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Lussy60.
La sera del dì di festa
Testo
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai né pensi
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E l’antica natura onnipossente,
Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già ch’io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell’artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.
Parafrasi
La notte è dolce e chiara senza vento, e la luna sta immobile sopra i tetti e in mezzo agli orti, e in lontananza si evidenzia ogni montagna. Oh donna mia, già ogni sentiero è silenzioso e attraverso le finestre traspare qua e là una luce notturna: tu dormi poiché un facile sonno ti ha accolto nelle silenziose stanze e non c'è nulla che ti preoccupi e certo non sei consapevole del dolore che mi hai causato.
Tu dormi e io mi affaccio a osservare un cielo così benevolo all'apparenza e l'assoluta potenza della natura che mi ha fatto nascere e soffrire. A te la speranza nego, disse anche quella, e i tuoi occhi possano essere colmi solo di pianto. Questa giornata è stata di festa, ora ti riposi dai divertimenti e forse rivedi in sogno quelli ai quali oggi sei piaciuta e quelli che sono piaciuti a te. Certo, non ci sono io, non che io lo speri, e intanto so quanto mi resta da vivere e mi getto qui in terra e grido, mi agito. Oh giorni orribili, in un'età così giovane ahimè sento non lontano lungo la via del canto solitario dell'artigiano che torna a tarda a notte dopo i divertimenti al suo povero ostello, e crudelmente mi si stringe il cuore, pensando a come tutto al mondo passa, senza quasi lasciare segno. Ecco, il giorno festivo è passato, e adesso arriva quello feriale e il tempo trasporta con sé ogni vicenda umana. Dov'è l'eco delle imprese di quei popolo antichi? Dov'è la fama dei nostri famosi antenati? E il grande impero romano e il frastuono delle armi si diffuse ovunque. Ove tutto è pace e silenzio, e il mondo riposa e di loro non si parla più. Da fanciullo, quando si attende con grande desiderio il giorno di festa e quando poi è finito, e io soffrendo stavo sveglio cercando di dormire, a inoltrata notte un canto che si sentiva in lontananza per i sentieri mi stringeva il cuore già allo stesso modo di adesso.
Analisi
Il poeta compone l'opera utilizzando endecasillabi sciolti e traccia nel testo un'alternanza fra proposizioni brevi e lunghe; i toni presenti sono due: emotivo e riflessivo. Inizialmente predomina quest'ultimo, al quale si sostituisce il primo che mette in primo piano i sentimenti che il poeta prova per la donna. Il passaggio del giorno festivo a quello lavorativo viene messo in rilievo attraverso l'utilizzo di vari enjambements; per l'esempio nei vv. 25-26 il solitario canto dell'artigian e ai vv 31-32 Ecco, è fuggito il giorno di festa. Nella prima parte si ha una descrizione del paesaggio lunare, il quale appare in un momento di grande tranquillità, espressa anche attraverso i termini chiara e dolce. Oltre alla descrizione del paesaggio nei vv 4-10, s'introduce la figura della donna, la quale è oggetto di desiderio del poeta, il cui amore non viene ricambiato. In questa parte l'autore paragona se stesso alla donna, creando un'antitesi, dove egli la descrive come una figura serena ed essa viene colta nel brano durante un dolce riposo, mentre il poeta diversamente è afflitto dall'angoscia, destinato a piangere e soffrire, con la consapevolezza di non avere neanche una speranza sulla quale poter contare. Altra presenza nel testo è quella della teoria della visione nei vv 5-6 pei balconi rara traluce la notturna lampa, in quanto la presenza della luce determina un impedimento della stessa ad un'irradiazione completa e nel vv 6 la parola lampa rivela un linguaggio aulico che prevale su quello comune. I vv 11-16 esprimono il dolore che egli prova a causa della natura; infatti nei vv 14-17 A te.......pianto, la natura maledice il poeta, affermando l'inesistenza di un rimedio nei vv 14-15 col termine speme. Procedendo, nei vv 21-24, si descrive la sofferenza del poeta che raggiunge il limite, sottolineato soprattutto nei vv 22-23 e qui per terra mi getto e grido e fremo. Nei vv 24-33, si evidenzia il cambiamento di tema rispetto alla prima parte, in quanto si parla non più del rapporto poeta-donna, ma di quello tra poeta e tempo, dinnanzi al quale il poeta si mostra insofferente, in quanto, a seguito dell'amore del quale è stato privato, ne teme il suo procedere. Nei vv 33-39 il poeta tocca l'ambito storico domandandosi che fine ha fatto il popolo romano e ciò viene espresso nei vv 33-37 Or dov'è....l'oceano?. I vv 40-46 infine terminano l'opera descrivendo il tempo dell'infanzia, espresso del v. 40 Nella mia prima età.....!. Le ultime parole descrivono un ricordo del passato che rispecchia il presente del poeta, in quanto in entrambi i periodi il canto da l'idea dell'infinità del tempo e della natura. All'interno della poesia l'autore ricorre alla poetica del vago e dell'indefinito: infatti l'idillio comincia descrivendo un paesaggio notturno, il quale è illuminato dalla luce lunare, la quale è un'immagine espressiva del vago e dell'indefinito, in quanto dà all'uomo l'illusione di poter raggiungere l'infinito. Sin dalla prima parte del testo si ha un'idea della vastità dello spazio, e ciò lo possiamo intuire osservando i termini la notte, tetti e gli orti, attraverso i quali esprime un senso di lontananza, dalla quale scaturisce una suggestione vaga; per esempio nei vv. 45-46 compaiono le parole similmente, stringeva, e lontanando. Oltre ai temi del vago e dell'indefinito, Leopardi ne inserisce altri, presenti nel brano poetico Infinito e, anche in questo caso, possiamo cogliere subito queste tematiche attraverso elementi visivi, ad esempio nei vv 1-4 Il paesaggio iniziale, e elementi uditivi, ad esempio nel v. 25 il canto dell'artigiano. Questi elementi pertanto, così come accade nell'opera Infinito, arrivano ad elaborare un concetto finale, il quale è presente nei vv. 40-46 che sottolineano come tutte le infelicità del poeta abbiano poca importanza, poiché esse sono destinate a scomparire con l'andare del tempo.La quiete dopo la tempesta,
Spiegazione della poesia
Nella poesia intitolata: “la quiete dopo la tempesta “ scritta da
giacomo leopardi , è una canzone libera costituita da 3 strofe di endecasillabi e settenari liberamente alternati e rimati. Parla del paese di Recanati dopo la tempesta ovvero quando il sole ritorna a illuminare le case di campagna e come e famiglie si affrettano ad aprire i balconi e le terrazze che avevano chiuso per la pioggia, e di tutti gli animali e le carrozze ferme che riprendono la loro strada e tutte le persone continuano a fare il proprio lavoro bloccato dalla tempesta. Facendo rallegrare, così il cuore di tutte le persone facendo tornare la gioia di vivere. Facendo cosi capire che prima la vita era più calma silenziosa e piena di sapori antichi che facevano sognare.
La poesia, come già detto, è divisa in 3 strofe dove la 1 fa da introduzione ed è descrittiva raccontando del paesaggio dopo la tempesta, la 2 riflessiva, la quale è strutturata su 2 osservazioni la 1 il piacere dell’uomo dopo l’affanno della tempesta e la 2 dove la tempesta diventa metafora dei pericoli ben più vasti e straordinari che minacciano gli uomini. Questa strofa è costituita su una successione di interrogativi che il poeta pone verso la natura. La 3 strofa fa peso su due momenti ironici dove il 1 e la natura che per amore del genere umano sparge dolori la 2 dove la specie umana è cara agli dei e che solo la morte li può liberare dai dolori.
Oggi, piuttosto, la vita è più frenetica piena di rumore e non si riesce a respirare aria buona poiché è tutto inquinato in città e in paese e il temporale è visto come un fattore molto naturale della natura, rispetto A prima dove il temporale era visto come fattore d’infelicità dato dalla natura.Parafrasi
La tempesta è passata, sento gli uccelli far festa, e la gallina, tornata sulla strada che ripete il suo verso. Ecco che il sereno rompe le nuvole là da occidente, verso la montagna; la campagna si libera dalle nubi e lungo la valle appare chiaro e ben distinto il fiume. Ogni animo si rallegra, da ogni parte riprendono i soliti rumori e riprende il consueto lavoro. L’artigiano, con il lavoro in mano, si avvicina cantando verso l’uscio a guardare il cielo umido; esce fuori la giovane ragazza (la popolana) per vedere se sia possibile raccogliere l’acqua della pioggia da poco caduta; e l’ortolano ripete di sentiero in sentiero il consueto richiamo giornaliero.
Ecco che ritorna nel cielo il sole, eccolo che sorride per i poggi e per i casolari. La servitù apre le finestre, apre le porte dei terrazzi e delle logge: e dalla strada principale si sente un tintinnio di sonagli; il carro del viandante che riprende il suo viaggio stride.
Ogni animo si rallegra. Quando la vita è così dolce e così gradita come ora? Quando l’uomo si dedica con così tanto amore alle proprie occupazioni come in questo momento? O torna al lavoro? O intraprende una nuova attività? Quando si ricorda un po’ di meno dei suoi mali? Il piacere è figlio del dolore, è solo una gioia vana (un illusione), frutto del timore ormai passato, è frutto di quella paura che scosse chi odiava la vita ed ebbe terrore della morte; a causa della quale le persone fredde, silenziose, pallide sudarono ed ebbero il batticuore nel vedere fulmini, nuvole e vento diretti a colpirci.
O natura benevola, sono questi i tuoi doni, sono questi i piaceri che tu porgi ai mortali. Fra noi il piacere è uscire dalla paura, cessare di soffrire. Tu spargi in abbondanza dolore; il dolore nasce spontaneamente: e quel nostro piacere che ogni tanto per prodigio e per miracolo nasce dal dolore, è un gran guadagno. O genere umano caro agli dei! ti puoi ritenere molto felice se ti è concesso di tirare il respiro da qualche dolore: ti puoi ritenere beato se la morte ti guarisce da ogni dolore..