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Saggio breve. La poetica di Saba e Montale.

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    Saggio breve. La poetica di Saba e Montale.




    Obiettivi:
    individuare i concetti chiave espressi nei testi
    trovare collegamenti tra le affermazioni espresse da Saba e Montale e le loro poesie
    individuare analogie con poetiche di altri autori studiati
    Valutazione:
    individuazione dei concetti chiave p. 4
    collegamenti e riferimenti ad altri autori affini alle poetiche espresse nei testi proposti p. 3
    coerenza logica, correttezza e proprietà p. 3
    punto di vista personale sulle idee espresse da Saba e Montale p. 3
    titolo e destinatario p. 2
    Consegne:
    tempo: 4 ore
    spazio: max 6 colonne foglio protocollo diviso a metà
    titolo
    destinatario
    Traccia:


    Individua il pensiero espresso da Saba e Montale sul loro modo di fare e concepire la poesia, attuando riferimenti nell'ambito della loro produzione poetica e trovando nessi e analogie con la poetica di altri autori studiati. Esprimi inoltre il tuo punto di vista in merito alle affermazioni riportate.



    Nel 1911 Saba espose in un breve scritto - Quello che resta da fare ai poeti - le sue idee a proposito di D'Annunzio e di Manzoni. Le sue osservazioni costituiscono una sorta di dichiarazione implicita di poetica:

    C'è un contrapposto [confronto], che se può sembrare artificioso, pure rende abbastanza bene il mio pensiero. Il contrapposto è fra i due uomini nostri più compiutamente noti che meglio si prestano a dare un esempio di quello che intendo per onestà e disonestà letteraria: è fra Alessandro Manzoni e Gabriele D'Annunzio: fra gli Inni Sacri e i cori dell'Adelchi, e il secondo libro delle Laudi e la Nave [tragedia dannunziana in versi]: fra versi mediocri ed immortali e magnifici versi per la più parte caduchi. L'onestà dell'uno e la nessuna onestà dell'altro, così verso loro stessi come verso il lettore […].
    A chi sa andare ogni poco oltre la superficie dei versi, apparisce in quelli del Manzoni la costante e rara cura di non dire una parola che non corrisponda perfettamente alla sua visione: mentre vede che l'artificio del D'Annunzio non è solo formale ma anche sostanziale, egli si esagera o addirittura si finge passioni ed ammirazioni che non sono mai state nel suo temperamento: e questo imperdonabile peccato contro lo spirito egli lo commette al solo e ben meschino scopo di ottenere una strofa più appariscente, un verso più clamoroso. Egli si ubriaca per aumentarsi, l'altro è il più astemio e il più sobrio dei poeti italiani: per non travisare il proprio io e non ingannare con false apparenze quello del lettore, resta se mai al di qua dell'ispirazione.
    […] quello che ò chiamato onestà letteraria […] è prima un non sforzare mai l'ispirazione, poi non tentare, per meschini motivi di ambizione o di successo, di farla parere più vasta e trascendente di quanto per avventura essa sia: è reazione, durante il lavoro, alla pigrizia intellettuale che impedisce allo scandaglio di toccare il fondo; reazione alla dolcezza di lasciarsi prendere la mano dal ritmo, dalla rima, da quella che volgarmente si chiama la vena.
    […] solo quando i poeti, o meglio il maggior poeta di una generazione, avrà rinunciato alla degradante ambizione propria - purtroppo! - ai temperamenti lirici, e lavorerà con la scrupolosa onestà dei ricercatori del vero, si vedrà quello che non per forza d'inerzia, ma per necessità deve ancora essere significato in versi.

    Nel 1946 Montale, rispondendo a un'intervista immaginaria, mette in risalto le qualità formali dello sperimentalismo degli Ossi di seppia:

    Scrivendo il mio primo libro [Ossi di seppia, 1925] ubbidii a un bisogno di espressione musicale. Volevo che la mia parola fosse più aderente di quella degli altri poeti che avevo conosciuto. Più aderente a che? Mi pareva di vivere sotto una campana di vetro, eppure sentivo di essere vicino a qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un filo appena mi separava dal quid definitivo. L'espressione assoluta sarebbe stata la rottura di quel velo, di quel filo: una esplosione, la fine dell'inganno del mondo come rappresentazione. Ma questo era un limite irraggiungibile. E la mia volontà di aderenza restava musicale, istintiva, non programmatica. All'eloquenza della nostra vecchia lingua aulica volevo torcere il collo, magari a rischio di una controeloquenza.

    In una dichiarazione di poetica del 1951 Montale chiarisce il motivo esistenziale da cui nasce la sua poesia:

    L'argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione umana in sé considerata; non questo o quello avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l'essenziale col transitorio. Non sono stato indifferente a quanto è accaduto negli ultimi trent'anni; ma non posso dire che se i fatti fossero stati diversi anche la mia poesia avrebbe avuto un volto totalmente diverso. […]
    Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia. Non nego che il fascismo dapprima, la guerra più tardi, e la guerra civile più tardi ancora mi abbiano reso infelice; tuttavia esistevano in me ragioni di infelicità che andavano molto al di là e al di fuori di questi fenomeni. Ritengo si tratti di un in adattamento … psicologico e morale che è proprio a tutte le nature a sfondo introspettivo, cioè a tutte le nature poetiche.
     
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