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"La vertigine" di Pascoli.
parafrasi-analisi testuale...
La cosiddetta poesia cosmica di Pascoli allontana per un momento l'attenzione del poeta dalla contemplazione quasi ossessiva dei piccoli particolari della vita della natura e lo fa rivolgere al cielo, fino a misurarsi con le grandi categorie universali dello spazio e del tempo, dando vita a sensazioni forti di straniamento dalla realtà, di autentico spossessamento di certezze fisiche, fino all'abbandono inerte a dimensioni surreali.
La vertigine è un'originalissima condizione psicofisica di totale abbandono alle forze imponderabili del cosmo, che paiono incredibilmente risucchiare il corpo ( e la mente ) del poeta, vittime della forza centripeta della Terra, improvvisamente incapace di attrarre alla sua superficie gli esseri che la popolano. Il vento cosmico trascina dolcemente ma irrevocabilmente l'uomo verso la profondità infinita dello spazio-tempo, fino ad un termine ultimo che non è dato di conoscere. La morte - concettualmente - può intendersi come tale limite invalicabile.
Ecco che tutto pare anticipare un'esperienza religiosa, in quanto il poeta non sembra voler vivere passivamente tale spossessamento e desidera rintracciare l'oggetto della sua finale speranza, cogliendo una verità ed un senso ultimo nella sua esperienza di uomo.
non trovar fondo, non trovar mai posa,
da spazio immenso ad altro spazio immenso;
forse, giù giù, via via, sperar... che cosa?
E' la ricerca di Dio, che tuttavia si rivela vana. La dimensione della positiva fede religiosa sfugge all'animo di Pascoli, avvolto angosciosamente nel mistero della vita.
La sosta! Il fine! Il termine ultimo! Io,
io te, di nebulosa in nebulosa,
di cielo in cielo, in vano e sempre, Dio. -
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