Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

sulle ali della fantasia...un mondo fantastico

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    La nascita degli elfi- Fiaba Islandese

    casaelfi

    Un giorno il buon Dio, travestito da viandante, bussò alla porta di una piccola casa e chiese ospitalità. Venne accolto da una famiglia numerosa ma così povera da non avere di che vestire i figli. Padre e madre si vergognavano di ciò e presentarono allo straniero solo la metà dei loro bambini. Dio li trovò amabili e chiese alla madre se ne avesse altri oltre a quelli. La donna rispose di no.
    Naturalmente il buon Dio sapeva benissimo che aveva altri figli e domandò ancora: "Mia buona donna, mi hai davvero presentato tutti i tuoi figli?"
    "Certamente - mentì la donna sorridendo - Non sono forse abbastanza?".
    Dio si accontentò di questa risposta e si sedette a tavola per la cena. Notò che quella famiglia era molto pia: ringraziava il Signore per il cibo e, nonostante fosse appena sufficiente per loro, lo condivisero con lo straniero. Dio notò anche che tutti i bambini si misero in tasca un po' di pane secco da portare ai loro fratelli e sorelle nascosti. Il giorno seguente, prima di andarsene, Dio disse alla famiglia tanto ospitale: "Ciò che è stato nascosto a me verrà nascosto anche agli occhi degli estranei". Da quel momento, i bambini nudi diventarono invisibili; i genitori li percepivano e gli altri uomini potevano vederli soltanto quando lo desideravano i bimbi stessi. Dio diede ai bambini dei fiori, con i quali poterono vestirsi, e da allora non patirono più il freddo. Essendo invisibili, dovevano fare attenzione a non essere calpestati, e, per questo, Dio diede loro le ali, affinché potessero spiccare il volo in fretta al minimo pericolo. Quei bambini gli erano molto affezionati e Dio fece loro molti altri doni, che gli uomini comuni non possedevano. Potevano parlare con i fiori e gli animali, e trovavano sempre cibo per saziarsi e vivere in buona salute. I bambini invisibili crebbero ed ebbero dei figli, che a loro volta ebbero altri figli. Facevano del bene agli uomini senza farsi vedere, anche se talvolta si divertivano a far loro qualche scherzo. Vivevano nelle grotte, negli alberi, in riva ai fiumi; i più piccoli riuscivano persino ad abitare sulle corolle dei fiori. Gli uomini li battezzarono Elfi. Mentre gli uomini sfruttavano la terra, gli Elfi diventarono gli spiriti della natura e talvolta intervenivano per contrastare le azioni degli uomini irrispettosi dell'ambiente. Gli Elfi si manifestano di rado: non hanno molto spazio sulla terra per eseguire le loro danze e per celebrare i loro riti. Sono sempre in grado di vedere gli uomini; per contro, noi possiamo vedere gli Elfi soltanto quando loro lo desiderano...


    Gli gnomi (dei fratelli Grimm)

    folletto

    A una madre gli gnomi avevano tolto il bambino in culla e ci avevano messo un mostriciattolo con un testone e due grossi occhi che non faceva che mangiare e bere. Disperata, la madre andò dalla vicina a chiedere consiglio. Questa le disse di portare il mostro in cucina, di metterlo sul focolare, accendere il fuoco e far bollire l'acqua in due gusci d'uovo: così l'avrebbe fatto ridere, e se rideva era tutto finito. La donna fece tutto quello che le aveva detto la vicina e, quando mise sul fuoco i gusci d'uovo pieni d'acqua, quello zuccone disse:-Nei gusci cucinare non ho mai visto alcuno, e sì che vecchio quanto me non c'è nessuno!-E si mise a ridere. Mentre rideva, sopraggiunse una folla di gnomi; portavano il bambino vero, lo misero sul focolare e si ripresero il mostro.

    Gli gnomi (dei fratelli Grimm)

    elves+and+the+shoemaker

    Un calzolaio, senza sua colpa, era diventato così povero che non gli restava altro se non un pezzo di cuoio per fabbricare un paio di scarpe. Le tagliò di sera per farle il giorno dopo; e siccome aveva la coscienza pulita, andò tranquillamente a letto, si raccomandò a Dio e si addormentò. Al mattino, dopo aver detto le sue preghiere, volle mettersi al lavoro; ed ecco che le scarpe erano sulla tavola belle e pronte. Egli non seppe che dire dalla meraviglia e, quando si avvicinò per osservarle, vide che erano fatte magistralmente: non c'era un punto sbagliato; un vero capolavoro. E quello stesso giorno venne pure un compratore, al quale le scarpe piacquero tanto che le pagò più del dovuto; così con quella somma il calzolaio poté‚ acquistare cuoio per due paia di scarpe. Le tagliò la sera per mettersi al lavoro di buon mattino, ma non ne ebbe bisogno poiché, quando si alzò, erano già pronte e non mancarono neanche i clienti che gli diedero denaro a sufficienza per comprare cuoio per quattro paia di scarpe. Egli le tagliò di nuovo alla sera e le trovò pronte al mattino; e si andò avanti così: quello che egli preparava la sera, al mattino era fatto, sicché‚ ben presto egli divenne un uomo benestante con tutto il necessario per vivere. Ora accadde che una sera, verso Natale, l'uomo aveva appena finito di tagliare il cuoio e, prima di andare a letto, disse a sua moglie: -Che ne diresti se stanotte stessimo alzati, per vedere chi ci aiuta così generosamente?- La donna acconsentì e accese una candela; poi si nascosero dietro gli abiti appesi negli angoli della stanza e stettero attenti. A mezzanotte arrivarono due graziosi omini nudi; si sedettero al tavolo del calzolaio; presero tutto il cuoio preparato e con le loro piccole dita incominciarono a forare, cucire, battere con tanta rapidità, che il calzolaio non poteva distogliere lo sguardo, tutto meravigliato. Non smisero finché‚ non ebbero finito e le scarpe non furono belle e pronte sul tavolo; poi, prima che spuntasse il giorno, se ne andarono via saltellando. Il mattino dopo la donna disse: -Gli omini ci hanno fatti ricchi, dovremmo mostrarci riconoscenti. Mi rincresce che se ne vadano in giro senza niente da mettersi addosso e che debbano gelare. Sai cosa farò? Cucirò loro un camicino, una giubba, un farsetto e un paio di calzoncini, e farò un paio di calze per ciascuno; tu aggiungici un paio di scarpette-. L'uomo fu ben contento e la sera, quando ebbero terminato tutto, misero sul tavolo i regali al posto del cuoio; poi si nascosero per vedere che faccia avrebbero fatto gli omini. A mezzanotte giunsero di corsa tutti e due e volevano mettersi subito a lavorare, ma quando videro i vestiti mostrarono una gran gioia. Li indossarono in fretta e furia, poi fecero capriole, ballarono e saltarono fino a quando uscirono dalla porta. Da allora non tornarono più, ma il calzolaio se la passò bene tutta la vita.

    Gli gnomi (dei fratelli Grimm)


    OrtizElves

    Una povera fantesca, linda e laboriosa, spazzava ogni giorno e versava l'immondizia su di un grosso mucchio davanti alla porta di casa. Una mattina vi trovò sopra una lettera e, siccome non sapeva leggere, la portò alla sua padrona: era un invito da parte degli gnomi che la pregavano di tenere a battesimo un bambino. La fanciulla era titubante, ma alla fine si persuase poiché‚ le dissero che una cosa simile non si poteva rifiutare. Allora vennero tre gnomi e la condussero nella caverna di un monte. Là tutto era piccolo, ma leggiadro e sfarzoso da non dirsi. La puerpera giaceva in un letto d'ebano con i pomi di perle, le coperte erano tutte d'oro, la culla d'avorio e d'oro la tinozza. La fanciulla fece da madrina e volle poi ritornare a casa, ma gli gnomi la pregarono di restare ancora tre giorni da loro. Ella trascorse questo tempo divertendosi lietamente, e i nani la colmarono di gentilezze. Quando dovette ritornare le colmarono le tasche d'oro e la ricondussero fuori dal monte. Ma una volta a casa si accorse di essere stata assente non tre giorni, bensì un intero anno!

     
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    La fata Gusmara

    fairy


    — La fata Gusmara è la fata più potente della terra. Le fu concessa questa potenza non solo per la sua bellezza, che sorpassa ed eclissa tutte le bellezze dell'universo, ma per il suo cuore, il suo spirito, le sue virtù, il modo con cui sa amministrare la giustizia, la carità, la sapienza.

    La fata Gusmara vive sopra un'altissima montagna di marmo bianco, in un palazzo di cristallo, che domina tutto il mondo: di là essa vede tutto, sa tutto. Cento altre fate formano la sua Corte, mille geni la servono e l'obbediscono. La fata Gusmara siede sopra un trono di diamanti, da cui impartisce i suoi ordini, che vengono immediatamente eseguiti.

    La fata Gusmara non respinge mai le preghiere di coloro che implorano il suo aiuto; ma per giungere a lei, per ottenere sette capelli della sua chioma d'oro che aprono, al fortunato mortale che li possegga, le porte della ricchezza, della potenza, della felicità, fa duopo attraversare quattro regni suoi nemici, che giurarono una guerra spietata a coloro che aspirano alla conquista del tesoro della Fata e tentano ogni mezzo per attraversare loro la via, per farli soccombere, prima che giungano alla meta. Infatti, pochi o punti vi pervengono.

    — Quali sono questi regni? — interruppe Falco.

    Nella sua domanda, nell'espressione del suo volto, divampava un ardore così appassionato, che colpì il vecchio, e fece impallidire la povera Topolina.

    — Vorresti tu forse tentare l'audace e pericolosa impresa? — chiese il taglialegna.
    — Perché no?
    — Tu non hai né il carattere né l'energia per riuscirvi.
    — T'inganni, babbo: io so volere; e quando ho deciso qualche cosa, nessun ostacolo può trattenermi; come non temo qualsiasi pericolo. —

    Il vecchio scosse melanconicamente il capo.

    — Tu non fai che crearti delle illusioni, figliuol mio. Per intraprendere un tale viaggio, non basta soltanto volere. Quanti altri parlarono come te e furono perduti, travolti, uccisi, prima che la loro volontà fosse compiuta! Dai retta a me, Falco: tu hai qui, senza muoverti, tutti i doni che può compartire la Fata: la potenza, perché sei re nella capanna che ti appartiene, né troveresti altrove sudditi più fedeli degli animali della foresta, che ti amano e ti temono; la ricchezza, perché sono tuoi tutti i tesori che la foresta racchiude: le frutta saporite, il miele squisito, gli alberi, da cui puoi ritrarre tante cose utili, mentre ti danno la legna per riscaldarti nell'inverno e per cuocere le pietanze; la felicità, perché hai una sorellina che ti amerà, come non ti ama mai altra donna sulla terra...

    — Non mi basta, non mi basta, — gridò il fanciullo ostinato — io voglio assai più... Voglio regnare in un palazzo d'oro, di pietre preziose, avere al mio comando eserciti interi, far tremare l'umanità con un gesto, accumulare tesori sopra tesori, e soprattutto vedermi ai piedi una fanciulla bella e superba, che oggi disprezza i miei abiti, ha in orrore la mia povertà... e che domani tratterò come una serva vile. —

    Falco aveva incrociato con fiero atto le braccia, teneva sollevata la testa, mentre Topolina nascondeva il suo pallido viso fra le ginocchia.

    — Ed è per ottenere tutto questo che vorresti conquistare i sette capelli d'oro della fata Gusmara? — chiese il vecchio con un sarcastico sorriso.
    — Sì. —

    Il taglialegna scosse di nuovo il capo.

    — Povero sciocco, non ci riuscirai! —

    Gli occhi del fanciullo lampeggiarono di collera.

    — Perché?
    — L'imparerai dalla storia che sto per raccontarti, la quale ti farà meglio conoscere la Fata. Ascolta.

    «Nel paese di Chincao regnavano i sovrani più malvagi e crudeli che potessero esistere sotto la cappa del cielo. Il loro regno era il regno del terrore; essi opprimevano e travagliavano il popolo, si compiacevano di crudeltà inaudite. Il re Trou e la regina Siu, che così si chiamavano, avevano fatto fabbricare un padiglione tutto di rame e quando l'inaugurarono, diedero una gran festa, alla quale avevano invitato tutte le più nobili famiglie del regno, i più bei giovani, le più belle fanciulle. A mezzanotte, quando la festa era al colmo, i sovrani si ritirarono, facendo chiudere tutte le porte mentre fuori del padiglione furono accesi dei grandi fuochi, finché le pareti non si trovarono arroventate. Gli invitati, che dapprima non si erano accorti di nulla, quando incominciarono a sentire scottare le lastre che avevano sotto i piedi e le pareti della sala, tentarono di fuggire ma inutilmente, perché ogni via di scampo era preclusa. Potete immaginarvi le scene dolorose che ne seguirono, finché la carne di tutti quei corpi non fu combusta!
    Nerone non avrebbe sognato un supplizio più terribile. Il Re e la Regina, che avrebbero dovuto essere il padre e la madre del popolo di Chincao, ne furono invece i carnefici. Nessuno sfuggiva alla loro crudeltà: i fanciulli venivano infilzati in spiedi ed arrostiti; le donne squartate; gli uomini impalati.
    Ciò non poteva durare: il popolo tenne dei conciliaboli segreti, e fu deciso di chiedere l'appoggio, la protezione della fata Gusmara, per ottenere il potere di distruggere i due tiranni. Ma per giungere alla Fata, bisognava attraversare i regni nemici: per questo, venne tirato a sorte fra i giovani più arditi, temerari, ambiziosi, ed uscì appunto il nome di uno dei più stimati per il coraggio e la forza di volontà. Ma ahimè! Non aveva ancora percorso i due primi regni, che già soggiaceva alle lusinghe, alle seduzioni, ai tranelli tesigli dai nemici della Fata e ponendosi contro lei, segnò la propria rovina. Così altri accintisi all'impresa, non giunsero ad oltrepassare la metà dei regni, che già erano caduti vinti.
    Il popolo si disperava per tanta debolezza nei suoi eroi, ed i feroci sovrani continuavano nella lor via di orge e di sangue. Ma una mattina si presentò al capo popolo un povero fanciullo di nome Iang, dall'aspetto umile, dimesso, vestito di miseri panni, che si offrì di andare dalla Fata.
    Il capo lo guardò con disprezzo e sorrise.
    — Come vuoi tu, piccolo verme della terra, — gli disse — riuscire in un'impresa, dove caddero i più forti e valorosi dei nostri giovani? Come potrai evitare tu, che mai nulla godesti nella vita, nulla affrontasti, i pericoli, le seduzioni che s'incontrano nei regni nemici della Fata?
    — Quali sono questi regni? — chiese Iang.
    — Quello del Capriccio, della Baldoria, della Ricchezza e della Vanità.
    — Oh, non mi sarà difficile resistere! — rispose con dolcezza e semplicità il povero fanciullo — perché io non mi reco dalla Fata animato dall'ambizione, dal desiderio di ricchezze e poteri, ma col solo intento di liberare i miei poveri fratelli che soffrono sotto il giogo dei tiranni che li opprimono. Perciò, nessuna tentazione potrà fermarmi nel mio cammino, nessuna offerta mi arresterà, nessun pericolo potrà farmi timore. E quando avrò compiuta l'opera mia, tornerò nella mia povera capanna a me più cara e preziosa di una reggia, ringraziando il Cielo di avermi scelto a strumento di sua giustizia e la buona Fata di aver ascoltato le mie preghiere. —

    Il capo popolo fu commosso, e baciando il fanciullo:
    — Ebbene va', — gli disse — ed i nostri voti ti accompagnino fino al trono della Fata. Sì, ciò che forse non è riuscito a spiriti audaci, ambiziosi, riuscirà ad un povero fanciullo, per la sua virtù e la sua innocenza. —

    Topolina guardò con occhi scintillanti il taglialegna.

    — Ed è riuscito? — esclamò.
    — Sì, — rispose il vecchio — la sua modestia, la sua semplicità, l'impero su se stesso, lo salvarono da tutti gli agguati, lo resero prediletto ai buoni geni, che lo scortarono invisibili fino al trono della Fata la quale fu così commossa dalla tenacità e dalla perseveranza del bravo fanciullo, dal suo desiderio di sacrificarsi per gli altri, che l'accolse come un figlio, gli diè con le sue mani i sette capelli d'oro della sua chioma, gli conferì il potere di restaurare il regno di Chincao, di liberarlo dai tiranni, di farlo ricco e felice. Così la vittoria di Iang non fu tanto il frutto del suo ardire, della sua ambizione, quanto quello della sua bontà e virtù. Egli nulla chiese, nulla volle per sé.

    — Iang fu uno sciocco, — interruppe con violenza Falco. — Scommetto che la sua nobile azione non fu valutata come meritava, perché il popolo è sovente ingrato verso i suoi benefattori. Io intraprenderò quel viaggio con ben altro scopo, né la Fata potrà negarmi il suo favore, quando giungerò al suo trono, come un conquistatore. Saprò combattere e vincere i suoi nemici, anche non avendo a mia difesa la dolcezza, l'umiltà; e una volta che abbia conseguito la meta e sia ritornato vincitore, saprò conservare per me i doni ottenuti con tanta fatica.

    — Tu hai molta presunzione, figliuol mio, — osservò il taglialegna. — Mi sembra già di vederti correre incontro alla rovina.
    — Il Cielo disperda il tuo augurio; ma se anche fosse, non cederò senza lotta; e ti assicuro che preferisco cento volte la morte, alla vita inerte che qui conduco.
    — Tu parli da insensato, e non ho più nulla da risponderti: parti, va' dove credi: io e Topolina resteremo a pregare per te. —

    Falco senza più rispondere, era entrato nella capanna, e Topolina si arrampicò sulle ginocchia del vecchio, gli cinse il collo coi suoi esili braccìni, e le sue labbra premettero la faccia rugosa di lui.

    — Babbo, non posso lasciarlo partire solo, — sussurrò. — Appunto perché è un insensato, ha bisogno di aver vicino a sé chi lo sorvegli, gli impedisca di commettere delle follie. Babbo, permetti che vada con lui, e ti assicuro che presto ritornerà sano e salvo fra le tue braccia. —

    Il taglialegna aveva le lacrime agli occhi e ricambiava i baci della bimba.

    — Povera Topolina, non pensi ai pericoli ai quali tu stessa stai per esporti? Quello stolto non merita il tuo sacrificio.
    — Non è un sacrificio, perché gli voglio bene, né potrei vivere senza di lui. Babbo, perdonami se ti lascio per seguirlo; ma Falco ha più bisogno di te del mio aiuto, del mio consiglio.
    — Forse hai ragione, Topolina mia; e dal momento che Falco ha deciso di partire, io non lo tratterrò, e tu l'accompagnerai. Forse sarai messa a dure prove; ma come il povero Iang, la tua coscienza pura e la tua devozione, troveranno grazia presso ai buoni geni che ti proteggeranno. Sii saggia per il fratello tuo; adopera la tua esperienza per ricondurlo a me guarito, ed avrai un giorno il premio che meriti.
    — Oh, il premio cui aspiro è quello di ritornare con Falco, presso te, per non separarci mai più! —

    Il vecchio e la bimba mescolarono insieme lacrime, baci e carezze, mentre Falco sedeva pensoso nell'interno della capanna, nascondendosi il volto fra le ginocchia.

    — Falco! — chiamò sommessamente Topolina.

    Il fanciullo trasalì, alzò il capo, guardandola corrucciato.

    — Che vuoi?
    — Il babbo mi permette di partire con te. —

    Gli occhi del fanciullo scintillarono per la gioia improvvisa.

    — Dici il vero? Ci lascerà partire?
    — Sì, ho già tutto combinato ed io non ti darò noia, vedrai: ne parleremo domani: ora è tempo di riposare.

    Ma Topolina lasciò che Falco ed il vecchio si ritirassero nel loro angolo, poi uscì sola sola dalla capanna. Era triste, la povera bimba, pensando al grave compito che si era assunta e si chiedeva come avrebbe potuto mantenerlo.

    — Sono molto temeraria, — diceva a se stessa — pensando di potere da sola venire in aiuto a Falco, che non mi ascolta, non mi cura, non sogna che quella cattiva fanciulla, per cui si espone ad ogni sorta di pericoli. Come potrò io evitargli tutti gli agguati, che troverà nei regni che dobbiamo attraversare insieme? Scamperò forse nemmeno io? Oh! buona fata Gusmara, datemi voi un consiglio, venite in mio aiuto. —

    Topolina si era inginocchiata sull'erba, aveva giunte le mani e teneva gli occhi rivolti al cielo. Allora vide un merlo bianco, che sempre la seguiva nella foresta, scendere verso lei.

    — Topolina, — le disse — la fata Gusmara ti consiglia di strappare una penna della mia ala e portarla con te: quando ti troverai in pericolo, non avrai che da agitarla ed io verrò in tuo aiuto. —

    Topolina sorrideva con le lacrime agli occhi.

    — Oh, mio caro merlo bianco, ringrazia per me la buona Fata; dille che seguirò il suo consiglio! Però non vorrei farti del male.
    — Soffrirò volentieri per te, Topolina: prendi prendi. — Nello svellere la penna, una goccia di sangue cadde e si cambiò in un grosso rubino.
    — Raccoglilo, — disse il merlo — perché potrà servirti. Ma ciò che ti raccomando, è che Falco nulla sappia del mio dono: guai se non mi obbedisci!
    — Sta' pur certo, buon merlo bianco, che ti obbedirò. —

    Il merlo spiccò il volo in alto e da un cespuglio uscì una piccola marmotta bianca, così piccola, che entrava in un pugno della mano di Topolina.

    — La fata Gusmara ti consiglia di portarmi con te, — disse. — Nascondimi in seno, non ti darò noia, né potrò dar sospetto a Falco, se mi vede. Procura di non smarrirmi.
    — Cara, cara marmottina bella, ringrazia la benefica Fata: seguirò il suo consiglio, né alcuno ti sottrarrà a me.

    Topolina si era alzata, quando si vide dinanzi un grosso cinghiale, il più grosso ed irsuto della foresta. La testa era di colore misto di grigio, di rosso, di nero; il corpo fulvo con macchie nerastre; la coda pendente, distesa, bionda, eccettuato l'estremità che era nera, il collo coperto di grosse setole.

    — Topolina, cara Topolina, voglio venirti anch'io in aiuto, — disse. — Non dimentico la cura che avesti di me, quando venni ferito al piede e voglio dimostrarti che non sono un ingrato. Stacca una delle setole dal mio collo, ed allacciala con un cordoncino al tuo, e se ti avvenisse di correre qualche pericolo di morte, bruciane un pezzetto e sarai salva. Però, che Falco ignori questo talismano che porti con te.

    — Falco l'ignorerà ed io ti ringrazio, mio buon cinghiale.
    — Credi tu, Topolina che io voglia dimenticarti? — esclamò una leggiadra gazza, che appollaiata sopra un grosso ramo aveva assistito in silenzio a tutte quelle offerte. — Ho ascoltato la tua preghiera alla Fata e ne fui commossa. Credevo le chiedessi di trasformare i tuoi cenci in porpora, di farti ricca e felice: invece non pensavi che a mantenere la promessa fatta ad un povero vecchio di venire in aiuto ad un compagno, che non ti merita, non chiedendo nulla per te, col cuore pieno di fede, di speranza e di amore. Ebbene tu hai diritto alla mia stima, alla mia assistenza. Raccogli la ghianda che io feci cadere dall'albero a' tuoi piedi e nascondila gelosamente: essa ti servirà se ti troverai priva di nutrimento, smarrita in qualche luogo, e se un pericolo imminente ti sovrastasse.

    — Grazie grazie, buona gazza; grazie, — disse Topolina raccogliendo la ghianda, nascondendola gelosamente — Ah, come vorrei ricompensarvi tutti del bene che mi fate e quanto mi rincresce lasciarvi. Ma tornerò!
    — Sì, ritornerai, ritornerai, — ripeterono diverse voci, non mai prima udite.

    Come risplendeva il volto di Topolina quando rientrò nella capanna! Con quali sguardi teneri avvolse il vecchio ed il fanciullo, che dormivano ignari di quella misteriosa protezione che vegliava su di loro per opera della piccola derelitta da essi raccolta!

    La luna splendeva chiara nell'azzurro del cielo e pioveva i suoi raggi sulla povera capanna del taglialegna, ove Topolina si coricava sorridendo felice!

    Da "I sette capelli della fata Gusmara" di Carolina Invernizio
    tratto da: intratext.com

     
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    LE FATE DELL'ARIA

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    La settimana di un piccolo elfo

    sonno

    Nessuno al mondo sa raccontare tante storie come Serralocchi. E come le racconta bene!. Verso sera, quando i bambini sono seduti tranquillamente a tavola o sulla loro seggiolina, Serralocchi arriva. Non lo si ode salire la scala, perché ha le pantofole di velluto; apre adagio, adagio la porta e, appena entrato, butta del latte negli occhi dei bambini con molta delicatezza e nello stesso tempo in tale quantità ch'essi non possano vederlo. Scivola dietro a loro, soffia loro nel collo, cosa che rende la testa pesante,si, ma questo non fa male.
    Il piccolo Serralocchi non ha cattive intenzioni, vuole soltanto che i bambini siano buoni, e i bambini lo sono soltanto quando dormono.
    Vuole che siano buoni e tranquilli per poter raccontare le sue storie che sono sempre molto belle e divertenti. Quante ne conosce!. Appena i bambini sono addormentati, Serralocchi siede sul loro lettino.
    E' molto ben vestito: indossa un abitino di seta di un colore indefinibile, a riflessi verdi, rossi, blu, secondo da che lato lo si guarda. Sotto ogni braccio ha un parapioggia:uno ornato di belle figure, lo apre sulla testa dei bambini buoni, e allora essi sognano tutta la notte bellissime storie; l'altro, lo apre sulla testa dei bambini cattivi, e così essi non sognano nulla.
    Serralocchi, per una settimana, andò tutte le sere a trovare un bambino che si chiamava Ialmar; ed ecco le storie che gli raccontò: sette come i giorni della settimana. Se volete potete ascoltarle anche voi e...buon divertimento.

    Lunedì.

    l Ascolta, - disse Serralocchi la sera, dopo che Ialmar fu coricato - incomincia il mio compito.
    In quel momento i fiori nei vasi divennero alberi e distesero i loro rami fin sul tappeto e sulle pareti, in modo che la camera sembrò un boschetto. Tutti i rami erano coperti di fiori, e ogni fiore era più bello di una rosa ed esalava un profumo squisito. Vi erano anche frutti che brillavano come l'oro, e dolci ripieni d'uva. Tutto era meraviglioso, di una bellezza incomparabile. Ma improvvisamente, dal cassetto dove Ialmar teneva i suoi libri, uscirono grandi lamenti.
    - Che cosa succede?- domandò Serralocchi.
    Corse al tavolo e aprì il cassetto: qualche cosa si moveva disperatamente sull' ardesia di una lavagnetta: era un numero sbagliato nell'operazione. Il gessetto si staccò dallo spago che lo teneva legato come un cagnolino, e cercò di correggere l'operazione, ma non vi riuscì.
    Nello stesso tempo, anche dai quaderni di Ialmar si levarono dei lamenti. Era terribile! Dall'alto in basso, su ogni pagina, vi erano grandi lettere che erano servite da modello; vicino ad esse le lettere scritte da Ialmar erano coricate, come se le avessero fatte cadere dalla riga su cui dovevano star ritte.
    - Su, - dicevano le lettere modello - state diritte, un po' di dignità!
    - Lo vorremmo ben volentieri, - rispondevano le lettere di Ialmar - ma non possiamo, siamo ammalate.
    - In questo caso vi daremo una medicina.
    - Oh, no! - gridarono le lettere rialzandosi così vivacemente che erano deliziose a vedersi.
    - Ora non ho tempo di raccontare storie - disse Serralocchi. - Devo fare gli esercizi di ginnastica a queste poverette. Uno, due! Uno, due!
    E fece fare tanta ginnastica alle lettere ch'esse finirono con il prendere una posizione eretta e graziosa come quella delle lettere modello.
    - Finalmente! - gridò Ialmar felice.
    Allora Serralocchi se ne andò; quando all'indomani Ialmar si svegliò, andò subito a guardarle, ma con grande disappunto le trovò ammalate come prima.

    Martedì.


    Appena Ialmar fu a letto, Serralocchi toccò con la sua bacchetta incantata i mobili della camera, che incominciarono subito a chiacchierare. Sopra il cassettone era appeso un grande quadro in cornice dorata, che rappresentava un uccelli09paesaggio. Vi si vedevano vecchi alberi enormi, fiori tra l'erba e un largo fiume che, girando intorno alla foresta, passava davanti a diversi castelli e andava poi a sfociare nel mare agitato.
    Serralocchi toccò il quadro con la sua bacchetta magica, e improvvisamente gli uccelli presero a cantare, i rami si mossero e le nuvole si misero a correre.
    Allora Serralocchi alzò il piccolo Ialmar fino al quadro e lo posò in mezzo all'erba alta.
    Egli corse verso l'acqua e sedette su una barchetta dipinta di rosso e di bianco. Le vele brillavano come l'argento, e una mezza dozzina di cigni, con collane d'oro intorno al collo e una stella azzurra sulla testa, trascinarono la barca davanti alla verde foresta, dove gli alberi raccontavano storie di briganti e i fiori ripetevano le avventure degli elfi e le belle parole che avevano udite dalle farfalle. Bellissimi pesci coperti di scaglie d'oro e d'argento seguivano la barca: di quando in quando facevano rapidi guizzi e l'acqua cantava intorno a loro. Le zanzare danzavano, i maggiolini ronzavano, tutti volevano accompagnare Ialmar e tutti avevamo delle favole da raccontagli.
    Era proprio una bella gita! Qua e là si vedevano castelli di vetro e di marmo, le principesse si curvavano ai balconi: erano tutte ragazzine che Ialmar conosceva e con le quali aveva spesso giocato.
    Ognuna porgeva al viaggiatore un biscotto a forma di cuore. Ialmar afferrò l'angolo di un cuore, ma la principessa lo teneva così stretto che il biscotto si spezzò, e ne ebbero ognuno un pezzetto, la principessa il più piccolo, Ialmar il più grosso.
    A un tratto il bambino passò dalla città in cui abitava la balia che lo aveva tanto amato; ella lo riconobbe, e gli cantò dei versi composti da lei stessa. Ascoltandola, i fiori si dondolavano sul loro esile stelo, i vecchi alberi chinavano la testa, proprio come se il piccolo elfo Serralocchi raccontasse le sue belle storie.

    Mercoledì.


    cicognaCome pioveva! Ialmar udiva la pioggia cadere mentre dormiva. Serralocchi aprì la finestra: fuori tutto era diventato un grande lago, e vicino alla casa era ancorato un bastimento.
    - Vuoi venire con me, piccolo Ialmar? - disse Serralocchi. - Potrai arrivare questa notte stessa in paesi stranieri!
    A un tratto Ialmar, con il suo vestito della domenica, si trovò sul bastimento; il tempo si rimise al bello, ed essi attraversarono il grande lago. Navigarono a lungo, finché ebbero perso di vista la terra. Improvvisamente scorsero uno stormo di cicogne che lasciavano anch'esse le loro case per andare nei paesi caldi.
    Ve n'era una così stanca che le ali non la reggevano più, era l'ultima della fila. Improvvisamente si abbassò con le ali aperte, sfiorò i cordami del bastimento, scivolò lungo le vele e cadde sul ponte. Un mozzo la prese e la mise nel pollaio. La povera cicogna era molto imbarazzata fra quegli animali.
    - Com'è grossa! - esclamarono le galline.
    Il gallo si gonfiò più che poté e le chiese chi fosse. Le anatre indietreggiarono di qualche passo dicendo con superbia:
    - Che roba è questa?
    Allora la cicogna disse chi era e parlò dei suoi lunghi viaggi: raccontò dell'Africa ardente, delle piramidi, dello struzzo che, simile a un cavallo selvaggio, corre nel deserto infuocato. Ma le anatre non capirono e si fecero ancora più altezzose.
    - Siamo tutti d'accordo nel pensare che è stupida - sentenziarono.
    Allora la cicogna tacque e pensò solo alla sua Africa.
    - Che zampe! - osservò un tacchino. - Quando le hai pagate al metro?
    - Kuan, kuan, kra, kra- fecero le anatre minacciose, ma la cicogna sembrava non accorgersene.
    - Perché non ridi con noi?- continuò il tacchino. - La mia domanda non ti sembra spiritosa? Forse è troppo intelligente per te. Come sei ottusa!
    Detto questo fece glu, glu, glu, e le anitre fecero kuan, kuan. Come si divertivano! Ma Ialmar andò verso il pollaio, aprì la porta e chiamò la cicogna, che saltò verso di lui per ringraziarlo. Poi aprì le ali e volò verso i paesi caldi. Le galline starnazzarono, e la cresta del gallo si fece rossa come il fuoco.
    - Domani faremo un buon pasto, con voi! - disse allora Ialmar, e si svegliò.
    Che strano viaggio gli aveva fatto fare quella notte il piccolo elfo Serralocchi!.

    Giovedì.


    Ascolta - disse Serralocchi - e non aver paura: ti voglio mostrare un sorcetto.
    E gli mostrò una graziosa bestiola che aveva in mano.
    gif+animate+riccio+(16)- E' venuto per invitarti a un matrimonio: stanotte si sposano due sorcetti: essi abitano sotto la finestra della sala da pranzo e hanno una bellissima casa. Credo che rimarrebbero molto male se tu non accettassi il loro invito.
    - Ma come potrò entrare attraverso un buco tanto piccolo?
    - Lascia fare a me, ti renderò così sottile che ci passerai - rispose Serralocchi che sapeva il fatto suo.
    Toccò Ialmar con una bacchetta incantata, e il bambino incominciò a rimpicciolire, finché fu ridotto alle dimensioni di un dito.
    - Prendi ora i vestiti di uno dei tuoi soldatini di piombo: ne troverai certamente uno alto come te. E' bello indossare l'uniforme quando si va a una festa importante.
    - E' vero - disse Ialmar; e presto fu vestito come il bel soldatino di piombo.
    - E adesso entra nel ditale di tua mamma - intervenne il sorcetto - e io ti trascinerò.
    Così, dopo aver attraversato un grande viale illuminato a giorno, arrivarono alla festa di nozze dei sorcetti.
    - Non senti che buon odore? - chiese il sorcetto che lo trascinava. - tutto il viale è stato unto di lardo.
    Quindi entrarono nella sala. A destra erano raggruppate tutte le signore sorcette, e chiacchieravano tra di loro, come se ognuna si divertisse a prendere in giro la vicina; a sinistra erano riuniti i sorcetti, i quali si accarezzavano i baffi con le zampine. In mezzo alla sala c'erano gli sposi: stavano in piedi su una fetta di formaggio e si guardavano felici.
    La sala, come il viale, era stata unta di lardo e l'odore saziava i presenti come un pranzo. La frutta consisteva in un grosso pisello verde su cui un sorcetto aveva inciso coi denti le iniziali degli sposi. La conversazione era varia e divertente. Tutti i sorci dichiararono che non si era mai vista festa di nozze più bella.
    Ialmar tornò a casa nel ditale. Era felice d'essere stato invitato da persone tanto distinte, anche se era stato costretto a diventare piccolo, piccolo e a rivestire la divisa di uno dei suoi soldatini di piombo.

    Venerdì.


    E' incredibile - disse Serralocchi - quanta gente anziana desideri vedermi! Sono soprattutto le persone cattive. " Carissimo," mi dicono quando non possono dormire " non possiamo chiudere occhio: tutta la notte sfilano davanti a noi enfantsle nostre cattive azioni, sotto forma di stregoni che ci lanciano addosso acqua bollente. Se tu venissi a scacciarli e a procurarci un buon sonno! " E aggiungono: " Ti pagheremmo bene, Serralocchi, il denaro è già contato vicino alla finestra".
    Ma io non faccio nulla per denaro - concluse il piccolo elfo.
    - Allora, questa notte che cosa faremo? - chiese Ialmar.
    - Se ne hai voglia, andremo a un'altra festa di nozze, ma molto diversa da quella di ieri sera. Il bambolotto di tua sorella, quello che si chiama Ermanno, si deve sposare con la bambola Berta; inoltre è anche il compleanno della bambola, perciò avranno magnifici regali.
    - Ah, so di che cosa si tratta - disse Ialmar. - Tutte le volte che le bambole hanno bisogno di vestiti nuovi, mia sorella dice che è il loro compleanno, oppure che devono sposarsi. E' la centesima volta che questo accade.
    - Ebbene, questa sera sarà la centunesima. Guarda un po' da quella parte, ora.
    Ialmar volse gli occhi verso il tavolo. La casa di cartone era tutta illuminata; fuori, i soldatini di piombo presentavano le armi. I fidanzatini stavano seduti sul pavimento tutti pensierosi ( e avevano le loro buone ragioni ).
    Serralocchi, vestito con l'abito nero della nonna, li sposò. Quando il matrimonio fu celebrato, i mobili della camera cantarono una bella canzone. Poi gli sposi ricevettero i regali, ma rifiutarono gentilmente i cibi, poiché il loro amore bastava a nutrirli.
    - Che facciamo, adesso? Cerchiamo una casa per la villeggiatura oppure viaggiamo? - chiese lo sposo.
    La bambola Berta non sapeva cosa rispondere. Allora consultarono la rondine, vecchissima viaggiatrice, e una vecchia gallina che aveva covato le uova cinque volte.
    La rondine parlò di paesi dove l'aria è sempre mite.
    - In quei paesi, però - disse la gallina - non ci sono i buoni cavoli rossi!
    - Qui, però, fa sempre cattivo tempo.
    - E' un clima che fa bene ai cavoli - riprese la gallina. E continuò con severità: - Colui che trova dei difetti al nostro paese non merita di abitarci.
    - La gallina è ragionevole -disse la bambola Berta. - E' meglio andarci a stabilire fuori porta, passeggeremo nel giardino dei cavoli rossi.
    E cosi fecero.

    Sabato.


    - Mi racconti una favola? - chiese Ialmar, appena Serralocchi lo ebbe addormentato.
    - Questa sera non ho tempo - rispose il piccolo elfo aprendo sul bambino il suo magnifico parapioggia.
    cinese- Guarda un po' questi cinesi. Ti piacerebbe essere vestito come loro?- Ialmar allungò il collo per vedere meglio.
    - Si, - rispose - mi piacerebbe soprattutto quel largo cappellone di paglia!
    Il parapioggia assomigliava a una grande coppa cinese coperta di alberi blu e di ponti aguzzi formicolanti di cinesi, che continuavano a farsi graziosi inchini.
    - Domani è domenica, - continuò Serralocchi - e devo sbrigare parecchi lavoretti. Devo salire sul campanile per vedere se le campane sono ben pulite, perché possano dare un suono gradevole, devo andare nei campi a vedere se il vento ha tolto bene la polvere all'erba e alle foglie, e poi devo andare a prendere le stelle per lucidarle. Le metto nel mio grembiule, ma le devo contare tutte e numerare il buco nel quale sono incastrate. Se non facessi così potrei sbagliarmi nel rimetterle a posto, e allora ci sarebbero troppe stelle cadenti.
    Ialmar lo guardava con gli occhioni spalancati per la meraviglia.
    - Sentite, caro signor Serralocchi, - disse a un tratto un vecchio, dal ritratto appeso alla parete - sono il bisnonno di Ialmar; vi ringrazio perché gli raccontate tante belle storie, ma non vorrei che lo esaltasse. Com'è possibile staccare le stelle per lucidarle?
    - Grazie del consiglio, vecchio bisnonno, - disse Serralocchi - ma non ne avevo bisogno; tu sei il capo della famiglia, è vero, ma io sono più vecchio di te, io sono un vecchio pagano. I Romani e i Greci mi chiamavano il dio dei sogni. Sono sempre stato ricevuto nelle migliori famiglie e lo sono ancora. So benissimo come si devono trattare tanto i grandi quando i piccini. D'altra parte, se ce la fai, racconta tu le favole.
    - Ma guarda, ma guarda! - brontolò il vecchio dal ritratto. - Adesso non è neppure più permesso esprimere il proprio parere.
    Serralocchi, seccato, chiuse il suo ombrello, e Ialmar si sveglio di colpo.

    Domenica.


    Buona sera - disse Serralocchi, entrando pian, piano, nella stanza di Ialmar.
    Il bambino lo salutò, poi corse alla parete a voltare il ritratto del bisnonno, perché non si intromettesse più nella conversazione.
    libri_diddl%5B1%5D- Adesso raccontami una bella storia.
    - No, non dobbiamo esagerare con le favole - rispose Serralocchi, e preso in braccio il piccolo Ialmar, lo portò alla finestra dicendo:
    - Ora, invece ti presento mio fratello, l'altro Serralocchi. Lo vedi? Ha una bella divisa da ussaro, tutta ricamata d'argento e una cappa di velluto nero che ondeggia dietro di lui. Guarda come viene al galoppo.
    Ialmar vide il fratello di Serralocchi portare sul suo cavallo una quantità di persone. Alcune le metteva davanti a sé, altre dietro, e diceva a tutte:
    - Aprite i vostri quaderni: voglio vedere se avete meritato buoni voti.
    - Buonissimi - rispondevano tutti tenendo ben stretti i loro quaderni.
    - Voglio vedere io stesso.
    Tutte le persone in groppa furono costrette a mostrare i loro voti. Coloro che avevano bene o benissimo presero posto sul davanti del cavallo e udirono storie meravigliose; coloro che avevano mediocre, o cattivo salirono dietro e dovettero ascoltare storie terrificanti: tremavano e piangevano, volevano saltare giù da cavallo, ma non potevano: una strana forza li costringeva a rimanere dov'erano.
    - Tuo fratello - disse Ialmar a Serralocchi - mi sembra magnifico e io non ho paura di lui.
    - Hai ragione - rispose il piccolo elfo - ma cerca di avere sempre buoni voti sul tuo quaderno.
    - Ecco una cosa molto istruttiva - mormorò il bisnonno dal ritratto - Questa storia è proprio utile francamente è la mia opinione.
    E parve soddisfatto.
    Questa è la storia del piccolo elfo Serralocchi; e se torna stasera, ti racconterà altre favole. Ma, mi raccomando, sii buono, altrimenti non sognerai nulla!

    di H. C. Andersen

     
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