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Oboe sommerso di Salvatore Quasimodo
parafrasi
Oboe sommerso
Esemplìfìca in modo forse estremo il linguaggio oscuramente analogico del primo Quasimodo che avrà ampie zone di contatto con quello del successivo ermetismo fiorentino (i versi della raccolta cui Oboe sommerso dà titolo sono del 1930-1932). Comune denominatore alle due esperienze è la matrice simbolista e surrealista. Non è qui il caso di insistere sulle diversità (di spirito e contenuto, prima che di linguaggio), che ruotano soprattutto attorno all'assenza in Quasimodo di un'ansia metafisica paragonabile a quella degli ermetici più autentici.
L'oscurità del linguaggio attirò anche strali polemici al poeta, tanto che un De Robertis poté parlare di «una finzione di profondi sensi, che diventano nonsensi»; ma è anche vero che proprio la funzione di mediatore di esperienze straniere estreme, sapientemente mescolate a materiali nostrani (da reperti di gusto neoclassico, al simbolismo dannunziano, a certe cadenze ungarettiane) contribuì a costituire quella fortuna del poeta e ancor più dei suoi modi stilistici (Mengaldo li vede alla base «della koinè dell'ermetismo minore"), che solo in tempi recenti è veramente declinata. Tutto è criptico in Oboe sommerso, tutto deve essere intuito o indovinato, sulla scorta dell'eco che le parole nettamente scandite e lungamente assaporate (e sempre ricercate) portano con sé, e dell'esile trama delle suggestioni foniche e timbriche («Un òboe gelido risillaba / gioia di foglie», «Ali oscillano in fioco cielo, / labili», «il cuore trasmigra... gerbido... giorni... maceria» ).
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