sapeva offrire una interpretazione molto teatrale dei suoi brani. Raggiunse la popolarità presentando al Festival di Sanremo 1979 il brano A me mi piace vivere alla grande (composto da Riccardo Borghetti, Daniele Pace e Oscar Avogadro). Incise tre album per l’etichetta “Ascolto” di Caterina Caselli e dopo un lungo silenzio si riaffacciò alla ribalta verso la fine degli anni ottanta iniziando a collaborare con artisti del calibro di Zucchero e Vasco Rossi. Prima che queste collaborazioni potessero portare a una rinascita artistica, il cantautore ligure fu stroncato da una emorragia cerebralea soli 45 anni.

    Nel 1979 si presentò al Festival di Sanremo con il brano considerato da molti il “vincitore morale” di quell’edizione, A me mi piace vivere alla grande, dove mise pienamente in luce le sue doti di istrione; oltre a cantarlo, infatti, si abbandonava a gesti tipicamente teatrali. Il brano fu l’unico suo ad entrare in classifica, e subì alcune pesanti vicissitudini censorie; alcune frasi del testo vennero cambiate, e in particolare si ventilò l’ipotesi di vilipendio alla religione per il passaggio «E adesso che Gesù / ha un clan di menestrelli / che parte dai blue-jeans / e arriva a Zeffirelli…», testo che si riferiva semplicemente al film Gesù di Nazareth e alla nota marca di jeans Jesus.

    A me mi piace vivere alla grande

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    A me mi piace vivere alla grande/Non si sa mai è il primo singolo di Franco Fanigliulo, uscito nel 1979 per la casa discografica Ascolto.

    Nel gennaio del 1979 Franco Fanigliulo porta a Sanremo la canzone A me mi piace vivere alla grande, scritta daDaniele Pace, Oscar Avogadro, Franco Fanigliulo e Riccardo Borghetti, che si aggiudica il 6º posto. Il brano Non si sa mai è invece scritto da Fanigliulo e Borghetti.

    Il brano viene inciso su 45 giri e su Lp.

    fanigliulo



     
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    Dischi italiani 2019: ecco le uscite più interessanti!

    «Ecco alcuni tra i (tanti) dischi italiani 2019 più interessanti usciti fino ad ora! Quali sono i vostri preferiti?»


    Come al solito la musica italiana è fucina di talenti molto interessanti, alcuni che si sono approcciati al 2019 presentando i loro primi lavori, altri artisti invece ci hanno presentato il disco della definitiva consacrazione e altri ancora sono stati in grado di aggiungere un’altra stella ad una carriera sin qui luminosissima. Nel tentativo di fare un po’ d’ordine vi presentiamo i dischi italiani 2019 più interessanti, che meritano sicuramente un posto nella vostra collezione.


    Daniele Silvestri – La terra sotto i piedi
    La terra sotto i piedi di Daniele Silvestri è un (capo)lavoro che merita l’attenzione di tutti. Troverete nel disco anche la batteria di Fabio Rondanini, i violini di Rodrigo D’Erasmo, la chitarra di Niccolò Fabi, il sax di James Senese e i fiati di Enrico Gabrielli. Immancabile nel disco Argento vivo, che ci ha colpiti dritti al cuore a allo stomaco a Sanremo 2019. Buon ascolto!

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    Fast Animals and Slow Kids – Animali Notturni
    Animali Notturni è il quinto album in studio della band di Perugia e…ci piace. Ci piace veramente tanto. Il consiglio che ci suggeriscono i FASK è di ascoltarlo durante un lungo viaggio notturno, alla ricerca di una meta da raggiungere e chi siamo noi per dire di no?

    Il titolo Animali notturni è la sintesi dello stesso disco, che vuole rappresentare due anime: quella degli “animali notturni”, che vivono la notte al massimo senza pensieri, e quella di chi invece si nasconde in casa con la propria introspezione. Potete andare a cantare e urlare le loro canzoni sotto ad un palco, su e giù per l’Italia, nel tour che ci accompagnerà nei prossimi mesi. Loro, come sempre, vi accoglieranno così: «Salve a tutti, noi siamo i Fast Animals and Slow Kids e veniamo da Perugia!». Non vediamo l’ora.

    fask-300x300

    Dischi italiani 2019: Eugenio in Via di Gioia – Natura viva
    Eugenio Cesaro, Emanuele Via, Paolo Di Gioia e Lorenzo Federici sono gli Eugenio in Via di Gioia e… non potete non ascoltare il loro ultimo album, Natura viva. L’album non solo contiene belle canzoni ma è bella anche la copertina, realizzata appositamente per la band dallo street artist torinese BR1, che ha curato anche le altre illustrazioni – da colorare! – che accompagnano, nel formato fisico del disco, tutte le canzoni presenti nella tracklist. Piccolo dettaglio degno di un sorriso: nel disco gli unici suoni elettronici sono di una tastiera comprata in un discount per 20 euro. O almeno così dicono. Merita un ascolto (almeno una volta al giorno).

    eugenio-in-via-di-gioia-300x300

    Mahmood – Gioventù bruciata
    Non si ferma più! Mahmood, dopo aver vinto Sanremo, si è portato a casa il secondo posto all’Eurovision, e non ha intenzione di fermarsi qui. Il suo album d’esordio, Gioventù Bruciata, merita di essere ascoltato dall’inizio alla fine, e poi ancora, ancora e ancora. Malinconia, solitudine, ma anche un padre assente, Milano che sembra un deserto, il Naviglio che sembra il Nilo. Sì, troverete anche Soldi, naturalmente.

    mahmood-300x300

    Ultimo – Colpa delle favole

    A 23 anni Ultimo è già al suo terzo disco con Colpa delle favole. Se in Pianeti del 2017 cercava un suo posto nel mondo e in Peter Pan raccontava la realizzazione dei suoi sogni, Colpa delle favole è il disco di un giovane uomo diventato grande senza neanche accorgersene, che è stato travolto all’improvviso dagli eventi e non può più tornare indietro. Dice che se la sua vita adesso è questa, la colpa è solo delle favole. Ma se questo è il risultato, mi viene da dire, allora, viva le favole!

    ultimo-300x300

    Dischi italiani 2019: Pinguini Tattici Nucleari – Fuori dall’Hype
    Ebbene sì, sono tornati anche loro: i Pinguini Tattici Nucleari! Tra gli album più interessanti di questa prima parte di 2019, vogliamo consigliarvi anche Fuori dall’Hype. Una curiosità sulla band: il loro nome è ispirato ad una birra scozzese, la Tactical Nuclear Penguin, scoperta per caso dal gruppo in un pub bresciano. Ah, volevate saperne di più sull’album? Una cosa sola: che ci fate ancora qua? Correte all’ascolto!

    fonte:https://www.snapitaly.it/d

     
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