Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

parafrasi- "alla primavera"( G. Leopardi).

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    parafrasi "alla primavera" di leopardi.



    VII - ALLA PRIMAVERA, O DELLE FAVOLE ANTICHE

    Perchè i celesti danni
    ristori il sole, e perchè l'aure inferme
    Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
    Delle nubi la grave ombra s'avvalla;
    Credano il petto inerme
    Gli augelli al vento, e la diurna luce
    Novo d'amor desio, nova speranza
    Ne' penetrati boschi e fra le sciolte
    Pruine induca alle commosse belve;
    Forse alle stanche e nel dolor sepolte
    Umane menti riede
    La bella età, cui la sciagura e l'atra
    Face del ver consunse
    Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
    Di febo i raggi al misero non sono
    In sempiterno? ed anco,
    Primavera odorata, inspiri e tenti
    Questo gelido cor, questo ch'amara
    Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?

    Vivi tu, vivi, o santa
    Natura? vivi e il dissueto orecchio
    Della materna voce il suono accoglie?
    Già di candide ninfe i rivi albergo,
    Placido albergo e specchio
    Furo i liquidi fonti. Arcane danze
    D'immortal piede i ruinosi gioghi
    Scossero e l'ardue selve (oggi romito
    Nido de' venti): e il pastorel ch'all'ombre
    Meridiane incerte ed al fiorito
    Margo adducea de' fiumi
    Le sitibonde agnelle, arguto carme
    Sonar d'agresti Pani
    Udì lungo le ripe; e tremar l'onda
    Vide, e stupì, che non palese al guardo
    La faretrata Diva
    Scendea ne' caldi flutti, e dall'immonda
    Polve tergea della sanguigna caccia
    Il niveo lato e le verginee braccia.

    Vissero i fiori e l'erbe,
    Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
    Aure, le nubi e la titania lampa
    Fur dell'umana gente, allor che ignuda
    Te per le piagge e i colli,
    Ciprigna luce, alla deserta notte
    Con gli occhi intenti il viator seguendo,
    Te compagna alla via, te de' mortali
    Pensosa immaginò. Che se gl'impuri
    Cittadini consorzi e le fatali
    Ire fuggendo e l'onte,
    Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime
    Selve remoto accolse,
    Viva fiamma agitar l'esangui vene,
    Spirar le foglie, e palpitar segreta
    Nel doloroso amplesso
    Dafne o la mesta Filli, o di Climene
    Pianger credè la sconsolata prole
    Quel che sommerse in Eridano il sole.

    Nè dell'umano affanno,
    Rigide balze, i luttuosi accenti
    Voi negletti ferìr mentre le vostre
    Paurose latebre Eco solinga,
    Non vano error de' venti,
    Ma di ninfa abitò misero spirto,
    Cui grave amor, cui duro fato escluse
    Delle tenere membra. Ella per grotte,
    Per nudi scogli e desolati alberghi,
    Le non ignote ambasce e l'alte e rotte
    Nostre querele al curvo
    Etra insegnava. E te d'umani eventi
    Disse la fama esperto,
    Musico augel che tra chiomato bosco
    Or vieni il rinascente anno cantando,
    E lamentar nell'alto
    Ozio de' campi, all'aer muto e fosco,
    Antichi danni e scellerato scorno,
    E d'ira e di pietà pallido il giorno.

    Ma non cognato al nostro
    Il gener tuo; quelle tue varie note
    Dolor non forma, e te di colpa ignudo,
    Men caro assai la bruna valle asconde.
    Ahi ahi, poscia che vote
    Son le stanze d'Olimpo, e cieco il tuono
    Per l'atre nubi e le montagne errando,
    Gl'iniqui petti e gl'innocenti a paro
    In freddo orror dissolve; e poi ch'estrano
    Il suol nativo, e di sua prole ignaro
    Le meste anime educa;
    Tu le cure infelici e i fati indegni
    Tu de' mortali ascolta,
    Vaga natura, e la favilla antica
    Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi,
    E se de' nostri affanni
    Cosa veruna in ciel, se nell'aprica
    Terra s'alberga o nell'equoreo seno,
    Pietosa no, ma spettatrice almeno.
     
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