Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

I Giochi della nostra infanzia anni 60-70-80

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    Shangai (gioco)


    Spiel_Mikado

    Lo Shangai (/ʃan'ɡai/) o Mikado è un antico gioco cinese di destrezza e di pazienza.
    Si gioca su un tavolo ricoperto con un tappeto utilizzando 31 bastoncini colorati della lunghezza di 17 cm circa. I bastoncini sono divisi tipicamente in cinque gruppi, associati ad una diversa colorazione e punteggio relativo. Il numero dei bastocini associati a ciascun colore è variabile da versione a versione.
    Regole del gioco

    DSC_0009Ogni partita si svolge in un numero di turni stabilito dai giocatori all'inizio del gioco. Ogni giocatore, nel proprio turno, stringendo nel pugno i bastoncini, li lascia cadere a ventaglio da una posizione verticale. A questo punto li toglie dal gruppo ad uno ad uno cercando di non muovere gli altri. Il primo bastoncino va raccolto a mani nude, mentre per i successivi ci si potrà avvalere di quelli già raccolti come bacchetta. Ogni bastoncino preso fa guadagnare al giocatore il numero di punti ad esso corrispondente. Se sbaglia o muove gli altri bastoncini il turno passerà a un altro giocatore che ripeterà le stesse operazioni. Vince chi colleziona più punti.
    Esempi di valori e numero dei bastoncini:
    n. 1 bastoncino nero 50 punti
    n. 3 bastoncini blu 25 punti ciascuno
    n. 5 bastoncini verdi 10 punti ciascuno
    n. 7 bastoncini rossi 5 punti ciascuno
    n. 15 bastoncini gialli 2 punti ciascuno
    Versione Mikado-Spiel (in figura):
    n. 1 bastoncino con spirale 20 punti
    n. 5 bastoncini blu-rosso-blu 10 punti ciascuno
    n. 5 bastoncini rosso-blu-rosso-blu-rosso 5 punti ciascuno
    n. 10 bastoncini blu-giallo-rosso 3 punti ciascuno
    n. 10 bastoncini blu-rosso 2 punti ciascuno



    Shanghai

    Pubblicato da Stefania Tolari il Dom, 26/06/2011 - 12:39

    mikado_side_view

    Fuori pioveva a dirotto. In casa, la condensa aveva creato un telo opaco sui vetri. Non era sicuramente il momento migliore per uscire, l'ombrello non l'avrebbe riparata abbastanza da quell'acqua di traverso, e le scarpe le si sarebbero intorzate fino ad inzuppare sicuramente i calzini. Avrebbe camminato per strada con il collo ritratto come per ripararsi dall'inevitabile, e le dita dei piedi avrebbero finito per sguazzarle nelle scarpe come in un acquario. Quindi, le sarebbe iniziato ad entrare il freddo nelle ossa, fino a salirle su per tutto il corpo. Eppure le era venuto in mente di comprarlo, quel giocattolo. Il Natale era imminente e quello era il regalo che, quell'anno, (lo aveva tassativamente deciso) voleva fare a Sergio.
    Lui, ignaro di tutti gli ossessivi pensieri di sua madre, giocava sereno nella sua c55a1c15dfff97e2acc6bf51e1c87a90_bigcameretta, forse alle costruzioni, forse a disegnare mostri o robottini, forse ad essere un meccanico che riparava tutti gli oggetti. Aveva sviluppato una buona destrezza manuale, quel bimbo, pensava sempre Alice quando lo osservava da lontano “sbuzzare” gli orologi o i peluches con le pile per vedere come erano fatti dentro, o quando lo vedeva estrarre tutti i filini di ferro dei laccini di plastica per chiudere i sacchetti del pane e unirli insieme per costruire un apparecchio per i denti ad una bambola della sorellina.
    Le sarebbe piaciuto, quel regalo, pensava Alice guarnado fuori dalla finestra per ispezionare il tempo.
    Niente, continuava a piovere a dirotto. E non avrebe smesso, ormai era chiaro.
    Decise: sarebbe uscita. Prese l'ombrello, si mise un impermeabile addosso, un cappuccio in testa e gli stivali di gomma ai piedi, ed uscì di casa, pronta ad affrontare le intemperie per iniziare il suo pellegrinaggio in tutti i negozi del centro. «Torno subito, Piero» urlò al marito che stava nello studio a scartabellare «Sta' attento ai bimbi, per favore».
    Dopo una breve camminata, già zuppa come un pulcino, Alice entrò in un negozio che sull'insegna luminosa diceva “Imaginarium”.
    Il nome affascinava, senza dubbio! E c'era persino una porticina più piccola che designava l'accesso per i bambini. Una bella trovata, pensò. Se fossero stati lì Sergio e Sabrina avrebbero fatto a gara a chi fosse entrato prima. Si sarebbero spintonati, si sarebbero ammaccati di pugni e mezzo-spogliati dagli spintoni.
    Sorrise. Poi entrò.
    «L'ombrello per favore lo lasci lì, in quell'ombrelliera» sentì dire ad una voce rivolta sicuramente a lei. «È lì a posta, dico io» ascoltò la stessa voce bofonchiare subito dopo. Alice si stizzì un po' per quel rimbrotto, ma poi pensò che, dopotutto, era quasi l'ora della chiusura, e che la ragazza aveva probabilmente voglia di andarsene a casa sua, poveretta. Quindi la giustificò.
    «Senta, mi scusi, sto cercando un gioco in particolare. Non so se mi può aiutare...». «Che gioco? Dica pure» si affrettò solerte a chiedere la ragazza, sfoderado il suo sorriso Durban's delle nuove possibili clientele. «Vediamo... Si tratta di un gioco che si chiama Shanghai. Non so se lo conosce...» iniziò Alice. E rimase ad aspettare un ammiccamento, un segnale di intesa, un movimento verticale della testa, scrutando la faccia della ragazza in cerca di un barlume di assentimento e di speranza.
    Niente. La commessa rimaneva immobile a guardarla con occhi inespressivi e il solito sorriso dipinto sulle labbra. «Ma che avrà? Una paresi?» pensò Alice. Ma poi insistette nell'intento e cercò di essere più precisa. «Sa, è un gioco molto semplice, funziona così: un giocatore estratto a sorte, mischia dei bastoncini e li riunirsce a mazzo con le punte sul tavolo. Poi li lascia cadere in modo casuale. Il primo giocatore deve riuscire ad accaparrarsi il numero maggiore di bastoni sfilandoli dal mucchio. Deve fare però molta attenzione a non muovere quelli che stanno vicino allo stecchino scelto, altrimenti sarà costretto a cedere il turno al giocatore successivo. I bastoncini vanno raccolti con le mani, ma è anche possibile aiutarsi con uno o più Shanghai per prendere quelli sul tavolo, facendoli rotolare o saltare in aria. Il gioco finisce quando tutti gli Shanghai sono stati raccolti dal tavolo. E a quel punto, dato che ogni bastoncino a seconda del colore o del segno che lo caratterizza corrisponde a un numero diverso di punti, si conta chi ha accumulato più punti e quello è il vincitore. Bisogna, quindi, fare molta attenzione e occorre concentrazione e mano ferma, precisione. Insomma, è molto carino come gioco. Lo conosce?».
    Lo sguardo della ragazza non fece ipotizzare che la risposta fosse un «sì». Infatti, imbarazzata, cominciò ad arrotolarsi tra le mani i lunghi capelli che aveva intrappolati in una coda, si mise un dito in bocca con l'intento subito scartato di mangiarsi un'unghia, dondolò un po' sulle gambe a destra e a sinistra, e poi cominciò ad arrampicarsi sugli specchi per offrire alternativi giochi-del-futuro a quella strana cliente che “proprio a lei era toccata”.
    «Beh, questo gioco no, non ce l'abbiamo» disse poi per togliersi finalmente d'impiccio. «Però guardi che, per quel che mi dice, è molto simile all'Allegro Chirurgo o a Jenga o a...». «No, ma sì, ma sicuro. Jenga sì, infatti è carino, ma il fatto è che io proprio cercavo Shanghai» proruppe Alice. «Non fa niente, allora. Tornerò senz'altro per Jenga, se proprio non trovo quel che cerco».
    E, tra un «grazie mille», tre o quattro «arrivederci» e un maldestro tentativo di abbassarsi per uscire dalla porticina dei bambini, Alice riuscì a sgattaiolare via dalla porta grande, quella degli adulti, e a ritrovarsi di nuovo in strada, sotto l'acqua, un po' scornata ma disposta a non demordere.
    La seconda tappa fu un altro negozio di giocattoli che trovò sul suo cammino. E poi un terzo e un quarto, un quinto e un sesto. Nulla. Di Shanghai nemmeno l'ombra.
    Sempre più spazientita, all'ultima commessa aveva gridato: «Ma se ci giocavo io quando ero piccola! Possibile davvero che sia sparito? È un gioco tra i più semplici. Sono solo pali, stecchini, stuzzicadenti un po' cresciuti e colorati!».
    La ragazza l'aveva allora guardata con disprezzo, dal basso in alto, squadrando la sua forma goffa sotto l'impermiabile e il cappuccio e gli stivaloni. Nella sua espressione c'era tutto il disprezzo per un relitto d'altri tempi che cercava effigie della sua era. «Patetica», sicuramente aveva pensato. E poi le aveva detto: «Se è cosi facile perché non li costruisce Lei, gli stecchini? E comunque, non le è venuto in mente che, magari, proprio perché è della sua epoca, ormai non lo si venda più, 'sto gioco? I tempi cambiano, signora. Ci si deve aggiornare, tenere al passo con i progressi dell'economia. Oggi giorno i bambini vogliono stupirsi, vogliono giocattoli curati nei dettagli, vogliono pulsanti, tasti, lucine, tec no lo gi a! Mica si accontentano di stare seduti a un tavolino a “non-far muovere” i paletti! Ma figuriamoci! Non mi faccia ridere. Compri una bella consolle, a suo figlio: la Wii. Vedrà che divertimento! Potrà addirittura giocare anche lei con... Come si chiama il bambino? Ecco, con Sergio, appunto. Che c'è di meglio di una bella giornata tutti insieme in famiglia?».
    A quella tirata, Alice aveva sgranato due considerevoli palle-d'occhi, aveva cercato di ripetere tra sé e sé quella strana parola che suonava come il verso di un maiale scuoiato, e poi aveva saputo rispondere solo con un titubante: «Ma, io, veramente, anche a Shanghai ci giocherei con il mio bimbo, non si creda».
    Poi, ammutolitasi, se ne era andata dal negozio in fretta e furia, sbattendo la porta e precipitandosi in strada senza nemmeno aprire l'ombrello.
    Ora se ne stava immobile, tutta bagnata, con le mani penzoloni lungo i fianchi e il collo curvo come dopo una scornata.
    In preda allo sconforto, le venne solo voglia di cercare aiuto. Ci sarà pur stato qualcuno che la capiva! Voleva solo quel benedetto gioco, dopotutto. Nient'altro. E stava diventando una questione di principio, una sfida, un obiettivo, e sempre più importante, fra l'altro: fondamentale, ormai!
    Una signora impellicciata le passò accanto e le urtò il gomito. «Scusi» le venne fatto di dire, anche se non era stata lei a importunare la donna, e, semmai, era avvenuto il contrario. «Di nulla, ma faccia attenzione!» rispose di getto la signora. Alice non aveva voglia di discutere, però... sì che... già che c'era, un favorino quella signora glielo avrebbe potuto fare. La guardò in faccia e, per sovrastare con la sua voce il rumore della pioggia che cadeva sulle lamiere di una tettoia, le gridò: «Scusi. Posso farle una domanda?». «Sì? Dice a me? Mi dica. Che vuole sapere?» rispose la donna alquanto spazientita per quell'interruzione del suo percorso, e con quel tempaccio! «Sa mica dove posso trovare un gioco un po' antico, forse un po' strano, molto semplice...». «Alla Rinascente» la interruppe svelta la signora, che non aveva nessuna voglia né di perdere il suo tempo con lei, né di starla ad ascoltare. «Se non lo trova a LaRinascente, vuol dire che non esiste. E che, comunque, se anche esistesse, Lei non lo vuole».
    Alice la guardò di stucco. Le balbettò un «grazie» titubante e la vide sculettare via con i suoi tacchi alti e il suo pelliccione.
    Sarebbe andata a LaRinascente, allora...
    Il centro commerciale era a due passi e accolse Alice con un effluvio di colori, di luci stratosferiche e di canti-a-tutto-volume di Natale. Il via vai, i suoni e gli sfolgorii erano angoscianti e la stordivano. Comunque, scala mobile su, scala mobile giù, e altrettanti giri in ogni piano per riuscire ad imboccare l'ingresso della scala mobile stessa, alla fine, in qualche maniera riuscì a raggiungere il reparto specifico del piano “Giocattoli”, in cui le avevano indicato per ben quattro volte che avrebbe potuto trovare quel che cercava. «Qui ci deve essere, per forza, per Dio!» pensò entrando. «Deve aver ragione senz'altro la signora impellicciata» si disse guardandosi estasiata intorno come se si trovasse nel Paese dei Balocchi! «Scusi, per favore, mi scusi». Niente, la commessa pareva intenta a svuotare uno scatolone e non la degnò nemmeno di uno sguardo. Anzi, la sua schiena sembrava dirle: «lasciami stare, lasciami stare! Perché proprio me, chiami? Ma non ce n'è un'altra libera? Non ti puoi servire da sola?».
    Alice colse la supplica e si mise a rovistare da sola tra gli scaffali. C'erano giochi di ogni forma e colore, alcuni tanto complicati da non lasciar nemmeno capire dalla figura della scatola in che cosa minimamente consistessero. Rimase lì per almeno venti minuti, intenta a cercare e ricercare, spulciare ed esplorare. Si entusiasmò, si elettrizzò, si fece prendere dalla frenesia. Poi si scoraggiò, si demoralizzò, si sgomentò e, alla fine, si abbatté sconfortata e chiese supplicante di nuovo aiuto ad un commesso incravattato che passava di lì frettoloso. «Scusa» lo braccò con un “tu” improvvisato da supplica diretta e schietta «Non riesco a trovare un gioco. Me lo potresti cercare?». « Certo, mi dica. Che gioco cerca, signora?».
    E qui Alice ripropinò la sua accurata descrizione. Siccome poi, il ragazzo pareva anche interessato, aggiunse pure qualche ulteriore spiegazione storica e di costume: «Può essere anche chiamato Mikado, o Gioco dei bastoncini, o Vecchio giunco cinese, a seconda delle tradizioni. Forse ha avuto origine in Cina, negli anni 70. Ma già nel 1500, in Francia, si faceva un gioco simile, chiamato “Jonchets”. Io, però, vorrei la versione con i bastoncini di plastica e totalmente colorati perché è parecchio più accessibile ai bambini».
    Il commesso stette ad ascoltare tutta la spiegazione senza muovere un sopracciglio e con la bocca semi aperta. Poi, però, proferì lugubre: «Mi dispiace, signora, sono proprio spiacente, ma temo che questo gioco non esista».
    «Non esista?!» gridò paonazza Alice, in preda a un'ondata fulminea di sangue-al-cervello. «Per esistere esiste, glielo dico io, perché c'ho giocato da piccina a giornate sane!» e continuava a urlare, in un raptus d'ira incontrollato, la vena del collo che le pulsava pericolosamente quasi sul punto di scoppiare. «Altro discorso è che non ce l'abbiate, voi de LaRinascente. E allora me lo dite e io me ne faccio una ragione! Ma non mi dica che non esiste perché non è proprio vero!».
    Il ragazzo rimaneva impassibile guardandola negli occhi senza proferire parola.
    ...«O no?» una nuvola di dubbio passò sul volto di Alice.
    Il commesso, immutabile, non mosse ciglio.
    «Il fatto è che io sono proprio convinta che esista, sa? Davvero! Mi pare proprio di averci giocato tanto da bambina!» gli occhi di Alice imploravano una conferma.
    «Si calmi, signora, non si alteri così» proruppe allora il giovanotto appoggiandole una mano sulla spalla. «Che esista o meno, questo gioco che lei vuole io mi sento sinceramente di sconsigliarglielo, sa? In fin dei conti sono paletti, quelli che lei cerca. E non mi dica che si tratta di un'attività educativa o interessante, giocare coi paletti! Mi sbaglio? Non soddisfa nemmeno quella che è l'esigenza vera di ogni bambino: sentirsi accettato, essere il leader della classe, ricevere le visite dei suoi amichetti perché è l'unico a possedere qualcosa di davvero esclusivo. Dico bene o ho ragione? E che dire poi del pericolo che uno stecchino finito in un posto sbagliato possa rappresentare per un fanciullo piccolo come il suo! La salute prima di tutto, signora. La salute! E, subito dopo, il diritto dell'infanzia all'evasione, all'insersione sociale, ad una vita piena, appagata, felice! O no? Signora... Come la posso chiamare?». «Alice» rispose lei «mi chiamo Alice». «Ecco, appunto, lei mi capisce, vedo, Alice. E poi lo sa che c'è?» continuò il ragazzo con fare pacato «la questione è che qui siamo a LaRinascente, e quello che ne LaRinascente non c'è, lei lo sa bene, o non esiste o, se anche esistesse, lei non lo vuole...».
    Alice rimase immobile a guardare gli occhi neri del commesso, che in quel momento la fissavano in modo ipnotico. Ascoltò il suono flemmatico di quella voce d'oltre-mondo che la accarezzava e poi si ritrovò a dire come un automa: «Forse ha ragione. È un gioco troppo stupido e troppo vecchio». Poi continuò, lo sguardo fisso su quegli occhi neri: «Non piacerebbe ai bambini di oggi, e nemmeno a Sergio, a pensarci bene». Quindi concluse senza minimamente cambiare di tono: «A scuola lo prenderebbero tutti in giro se raccontasse che questo è stato il suo regalo di Natale». «Ha mica per caso un giocattolo che si chiama come il verso di un maiale?». Dalla bocca le uscirono queste parole.

     
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