Quante volte hai riflettuto sul momento del parto e hai pensato: non so cosa darei per affrontare un parto sereno e più naturale possibile. Diciamo che questo è il sogno di ogni mamma in attesa ma c’è da dire che qualora ce ne siano i presupposti il parto in acqua è ciò che più si avvicina ad esaudire questo tuo desiderio. Anche se non ancora molto diffusa in Italia, la pratica del parto in acqua è di riconosciuta validità e viene scelta sempre da un numero maggiore di donne.
Ma in cosa consiste il parto in acqua e quali sono i suoi vantaggi?
Il parto in acqua si svolge in una vasca di vetroresina (materiale altamente igienizzabile) dalle dimensioni standard di 2 x 1,5 metri con una profondità di 80 centimetri. La temperatura dell’acqua è la stessa con la quale si fa il bagnetto ai neonati, 37 gradi, temperatura che viene mantenuta costante durante l’intera fase del travaglio e dell’espulsione. Ovviamente per mantenere pulita l’acqua è necessario che la vasca abbia un meccanismo che le permetta di ricambiare continuamente il liquido per eliminare le sostanze organiche che possono essere perse durante tutti i momenti del parto.
Perché scegliere il parto in acqua?
I motivi sono davvero molti, in primis possiamo dire che il neonato che ha vissuto per nove lunghi mesi immerso in un liquido subirà una nascita meno traumatica e più dolce. Poi ci sono tutta una serie di motivazioni che riguardano l’azione dell’acqua sul fisico, cioè: L’acqua alleggerisce il peso del corpo e allenta la pressione sui reni e il peso del pancione. Muoversi in acqua è molto più semplice, meno faticoso e soprattutto più naturale La discesa del bambino verso il canale del parto è facilitata da una maggiore mobilità delle articolazioni del bacino Il corpo immerso nell’acqua si rilassa e riesce ad armonizzarsi con la mente e con il respiro giungendo ad uno stato fisico, psicologico ed emotivo particolarmente armonico, ciò favorisce la concentrazione e allevia il dolore. Si riduce il rischio di episiotomia, poiché l’acqua ammorbidendo i tessuti diminuisce la possibilità che questi si lacerino. C’è da dire però che non tutte le donne possono effettuare un parto in acqua, esistono alcune controindicazioni che vanno seguite con scrupolosità. Non puoi partorire in acqua se:
Aspetti dei gemelli
La fase espulsiva si presenta troppo lunga Se hai la necessità di essere sottoposta a monitoraggio continuo Se il parto è pre-termine o post-termine (prima della 37esima settimana o dopo la 42esima) Se il piccolo ha una frequenza cardiaca troppo bassa Se il liquido amniotico presenta tracce di meconio Se perdi troppo sangue Se le dimensioni del piccolo sono troppo grandi rispetto al tuo bacino Se è presente il rischio di distocia delle spalle Se al momento del parto ci sono in corso malattie infettive oppure se sei affetta da AIDS, epatite. In tutti gli altri casi potrai scegliere di affrontare un parto in acqua con serenità, l’unica cosa che posso consigliarti è quella di vagliare questa possibilità con largo anticipo in modo da trovare la struttura più vicina a te (consulta questo link) e soprattutto frequentare un corso pre-parto acquatico.
Il parto in casa? Un diritto negato in molti ospedali d’Italia
Siete prossime al parto e state pensando quale sia la tecnica più adatta per mettere al mondo il vostro bambino? Negli ultimi anni si è parlato molto del parto in casa e della bellezza di far nascere il piccolo tra le mura domestiche, proprio come si faceva una volta. Non è però come dirlo. Quante sono le donne che realmente nelle condizioni ideali per realizzare questo sogno? Ci devono essere i presupposti per affrontare una simile avventura e consistono, prima di tutto, nell’arrivare a termine con una gestazione fisiologica e senza complicazioni, nell’abitare vicino all’ospedale di riferimento e nell’avere a domicilio il personale medico. Tempo fa a New York sono stati vietati i parti in casa, perché le aziende ospedaliere non avevano abbastanza ostetriche da far girare per la città: raggiungere tempestivamente le pazienti non era facile, così come coprire i parti nelle private abitazioni. Non c’è bisogno di andare nella Grande Mela, per affrontare questo problema, è sufficiente guardare quello che accade in Italia.
È interessante l’iniziativa di un gruppo di donne (mamme e ostetriche) di Modena che si sta battendo per garantire il parto in casa, come riporta IlFatto Quotidiano. Secondo le stime calcolate, far nascere il proprio cucciolo nella propria abitazione garantirebbe un risparmio anche per il servizio sanitario, perché ovviamente si potrebbe risparmiare sul ricovero. Purtroppo però la maggior parte degli ospedali pubblici non garantisce questo servizio, perché magari non ci sono ostetriche disponibili. Cosa succede? Le donne che desiderano provare quest’esperienza nel nostro Paese, spesso si devono rivolgere a cliniche private pagando ovviamente una cifra extra (circa 3 mila euro). È vero che di questa cifra, la Regione dovrebbe rimborsarne una parte. Risultato? La spesa cresce per la donna, ma anche per la sanità pubblica, mentre fornire il servizio potrebbe aiutare a tagliare i costi (e i cesarei). La Legge regionale 26/1998, inoltre, dice la seguente cosa: La donna, debitamente informata sull’evento e sulle tecniche da adottare, liberamente può scegliere di partorire nelle strutture ospedaliere, nelle case di maternità o a domicilio.
Ma non è così, se gli ospedali poi non sono disponibili. Chiudiamo poi con una domanda: perché dover pagare a una clinica quello che dovrebbe fare una struttura pubblica? In Emilia Romagna, oggi, sono solo tre le città che hanno attivato il parto a domicilio: oltre a Modena, Reggio e Parma.
Decalogo semiserio per future mamme e futuri papà. Avete paura del dolore o di non essere pronti alla nascita di vostro figlio? Leggete i nostri consigli e sorridete, il bello deve ancora arrivare!
Esattamente 15 secondi dopo essere esplosi di felicità per la notizia che fra nove mesi avrete un bambino e che presto sarete una famiglia un'altra subdola emozione assale - in maniera del tutto differente - i futuri genitori: la paura. Paura di non essere all'altezza del compito, paura del mondo sporco e cattivo che lo attende, paura della vita che cambierà radicalmente. Ma soprattutto, con l'avanzare dei mesi, una paura, molto più fisica, pratica e brutale, verrà a farvi visita: la paura del parto. Su PianetaMamma vi avevamo raccontato già, in un bell'articolo serio e dettagliato, come una mamma può affrontare la paura del parto e del dolore. Oggi vi diciamo, scherzandoci un po' su, le dieci cose che i futuri mamma e papà possono fare per vincere la paura del dolore e il panico dei primi attimi di vita del proprio bambino e godersi questo momento speciale e indimenticabile!
La prima sconcertante verità che vi viene in aiuto e che dovete assolutamente tatuarvi sul pancione - con inchiostri naturali, >mi raccomando - o scrivere sullo specchio del bagno dove ogni mattina vi recate causa nausee violente, o ricamare a mano sul corredino del vostro dolce piccolo bambino in arrivo è: non siete la prima nè sarete l'ultima donna a partorire! Questo accade all'incirca dai tempi del Paradiso Terrestre. Nessuna mamma, da che esistono le mamme, ha avuto la facoltà di generare figli per gemmazione (vedi: perdere un braccio e vederlo trasformarsi in un neonato), neanche quella poveretta di Eva, nata invece da una costola (magari se provava con un unghia...ma in fondo l'altro modo di procreare è molto più divertente). Stessa cosa dicasi per il futuro. I lumi della scienza parlano ormai di concepire figli con cellule staminali e senza il bisogno di un uomo al proprio fianco. Ma che io abbia sentito, nessun bambino può nascere senza una mamma che lo contenga, lo avvolga, lo protegga, le cresca in sè per circa 9 mesi. Se questo fondamentale assunto non vi bastasse, pensate a un altro piccolo dettaglio. Una volta dentro, il vostro bambino, atteso, voluto, sognato e cercato, deve per forza nascere. Le alternative valide sono poche. E passano tutte attraverso il vostro bellissimo e fortissimo corpo spaventato. Parla con loro: colloquio con i medici e corsi pre-parto Essere incinta (o essere quasi padre) vi autorizza ad avere voglie assurde di cibo esotico nel cuore della notte. E a disporre di un'agendina speciale con una fitta rete di contatti telefonici di specialisti del settore, pronti ad ascoltarvi e a darvi rassicurazioni. Di solito il primo a cui rivolgersi sarà il vostro ginecologo di fiducia, che conoscendovi bene, avrà tutta la pazienza e la disponibilità nel rassicurarvi passo passo su quello che accade di giorno in giorno al vostro corpo e al vostro bambino. Con l'avvicinarsi della nascita, potrete poi chiedere consiglio e parlare con l'ostetrica che vi seguirà, con i dottori dell'ospedale prescelto, con l'anestetista se avrete optato per cesareo o epidurale, con un pediatra se avete dubbi sulla salute del bambino e perfino con uno psicologo, per affrontare ansie e paure. Un equipe di medici così non ce l'ha neanche Obama. Non fatevi problemi e se ne sentite il bisogno approfittatene... Yoga, corsi di preparazione al parto e tecniche di relax Per vostra fortuna, a differenza delle vostre nonne e bisnonne che dovevano mettere il pancione al riparo dalle bombe e delle vostre mamme che dovevano proteggerlo da orde di rockettari durante Woodstock, voi mamme nel 2000 siete avvolte nei cuscini della sicurezza. Praticamente ovunque ormai è possibile frequentare corsi pre-parto, lezioni di yoga, rilassamento e respirazione (LEGGI), dove imparare fondamentali tecniche di relax (per voi) o come cambiare un pannolino a un orsachiotto (per il vostro lui). Di corsi seri e affidabili se ne trovano davvero ovunque. Potete chiedere consiglio al vostro ginecologo di fiducia o alla struttura medica dove avete pensato di partorire. Dal training autogeno alla posizione della cavalletta incinta, dalla ginnastica acquatica ai colloqui organizzati con degli specialisti o altre mamme, avrete solo l'imbarazzo della scelta (e gli ottimi consigli ad hoc su PianetaMamma). Letture speciali: un solo librone e tante favole Ogni grande libreria dispone di uno scaffale dedicato ai libri sul parto, la nascita, le paure delle neomamme, i figli e tutti gli argomenti correlati. Ma prima di farvi venire la tentazione di comprare tutti i manuali che parlino di neonati e affini, fatevi consigliare un solo buon libro dal vostro ginecologo, di cui dovrete fidarvi ciecamente (altrimenti: cambiatelo subito e non accontentatevi). Per il resto, se siete in dirittura d'arrivo (dal sesto mese) svaligiate pure, assieme al papà, la zona della libreria dedicata ai bambini. Comprate le favole più belle, i libri gommosi da mordicchiare, Il giovane Holden o Momo. Pensate a un libro per il futuro, a un libro di storie e filastrocche, a uno di leggende. Se volete pensare ai vostri bambini, più che ai libroni di regole, imparate a memoria le favole e le ninna nanne che gli racconterete la sera. Alza il volume e ascolta per tre La musica è un'ottimo anestetico alla paura. Accompagnate i nove mesi di attesa con un ipod speciale in cui copierete una compilation premaman apposta. Metteteci le nenie per la notte, le canzoni della vostra infanzia, Mozart per rasserenare il feto, o il rock più sfrenato se vi scarica la tensione. Fate fare lo stesso al futuro papà. E dedicate dieci minuti della vostra giornata a questo divertente e rilassante ascolto a tre cuori.
I consigli della nonna Scegliete la nonna/mamma/suocera/parente meno ansiosa che ha già affrontato una o più gravidanze e concedetevi una bella chiacchierata con lei. Lo stesso farà il vostro partner, rivolgendosi a un parente di sesso maschile. Parlare con persone che ci sono già passate e ce l'hanno fatta vi aiuterà subito a stare bene e a non sentirvi le sole al mondo con un figlio in pancia pronto a uscire da una piccolissima fessura. Fondamentale in questo caso è la scelta della persona giusta. Deve essere qualcuno di cui vi fidate, che sappia ascoltare e rasserenarvi, che non drammatizzi e non alimenti le paure, ma che non prenda neanche sotto gamba i vostri dubbi. Se avete nella vostra famiglia - o fra le amiche - una persona tanto serena e positiva, eleggetela a vostra guida in questo meraviglioso percorso.
Parto indotto e pilotato, ovvero quando il bimbo tarda a nascere
La gravidanza dura in media 40 settimane e un neonato viene considerato a termine se nasce tra la 38ª e la 42ª settimana di gestazione. In genere, però, alla 41ª settimana più 3 giorni il ginecologo, se il travaglio non si è ancora avviato spontaneamente, o non è efficace per far nascere il bebè, e anche se la futura mamma sta bene, decide di intervenire perché la salute del piccolo non deve essere compromessa dal mal funzionamento della placenta, cioè l’organo che nutre e ossigena il feto durante i nove mesi; invecchiando, infatti potrebbe non garantire più il giusto apporto di ossigeno al bambino. A volte è il travaglio stesso che non ha inizio, altre volte esso si è avviato in modo spontaneo ma le contrazioni non sono efficaci per far dilatare progressivamente il collo dell’utero e stimolare l’inizio delle contrazioni o per mantenerle efficaci. I farmaci inutilizzati non causano alcun problema né per la mamma né per il bebè, però è importante monitorare il travaglio ad intervalli regolari per verificare la dilatazione del collo dell’utero e la salute del piccolo.
In genere, si induce il parto se la gravidanza supera la 41ª settimana più 3 giorni, se la futura mamma ha un aumento della pressione o se si verifica la rottura delle membrane amniotiche, cioè quelle che costituiscono il succo amniotico, prima della comparsa del travaglio per un periodo superiore a 24-36 ore, in presenza di diabete gestazionale o di gestosi, una malattia caratterizzata da pressione alta, gonfiori e proteine nelle urine. Quando invece il travaglio ha avuto inizio in modo spontaneo ma le contrazioni non sono regolari e il collo dell’utero non si dilata a sufficienza per garantire il passaggio del bimbo, si procede con il parto pilotato; anche in questo caso si somministrano dei farmaci per via venosa, in modo da stimolare le contrazioni dell’utero e velocizzare così il travaglio. Non sempre si può indurre o pilotare il travaglio; in genere, infatti, non è possibile quando l’utero presenta cicatrici per interventi precedenti, per esempio a seguito di un taglio cesareo o di un’asportazione di miomi uterini, in quanto i tessuti dell’utero cicatrizzati sono più deboli e, se le contrazioni sono molto forti, possono lacerarsi.
Il taglio cesareo nel parto
Che cos’è il taglio cesareo? Quando viene fatto? Dove? Come? E Perchè? Il taglio cesareo è un intervento chirurgico che permette al ginecologo di procedere all’estrazione del feto, nelle condizioni più adeguate. Può essere programmato oppure urgente se le condizioni della madre o del feto ne necessitano. Un Taglio Cesareo programmato è un operazione già concordata prima, quando si conoscono anticipatamente le condizioni materne o fetali che renderebbero il parto impossibile o comunque pericoloso. Il taglio può essere eseguito con anestesia subaracnoidea, anestesia epidurale o anestesia generale. L’anestesia dura circa venti minuti ed è una piccola incisione addominale, che consente un parto indolore. Il taglio è un’incisione addominale tra il pube e l’utero, nella zona meno vascolarizzata e consente l’apertura per l’estrazione del feto, della placenta e delle membrane. La sua durata va dalla mezz’ora ai quarantacinque minuti, questo dipende anche dalle difficoltà tecniche che ciascuna paziente presenta.
I passi completi da svolgere sono: anestesia epidurale; incisione cutanea; estrazione del feto; chiusura della breccia uterina e sutura della cute. Questo tipo di intervento è diventato molto frequente, ed è considerato un metodo sicuro per proteggere sia la mamma che il bambino. Dopo aver subìto un taglio cesareo, dovrete fare alcune medicazioni e con il passare dei giorni e sempre sotto specifiche cure mediche, tutto ritornerà alla normalità, compreso l’allattamento e la vostra sessualità. Pensate che un parto spontaneo sià più piacevole del fare un taglio cesareo? L’importante è che voi e il neonato state bene, l’emozione di un parto la avrete comunque in entrambi i casi. Se nel primo parto avete effettuato un taglio, non è detto che anche nei prossimi lo necessitate ed è bene porre questa domanda a un medico specialista che vi fornirà sicuramente informazioni dettagliate a riguardo. Andate in sala parto rilassate, qualunque sarà lo svolgimento della situazione, non c’è gioia più bella di sentire il primo pianto di vostro figlio.
L’atto di partorire comporta una separazione, così come l’atto di partire. Non a caso i due verbi pare che abbiano una lontana etimologia comune. Dato che ogni separazione è in qualche misura dolorosa, è per me un controsenso inseguire il mito del parto indolore. Fosse anche possibile cancellare il dolore fisico, bisognerebbe comunque fare i conti con il dolore psicologico che - inestricabilmente unito alla gioia per la nuova nascita – accompagna molto spesso la puerpera nelle prime settimane dopo il parto (dalle maternity blues, più frequenti, che scompaiono spontaneamente, alla vera e propria depressione post parto, che necessita di terapia). Esistono sicuramente strumenti naturali e artificiali per ridurre e controllare il dolore, che analizzeremo a breve. Ma con il dolore bisogna comunque essere preparate a fare i conti. Come avviene il parto? Il parto si distingue tra: - naturale: avviene per via vaginale, con espulsione naturale del bambino - cesareo: il bambino che viene estratto dal ventre materno mediante incisione di addome e utero. Il parto naturale si differenzia in quattro fasi: quella prodromica e quella dilatante costituiscono il travaglio; seguono la fase espulsiva e il secondamento, l’espulsione cioè della placenta. Durante il travaglio l’utero incomincia a contrarsi, all’inizio in maniera sporadica (contrazioni di Braxton Hicks), poi in modo sempre più cadenzato. La cervice uterina a poco a poco si dilata per consentire il passaggio del bambino nel canale del parto. Man mano che le contrazioni si fanno più frequenti aumenta la loro intensità e la loro durata. La donna ha modo così di abituarsi gradualmente al dolore. Quando la dilatazione della cervice è completa (ha raggiunto cioè un diametro di circa 10 cm) la donna avverte, in corrispondenza delle contrazioni, che ora sono in genere più sopportabili, il desiderio di spingere: in questo modo facilita la nascita del bambino. La durata di queste fasi varia molto da donna a donna; generalmente le nullipare impiegano più tempo (4-5 ore per la fase dilatante, un’ora per quella espulsiva), mentre le pluripare ne impiegano meno (2 ore per la fase dilatante, mezzora per quella espulsiva). Durante la fase prodromica si può notare la perdita del tappo mucoso con delle striature di sangue: è la cervice uterina che si sta preparando alla dilatazione. La rottura spontanea delle membrane amniotiche, invece, (la cosiddetta “rottura delle acque”, o “del sacco amniotico”) può avvenire prima, durante o al termine del travaglio. E’ importante che il colore delle acque contenute nel sacco sia limpido. Se al contrario il sacco è tinto è perché il feto ha emesso meconio, sostanza di colore bruno-verdastro contenuta nel suo intestino. Il meconio può essere segno e allo stesso tempo causa di sofferenza fetale, pertanto è opportuno che la situazione sia monitorata attentamente. Il parto si definisce eutocico o fisiologico se avviene spontaneamente, distocico se è necessario un intervento medico a causa di complicazioni.
Le caratteristiche delle mestruazioni dopo la gravidanza cambiano, soprattutto se si considera che si diventa mamme sempre più tardi, quando si è più vicine ai 40 che ai 30 anni e il ciclo subisce fisiologiche modificazioni.
Quando torna il ciclo
Il cosiddetto capoparto, cioè il primo ciclo dopo la nascita del bambino, si ha in genere 40 giorni dopo la nascita, quando termina il periodo del puerperio. Se però la donna allatta, l'amenorrea potrebbe protrarsi per alcuni mesi e in alcuni casi il capoparto potrebbe tornare solo dopo il termine dell'allattamento.
Quali le caratteristiche del primo ciclo? "Il capoparto potrebbe essere un po' più abbondante rispetto a un normale ciclo, ma nei mesi successivi tende a tornare come prima, sia per durata che per flusso", risponde Monica Calcagni, ginecologa a Roma e Frosinone. "A notare cambiamenti potrebbero essere le donne che avevano un ciclo irregolare e doloroso, poiché le modificazioni ormonali dei nove mesi influiscono positivamente sulla regolarità delle mestruazioni.
In più il dolore, dovuto principalmente ad aderenze presenti a livello pelvico prima della gravidanza, con la crescita dell'utero si stirano e si risolvono da sé. La stessa cosa accade se la donna soffriva di ovaio policistico (che tende a dare mestruazioni più dolorose), poiché la gravidanza normalizza i livelli ormonali alterati in caso di policistosi".
Se ci si avvicina agli 'anta'
Un discorso a parte se il post gravidanza capita intorno ai 40 anni. "Man mano che ci si avvicina alla premenopausa (che può iniziare già 6-7 anni prima della menopausa vera a propria), il ciclo tende a diventare più corto, anche di 20-25 giorni, mentre il flusso è solitamente più scarso", fa notare la ginecologa. "Questo perché col trascorrere degli anni l'ovulazione è sempre meno efficiente e determina una minor produzione di progesterone, l'ormone che si sviluppa nella seconda fase del ciclo e influisce sulla qualità delle mestruazioni. Non è raro che il ciclo si annunci con perdite marroncine, definite spotting premestruale, mentre il flusso vero e proprio sembra non riuscire a 'partire' e, quando finalmente si avvia, dura meno giorni rispetto al passato".
Anche la sindrome premestruale, dipendente sempre dal progesterone, è meno evidente: si avvertono meno i doloretti al basso ventre, i gonfiori, la ritenzione idrica, la tensione mammaria, gli sbalzi umorali, come se tali segni non facessero in tempo ad arrivare. Il tutto dura qualche mese o qualche anno, dopodiché si ha un'inversione di tendenza: i cicli sono via via più distanziati mentre tornano ad accentuarsi i disturbi premestruali, che si 'accumulano' giorno dopo giorno in attesa di potersi finalmente 'sfogare' con l'arrivo del ciclo.
Articolo di Angela Bisceglia
I dieci consigli del post-cesareo
1. Potrai sentirti un po’ stanca e frastornata, ma... niente paura! Dopo l’intervento la flebo non viene tolta subito: si tratta di una procedura del tutto normale. Dovrai, infatti, essere nutrita e idratata per via endovenosa in attesa del tuo primo vero pasto.
Inoltre, avrai un catetere che ti permetterà di svuotare regolarmente la vescica, fino a quando la pipì sarà sufficientemente abbondante e di colore usuale. In alcuni punti nascita, l’anestesista lascia ancora in sede il catetere dell’epidurale, allo scopo di modulare, se necessario, la somministrazione di analgesico anche in questa fase. Lo stesso accade quando il cesareo è stato difficile e c’è la possibilità che il chirurgo debba eseguire un intervento supplementare. Infine, in alcuni casi, può essere applicato un drenaggio sulla ferita per far fluire eventuali perdite di sangue.
2. Stop immediato a dolore e disagi Oggi, in un numero crescente di punti nascita, si viene sottoposte a un trattamento antalgico già dal momento del rientro in camera e quindi prima ancora che si possa avvertire un sia pur minimo segnale di disagio. E, di solito, la somministrazione prosegue a intervalli regolari nei primi quattro giorni dopo il parto. 3. Allattare si può e si deve Nulla impedisce di attaccare il bimbo al seno, già dopo la nascita. Ciò che più conta è che entrambi, mamma e bebè, siano sistemati in modo confortevole. Durante la poppata è del tutto normale avvertire qualche contrazione: sono i cosiddetti “morsi” che, via via, riportano l’utero alle sue dimensioni iniziali. 4. Prevenire il rischio di una flebite In alcuni punti nascita, alle neomamme che hanno dato alla luce il loro bebè con il cesareo viene prescritto un trattamento anticoagulante per la prevenzione del rischio di flebiti. La somministrazione avviene tramite iniezione e si protrae per qualche giorno. In altre realtà, questo trattamento è effettuato solo alle mamme che presentano fattori di rischio o precedenti per questa patologia. 5. Ridare il via a una importante funzione che può subire una temporanea battuta d’arresto Nei giorni successivi al cesareo, è normale che si verifichi un rallentamento delle funzioni intestinali. Per favorirne il ripristino, occorre che già dal primo giorno la neomamma abbia l’opportunità di assumere una bevanda e di mangiare un paio di biscotti. Se questa misura non dovesse essere sufficiente, si può provare a massaggiare il ventre in senso orario, inspirando a lungo e spingendo per espellere i gas dall’addome. E niente paura che, così facendo, la ferita possa riaprirsi. Un altro efficace stratagemma consiste nel muovere qualche passo: l’esercizio fisico stimola la muscolatura intestinale e favorisce il transito. Nel giro di qualche giorno, tutto si normalizzerà. 6. Primi passi con l’ostetrica Nelle prime 24 ore, occorre rimanere sdraiate sulla schiena per favorire la circolazione e la cicatrizzazione. Poi, nell’arco di 24-48 ore, sarà possibile cominciare ad alzarsi, ovviamente con il sostegno dell’ostetrica. 7. In caso di forti perdite... Nel post-parto, si riscontrano perdite di sangue rosso vivo con piccoli grumi: è segno che l’utero si libera dei residui di mucosa che erano a contatto con la placenta.Rispetto a chi ha avuto un parto vaginale il sanguinamento è un po’ più intenso dopo l’intervento. Verso il 5º giorno, le perdite diminuiranno e diverranno rosate per protrarsi ancora per qualche settimana (fino a due mesi). Se si intensificassero in colore o quantità, serve un consulto. 8. Come prendersi cura della cicatrice Durante il ricovero, spetterà a un’ostetrica o a un’infermiera medicare ogni giorno la ferita, controllandone la guarigione. Dopo 48 ore, è probabile che rimuoverà il bendaggio per permettere un’ideale cicatrizzazione a contatto con l’aria. In caso di infezione toccherà al medico prescrivere una terapia antibiotica, velocemente risolutiva. Se l’incisione non è stata suturata con filo riassorbibile, l’infermiera rimuoverà i punti in un lasso di tempo compreso fra 5 e 10 giorni. 9. Al rientro a casa, ci vuole prudenza La durata del ricovero può variare: in ogni caso, di norma, la dimissione avviene verso il quinto giorno. Di solito, in questa fase, le neomamme possono non avvertire alcuna sensibilità nella zona in cui sono state operate. Questo disagio è temporaneo, ma può anche protrarsi per cinque o sei mesi. Tuttavia, la cicatrice può dare la sensazione di prurito: la sola cura raccomandata è l’applicazione regolare di una crema. Comunque, in questo periodo occorre prudenza: al minimo segno insolito (vomito, febbre, dolore ai polpacci, sanguinamento importante), è d’obbligo contattare subito il proprio medico ed evitare qualunque tipo di sforzo. 10. Darsi tempo per ritrovare il pieno benessere Con l’intervento, fasce muscolari e legamenti dell’area interessata sono stati messi a dura prova. E ci vorranno quattro o cinque mesi perché ritrovino il loro tono. Per questo, può rivelarsi utile esercitarli in modo molto dolce e delicato. Spesso, il cesareo è programmato per motivi medici con grande anticipo e la futura mamma ha tempo e modo per elaborare questa prospettiva nella massima serenità. A volte, invece, viene deciso d’urgenza e la neomamma può avere qualche difficoltà, dopo il parto, a fare i conti con il rimpianto per non aver vissuto l’esperienza della nascita come l’aveva sognata. In questi casi, mai sottovalutare i propri sentimenti e parlarne, se necessario, con uno psicologo.
Lo sostiene uno studio condotto dalla Nepean Clinical School of Medicine di Sydney: l'epidurale, analgesia lombare che consente il parto da sveglia, ha un'azione protettiva sui muscoli che sostengono la vescica e l'utero. Il motivo: le donne anestetizzate non avvertono le contrazioni uterine, spingono solo quando viene richiesto e così riducono gli sforzi eccessivi dell'area pelvica. Molte altre ricerche, invece, sostengono che l'epidurale, esponendo con più facilità ai parti operativi (con la ventosa, per esempio) rischia di provocare traumi ai tessuti perineali, talvolta con futuri problemi di incontinenza. Ma vediamo più nel dettaglio che cos'è l'epidurale, come funziona, quali i pro e i contro.
Che cos'è
Questa tecnica viene effettuata quando la dilatazione del collo dell'utero è di 3 o 4 cm e si esegue introducendo con un ago alcuni farmaci analgesici presso la quarta vertebra della colonna vertebrale, nello spazio epidurale, quello intorno alla dura madre, la membrana che riveste il midollo spinale. Un cateterino consente di modulare la somministrazione analgesica che permette di bloccare lo stimolo doloroso nella parte inferiore del corpo fino alla conclusione della fase espulsiva. Il cateterino che viene posizionato quando il travaglio è in fase attiva verrà poi tolto due ore dopo il parto.
Le motivazioni di chi è favorevole
"L'epidurale consente un controllo efficace del dolore lasciando inalterate tutte le altre sensibilità, compresa la capacità di muoversi e camminare. Dopo aver somministrato i farmaci le contrazioni uterine continueranno a essere percepite lasciando intatta la sensazione 'di avere qualcosa che si muove nella pancia' e di dover spingere. La donna durante questo impegno è serena e disposta a collaborare", spiega Francesca Sala, ginecologa a Milano. Il parto in epidurale è particolarmente indicato nel caso di diabete, ipertensione arteriosa, gestosi, grave miopia perché riduce quelle alterazioni ormonali e metaboliche attivate durante il travaglio e che possono interferire con i disturbi di cui soffre la donna.
Le motivazioni di chi è contrario
"L'epidurale espone più frequentemente a parti operativi, quelli con ventosa e manovra di Kristeller, cioè la spinta manuale effettuata sul fondo dell'utero. Due le conseguenze spiacevoli. La prima è che viene esercitata sulla testa del bambino una pressione piuttosto forte. Seconda: la ventosa che passa attraverso le aree perineali può provocare un trauma ai tessuti anche per la velocità con cui viene effettuata la manovra", dice Sabina Pastura, ostetrica dello Studio Associato La Luna Nuova di Milano.
"Durante il parto naturale vengono prodotte alcune molecole dell'affettività e del benessere come 'ossitocina e le endorfine e altre sostanze, l'adrenalina e la noradrenalina, che trasmettono l'energia giusta per affrontare la fase espulsiva. Se si partorisce con l'epidurale queste molecole non entrano in gioco e il bambino potrebbe presentare alla nascita una minore vitalità nell'inspirare ed espirare". In alcuni casi manifesta addirittura un minor desiderio di attaccarsi al seno.
Durante il parto in analgesia, infine, l'ostetrica può assentarsi e la donna rischia di sentirsi sola e con un senso di sdoppiamento tra la volontà della mente e l'azione del corpo pilotata dal farmaco.
La nascita di un bimbo in 9 mesi? No, bastano 3 minuti… GUARDA VIDEO!!!
meravigliosa e se abbiamo ancora qualche dubbio ce lo dimostra questo video in cui in pochissimi minuti, tre per l’esattezza, viene mostrato come si evolve un essere umano nel feto della mamma. Guardate il video tratto da You Tube e ammirate la bellezza!
Quali segnali ci dicono che è il momento di andare in ospedale per partorire? – C’è chi si fa prendere dal panico e corre non appena sente un dolorino sospetto e chi invece, in virtù di un’indole decisamente più malneabile, arriva solo quando oramai si è al momento fatidico: la domanda allora è, quando è giusto andare in ospedale per partorire? Quali sono insomma i segnali che ci fanno capire che è arrivato il momento di prendere la valigia e lasciare la casa?Domande come queste si aggirano nella testa di noi donne ben prima dell’inizio del travaglio e così sarà meglio darsi una risposta prima possibile: agire sull’onda dell’emozione del momento non porta mai a buoni risultati e quidni vi consigliamo di informarvi per tempo.Un buon punto di partenza può esser quello di iniziare dal link qua sotto: una breve guida che vi aiuterà a comprendere quali segnali ascoltare per decidere di avviarsi verso l’ospedale o la clinica scelta. Da lì inizierà il vero viaggio!
I segnali del parto: quando recarsi in ospedale Quali sono i segnali di un parto imminente: ecco come li spiegano ad un corso pre-parto
Una donna agli sgoccioli della gravidanza è in paziente attesa di sapere che cosa le succederà quando comincerà a sentire i dolori del parto. Il problema è che molte si chiedono: “saprò riconoscere questi segnali, oppure andrò 150 volte in ospedale prima di andarci perché effettivamente sto partorendo?’”.
Come ha raccontato l’ostetrica del corso pre-parto, di cui ho già iniziato a raccontarvi in un precedente post, i dolori da inizio travaglio non si possono non riconoscere. Per cui tranquille, se vi state “squartando in due”, sappiate che siete sulla buona strada per vedere il vostro neonato…
Scherzi a parte, quali sono i segnali che dovete considerare per recarvi in ospedale? Eccone un elenco:
perdita consistente di sangue: diciamo che se avete delle perdite tali da riempire un assorbente, come se aveste il ciclo insomma, è allora il caso di andare al Pronto Soccorso. Lì vi monitorizzeranno per sentire il battito cardiaco fetale e prenderanno la decisione migliore per la salute vostra e del vostro bambino. Qualora dovesse succedervi mentre siete in casa da sole, perché ad esempio il marito è al lavoro, chiamate il 118, spiegate i vostri sintomi e sdraiatevi sul letto su un fianco (tenete però presente che se viene l’ambulanza, non potrete partorire dove avete scelto, ma nella struttura disponibile più vicina a voi!). Non preoccupatevi invece se le perdite di sangue sono rosate: può darsi che sia l’utero morbido e appianato che si sta preparando al parto, oppure una visita effettuata in giornata o nel giorno precedente che può aver fatto uscire un po’ di sangue; si sono rotte le acque: ebbene, non potete proprio sbagliarvi! Siete entrate in travaglio. Le membrane quando si rompono sono un liquido caldo, che vi sgorgherà lungo le gambe qualora si rompessero nella parte posteriore dell’utero. Se invece dovessero rompersi nella parte anteriore (cioè in alto), non è detto che si aprano le cascate del Niagara, quindi saranno poche. In questo caso fate un bagno caldo, rilassatevi e indossate un assorbente, se le perdite continuano e vi sentite bagnate, andate in ospedale. Ricordatevi che è anche importante il colore delle acque: devono essere trasparenti, altrimenti se sono scure potrebbe voler dire che il bambino ha inalato il meconio (le sue prime feci) e potrebbero esserci delle complicazioni. Se sono torbide andate subito al Pronto Soccorso; i movimenti fetali sono rallentati: nell’ultima fase di gravidanza, il bambino ha sempre meno spazio nell’utero, ma questo non significa che non debba muoversi. Bisogna contare almeno 10 movimenti al giorno. Se per qualche ragione non lo sentite, provate a rilassarvi, mettervi su un fianco e a mangiare qualcosa che vi piace. In quel caso il bambino “deve partire” con i suoi calcetti, altrimenti se pensate che qualcosa non vada, andate al Pronto Soccorso; la pressione sanguigna è alta: si parla di valori che vanno oltre i 140/90. In questo caso andate in ospedale; NON andate subito in ospedale se perdete invece il tappo mucoso: si tratta di una sostanza gelatinosa che si trova all’ingresso dell’utero per proteggere il vostro bambino. Possono infatti passare anche 15 giorni dalla nascita, e comunque non è detto che lo perdiate prima; se cominciate a sentire le contrazioni regolari: inzialmente le contrazioni sono irregolari e distanziate nel tempo (si chiamano podromi), quando però iniziate ad avvertite tre contrazioni di circa 50 secondi nel giro di 10 minuti, andate in ospedale. In generale, l’ostetrica del corso pre-parto ha consigliato di non recarsi subito in ospedale appena sentite le contrazioni (soprattutto quelle podromiche). Se ve la sentite rimanete a casa per un massimo di due ore ancora. Fatevi una doccia, rilassatevi: ricordatevi che in questo modo trascorrerete meno tempo in ospedale.
Se però la cosa vi crea disagio e l’ambiente casalingo vi è diventato “ostile”, potete ovviamente recarvi dove avete scelto di partorire…e in bocca al lupo!!!
Tag:contrazioni, corso pre-parto, doccia calda, inizio travaglio, movimenti fetali rallentati, ostetrica, perdita acque, perdite ematiche, podromi, pressione alta, quando andare in ospedale, segnali del parto, tappo mucoso Valentina Colmi
Bambino di 19 settimane nato vivo: le foto commuovono il web
Feto di sole 19 settimane nato vivo, eccolo tra le braccia della mamma
L’utero materno quando accoglie un bambino realizza il più alto, complesso e difficile esperimento della natura: genera una nuova vita.
Il corpo di una madre si raddoppia due diventano i cuori, doppie divengono le menti ed infinite sono le sensazioni che madre e figlio condividono.
Questo scambio d’amore dura per circa 40 settimane, termine entro cui la mamma abbraccia (o meglio dovrebbe sempre abbracciare) il suo bambino, perfettamente generato dal suo ventre.
In America è avvenuto un evento straordinario: è nato vivo un feto di sole 19 settimane.
Il bambino, che è difficile persino definire prematuro, è riuscito a sopravvivere autonomamente per poco tempo tuttavia i familiari hanno ritenuto giusto dargli un nome, farlo conoscere alle sorelline piccole e fotografarlo, decidendo poi di pubblicarne le immagini anche in rete.
Partiamo dalle convinzioni della famiglia e da quest’evento nascita luttuoso e inatteso, analizziamo cioè i fatti prima di esprimere qualsivoglia giudizio:
le foto di Walter Joshua Fretz, questo il nome che i genitori hanno scelto per lo sfortunato bambino, sono state pubblicate in rete sul sito dello studio fotografico che le ha scattate (nella sezione famiglia) e da lì sono rimbalzate su facebook.
Su facebook questa presentazione accompagna una delle commoventi foto (nello specifico l’immagine è quella che potete osservare qui a destra):
“Volevo condividere con tutti voi una delle tante foto che abbiamo catturato del nostro dolce, perfetto ragazzino. Anche se era solo di 19 settimane, era perfettamente formato in ogni sua parte (infatti la foto mette in risalto la stretta di mano tra mamma, bambino e papà ndr.).
Abbiamo deciso di chiamarlo Walter Joshua dopo il suo papà e bisnonno. Grazie a tutti voi per il vostro amore e sostegno per la nostra famiglia, per l’appoggio che ci manifestate in questo momento in cui siamo chiamati a superare il dolore.
Stiamo ancora vivendo alla giornata e riusciamo a beneficiare dell’amore di tutti voi che percepiamo!“
Walter è nato la scorsa settimana nello stato dell’Indiana negli Stati Uniti, la sua venuta al mondo è stata inaspettata ed improvvisa. Ed in vero nessuno si attendeva che, dopo le contrazioni irrefrenabili e il parto spontane,o la stessa scienza medica che non ha potuto fermare l’ ”espulsione del feto” dovesse rilevarne la nascita come feto vivo.
Walter è nato vivo dopo sole 19 settimane e tre giorni di gestazione, nessuna incubatrice avrebbe potuto però sostituire il ventre materno. E come tutti prevedevano è spirato assai velocemente.
“Mi alzai, lo abbracciai, mentre il suo cuore batteva.”
Ha detto la madre che ha spiegato la ragione per cui ha voluto fotografare suo figlio e farlo conoscere al mondo. Fondamentalmente la famiglia ha riconosciuto e, a proprio modo, ha rispettato la forza di un bambino che ha voluto vivere anche solo per sentire l’abbraccio caldo e pieno d’amore della sua mamma e del suo papà.
Forse meno condivisibile è la scelta di aver messo quel bimbo nelle braccia delle sorelline piccole a cui tanto dolore e un così grande spavento, difficile da elaborare e metabolizzare, poteva sinceramente essere risparmiato.
Fa impressione l’immagine del bambino con l’anello della madre al braccio. Per parte mia questa foto non è scioccante per le dimensioni del braccino minuscolo del bebè ma piuttosto perché mi pare una promessa di amore eterno anche oltre la morte.
Nulla fa pensare che le immagini siano un falso, sicuramente hanno un retroscena doloroso che non tutti potranno o vorranno accettare, ma nella scelta della famiglia di renderle condivisibili e visibili a tutti c’è un tentativo di inneggiare alla bellezza della vita.
Procura rilassamento alla mamma e dà un maggior senso di protezione e intimità, mentre al bambino rende più soft il passaggio dal mondo uterino al mondo "fuori": sono tanti i motivi per scegliere il parto in acqua.
"Il parto in acqua è un'esperienza che può essere molto piacevole per la partoriente", esordisce Cristina Villa, ostetrica coordinatrice sala parto del Presidio ospedaliero di Sesto San Giovanni - istituti Clinici di Perfezionamento. "Stare immerse in una vasca con acqua a circa 37 °C ha un notevole effetto rilassante e dà sollievo al dolore; in più, la vasca, più ampia di quelle domestiche, consente di assumere di volta in volta le posizioni che risultano più confortevoli: sedute, sdraiate, su un fianco, carponi".
Un ambiente più intimo...
Nella stanza la luce è soffusa e regna il silenzio, perché non c'è il viavai tipico delle sale travaglio; con la partoriente ci sono solo l'ostetrica e il partner – o un'altra persona scelta da lei – mentre il ginecologo viene chiamato solo in caso di necessità. Tutto si svolge in modo da favorire l'intimità: la mamma si sente avvolta in un caldo abbraccio, quasi in uno stato di sospensione, che somiglia un po' alla situazione che il bambino vive nella pancia. Una sensazione di benessere che le consente di lasciarsi andare, di ascoltare i messaggi del corpo e di assecondare la discesa del bambino.
... e meno interventi esterni
Con il parto in acqua gli interventi dell'ostetrica tendono a essere ridotti. "Certo, si seguono protocolli di assistenza standard", precisa l'esperta: "periodicamente si ausculta il battito cardiaco fetale e si fa il monitoraggio, ma sono controlli meno frequenti rispetto al travaglio tradizionale e non c'è bisogno che la donna esca dall'acqua, perché si utilizzano strumenti appositi. Ridotte anche le visite per controllare come procede la dilatazione, che vengono effettuate quando la partoriente esce dalla vasca: per quanto non vi siano controindicazioni specifiche a restare in acqua per tutta la durata del travaglio, infatti, l'invito che si rivolge alle donne è di alternare periodi di immersione a periodi fuori dalla vasca, in cui sdraiarsi sul lettino o appoggiarsi ad altri supporti presenti nella stanza.
Solo il travaglio o anche il parto
La donna può scegliere liberamente se condurre in acqua solo il travaglio o restarci fino alla nascita del bambino. "La vasca consente all'ostetrica di assistere il parto in acqua", prosegue Cristina Villa. "E il bambino non ne risente assolutamente, anzi: appena uscito dalla pancia della mamma, si trova immerso in un ambiente simile a quello in cui ha vissuto per nove mesi e, fino a quando non esce dall'acqua, continua ad arrivargli sangue ossigenato direttamente dal cordone ombelicale".
Un parto più veloce?
Alcuni studi hanno evidenziato con il parto in acqua una riduzione del ricorso a episiotomia e dei tempi del travaglio: "in realtà non si tratta di differenze significative", fa notare l'ostetrica: "è indubbio, però, che più la donna si rilassa, meno è stressata e spaventata, e è più propensa a lasciarsi andare, ed in questo modo ci sono maggiori probabilità che il parto si svolga in modo fisiologico e richieda minori interventi di tipo medico."
Questa procedura, relativamente poco conosciuta, prende il nome dell'infermiera americana Claire Lotus, che negli anni '70 cominciò a propugnare la necessità di non separare artificialmente il bambino appena nato dalla placenta.
Si tratta cioè di una tecnica/filosofia studiata per non interrompere in modo brusco il legame del neonato con la placenta, che è stata per mesi la sua fonte di nutrimento: il cordone, o funicolo, non viene reciso in sala parto, ma si attende che si secchi e si stacchi naturalmente dopo qualche giorno (2-4 in media, ma si arriva anche a una decina).
Oltre al mantenimento del bonding tra mamma e bambino, senza interventi come il clampaggio e il taglio del funicolo (la placenta uscirà una ventina di minuti dopo il parto), la lotus birth consentirebbe anche l'utilizzo del prezioso sangue placentare rimasto nell'organo.
Più sangue al neonato
Dopo il parto, infatti, il funicolo continua a pulsare per altri 3-4 minuti, un'attività che può apportare circa 20 ml di sangue per chilo di peso, cioè 60-80 ml per un bambino di corporatura media.
L'apporto della lotus birth in termini di utilizzo del sangue placentare è tuttavia attualmente in via di superamento grazie alle nuove procedure di taglio del cordone che, dai tradizionali 30 secondi, si tende sempre più spesso a effettuare qualche minuto dopo la nascita. Insomma, basta attendere anche solo un minuto e mezzo prima di tagliare per assicurare al bebè un 20% di sangue in più e almeno 50 milligrammi di ferro, riducendo così le probabilità di anemia.
Pro e contro
Va detto che sia il taglio ritardato sia la lotus birth hanno un effetto collaterale non indifferente: rendono impossibile la donazione del sangue cordonale.
Inoltre, l'unione tra il bimbo e la placenta crea indubbie scomodità nei giorni successivi. L'organo, sempre tenuto in una bacinella, dev'essere lavato e cosparso di sale affinché si secchi senza mandare cattivi odori, e comunque ogni operazione che riguardi il bebè avviene con l'impedimento del cordone.
Ma a fronte di quali vantaggi? Secondo i sostenitori del metodo, ci sarebbe un contatto pelle a pelle immediato e pressoché ininterrotto, con sonni più tranquilli del piccolo e meno pianti. Dal punto di vista fisico, il neonato otterrebbe un maggior apporto di nutrienti, vitamine, minerali, e una minor incidenza di stress respiratori e danni cerebrali.
Per alcuni esperti è soltanto una moda
Secondo la scienza ufficiale, tuttavia, la placenta espulsa si trasforma rapidamente in tessuto morto e come tale non può più offrire alcunché al neonato. Anzi, secondo il Collegio reale dei ginecologi britannici, il sangue residuo rischia di decomporsi e trasmettergli infezioni. Se una mamma decide di optare per questa tecnica – che è praticata in qualche centro nascita italiano – va accuratamente informata dei rischi e il neonato deve essere sottoposto a monitoraggio per evitare complicazioni infettive.
Analoga l'opinione della SIGO, l'associazione dei ginecologi italiani. Secondo il presidente Nicola Surico, "la tecnica della lotus birth – non nuovissima ma che sta tornando alla ribalta – rappresenta soltanto una moda priva di utilità o benefici. Può semmai provocare problemi di tipo igienico e batteriologico".
Se da parecchi anni sappiamo tutto sullo sviluppo dei vari organi nel feto, per quanto riguarda lo sviluppo sensoriale molti aspetti restano ancora misteriosi, in particolare per quanto riguarda la percezione e l'elaborazione delle sensazioni da parte del bebè. Ma è certo che già nel pancione il feto fa esperienza del "mondo fuori".
"L'anatomia fetale si sviluppa secondo un calendario embriogenetico che ormai conosciamo nei minimi dettagli", premette Giovanni Scambia, Direttore del Dipartimento di Ginecologia del Policlinico Gemelli di Roma; "anche lo sviluppo sensoriale segue un calendario ben preciso, che stiamo imparando a conoscere, sia pure in maniera meno dettagliata, perché è difficile stabilire con esattezza la corrispondenza tra lo sviluppo anatomico e l'attivazione delle varie funzioni sensoriali o, ancor più, la percezione cosciente di sensazioni da parte del feto. Sappiamo per certo che i sensi cominciano a formarsi già in epoche precoci della gravidanza, seguendo uno schema che è comune a tutti gli animali".
Il primo a svilupparsi è sicuramente il tatto, che comincia ad attivarsi intorno alla 7a settimana di gravidanza, in particolare a livello delle labbra e delle dita, e consente al piccolo di percepire l'ambiente circostante, di toccare la parete uterina e anche, se si tratta di gemelli, di avvertire la presenza del fratellino, soprattutto se crescono nello stesso sacco amniotico.
Dall'8a settimana comincia lo sviluppo dell'udito. "Questo non significa che il bambino sia già in grado di sentire i suoni", prosegue Scambia: "innanzitutto, si sviluppa il sistema vestibolare, che gli consente di percepire la sua posizione nello spazio e di avvertire i movimenti materni; bisognerà attendere la metà della gravidanza perché il suo apparato uditivo riesca a percepire i suoni interni, come il battito cardiaco e la circolazione sanguigna, e un po' per volta quelli esterni, in primis la voce della sua mamma e poi quella del papà".
Anche il gusto e l'olfatto si sviluppano abbastanza precocemente – i recettori dell'olfatto e le papille gustative compaiono già verso la fine del primo trimestre – e grazie alla composizione del liquido amniotico il feto si abitua un po' per volta a riconoscere l'odore della mamma e i sapori di quel che lei mangia. Si può ipotizzare che tali esperienze contribuiscano a formare i suoi gusti alimentari, che si allineeranno probabilmente a quelli della famiglia e della società in cui nascerà.
L'ultimo senso a svilupparsi è la vista, che gli consentirà di aprire le palpebre solo a 26 settimane e di accorgersi se, ad esempio, la pancia è esposta a una luce intensa diretta.
Già nella vita intrauterina, dunque, il feto ha l'opportunità di fare la prima esperienza di quel che sarà il suo ambiente. "C'è chi sostiene addirittura che tutto quello che il piccolo percepisce con i cinque sensi già in utero possa influenzare il suo temperamento e le sue preferenze future", evidenzia il ginecologo. "Non si può dire che ne sia condizionato al 100%, perché molto influirà anche l'ambiente in cui trascorrerà i primi anni di vita, ma è indubbio che l'esperienza intrauterina dia un imprinting importante e, quando verrà alla luce, il bebè avrà già un suo primo bagaglio di esperienze che lo aiuteranno ad adattarsi al meglio alla nuova vita".