Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

sulle ali della fantasia...un mondo fantastico

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    Giurassico

    Da 190 a 135 milioni di anni fa

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    Il periodo Giurassico, a metà del Mesozoico, è caratterizzato da una certa stabilità nella situazione climatica. Naturalmente, data la lunghezza del periodo (circa 60 milioni di anni), un'indicazione del genere ha soltanto un valore approssimativo. La frammentazione del supercontinente Pangea provoca interessanti mutamenti nella forma delle terre emerse. La maggioranza di queste rimane tuttavia in un'ampia fascia che esclude il Polo Sud e appena sfiora il Polo Nord. Dunque nel Giurassico non ci furono freddi intensi e probabilmente le precipitazioni furono abbondanti e frequenti.
    Una situazione ideale per il mondo vegetale, che infatti prosperò, e naturalmente per gli erbivori: in questo periodo si svilupparono i più grandi "mangiatori di piante" mai vissuti sul pianeta Terra. Nel Giurassico la zolla dell'America settentrionale si stacca dal Gondwana: nello spazio tra questa massa continentale e l'Africa si incomincia ad aprire l'Atlantico settentrionale. Anche la frattura tra America settentrionale ed Eurasia avviene in questo periodo. Vasti mari di acque poco profonde si formano, da Nord a Sud, nell'America settentrionale e, in Eurasia, tra Europa e Asia.


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    Brachiosauri

    L'Antartide, l'Australia e l'America meridionale si staccano dall'Africa; verso la fine del periodo esiste già un "abbozzo" dell'Atlantico meridionale. I movimenti delle zolle fanno sorgere le Ande e le Montagne Rocciose. Una rotazione del poligono che diventerà la Penisola Iberica fa si che si apra il Golfo di Biscaglia e che sorgano i Pirenei. Nelle fasi più tarde l'india è già staccata dall'Africa orientale e inizia il suo "viaggio" verso Nord, pur rimanendo ancora a Sud dell'Equatore. Molte sono in tutti i continenti le aree ricoperte da paludi e acquitrini. Mari che si insinuavano tra le varie masse continentali; estesi mari interni: il Giurassico è stato un periodo ideale per gli animali marini. Abbondavano i Molluschi: oltre alle forme striscianti sui fondali, erano numerosi i Cefalopodi (Belemniti e soprattutto Ammoniti, ma anche forme simili ai calamari e alle seppie). Molti erano i Pesci Cartilaginei (squali e razze). Si diffondono e si affermano, con uno continuo "crescendo", i Pesci Ossei (comuni anche nelle acque interne). Evidentemente tutti questi animali costituivano un interessante fonte di cibo e tra i Rettili si moltiplicarono le forme più adatte a predarli.
    Tre sono i principali gruppi di rettili adattati alla vita marina: i Plesiosauri, gli Ittiosauri e i Coccodrilli. Questi ultimi conoscono uno sviluppo notevole verso la fine del periodo (Geosaurus, lunghezza fino a 4 m; Sreneosaurus, lunghezza fino a 9 m). Gli arti dei coccodrilli marini del Giurassico sonc assai simili a natatoie ma, nello scheletro, conservano la struttura delle dita distinte e con un numero normale di falangi. Nei plesiosauri invece e soprattutto negli ittiosauri le falangi diventano numerosissime e le dita si avvicinano formando complessivamente una sorta di mosaico di ossicini che sostiene le natatoie; queste, per la struttura della parte superiore degli arti, risultano meno mobili negli ittiosauri di quanto lo siano nei plesiosauri.

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    Ittiosauro

    Nella seconda metà del Giurassico si evolvono diversi plesiosauri a cranio corto e a cranio grosso e lungo: sono i Plesiosauri. Le pinne di questi animali potevano muoversi anche verso l'alto: esse dunque, oltre a spingere il corpo, ne permettevano l'immersione. I plesiosauri conoscono la massima diffusione all'inizio del periodo seguente (Cretaceo), con forme anche gigantesche. Perché si sono sviluppate forme cosi enormi? Diamo alcune delle risposte più logiche. Perché la grande massa era un efficiente mezzo per contribuire a mantenere abbastanza costante la temperatura dell'animale. Perché la mole scoraggiava i predatori. Perché la disponibilità di cibo vegetale era notevole e queste forme, erbivore, ne approfittarono. Perché i vegetali, spesso coriacei, richiedevano un lungo processo di digestione, in gran parte affidato alla fermentazione.

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    Elasmosauro e Tilosauro

    Un tale processo doveva essere realizzato su grandi accumuli di sostanze masticate in stomaci grandissimi: i sauropodi forse erano soltanto enormi sistemi di trasporto per un enorme sistema digestivo, stomaci immensi corredati di quattro zampe.
    Come si muovevano? In quale ambiente vivevano? Le ossa degli arti erano praticamente piene (cioè non cave come nella maggioranza dei vertebrati): essi dovevano operare come vere colonne per sopportare il grande peso del corpo.

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    Tirannosauro

    Le zampe postenori avevano (nel Diplodocus) cinque dita con unghioni sulle tre interne. Le due dita più. esterne erano incluse in uno spesso e duro cuscinetto, simile a quello che esiste nelle zampe degli elefanti.
    Diplodoco

    Nelle zampe anteriori il primo dito aveva un artiglio piuttosto grosso. Osserviamo le orme in alcuni casi assai ben conservate nei fanghi divenuti pietra. Talora si hanno serie di buche-orme (grandi come le ruote di un autobus) da cui deduciamo che gli animali si spostavano in gruppo. Altre volte le impronte (sempre di più individui) sono curiose: di quando in quando si notano soltanto i segni relativi alle "zampe davanti". Escludendo che i bestioni saltassero o si dessero a esercizi di equilibrismo, dobbiamo ammettere che almeno in qualche caso essi vivessero in acque poco profonde e si spingessero con rari colpi di zampa sul fondo, proprio come oggi fanno gli ippopotami. La struttura delle vertebre ci fornisce un altro indizio: esse sono massicce nella regione della coda; si fanno molto più leggere e cave nella zona del tronco e divengono lunghe ma cave e quasi fragili nel collo. La ricostruzione del sauropodo con la schiena emergente dall'acqua, il collo galleggiante e il codone penzoloni, quasi come un'ancora, diventa abbastanza accettabile. D'altra parte in alcune forme (Brachiosaurus ad esempio) il collo lungo e le zampe anteriori più lunghe delle posteriori, suggeriscono una ricostruzione del tipo "elefante-giraffa". Zampe colonnari per camminare anche su suolo asciutto e collo lunghissimo per mangiare germogli sulle piante. I denti di alcuni sauropodi (Diplodocus) erano relativamente pochi e a forma di piolo: una dentatura adatta a masticare piante acquatiche molli o alghe. In altre specie (Camarasaurus e Brachiosaurus).

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    Sulle terre emerse abbondavano insetti, ragni, millepiedi, che venivano predati dalle primissime lucertole, da molte forme del gruppo oggi rappresentato dal solo tuatara (ancora un famoso "fossile vivente) e altri piccoli vertebrati. Questi a loro volta venivano cacciati da diversi rettili di taglia media: Celurosauri discendenti dalle forme vissute nel Triassico.
    Stegosauro

    I celurosauri erano animali agili e snelli; bipedi, essi si movevano molto rapidamente. Tutti sappiamo che per catturare una lucertola in fuga ci vuole la destrezza e la rapidità d'intervento del gatto: i celurosauri dovevano essere altrettanto veloci. Si è perciò proposto, da parte di vari studiosi, di attribuire queste capacità a una notevole disponibilità di energia "propria", dunque a un elevato metabolismo. E possibile insomma che gli agili celurosauri fossero omeotermi. L'Ornitholesres era lungo 2 m., ma alto, "in piedi", meno di un bambino; il Compsognathus era più piccolo di un pollo. Discendenti dall'Ornithosuchus e forme a esso simili sono i grossi predatori bipedi detti Carnosauri.

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    Agli inizi del Giurassico è documentato il Dilophosaurus lungo 6 m; verso la fine d periodo abbiamo il Ceratosaurus, l'Allosaurus, il Megalosaurus. In alcuni generi il cranio è ornato di creste e protuberanze ossee. Il megalosauro è il primo dinosauro cui siano stati rinvenuti e descritti i resti. Gli insetti erano da tempo "padroni" dell'aria. Anche i vertebrati tentarono, nel tardo Triassico e poi nel Giurassico, di affermarsi in questo ambiente. Perché l'aria? La risposta viene, ancora una volta, da considerazioni sul cibo.
    Allosauro

    Nell'aria si trovano gli insetti, dunque molte prede, anche se di solito piccolissime: inoltre l'aria costituisce un "mezzo" nuovo per avvicinarsi ad altre prede. Piovendo giu dal cielo si può meglio sorprendere un animale a terra o si può addirittura pescare, completando la "picchiata" con un breve tuffo. Un piccolo rettile del tardo Triassico, Podopteryx mirabilis (lungo una ventina di centimetri), era dotato di membrane di pelle sia tra gli arti posteriori e la coda, sia tra i brevi arti anteriori i fianchi e le "cosce" degli arti posteriori. Poco più di un piccolo aquilone vivente con la parte più grande della "velatura" dalla parte della coda. Il Podopteryx si lanciava dagli alberi per planare forse sulle sue prede (certamente minuscole) oppure per sfuggire ai suoi nemici. Da animali simili al Podopteryx discendono tutti gli Pterosauri. La struttura degli pterosauri rimase all'incirca la stessa per 130 milioni di anni. Le specie sono molte e di solito si distinguono per la forma del cranio e soprattutto per la dentatura. L'organo di volo è sempre una membrana di pelle tesa tra i lati del como e il quarto dito dell'arto anteriore enormemente lungo (in proporzione dovremmo avere un anulare lungo almeno 4 m). I crani sono molto fragili, però in alcuni casi si è conservato il "calco" interno, pietrificato, dello spazio occupato dal cervello. Si è così potuto accertare che il cervello di questi animali era piuttosto grande e che in particolare era ben sviluppata la parte relativa alla visio ne. Le orbite degli occhi sono grandi: gli pterosauri dovevano dunque vederci piuttosto bene. Anche le strutture del cervello relative al coordinamento dei movimenti sono ben sviluppate. E probabile che gli pterosauri sapessero compiere planate, ma anche cabrate, volteggi e altre "manovre" con abilità e rapidità.


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    Nel Dimorphodon (inizio del Giurassico, apertura alare di 70 cm), il cranio è grosso e i denti sono a forma di piolo all'estremità della bocca e più piccoli e solidi verso l'interno. Forse esisteva una "tasca" sotto la mandibola, come nei pellicani. Nello Crenochasma la mandibola è irta di sottilissime punte simili,ai fanoni delle balene. Nel Rhamphorhynchus i denti sono radi e simili a pugnaletti: uno strumento di pesca simile jlle fiocine dei cacciatori subacquei. E probabile che la maggioranza di questi animali si cibasse di pesci o di altri animali marini; alcuni forse catturavano insetti. Il ritrovamento nel 1971 nel Kazakhstan (URSS) di un esemplare molto ben conservato di pterosauro ha permesso di far luce definitivamente su un problema che si dibatteva da anni. Riferibile al Giurassico superiore, l'animale del Kazakhstan è stato denominato Sordes piloO5U5 (all'incirca "schifezza pelosa"): è uno pterosauro grosso come un piccione, ha la bocca dentata e il corpo fittamente ricoperto di peli. Qualche sospetto sulla pelosità degli pterosauri si era già avuto da tracce associate ad altri scheletri. Dunque questi animali erano pelosi. Perché avrebbero sviluppato una tale caratteristica se non avessero avuto la necessità di "conservare" il proprio calore, un calore evidentemente prodotto da loro stessi? Gli pterosauri erano omeotermi: si spiega cosi anche la loro capacità di condurre una vita assai attiva. L'eccellente adattamento alle necessità del volo è testimoniato anche dal che ha portato allo sviluppo delle vere penne e dunque degli Uccelli. Nei finissimi calcari del Giurassico della Baviera si sono rinvenuti finora cinque scheletri più o meno completi di un animale con denti, lunga coda, arti anteriori ben sviluppati (con tre dita), arti posteriori da corridore (con quattro dita).

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    Lo scheletro è simile, anche per la taglia, a quello di un celurosauro (ad esempio di un Compsognathiis). Ecco però il particolare notevole: alle ossa sono associate, riconoscibilissime, le impronte di tutta una serie di penne e piume, in corrispondenza degli arti antenon e della coda. Un rettile piumato? O un uccello? L'animale è stato denominato Archaeopteryx lithographica e viene considerato il primo uccello. Il bacino è da uccello, ma non sembra possibile una parentela con i dinosauri ornitischi.
    Archaeopteryx

    Forse questo animale era effettivamente un celurosauro adattato a vivere nei boschi. Forse esso correva e spiccava brevi balzi sostenendosi con le "ali", oppure si arrampicava sugli alberi (con le dita libere e munite di artigli degli arti anteriori) per poi lasciarsi planare. La soluzione tecnica rappresentata dalle piume offriva, tra gli alberi, qualche vantaggio rispetto alla membrana degli pterosauri: questa poteva lacerarsi nell'urto contro un ramo, mentre l'insieme delle penne non offriva resistenza e si allargava lasciando passare un oggetto estraneo. L'omeotermia trovava, nel rivestimento di penne e piume, un accessorio molto utile. Le "scaglie-penne" si affermarono (notiamo che le scaglie dei rettili e le penne sono formate dalla stessa sostanza e hanno la stessa origine, sono cioè omologhe; si veda a p. 23). Le penne dell'Archaeopteryx sono state contate: sono 10 primarie e 14 secondarie su ogni ala, proprio come negli uccelli attuali.



     
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    Zucca tra storia miti e leggende


    Chi di voi per una volta nella vita non ha chiamato qualcuno zuccone o viceversa? E che c’entra la povera zucca con questi riferimenti poco felici? Se c’era chi fino agli anni ’60 svuotava le zucche della loro polpa per poi utilizzarle come damigiane per conservare il vino o come contenitore per portare in giro l’acqua, mentre degli “scarti” godevano i maiali, non conosceva assolutamente le potenzialità di un ortaggio che fin dall’epoca dei Maya veniva quotidianamente usato nelle abitudini alimentari.

    Storia

    Si ritiene infatti che i semi di zucca più antichi mai riscontrati nelle ricerche siano da collocare proprio nelle magiche terre degli antichi nativi del centro America intorno ai 7.000-6.000 a.c. Ed è solo grazie a loro che nel 1500 si diffuse la coltura della zucca, insieme alla patata e ai pomodori, che attecchì senza alcuna difficoltà nelle fertili terre del continente europeo. Ma c’è invece chi associa la diffusione della zucca a un evento ben più mistico della scoperta dell’America.

    Miti e Leggende

    La strage di zucche nel Regno Unito è nota a tutti. Comunemente conosciute come Jack-o’-lantern, ovvero la lanterna di Giacomo, questi originali impianti di illuminazione dai volti mostruosi e sguardi agghiaccianti si fanno strada sulle verande e i balconi anglosassoni con il solo scopo di allontanare streghe e spiriti. Secondo la tradizione questa usanza si diffuse nel 1700 ma nel 1845 una carestia colpì le verdi brughiere d’Irlanda costringendo gran parte della popolazione ad emigrare in America, portando con sé le loro tradizioni. Durante l’insediamento le rape furono sostituite con le zucche data la difficoltà di reperimento diventando così uno dei simboli più conosciuti dagli spiriti. Ma la ragione per la quale adesso gran parte della popolazione il periodo dei morti sbudella il ventre di tutte le zucche è da ricercarsi nella leggenda di Jack!
    La leggenda di Jack o’ lantern

    Jack era un fabbro irlandese dal comportamento poco raccomandabile, a cui il diavolo tentò di rubare l’anima. La perspicacia di Jack lo tolse per ben due occasioni dalla grinfie di Satana; quando infatti quest’ultimo gli concesse un ultimo drink trasformandosi in moneta, l’astuto irlandese se la mise nel borsello accanto ad una croce imprigionando così Lucifero, che dovette arrendersi alla richiesta di libertà per 10 anni. Trascorso il termine, l’arcangelo degli inferi tornò a riscuotere ciò per cui aveva tanto dannato, senza però ottenere risultati. Anche questa volta Giacomino riuscì a sfuggire alla dannazione eterna imprigionandolo in un albero in cui, prontamente, intagliò una croce. Per potersi liberare, Satana dovette promettere di rinunciare per sempre alla sua anima. Dopo tanti anni alla fine Jack morì, ma il suo temperamento e la sua cattiva condotta non erano certo dei buoni requisiti per poter accedere in paradiso. Fu costretto così ad “andare all’inferno”, ma neanche il Diavolo lo volle, dovendo rispettare il patto. Non sapendo dove andare dovette vagare per sempre fino al giorno del giudizio, tra il mondo dei vivi e dei morti, facendosi luce con un pezzo di carbone ardente datogli dal Diavolo conservato all’interno di una rapa per non farlo spegnere. State quindi attenti, durante le notti più buie e fredde, se pensate di aver visto una luce in lontananza, perché potrebbe trattarsi dell’anima dannata di jack!

    Proverbi & Modi di dire

    Spesso nella storia della lingua italiana ci si imbatte in locuzioni di cui il più delle volte ignoriamo l’origine come ad esempio i proverbi veneti che finiscono per assomigliare a filastrocche che aiutano la coltivazione e la buona resa di zucche.
    -El primo zorno de april, meti le suche, che le vien come un baril!
    -Co arriva le Madone tutte le suche le ze bone!
    -Co vien el trenta de agosto, tute le suche va al rosto!
    Concludiamo con il più comune “Avere il sale in zucca” la cui spiegazione ci giunge proprio dal mondo botanico. La specie botanica di appartenenza è quella delle Cucurbitacee, a cui appartengono anche zucchine, angurie e altre verdure che sono ricolme di acqua. La sua percentuale di acqua si aggira infatti intorno al 94%, mentre non si rileva alcuna traccia del cloruro di sodio, o più comunemente, del più noto sale da cucina. Da qui l’origine del detto secondo il quale chi risulta avere del sale in zucca è al di fuori della media. Per lo stesso motivo chi al contrario non si distingue per particolari doti intellettive viene comunemente definito zuccone oppure citrullo, dal vulgaris “citrullus” ovvero anguria, nella quale la percentuale d’acqua è addirittura superiore a quella della zucca, 95%.!!!
    Quindi non disperate se qualcuno vi chiama zuccone, perché potete sempre portarvi con voi un pochino di sale. Per i citrulli invece nessuna speranza!

     
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    Dalle
    ombre verdi e umide dei boschi prendono vita esseri favolosi che da secoli popolano i sogni degli uomini. Miti e leggende li descrivono fin nei minimi dettagli; esseri bizzarri benevoli o malevoli a seconda dei sentimenti che le persone nutrono nei loro confronti. Abitano nelle corolle dei fiori, sotto gli ombrelli picchiettati di bianco dei funghi, negli anfratti delle rocce muscose. I tronchi respirano vivi e le foglie degli alberi sussurrano antichi segreti. Non fatevi irretire dalle loro voci, potreste entrare in regni dove il tempo non scorre e non tornare più indietro...

    Come vorrei essere un elfo e catturare i sogni ...



     
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    Viveva in un paesino un bimbo di nome Pollicino



    Lo chiamarono così perché era piccolo, piccolo, come un pollice

    Ricordava il bimbo piccolino della favola

    Ma Pollicino non era una favola: era veramente un bambino.
    Pollicino volle andare a scuola ed essendo il più piccolino, venne fatto sedere nel primo banco.

    I compagni lo canzonavano e gli dicevano: "Come sei piccolo! Non puoi giocare con noi."
    E lui piangeva e voleva crescere. Ma come fare?
    Si rivolse così agli elfi del bosco.

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    Con loro c'era anche Babbo Natale, che era rimasto nel bosco per distrarsi un po'. Li trovò sull'altalena e, quando si accorsero della sua presenza, avrebbero voluto scomparire. Pollicino però li supplicò di ascoltarlo, di aiutarlo.

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    Comparvero altri due elfi,
    che si unirono al primo e si dichiararono pronti ad ascoltarlo.

    Pollicino iniziò il racconto della sua storia e dei suoi dispiaceri causati dalla piccolissima statura.
    Gli elfi si consultarono tra di loro e con Babbo Natale e decisero di cercare insieme nel bosco le erbe necessarie per fare un incantesimo.


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    Nel bosco trovarono un arbusto, che solo loro conoscevano.
    Aveva delle bacche, che raccolsero: dovevano essere 12.
    Accesero un focherello, misero su una pentolina con dentro le bacche
    e poche gocce d'acqua di un ruscello argenteo.
    Le fecero bollire per circa un quarto d'ora e il decotto fu pronto.
    "Bevine una tazza ogni mattina, -disse l'elfo verde- e vedrai che crescerai."

    Pollicino, felice, prese l'intruglio e se ne tornò a casa.


    I giorni passano, ma Pollicino non cresce. Il decotto non fa effetto!!
    Così decide di tornare nel bosco nella speranza di trovare là una soluzione.


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    In lontananza scorge alcuni gnomi e si rivolge loro pregandoli di ascoltarlo.

    Erano tre paciocconi con accanto un sacco. "Chissà che cosa ci sarà in quel sacco" pensò Pollicino e cominciò a sperare.

    Ma chi sono gli gnomi? Sono dei nanetti, buoni, simpatici, che vivono nel bosco, accanto ai ruscelli, tra gli animaletti loro amici. Sono amici delle fate, degli elfi, ma hanno il terrore dei maghi, degli orchi, degli stregoni. Se possono aiutano gli uomini: sono molto servizievoli. Pollicino si avvicina loro e, tanto per cominciare il discorso, domanda: "Che cosa avete in quel sacco?" "Nebbia, vento, polvere di stelle, granelli di magia, bacche porporine, foglie di ginepro e poi, e poi..." Tutto questo lo dissero ridendo e ballando in un simpatico, grazioso girotondo.

    Tutti gli animali del bosco si unirono a loro in un festoso girotondo

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    Pollicino si avvicinò fiducioso al primo gnomo, che sembrava il più autorevole e gli disse: "Mi scusi, signor gnomo, forse lei mi può aiutare. Mi sono già rivolto agli Elfi, ma purtroppo non ho ottenuto alcun risultato"
    "Che vuoi che faccia per te?" Domandò Verdicchio (così si chiamava lo gnomo interpellato).
    "Vedi come sono piccolo. Io vorrei crescere. Sai darmi tu qualcosa che mi permetta di alzarmi di qualche centimetro?"
    "Ehm! Ehm!" Esclamò Verdicchio. "Certo la cosa non è semplice. Che ne dite voi, fratellini?" Si consultarono fra di loro e poi decisero di rivolgersi insieme a Fata Turchina, che possedeva una bacchetta magica.

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    Purtroppo Fata Turchina era stata trasformata in farfalla dal Mago Magò.
    "Occorre andare nel suo castello!" Esclamò Verdicchio preoccupato dal momento che Mago Magò non era molto amico degli gnomi.
    Pollicino non si sgomentò. Si informò della strada da percorrere e decise di andarci da solo.
    Una colomba con un ramoscello di ulivo, simbolo della pace, si offrì di accompagnarlo.

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    Un gatto nero image festoso e rassicurante gli si fece incontro e propose di fargli strada.

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    Nel cielo volteggiavano minacciosi alcuni pipistrelli, ma la colomba rassicurò Pollicino, dicendogli di non temere, dal momento che ormai il castello del mago era vicino.

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    Sulla porta del castello comparvero due cani, ma non erano minacciosi, anzi uno sembrava addirittura che piangesse.

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    Infatti: un cagnolino si lagnava e l'altro piangeva.
    "Che cosa avete, amici miei per essere così tristi?" domandò Pollicino.
    "Il Mago Magò ci ha cacciati via: oggi non è proprio di buon umore!
    Ma tu che fai qui?"
    "Vorrei parlare con il Sig. Magò per un problema mio personale" - rispose Pollicino-
    "Non so se avrà voglia di riceverti. Tu prova ugualmente, ma cerca di essere molto gentile e non dimostrare di avere paura, altrimenti si arrabbia e sono guai."
    Pollicino, incoraggiato dalla colomba, suona al castello e la porta si apre da sé senza che si faccia vedere qualcuno.
    "E' permesso? Posso entrare?"
    Una voce roca, minacciosa domanda: "Chi sei? Che cosa vuoi?"
    "Vorrei parlare con lei, Signor Mago, può essere così gentile di ricevermi?"
    "Sali la scala alla tua destra e fatti vedere."
    Il mago stava facendo uno dei suoi intrugli.
    Alzò il capo e, quando scorse Pollicino, si mise a ridere, a ridere a più non posso ed esclamò: "Ma chi sei, piccolo essere appena visibile? Da dove vieni? Che cosa vuoi?"
    Pollicino, rincuorato da quella risata, cercò di rispondere e infine a chiedere quanto gli stava a cuore.

    "Ehm, ehm! Si può fare. Voglio accontentarti dal momento che mi hai fatto divertire tanto. Ma prima raccontami come hai fatto ad arrivare fino a me". Pollicino raccontò la sua storia, ma evitò di parlare degli Elfi e soprattutto degli Gnomi dal momento che sapeva della sua antipatia per quegli esserini.
    Senza intrugli, né decotti, Mago Magò pronunciò solo una formula magica e, di colpo, Pollicino crebbe di un palmo.
    "Ti basta così? Che ne dici?" Pollicino si guardò in uno specchio e cominciò ad essere più sereno, ma non osava chiedere di più. Il Mago si accorse della sua perplessità e, senza aggiungere altro, ripeté la formula magica e il bambino crebbe di un altro palmo.
    Questa volta Pollicino fu veramente felice e corse incontro al Mago per abbracciarlo, senza riflettere sulle possibili conseguenze del suo gesto.
    Tutto andò bene. Infatti il Mago, che non era abituato a certi gesti di affetto, si commosse e lo prese tra le sue braccia. Anzi gli propose di restare sempre con lui.
    Pollicino, temendo di offenderlo, prese tempo e rispose che avrebbe accettato volentieri, ma prima doveva recarsi dalla sua famiglia per tranquillizzarla e poi sarebbe tornato.


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    Il cammino del ritorno si presentò subito faticoso. Incontrò un bosco nel quale apparve una ripida cascata. Pollicino avrebbe dovuto attraversarla, ma la cosa non era semplice.
    Avrebbe avuto bisogno almeno di un ponticello per oltrepassarlo, ma purtroppo non c'era.
    La colomba ricomparve e invitò Pollicino a salire sulle sue ali.


    Ora però Pollicino era cresciuto ed era diventato anche pesante. Ci voleva qualcos'altro per aiutarlo. Come fare?
    Ci pensarono gli animali del bosco: i roditori, gli uccelli costruttori e costruirono un canneto da gettare come ponte
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    Venne fuori un ponte artistico che fu gettato di traverso nel punto più basso della cascata, così Pollicino poté attraversare.
    Giunto dall'altra parte si fermò a salutare gli amici, a ringraziarli e riprese il suo cammino.


    Da lontano vide un gregge sorvegliato da una pastorella

    Si avvicinò e si accorse di conoscere la pastorella. "Ma tu non sei Lucia? Come mai sei qui?" Lucia arrossì e si stupì di vedere quel bel ragazzo che assomigliava tanto a Pollicino, ma di lui molto più alto. Timidamente rispose: "Per aiutare la mia famiglia dopo la scuola vengo a far pascolare le pecore del nostro vicino, ma tu chi sei?"
    Pollicino rispose: "Non mi riconosci? Sono Pollicino". "Tu, Pollicino!? - ribatté stupita Lucia - e che cosa ti è successo?. Sei così cresciuto!".
    Per la prima volta Pollicino si rese conto della sua nuova statura e volle specchiarsi nell'acqua del primo ruscello incontrato.
    Era felice del risultato ottenuto, ma temeva che, come Lucia anche gli altri non l'avrebbero riconosciuto.
    Riprese il cammino, ma la sua avventura non era ancora finita. Infatti non conosceva bene la strada del ritorno e la colomba se ne era andata e così pure il gattino nero.
    Si trovò davanti ad un bivio. Andare a destra od a sinistra? Questo era il dilemma!
    Si diresse verso destra. Purtroppo fu uno sbaglio che gli costò caro.

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    Incontrò un animale a lui sconosciuto: un puma

    Pollicino fu terrorizzato, ma riuscì ad evitarlo nascondendosi dietro ad una roccia. Lì rimase immobile fino a che vide l'animale allontanarsi e, piano piano guizzò via dalla parte opposta.
    Non sapeva più che cosa fare, povero Pollicino! quando gli comparve all'improvviso la fatina che, terminato l'incantesimo del mago, aveva ripreso il suo aspetto.

    La fatina fu felice di potersi rendere utile e, con un colpo di bacchetta magica riportò Pollicino verso casa. Prima però gli disse di stare attento perché il Mago Magò non l'avrebbe lasciato certamente in pace.
    "Che cosa potrebbe farmi?" domandò impaurito il ragazzino. "Potrebbe cercarti e riprenderti, ma potrebbe anche farti ritornare piccolo piccolo come e più di prima".
    RITORNO A CASA

    Pollicino si ritrovò all'uscita del bosco.
    Scorreva un ruscello dalle acque limpide e fresche. Si chinò per bere e si rivide nello specchio delle onde. Il ruscello si riversava in un laghetto circondato dalle colline.
    Il panorama si presentava incantevole e Pollicino, stanco dell'avventura vissuta, si sedette all'ombra di un albero e si addormentò.

    Sognò gnomi, elfi, fatine, maghi e gli sembrò di volare sulle ali del vento.
    Improvvisamente vide nel cielo un aereo e gli sarebbe piaciuto farsi trasportare da lui seduto in una comoda poltrona. Viaggiare gli era sempre piaciuto e, pur nel sogno, volle approfittarne. Nei sogni tutto può accadere! Si accostò volando all'aereo e vi salì.

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    Come era bello lasciarsi portare in un viaggio fantastico!
    Sorvolò mari e monti, ammirò la terra verde delle foreste l'aridità dei deserti, le coltivazioni ordinate dei campi e degli orti. Vide gli uomini che parevano tanti Pollicini guardati dall'alto.
    Ad un certo punto sentì uno scalpitio di cavalli, che lo svegliò, quasi l'impaurì e lo riportò alla realtà. Gli dispiacque rendersi conto che aveva soltanto sognato!
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    Si rallegrò soltanto quando vide di essere arrivato nei pressi di casa.
    Vide la sua chiesa, il suo campanile e si rallegrò. Cominciò a fare salti di gioia.
    Ecco sua madre, sull'uscio di casa abbracciata al suo amato Farfui,

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    mentre nei campi vide il suo babbo intento ad osservare i lavori da farsi.
    Pollicino corse loro incontro per abbracciarli ed essi lo guardarono stupiti. "Ma come hai fatto a crescere così in fretta? Dove sei stato?"
    Pollicino, felice di essere riconosciuto, cercò di raccontare la sua straordinaria avventura, che sapeva più di favola che di realtà, ma chi ama la natura sa che non c'è nulla di impossibile a chi crede. Così furono pieni di gioia per vedere così contento il loro figliolo.
    "Ora vedremo come andrà a scuola". Pensò Pollicino. "Finalmente non mi canzoneranno più, mi rispetteranno, ma io a loro non racconterò proprio niente. Li lascerò a bocca aperta."
    Arrivò in classe, il giorno dopo, mentre la maestra seguiva uno scolaro. Al vederlo tutti ammutolirono. Non riuscivano a capire se era proprio lui quel Pollicino che conoscevano. Lo subissarono di domande, ma lui: zitto. Ripeteva solo: "Credete ai miracoli?"

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    Tutto procedeva felicemente, ma nel cuore del bambino era rimasto un cruccio. Il Mago Magò. Chissà se lo avrebbe lasciato in pace!. Lui gli aveva fatto una promessa, che non si sentiva proprio di mantenere.
    Dopo qualche giorno, mentre era nei pressi del bosco, ecco apparire in lontananza

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    nel cielo un uccellaccio dall'aspetto minaccioso.
    Pollicino cominciò a tremare. Capì che doveva essere un emissario del mago.
    Infatti di lì a poco, l'uccellaccio si posò accanto a lui e gli parlò: "Mago Magò è molto offeso per il tuo silenzio. Con il piacere che ti ha fatto, tu avresti dovuto esaudire il suo desiderio e tornare da lui". Pollicino cercò di spiegargli la sua vera natura dicendogli: "Io sono un bambino, ho la mia vita, la mia famiglia, la mia scuola, come posso lasciare tutto questo?"
    "Se non lo farai sarai severamente punito. Il mago non scherza." "Che cosa mi farà? Spero non mi faccia tornare come ero prima. Non puoi intercedere per me?"
    "Mi spiace, ma non posso proprio fare niente. Quello che lui vuole è un ordine".
    A Pollicino non restava che promettere di cercare una soluzione, senza però sapere quale potesse essere. Non gli restava che tornare nel bosco dai suoi amici più cari per cercare aiuto. E così fece.

    INCONTRO con GLI AMICI
    Si mise a gridare a squarciagola: "Elfi, gnomi, fatina, animali del bosco, accorrete! Ho urgente bisogno di voi!"
    Si fece presente un uccellino. image
    "Ciao, Pollicino, perché gridi così?!"
    "Ho bisogno di radunare tutti gli animali del bosco e tutti gli esseri qui viventi!"
    "Stai tranquillo, ci penso io" e, con un battere d'ali si allontanò gridando: "Venite, venite, accorrete veloci: c'è Pollicino che ha bisogno di voi."
    In poco tempo si riunirono tutti nella sala verde, cioè in un bel prato pianeggiante.
    Pollicino cominciò a dire: "Amici, sono veramente in pericolo, perché Mago Magò mi vuole con sé ed io glielo avevo promesso, ma non posso andare ad abitare con lui" e cominciò ad elencare tutti i motivi per cui non poteva rinunciare alla sua vita.
    "La cosa è grave" dissero in coro pensierosi. Proviamo a chiamare anche le farfalle, forse loro nei loro viaggi sanno consigliarci".
    Le farfalle arrivarono. image

    Udita la cosa dissero che nei loro viaggi avevano scoperto che la creatura più influente sul mago Magò era Birba, il suo gatto preferito, da cui non si separava mai e che consultava per i suoi incantesimi. "E' vero, disse Pollicino, l'ho visto quando ero nel castello: Faceva continuamente le fusa e gli si strofinava contro. Come fare a contattarlo?"
    "Co pensiamo noi, dissero le farfalle. Diamoci appuntamento dall'altra parte del bosco e te lo farò incontrare".
    Così avvenne.
    image

    Birba era un bel gattino, molto grazioso e cominciò a fare le fusa intorno a Pollicino, che già aveva conosciuto.
    Il bambino gli espose il suo problema e Birba gli diede una speranza.
    Infatti, tornato al castello cominciò a strofinarsi al mago e iniziò una scena di gelosia. "Perché vuoi quel bambino qui con te? Non ti basto io a coccolarti, a volerti bene, a dimostrarti il mio affetto?" Tanto disse e tanto fece che ottenne di essere esaudito.
    Birba chiamò allora i suoi amici cani (non è vero che gatti e cani non posano essere amici!) e fece loro portare la bella notizia a Pollicino, che era rimasto in attesa ai bordi del bosco.

    imageù

    I sei cani della "Carica dei 101" si prestarono volentieri a fare quel buon servizio, forse sparando di essere poi ancora ingaggiati in un prossimo film!

    LA BUONA NOTIZIA rallegrò Pollicino che corse finalmente sereno verso casa.

    La strada gli sembrò più breve e, con il fiato in gola, corse ad abbracciare i suoi cari, ma non dimenticò mai i suoi amici del bosco, che ogni tanto andò a trovare portando loro ogni leccornia.



    Così finisce la storia di Pollicino, che da piccolo divenne grande per magìa, ma anche per la sua bontà.


    FINE



    Edited by gheagabry - 19/6/2011, 17:10
     
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    CICLOPI


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    I Ciclopi erano dei giganti provvisti di un solo occhio posto al centro della fronte. Erano figli, alcuni di Urano e di Gea, altri di Poseidone e Anfitrite e di altri.

    Di alcuni di essi si conosce il nome: Bronte, Sterope, Arge, Piracmone ed il più famoso Polifemo. Subito dopo la loro nascita furono gettati dal padre Urano nel Tartaro perchè temeva che lo volessero privare del suo dominio dell'universo, ma poco dopo furono liberati dalla madre.


    image

    Lavorarono con Efesto nelle sue officine alle pendici del monte Etna e nell'isola di Lemno e contribuirono a costruire l'elmo di Ade che aveva la particolarità di rendere invisibili quando veniva indossato; il tridente di Poseidone che aveva il potere di agitare o calmare le acque del mare e tante altre. Ma la loro principale attività era quella di creare le folgori di Zeus.

    Furono tutti uccisi da Apollo per vendicare la morte del figlio Asclepio avvenuta per mano di Zeus.

    image
    Secondo Omero (Odissea, IX, 134-147) i ciclopi erano invece dei giganti rozzi ed incivili.

    " ... e de' Ciclopi altieri,
    Che vivon senza leggi, a vista fummo,
    Questi, lasciando ai numi ogni pensiero,
    Ne' ramo o seme por, nè soglion gleba
    Col vomere spezzar; ma il tutto viene
    Non seminato, non piantato o arato:
    L'orzo, il frumento e la gioconda vite,
    Che si carga di grosse uve, a cui Giove
    Con pioggia tempestiva educa e cresce,
    Leggi non han, non radunanze, in cui
    Si consulti tra lor: de' monti eccelsi
    Dimoran per le cime, o in antri cavi;
    Su la moglie ciascun regna e sui figli;
    Ne' l'uno all'altro tanto o quanto guarda."

    image

    Sicuramente il più famoso era il ciclope Polifemo, figlio di Poseidone e della ninfa Toosa che venne accecato da Ulisse come ci racconta Omero nell'Odissea (Odissea IX)
    ".... quelli afferar l'acuto palo e in mezzo
    Dell'occhio il conficcaron; ed io al di sopra
    Levandomi su i piè movealo in giro.
    E come allor che tavola di nave
    Il trapano appuntato investe e fora ....
    L'occhio intorno al troncon cigola e frigge.
    Urlò il Ciclope si tremendo mise,
    E tanto l'antro rimbombò, che noi
    Qua e là ci spargemmo impauriti"




     
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    "Si può camminare a fianco pur essendo distanti centinaia e migliaia di chilometri"
    ( Susanna Tamaro)

     
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    Ora vi racconto una storia che
    Farete fatica a credere
    Perché parla di una principessa
    E di un cavaliere che
    In sella al suo cavallo bianco
    Entrò nel bosco
    Alla ricerca di un sentimento
    Che tutti chiamavano amore

    Prese un sentiero che portava
    A una cascata dove l?aria
    Era pura come il cuore di quella
    Fanciulla che cantava
    E se ne stava coi conigli
    I pappagalli verdi e gialli
    Come i petali di quei fiori che
    Portava tra i capelli
    Na na na na na na na na na…

    Il cavaliere scese dal suo cavallo bianco
    E piano piano le si avvicinò
    La guardò per un secondo
    Poi le sorrise
    E poi pian piano iniziò a dirle
    Queste dolci parole:


     
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    Gli ELFI

    L'elfo (probabilmente dal norreno alf[a]r) è uno spirito genio della mitologia norrena e non solo. Gli elfi sono simboli delle forze dell'aria, del fuoco, della terra, dell'acqua e dei fenomeni atmosferici in generale.

    Essi sono spiriti simili agli umani, alti e magri ma forti e velocissimi, volto pulito, sereno, orecchie leggermente a punta. Sono descritti con una grande vista e un udito molto sensibile. Non hanno barba, hanno occhi che penetrano la persona fino a conoscere i pensieri, si dice che siano dotati di telepatia.

    Hanno voce splendida e chiara. Sono intelligenti ed armoniosi, con grande rispetto per i 4 elementi e per la natura.

    Talvolta alcuni possono essere capricciosi e talvolta benevoli con l'uomo che li rispetta, possono donare oggetti magici a coloro che sono puri di cuore e spirito e che desiderano aiutare. Sanno forgiare spade e metalli, fino alla conoscenza della magia. Le loro compagne, al contrario, sono esseri graziosi. In origine pare che gli elfi siano stati concepiti come anime di defunti, poi furono venerati anche come potenze che favorivano la fecondità. Di qui la distinzione, nella mitologia norrena, fra Døkkálfar, "elfi delle tenebre", e Liósálfar, "elfi della luce".

    Essi riescono a camminare senza lasciare tracce, immuni alle malattie, resistono alle temperature estreme. Gli elfi hanno vita lunga invecchiando senza che la loro bellezza venga intaccata dal tempo.Si dice che siano immortali tranne che quando si è in guerra.

    Molteplici sono le leggende legate a questa figura mitologica alcune delle quali parlano delle cattiverie che essi compiono nei confronti degli uomini, dei rapimenti dei bambini umani. Gli elfi hanno una forte gerarchia al capo della quale stanno le regine e i re delle colline delle fate, riconoscibili perché spesso ricoperte da un fresco manto di biancospini.


    image
    Nell'immaginario degli uomini, la storia degli Elfi è alquanto tormentata: nascono come divinità, decadono al rango di creature tra il grottesco e il malvagio, divengono i figli prediletti degli dei con Tolkien, invadono i giochi di ambientazione fantasy e infine rappresentano un ideale di vita...

    di Massimiliano Roveri


    image

    Il loro antico nome nordico è ALFR e indicava i geni
    della mitologia nordica, simbolo delle forze dell'aria,
    del fuoco, della terra e dei fenomeni atmosferici in
    generale. Spiriti capricciosi, gli elfi, talvolta benevoli,
    talvolta malevoli, sono dotati di una terribile potenza.
    Gli elfi maschi sono spesso deformi come gli gnomi.
    Le loro compagne, al contrario, sono esseri graziosi.
    In origine pare che gli elfi siano stati concepiti come anime
    di defunti, poi furono venerati anche come potenze che
    favorivano la fecondità. Di qui la distinzione, nella
    mitologia nordica, fra Dokkalfar, "elfi delle tenebre",
    e Liosalfar, "elfi della luce".

    Chi Sono Gli Elfi ? Dove Vivono ? Che sappiamo di Loro ?


    image

    Gli Elfi... Un popolo meraviglioso dai tratti sottili, che nostante
    l'apparenza fragile è è dotato di forza ed agilità... Hanno un grande
    senso della parità nei confronti di amici ed alleati. Non si fanno
    comunque molti amici ma non dimenticano mai quelli che hanno;
    nemmeno i nemici però. Preferiscono stare lontani dagli umani,
    non gradiscono la compagnia dei nani, e detestano i maligni
    abitanti dei boschi, Sanno cantare ed amano la poesia,
    coraggiosi e mai incoscienti, mangiano poco, bevono vino ed
    idromele, anche se di rado li si vede eccedere nel bere.
    Amano i gioielli artistici, la magia e le armi. Questi vizi sono i
    loro unici punti deboli. Gli elfi credono sia utile conoscere il
    linguaggio di molte delle creature della foresta.

    Cosa si narra della storia degli elfi? come nascono ?


    image

    Iluvatar li fece nascere sotto
    le Stelle, e tra tutte le cose,
    è proprio la luce delle Stelle quella che essi amano di più.
    Gli Elfi erano immortali e vivevano a lungo quanto la Terra, senza conoscere
    malattia e pestilenze, ma i
    loro corpi avevano la stessa
    sostanza della Terra, e
    come essa erano passibili di distruzione. Alti quanto gli Uomini, gli Elfi ne erano però
    più forti di cuore e di membra,
    e il volgere degli anni e delle
    Ere portava loro non già vecchiaia, ma altra bellezza
    e saggezza. Potevano essere
    uccisi dalle armi o dal dolore,
    ma la loro non era che una morte apparente, perche
    la loro vita continuava nelle
    Aule di Mandos, in Valinor,
    da dove col tempo possono tornare.Gli Elfi avevano occhi
    risplendenti della luce delle
    Stelle che videro alla
    nascita, capelli d'oro,
    d'argento o neri quanto
    l'ambra nera; emanavano
    luce, e il suono delle loro
    voci era puro, dolce
    e vario come l'acqua di
    fonte.La storia di questo
    popolo, benedetto da
    Iluvatar ma, perche
    immortale, destinato alla
    malinconia e alla tristezza,
    è narrata con particolare
    affetto da Tolkien nei suoi
    libri.La fine della Terza Era
    del mondo segnò la fine
    della permanenza degli Elfi
    nella Terra di Mezzo, e nella
    Quarta Era, quella del
    Dominio degli Uomini, l'ultimo
    Elfo salpò con l'ultima nave
    per le Aule di Mandos



    DAL WEB



     
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    I Troll Norvegesi


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    Nel lontano Nord dove le tempeste invernali flagellano le coste tormentate, troverai una terra lunga e stretta. Ai giorni nostri è ricoperta di neve e ghiaccio solamente sei mesi all’anno. Molto, molto tempo fa, tuttavia, esisteva un immenso ghiacciaio che per migliaia di anni ha ricoperto l’intero paese. Gradualmente il clima si riscaldò ed il ghiacciaio si ritirò verso il Nord, l’uomo del Sud risalì, seguendo la sua scia, si insediò in quelle terre e le chiamò NORVEGIA (Norway). Loro stessi si chiamarono NORDMEN (uomini del nord), quasi che tra loro non ci fossero donne. Guardando questa terra e trovandola stupenda, si considerarono i suoi primi abitanti. Ma non passò molto tempo che si resero conto invece, che questa era abitata da numerose strane creature che vivevano in posti altrettanto strani.

    Gli strani abitanti
    Laghi profondi tra i ripidi boschi erano la casa dei NOKKEN (il folletto dell’acqua). Sugli scogli affioranti e sotto le cascate potevi trovare il FOSSEGRIMEN, brillante suonatore dello speciale violino dei TROLL, maestro di molti violinisti norvegesi. HAUGTUSSER e IUFTEKALLER (elfi e fate ) vivevano sulle colline e sotto i cespugli. Altre fate preferivano le vicinanze dell’uomo e di notte stavano nei granai e nelle stalle. Erano chiamati NISSE e portavano in testa un lungo cappello rosso a calza. Le numerose montagne erano la dimora dei TROLL, il cui capo - il più forte di tutti - era il DOVREGRUBBEN ( il re del Monte Dovre ). Alcuni TROLL erano giganti- piante e muschio crescevano sulle loro teste e sui loro nasi - altri erano molto piccoli. Si potevano vedere TROLL a due e tre teste, alcuni avevano addirittura un solo occhio, posto in mezzo alla fronte. Tutti potevano vivere anche diverse centinaia di anni. Li potevi osservare solo di notte perchè non sopportavano la luce del giorno. Se non tornavano alle loro montagne prima dell’alba, si sarebbero trasformati in pietra. Sebbene i TROLL avessero sembianze molto umane, le loro mani ed i loro piedi avevano solo quattro dita. Avevano tutti lunghi nasi, che le mamme TROLL utilizzavano in cucina per mescolare il brodo o la minestra di avena. Inoltre i TROLL erano ruvidi, irsuti e rozzi e tutti avevano una coda che assomigliava a quella della mucca.

    Adesso , anche nei tempi moderni è buona regola essere ben disposti verso i TROLL, perchè non puoi mai sapere quando ti potrà capitare di incontrarne uno. La prossima volta che andrai in un bosco oscuro o su montagne imponenti con i loro laghi e cascate avvolte dalle nebbie, allora ricorda, loro probabilmente non hanno intenzioni cattive, ma stai attento, al crepuscolo non sarai più solo. Allora ci sarai solo tu...........e i TROLL.

    La leggenda racconta.........
    Quando la luna è in alto tutto può succedere. I Troll escono dai loro nascondigli solo dopo il tramonto, e scompaiono al mattino prima che sorga il sole. Se per caso vedete formazioni rocciose dall' aspetto di Troll, è certo che un Troll sbadato non si è accorto che sorgeva l'alba ed è rimasto pietrificato. Hanno un aspetto caratteristico, con lunghi nasi, quattro dita in ogni mano ed in ogni piede e la maggior parte di loro ha una lunga coda pelosa. Alcuni sono giganteschi, altri molto piccoli. Sono stati visti Troll con due e anche tre teste. Alcuni hanno un occhio solo in mezzo alla fronte, altri sono talmente vecchi che muschio e alberi crescono sulla loro testa.
    La maggior parte dei Troll vive per centinaia di anni. Tuttavia, dato che il Troll è molto difficile da vedere, poco si sa del suo modo di vivere, delle sue abitudini e delle sue origini.
    L' ira dei Troll a volte non ha limiti, per cui è molto importante, non farseli nemici. Se un contadino provocava un Troll, il suo bestiame o il suo raccolto potevano subire malattie o altre disgrazie. D'altra parte un buon rapporto con loro, ha il suo ricco compenso.
    Un Troll singolo si sentirà solo, un buon consiglio è quello di dargli la compagnia di altri Troll.
    Brutti e simpatici, teneri ed aggressivi, romantici e sportivi, sognatori ed allegri....

    vnb174
    Rappresentano tutti gli aspetti dell' uomo: ognuno può trovare nel Troll una parte di se stesso.
    Le montagne e i boschi con i loro fiumi e laghi sono il loro ambiente. Il Troll si preoccupa molto dell'ambiente. Prendetevi cura della natura dovunque andiate e qualsiasi cosa facciate, e cercate sempre di proteggerla. E' l' ambiente naturale dei Troll.
    Essi in cambio si dimostreranno grati verso di voi.
    Trattateli bene ed essi vi saranno vicini per molto tempo e vi porteranno fortuna.
    Persino ai giorni nostri, è consigliabile avere un buon rapporto con loro, poiché non si può mai sapere quando se ne incontra uno.
    Per cui attenzione...... la prossima volta che ti attarderai in un bosco, costeggerai le rive di un fiume o di un lago e ti accorgerai che è il crepuscolo, potresti essere solo.... con i Troll.
    Quando un Troll entra nella sua nuova casa, è meglio che la prima notte stia nascosto in un armadio per meglio abituarsi al nuovo ambiente. Potrai farlo uscire la sera successiva prima di andare a letto. Egli ti sarà riconoscente di questa piccola accortezza.

    Troll

     
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    Gli Orchi



    ogersmall


    Storia



    Gli Orchi sono delle immonde creature adoperate nelle varie guerre prima da Morgoth, poi da Sauron. La loro origine è legata a quella degli Elfi: essi infatti erano della schiera degli Avari (quella che fin dal primo momento non prese parte al viaggio verso ovest) che sono stati irretiti da Melkor. Egli appunto, li trasse in Angband e grazie alle sue arti malefiche generò questa razza a scherno degli Elfi, dei quali furono poi accaniti nemici. Tra tutte le malvagie opere dell'Oscuro questa fu la più abbietta, nonchè la più odiata da Ilùvatar.

    Caratteristiche


    orco


    Non molto si può dire di essi: nelle descrizioni, ma soprattutto ne Il Signore degli Anelli, si possono individuare due razze di Orchi: gli Uruk e gli Snaga. I primi sono molto grossi, forti nel combattere, con grandi corazze e scudi, guidati da un odio feroce verso tutti, anche contro i loro simili (i litigi tra gli Orchi sono frequenti nei libri) e vengono soprattutto da Mordor ed Isengard, nonostante abitano anche a Moria. Gli Snaga, tradotto "schiavi", sono più piccoli, abitanti soprattutto delle montagne (Monte Gundabad), ciònonostante sempre letali, se in gruppi numerosi. Gli Uruk-hai di Saruman sono un razza di Orchi ancora più forte, instancabile e letale; essi possono marciare e combattere anche sotto la luce del Sole (cosa molto rara tra gli altri).

    Notizie Idiomatiche




    jpg



    All'inizio, gli Orchi possedevano un linguaggio rozzo, con pochi vocaboli, che bastavano infatti solo per maledire e bestemmiare; sembra che essi si divertivano ad apprendere e modificare quelle poche lingue che sentivano tra le altre razze. Fu Sauron che nella Seconda Era, elaborò un nuovo idioma, il Linguaggio Nero, che non molto si diffuse, soprattutto dopo la sconfitta dell'Oscuro Sire; quindi gli Orchi cominciarono ad imparare l'Ovestron, la Lingua Corrente, affinchè le varie tribù si potessero capire e dell'Oscuro Linguaggio solo i Nazgûl ne tennero memoria. Ma alla fine della Terza Era, Sauron risorge e la lingua nera di Mordor viene riadottata: alcuni vocaboli sono molto frequenti (ghâsh=fuoco), e gli Orchi spesso utilizzano per il loro nome questo idioma. Il linguaggio Isengardiano non è altro che un modifica di quello di Sauron, basti pensare che Sharkey, l'appellativo di Saruman, deriva Sharkû, cioè "vecchio uomo" in Lingua Nera.
     
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    L'OLANDESE VOLANTE



    fonte: www.correrenelverde.com/nautica/leg...desevolante.htm, scritto da Sandro Bianchi

    Nelle taverne dei porti, nelle quali la gente di mare, imbarcata sulle navi alla fonda, trascorreva buona parte del tempo libero dai servizi di bordo bevendo birra e rhum, nella seconda metà del XVI secolo, cominciarono a circolare, dapprima sottovoce e poi sempre più apertamente, le vicende di un comandante olandese, Barent Fokke, noto per la sua temerarietà e per lo sprezzo di ogni pericolo, della sua nave, la Libera Nos, e dell'estrema velocità delle sue traversate (in soli tre mesi era riuscito a compiere la traversata Batavia - l'odierna Djakarta – Amsterdam, quando le altre navi impiegavano il doppio del tempo).

    I marinai giuravano che Fokke si era accordato col diavolo per avere una navigazione velocissima e, seguendo le indicazioni del demonio, aveva imposto all'equipaggio di rinforzare l'alberatura con supporti di ferro in modo da poter sostenere una maggiore quantità di vele; così, durante le tempeste, mentre sulle altre navi gli equipaggi riducevano la velatura per preservare gli alberi da possibili danni e riducevano la velocità, la Libera Nos poteva procedere a vele spiegate superando facilmente tutti i concorrenti.

    Un giorno maledetto, però, al largo del terribile Capo di Buona Speranza, la Libera Nos era incappata in una burrasca eccezionale, quale non si era mai vista in tanti anni di navigazione.

    Il vento strappava vele e sartie dall'alberatura e i cavi dal ponte, le parti superiori degli alberi si schiantavano, cadendo in coperta con i loro pennoni, il ponte era spazzato da ondate gigantesche, il livello dell'acqua nella stiva saliva sempre di più e la nave rollava fino quasi a toccare con i pennoni la superficie del mare squassato dai marosi, minacciando ad ogni momento di inabissarsi.

    I marinai della Libera Nos avevano un autentico terrore del loro Comandante, ma la paura che incuteva la furia scatenata degli elementi fu più forte e li rese arditi, tanto che un gruppo di loro lo affrontò e gli chiese di desistere da quella sfida al mare in tempesta, di tornare indietro o, almeno, di mettere la nave alla cappa, mantenendo solo la velatura necessaria per poterla governare; per tutta risposta Fokke, ridendo, ordinò di alzare altre vele perché sarebbe andato comunque avanti, a dispetto di tutti, anche di Dio e dei Santi.

    Sicuro del fatto suo, comodamente sdraiato nella propria cabina, beveva, fumava e, ridendo trivialmente, si beffava della furia del mare e del terrore dei suoi marinai.

    Quando, investita da un colpo di vento più forte degli altri, la nave sembrò fare scuffia, un marinaio tornò nuovamente ad insistere con il Comandante perché ordinasse di mettere la nave alla cappa; per tutta risposta Fokke, furibondo, lo afferrò per la cintola e lo scaraventò in mare.

    Fu in quel momento che, improvvisamente, la coltre di nuvole nere si squarciò e un raggio di luce depositò sul ponte di coperta un grande vecchio dalla barba bianca.

    Era il Padreterno? O il Santo protettore dei marinai? Oppure si trattava del terribile spettro Adamanstor il quale, con la sua sagoma gigantesca, sedeva sulla Table Bay, la tipica montagna piatta del Capo di Buona Speranza, e faceva insorgere le celebri tempeste per far affondare le navi e per impadronirsi delle anime dei marinai? (la mitologia rappresenta Adamanstor come un gigante deforme, un titano che incuteva terrore ai naviganti; tormentato da un amore infelice per Tetide – la madre di Achille, fu trasformato in roccia nella punta australe dell'Africa).

    L'apparizione, chiunque essa fosse, rimproverò aspramente, per la sua presunzione, Fokke e gli intimò di tornare indietro.

    Inviperito per l'affronto portatogli dal vecchio, che aveva avuto l'ardire di dirgli ciò che doveva fare, dopo avergli inutilmente ordinato di andarsene, Fokke impugnò la pistola, la puntò contro l'apparizione e premette il grilletto, ma il colpo tornò indietro ferendolo alla mano.

    Sempre più infuriato e ormai privo di ogni controllo, si slanciò allora bestemmiando contro il vecchio tentando di colpirlo con un pugno, ma il braccio gli ricadde inerte lungo il corpo, paralizzato.

    Fu allora che il grande vecchio, fissandolo con fermezza, lo maledisse e lo condannò a navigare in eterno, senza riposo e senza mai toccare un porto, con compagni soltanto la burrasca, il freddo, la nebbia e il vento. Gli disse anche che se avesse cercato di dormire, una spada sarebbe entrata nel suo fianco e che, dato che gli piaceva tormentare i marinai, sarebbe, da quel momento, diventato il demonio del mare, e la sola visione della sua nave avrebbe portato disgrazia e morte, e che quando il mondo sarebbe finito, Satana gli avrebbe riservato una caldaia rovente.

    Dopo averlo così maledetto, il vecchio risalì sulla nuvola seguito da tutto l'equipaggio, che in questo modo riuscì a salvarsi dalla tempesta, mentre l'olandese rimase solo sul ponte della sua nave dannata, furibondo, a bestemmiare, mentre da un portello compariva un'orribile figura dalle corna di fuoco.

    Da allora, la semplice apparizione del Vascello fantasma dell'Olandese volante, porta disgrazia a chi lo incontra.

    Esso cambia continuamente aspetto e velatura per non farsi riconoscere e l'unico modo di salvarsi consiste nel pregare la divinità e nell'abbracciare la Polena, quella scultura di legno sul tagliamare che rappresenta l'anima della nave, fino alla sparizione del vascello fantasma.

    Capita talvolta che l'Olandese Volante mandi delle lettere a bordo delle navi che incontra per mezzo di un marinaio dall'aspetto diabolico, alla voga di un'imbarcazione rossa: guai a prenderle e, soprattutto, a leggerle. Il comandante impazzisce e la nave si mette a rollare in modo sempre più frenetico sino a fare scuffia e affondare.

    Il Vascello fantasma è proprio l'inferno di tutti i marinai; miscredenti, traditori, pirati, assassini, vigliacchi e persino i pigri ne costituiscono l'equipaggio, affollando i suoi ponti e lavorando incessantemente agli ordini del comandante maledetto (ma questa, forse, è un'aggiunta di qualche scaltro comandante che cerca di sfruttare la superstizione e la paura dei suoi uomini per farli lavorare di più).

    C'è gente che giura che il fantasma della Libera Nos sia stato visto svariate volte nel corso dei secoli, governato da un equipaggio di scheletri (simbolo della morte), mentre il comandante, scheletro anch'esso, sorregge una grande clessidra con la quale tiene il conto dei secoli che passano.

    Gli avvistamenti sarebbero avvenuti principalmente nelle acque del Capo di Buona Speranza, ma non mancano testimonianze di marinai che assicurano di averlo incontrato anche in altre parti del globo.

    Ogni apparizione del Vascello fantasma dell'Olandese Volante si è accompagnata ad eventi tragici per le navi e gli equipaggi coinvolti.

    Si racconta della nave a vela americana Generale Grant che, intorno al 1865, durante un viaggio dall'Australia a Londra, dopo aver avvistato la nave fantasma, fu trascinata dalle correnti all'interno di una grande caverna di un'isola del Pacifico dove fece naufragio; l'ingente carico d'oro che trasportava spinse, nel tempo, molti avventurieri a tentarne il recupero (l'ultimo tentativo risale al 1960), ma tutti ebbero esiti tragici per le navi e per gli equipaggi.

    Persino quattro navi da guerra britanniche testimoniarono di aver incontrato il Vascello fantasma durante un'esercitazione nelle acque dell'Atlantico meridionale, avvenuta nel 1881; le conseguenze tragiche avvennero ai danni del comandante dell'ammiraglia e del marinaio della nave che per primo lo avvistò; infatti, entrambi trovarono immediatamente dopo la morte, l'uno ammalandosi gravemente e l'altro precipitando da un pennone.

    Gli ultimi avvistamenti, dei quali si hanno notizie, risalgono al periodo della seconda guerra mondiale ed avvennero per opera degli equipaggi di alcuni U-bootes tedeschi che, secondo il racconto dell'Ammiraglio Doenitz, asserirono di aver avvistato il Vascello fantasma durante i loro appostamenti e dichiararono che era meno pericoloso combattere contro le navi inglesi nel Mare del Nord piuttosto che correre il rischio di incontrare ancora il Vascello fantasma nelle acque ad est di Suez.

    Il fascino della inquietante leggenda ispirò anche Richard Wagner, che ne trasse una delle sue più originali opere. Wagner preferì dare al racconto una conclusione felice con la distruzione del Vascello e con l'Olandese che, pentito, veniva accolto in Paradiso.

    La gente di mare, però, non ha mai accettato la conclusione wagneriana; la leggenda doveva conservare la sua nuda e raccapricciante bellezza primitiva: non poteva esserci possibilità di perdono e l'Olandese Volante doveva continuare a vagare tra i mari tempestosi; i fulmini continueranno a colpire i suoi alberi senza distruggerli, gli uragani non riusciranno a lacerare le sue vele, le ondate più potenti non potranno aprire falle nel suo scafo e, nelle notti buie, alla sinistra luce dei lampi, la nave dalle vele di un colore rosso sangue apparirà a naviganti terrorizzati mentre, ritto sulla poppa, chi scorgerà lo scheletro del comandante Fokke, l'Olandese Volante, armato di una falce minacciosa, saprà che è arrivato il momento di chiudere con la vita.

    Sandro Bianchi
     
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    Il folletto Strafalcino


    *
    Nella schiera dei folletti
    c'è un famoso malandrino
    gran maestro di dispetti
    che si chiama Strafalcino,
    un nemico senza pari
    per i poveri scolari.
    *
    Tra i quaderni sta nascosto
    e tra i libri, sonnecchiando;
    ma invisibile ben tosto
    egli sbuca fuori quando
    c'è da svolgere qualche tema,
    da risolvere un problema.
    *
    Egli a fianco ti si pone
    e, prendendoti la mano,
    strafalcion su strafalcione
    ti fa fare a tutto spiano:
    ti fa scriver "babo caro"
    "ho" senz'acca, od il "scholaro";
    *
    e nei calcoli ti mette
    le più strane cose, ohimè:
    nove e sei fa diciassette,
    sei per otto trentatrè...
    Il maestro,poi scodella
    zeri e tre sulla pagella.
    *
    Franco Bianchi.

     
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    La Fata Turchina



    FataTurchina


    La nascita della Fata Turchina

    Turchesina era una fatina piccina, piccina, nata in una splendida e luminosa mattina da una goccia di brina, aveva il volto di una bambina, e negli occhi una luce serena.
    Ciaò!
    Alle sue spalle qualcuno parlò e la fatina per la paura nello stagno scivolò, per fortuna passava di lì un pesce ragno che le evitò di farsi nello stagno uno spiacevole bagno:
    Lasciami pure qua buon pesce, voglio veder se a camminare mi riesce!
    Il pesce a riva la lasciò e la Fatina Turchesina a camminare subito imparò.
    Ciaò!

    pinocchio-fataturchina

    Di nuovo quella voce squillante, la fatina stavolta si girò all’istante, il colpevole di quel tuffo era un piccolo grillo parlante.
    Chiedo scusa, ma non riesco mai a tener la bocca chiusa!
    Disse il Grillo Parlante nel saltellar allegramente.
    Figurati non è successo niente!


    slide0005_image024

    Rispose la Fatina serenamente. Sulla riva un topino aveva da poco perso un dentino e lo cercava disperatamente poverino, la piccola fatina nel vederlo tanto affranto, spazzò con un soffio del prato il manto, e fece rotolare il dentino tra le mani del topino.
    Grazie Fatina Turchesina voglio regalarti questa bacchetta, fatta di legno di ciliegio che dicon abbia un pregio, quella di divenir incantata solo tra le mani di una creatura fatata.
    Turchesina prese la bacchetta e in un attimo divenne alta, ma proprio tanto alta.

    fata_turchina


    Sono cresciuta di un pochino?
    Disse poi guardando dall’alto il Grillo e il Topino, che ora le sembravano ristretti di un tantino.
    Sei cresciuta più di un pochino!
    Rispose il Grillo Parlante.
    Da oggi non ti si potrà più chiamare Fatina Turchesina da oggi tu sei la Fata Turchina!
    E fu così che in una mattina nacque la Fata Turchina da una goccia di brina, che a cavallo di un pesce ragno aveva superato lo stagno e nell’aiutar un topino a ritrovare il proprio dentino, con una bacchetta aveva illuminato il proprio destino e quello di uno speciale bambino.


    pinocchio-e-la-dolce-fata-turchina-in-una-scena-del-film-d-animazione-pinocchio-142466

    fonte;
    DAL WEB

     
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