Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

Giuseppe Verdi

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    Giuseppe Fortunino Francesco Verdi nasce il 10 ottobre 1813 a Roncole di Busseto, in provincia di Parma. Il padre, Carlo Verdi, è un oste, la madre invece svolge il lavoro della filatrice. Fin da bambino prende lezioni di musica dall'organista del paese, esercitandosi su una spinetta scordata regalatagli dal padre. Gli studi musicali proseguono in questo modo sconclusionato e poco ortodosso fino a quando Antonio Barezzi, commerciante e musicofilo di Busseto affezionato alla famiglia Verdi e al piccolo Giuseppe, lo accoglie in casa sua, pagandogli studi più regolari ed accademici.

    Nel 1832 Verdi si trasferisce quindi a Milano e si presenta al Conservatorio, ma incredibilmente non viene ammesso per scorretta posizione della mano nel suonare e per raggiunti limiti di età. Poco dopo viene richiamato a Busseto a ricoprire l'incarico di maestro di musica del comune mentre, nel 1836, sposa la figlia di Barezzi, Margherita.

    Nei due anni successivi nascono Virginia e Icilio. Intanto Verdi comincia a dare corpo alla sua vena compositiva, già decisamente orientata al teatro e all'Opera, anche se l'ambiente milanese, influenzato dalla dominazione austriaca, gli fa anche conoscere il repertorio dei classici viennesi, soprattutto quello del quartetto d'archi.

    Nel 1839 esordisce alla Scala di Milano con "Oberto, conte di San Bonifacio" ottenendo un discreto successo, purtroppo offuscato dall'improvvisa morte, nel 1840, prima di Margherita, poi di Virginia e Icilio. Prostrato e affranto non si dà per vinto. Proprio in questo periodo scrive un'opera buffa "Un giorno di regno", che si rivela però un fiasco. Amareggiato, Verdi pensa di abbandonare per sempre la musica, ma solo due anni più tardi, nel 1942, il suo "Nabucco" ottiene alla Scala un incredibile successo, anche grazie all'interpretazione di una stella della lirica del tempo, il soprano Giuseppina Strepponi.

    Iniziano quelli che Verdi chiamerà "gli anni di galera", ossia anni contrassegnati da un lavoro durissimo e indefesso a causa delle continue richieste e del sempre poco tempo a disposizione per soddisfarle. Dal 1842 al 1848 compone a ritmi serratissimi. I titoli che sforna vanno da "I Lombardi alla prima crociata" a "Ernani", da "I due foscari" a "Macbeth", passando per "I Masnadieri" e "Luisa Miller". Sempre in questo periodo, fra l'altro, prende corpo la sua relazione con Giuseppina Strepponi.

    Nel 1848 si trasferisce a Parigi iniziando una convivenza alla luce del sole con la Strepponi. La vena creativa è sempre vigile e feconda, tanto che dal 1851 al 1853 compone la celeberrima "Trilogia popolare", notissima per i tre fondamentali titoli ivi contenuti, ossia "Rigoletto", "Trovatore" e "Traviata" (a cui si aggiungono spesso e volentieri anche "I vespri siciliani").
    Il successo di queste opere è clamoroso.
    Conquistata la giusta fama si trasferisce con la Strepponi nel podere di Sant'Agata, frazione di Villanova sull'Arda (in provincia di Piacenza), dove vivrà gran parte del tempo.

    Nel 1857 va in scena "Simon Boccanegra" e nel 1859 viene rappresentato "Un ballo in maschera". Nello stesso anno sposa finalmente la sua compagna.

    Alla sua vita artistica si aggiunge dal 1861 anche l'impegno politico. Viene eletto deputato del primo Parlamento italiano e nel 1874 è nominato senatore. In questi anni compone "La forza del destino", "Aida" e la "Messa da requiem", scritta e pensata come celebrazione per la morte di Alessandro Manzoni.

    Nel 1887, all'incredibile età di ottant'anni, dà vita all'"Otello", confrontandosi ancora una volta con Shakespeare; nel 1893 con l'opera buffa "Falstaff", altro unico e assoluto capolavoro, dà addio al teatro e si ritira a Sant'Agata. Giuseppina muore nel 1897.

    Giuseppe Verdi muore il 27 gennaio 1901 presso il Grand Hotel et De Milan, in un appartamento dove era solito alloggiare durante l'inverno. Colto da malore spira dopo sei giorni di agonia. I suoi funerali si svolgono come aveva chiesto, senza sfarzo né musica, semplici come la sua vita era sempre stata.
     
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    Giuseppe Fortunino Francesco Verdi (Roncole Verdi, 10 ottobre 1813 – Milano, 27 gennaio 1901) è stato un compositore italiano, autore di melodrammi che fanno parte del repertorio operistico dei teatri di tutto il mondo.

    Vita e opere
    Giuseppe Verdi nacque nelle campagne della bassa parmense, a Roncole, frazione di Busseto, il 10 ottobre 1813 da Carlo, oste e rivenditore di generi alimentari, e Luigia Uttini, filatrice. Carlo proveniva da una famiglia di agricoltori piacentini (stesse origini della moglie) e, dopo aver messo da parte un po' di denaro aveva aperto una modesta osteria nella casa di Roncole, la cui conduzione alternava al lavoro dei campi. L'atto di nascita fu redatto in francese, appartenendo in quegli anni Busseto e il suo territorio all'Impero francese creato da Napoleone.
    Pur essendo un giovane di umile condizione sociale, riuscì tuttavia a seguire la propria vocazione di compositore grazie alla buona volontà e al desiderio di apprendere dimostrato. L'organista della chiesa di Roncole, Pietro Baistrocchi, lo prese infatti a benvolere e gratuitamente lo indirizzò verso lo studio della musica e alla pratica dell'organo. Più tardi, Antonio Barezzi, un negoziante amante della musica e direttore della locale società filarmonica, convinto che la fiducia nel giovane non fosse mal riposta, divenne suo mecenate e protettore aiutandolo a proseguire gli studi intrapresi.
    La prima formazione del futuro compositore avvenne tuttavia sia frequentando la ricca biblioteca della Scuola dei Gesuiti a Busseto, ancora esistente, sia prendendo lezioni da Ferdinando Provesi, maestro dei locali filarmonici, che gli insegnò i principi della composizione musicale e della pratica strumentale. Verdi aveva solo quindici anni quando, nel 1828, una sua sinfonia d'apertura venne eseguita, in luogo di quella di Rossini, nel corso di una rappresentazione di Il barbiere di Siviglia al teatro di Busseto. Nel 1832 si stabilì a Milano, grazie all'aiuto economico di Antonio Barezzi e ad una "pensione" elargitagli dal Monte di Pietà di Busseto. A Milano tentò inutilmente di essere ammesso presso il locale prestigioso Conservatorio e fu per diversi anni allievo di Vincenzo Lavigna, maestro concertatore alla Scala. Nel 1836 sposò Margherita Barezzi, ventiduenne figlia del suo benefattore, con la quale due anni più tardi andò a vivere a Milano in una modesta abitazione a Porta Ticinese. Nel 1839 riuscì finalmente, dopo quattro anni di lavoro, a far rappresentare la sua prima opera alla Scala: era l'Oberto, Conte di San Bonifacio, su libretto originale di Antonio Piazza, largamente rivisto e riadattato da Temistocle Solera. L'Oberto era un lavoro di stampo donizettiano, ma alcune sue peculiarità drammatiche piacquero al pubblico tanto che l'opera ebbe un buon successo e quattordici repliche.


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    Nabucco
    Visto l'esito dell'Oberto, l'impresario della Scala Bartolomeo Merelli gli commissionò la commedia Un giorno di regno, andata in scena con esito disastroso. L'insuccesso dell'opera fu dovuto, con ogni probabilità, alle condizioni in cui fu composta. Un tremendo dolore attanagliava Verdi a causa della tragedia familiare che aveva vissuto: la morte della moglie e dei figli avuti da lei. La prima ad andarsene era stata la piccola Virginia Maria, nata nel marzo 1837 e morta nell'agosto 1838; Icilio Romano, nato nel luglio 1838, era morto invece nell'ottobre 1839. Infine la loro madre Margherita era spirata nel giugno 1840. Verdi era solo, privo ormai della sua famiglia. Ciò aveva gettato il musicista nel più profondo sconforto, e per ironia della sorte l'opera che gli era stata richiesta doveva essere comica.
    Fu ancora Merelli a convincerlo a non abbandonare la lirica, consegnandogli personalmente un libretto di soggetto biblico, il Nabucco, scritto da Temistocle Solera, che Verdi accettò di musicare. L'opera andò in scena il 9 marzo 1842 al Teatro alla Scala e il successo fu questa volta trionfale. Venne replicata ben 64 volte solo nel suo primo anno di esecuzione.
    Con Nabucco iniziò la parabola ascendente di Verdi. Sotto il profilo musicale l'opera presenta ancora un impianto belcantistico, in linea con i gusti del pubblico italiano del tempo, ma teatralmente è un'opera riuscita, nonostante la debolezza e alcune ingenuità del libretto. Lo sviluppo dell'azione è rapido, incisivo, e tale caratteristica avrebbe contraddistinto anche la successiva, e più matura, produzione del compositore. Alcuni personaggi, come Nabucodonosor e Abigaille, sono fortemente caratterizzati sotto il profilo drammaturgico, così come il popolo ebraico, che si esprime in forma corale, unitaria, e che forse rappresenta il protagonista vero di questa prima, significativa, creazione verdiana. Uno dei cori dell'opera, il celebre Va pensiero finì col divenire una sorta di canto doloroso o inno contro l'occupante austriaco, diffondendosi rapidamente in Lombardia e nel resto d'Italia.

    Gli "anni di galera"

    Nabucco segnò l'inizio di una folgorante carriera. Per quasi dieci anni Verdi scrisse mediamente un'opera all'anno, Da I Lombardi alla prima crociata a La battaglia di Legnano, passando per I due Foscari, Giovanna d'Arco, Alzira, Attila, Il corsaro, I masnadieri, Ernani e Macbeth. Tali opere giovanili, ad eccezione delle due ultime, pur presentando talvolta al loro interno pagine di acceso lirismo e una lucida visione dei meccanismi e delle dinamiche teatrali, non danno testimonianza di un'evoluzione del maestro verso forme musicali e drammaturgiche più personali e si adagiano su schemi già sperimentati in passato e legati alla tradizione melodica italiana precedente. Furono creazioni generalmente di successo rappresentate in molti teatri italiani ed europei, ma composte spesso su commissione, con ritmi di lavoro talvolta massacranti e non sempre sorrette da una genuina ispirazione. Per tale ragione Verdi definì questo periodo della propria vita "gli anni di galera". Fra la produzione verdiana dell'epoca spiccano senz'altro, per forza drammaturgica e fascino melodico due opere, Ernani e Macbeth.

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    Il monumento a Giuseppe Verdi a Trieste




    Macbeth
    Tratta dall'omonimo dramma di Victor Hugo, Ernani fu concepito da Verdi fin dall'estate del 1843. Musicato nell'inverno successivo su libretto di Francesco Maria Piave, venne presentato al pubblico veneziano in marzo. La vicenda, ricca di colpi di scena e incentrata su un triplice amore, diede la possibilità a Verdi di approfondire la caratterizzazione di alcuni personaggi dal punto di vista drammaturgico e di iniziare ad affrancarsi dall'influsso dei grandi compositori italiani dei primi decenni dell'Ottocento: Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti.
    Macbeth, presentata al Teatro La Pergola di Firenze nel 1847, è con ogni probabilità il capolavoro giovanile di Verdi. Musicata su libretto di Francesco Maria Piave, si ispira alla tragedia omonima di William Shakespeare. Negli ultimi decenni è stata sottoposta a un intenso processo di rivalorizzazione, anche se generalmente viene rappresentata nella sua veste definitiva del 1865, riveduta e ampliata dal compositore bussetano. L'opera, dalle potenti connotazioni drammatiche, si differenzia dalle precedenti per un maggiore approfondimento psicologico dei protagonisti della tragedia (Macbeth e Lady Macbeth), preannunciando, col suo debordante lirismo, la trilogia popolare di un Verdi entrato nella sua piena maturità espressiva.
    Nel 1849, venne presentata al pubblico napoletano Luisa Miller, opera meno affascinante di Macbeth, ma importante per l'evoluzione dello stile musicale e della drammaturgia verdiana. L'orchestrazione si fa più raffinata che in passato, il recitativo più incisivo e il compositore scava nella psiche della protagonista come mai aveva forse fatto prima di allora. Anche nella creazione successiva, Stiffelio, rappresentata per la prima volta a Trieste nel 1850, Verdi portò avanti quel lavoro di caratterizzazione psicologica del personaggio centrale, iniziato con Macbeth e proseguito in Luisa Miller. L'opera presentava però alcune debolezze strutturali, dovute in parte ai drastici tagli operati dalla censura austriaca, che non le permisero di imporsi al grande pubblico italiano ed europeo. Ancor oggi Stiffelio è rappresentato raramente.


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    La trilogia popolare
    Un anno più tardi, con Rigoletto (Venezia, 1851), Verdi si sarebbe imposto come il massimo operista italiano del suo tempo. Rigoletto fu seguito da altri due capolavori assoluti, Il trovatore e La traviata, che formano con esso la cosiddetta "trilogia popolare", o (più impropriamente) "romantica", del compositore bussetano. Tratto da una pièce di Victor Hugo, Le roi s'amuse, Rigoletto è un'opera profondamente innovativa, sotto il profilo drammaturgico e musicale. Per la prima volta al centro della vicenda di un'opera drammatica troviamo un buffone di corte, cioè un personaggio che, utilizzando una terminologia moderna, potremmo definire un "emarginato sociale". La dimensione emotiva dei protagonisti è colta da Verdi magistralmente attraverso una partitura messa al servizio del dramma e di straordinaria bellezza melodica. Azione e musica sembrano rincorrersi e sostenersi mutuamente in una vicenda che ha un ritmo di sviluppo rapido, senza cedimenti né parti superflue.
    Il miracolo si ripeté con Il trovatore (Roma, 1853), opera dall'impianto più tradizionale, ma altrettanto affascinante. Dramma di grande originalità oltretutto, perché si struttura su una vicenda povera di avvenimenti e dove i protagonisti o sono proiettati verso un futuro gravido di incognite, o immersi nei ricordi di un passato lontano che ne condiziona l'azione e che li sospinge verso un destino di morte ineluttabile. Con quest'opera Verdi scrisse alcune fra le sue pagine più alte, ricche di patetismo e suggestioni tardo-romantiche che sarebbero nuovamente emerse pochi mesi più tardi, nella terza opera, in ordine cronologico, della trilogia: La traviata.

    La traviata (Venezia, 1853) ruota attorno alla storia di una cortigiana travolta dall'amore per un giovane di buona famiglia. Più che su alcuni accadimenti esteriori, la vicenda viene vissuta all'interno della coscienza della protagonista la cui natura umana è scandagliata da Verdi in tutte le sue minime sfumature. Le scelte stilistiche del grande compositore risultano sempre adeguate alla complessa drammaturgia dell'opera e si traducono in un raffinamento orchestrale e in una complessità armonica la cui modernità non venne all'epoca pienamente recepita. Oggigiorno alcuni critici considerano La Traviata una vera e propria pietra miliare nella creazione del dramma borghese degli ultimi decenni dell'Ottocento e ne evidenziano l'influenza su Puccini e gli autori veristi suoi contemporanei.

    L'esperienza parigina e Sant'Agata
    Con la "trilogia popolare", Verdi si era imposto come il più celebre musicista del suo tempo. Eugène Scribe, all'epoca librettista dell'Opéra di Parigi, propose al compositore un testo in francese per un'opera da rappresentare nella Ville Lumière. Non senza esitazioni, Verdi accettò. Ne uscì un'opera, Les vêpres siciliennes (1855), di notevole impatto musicale ma poco convincente sotto il profilo drammaturgico. L'opera, inquadrabile nel genere del Grand opéra, con spettacolari messe in scena, coreografie e movimenti di massa, poco si addiceva al genio verdiano, approdato con la Traviata a un tipo di drammaturgia più intimista, psicologica. Maggior successo avrebbe avuto, pochi mesi più tardi, la versione italiana dell'opera, I vespri siciliani (Parma, 1855), con la quale si sono cimentati, nel secondo dopoguerra alcuni fra i maggiori direttori d'orchestra e interpreti della grande lirica internazionale (celebre la rappresentazione scaligera di De Sabata-Callas del 1951).
    In quegli anni riaffiorò prepotente in lui, ormai compositore affermato, ricco e noto al pubblico internazionale, il fascino della campagna. Pertanto, nel maggio 1848 Verdi acquistò dai signori Merli la villa di Sant'Agata, una frazione di Villanova sull'Arda (provincia di Piacenza), dove diventò anche consigliere comunale. Qui si stabilì tre anni più tardi, insieme alla sua nuova compagna, il soprano Giuseppina Strepponi, che sposò nel 1859. La fattoria finì con l'assorbire gran parte del tempo del Maestro, almeno tutto quello che la musica gli lasciava libero e così, via via, col passare degli anni, l'amore per la campagna diventò, per lui, quasi una mania. Le lettere indirizzate al fattore sono una riprova di quanto il "cigno di Busseto" fosse esperto in fatto di pioppicultura, di allevamento di cavalli, di irrigazione dei campi, di enologia. Quanto poi fosse competente e si tenesse al corrente delle ultime novità si può dedurre da una lettera, datata marzo 1888 ed indirizzata ai fratelli Ingegnoli che gli avevano mandato in omaggio sei cachi di cui avevano appena iniziato, in Italia, la coltivazione; Verdi se ne mostrò subito entusiasta, auspicandone la diffusione su tutto il territorio nazionale.


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    Gli anni della maturità
    La seconda metà degli anni cinquanta dell'Ottocento, furono, per il compositore, anni di travaglio: Verdi poteva finalmente comporre senza fretta, ma l'intero mondo musicale stava lentamente cambiando. Sui palcoscenici italiani, il Simon Boccanegra, presentato al pubblico veneziano nel 1857, non piacque. Il dramma, prettamente politico, non aveva quei risvolti sentimentali che tanto appassionavano il pubblico del tempo e dovette attendere quasi cinque lustri e una rielaborazione radicale (cui collaborò anche Arrigo Boito) per imporsi definitivamente nel repertorio lirico italiano ed internazionale (1881).
    Due anni più tardi vedeva la luce, dopo varie vicissitudini prima con la censura napoletana (che in pratica rese impossibile la sua rappresentazione), poi con quella romana, Un ballo in maschera (Roma, 1859), opera di successo nella quale Verdi mescolò, con sapiente dosaggio, elementi procedenti dal teatro tragico e da quello leggero. Creazione musicalmente e drammaturgicamente raffinata, dallo stile elegante e delicato, in Un ballo in maschera affiora un'umanità vagamente inquieta, non esente da ambiguità, che trova nella relazione fra i due protagonisti i suoi momenti liricamente più elevati.
    Un interessante connubio di elementi comici e tragici (con decisa prevalenza di questi ultimi), si realizza nella Forza del destino (San Pietroburgo, 1862). L'opera possiede un indubbio vigore musicale anche se appare in alcuni punti meno compatta, meno unitaria della precedente sotto il profilo teatrale. Ne La forza del destino Verdi riesce tuttavia ad elaborare un linguaggio ancor più realistico che in passato, anticipando l'opera successiva, il Don Carlos, presentato al pubblico parigino nel 1867.
    Don Carlos è oggi considerato uno dei grandi capolavori verdiani. In quest'opera il compositore, pur facendo proprie alcune impostazioni del Grand opéra (fra cui l'articolazione in cinque atti, l'inserimento di un balletto fra il terzo e quarto atto e la creazione di alcune scene particolarmente spettacolari), riesce a scavare in profondità nella psicologia dei protagonisti, offrendoci una poderosa raffigurazione del dramma umano e politico che sconvolse la Spagna nella seconda metà del XVI secolo e che ruota attorno alla logica spietata della ragion di stato.
    Tale periodo di massima maturazione umana ed artistica culminò con Aida, commissionata dal kedivè d'Egitto e andata in scena la vigilia di Natale del 1871. Aida costituisce un ulteriore, grande passo in avanti verso la modernità. Il quasi completo abbandono dei pezzi a forma chiusa, l'uso ancor più accentuato che in passato di temi e motivi musicali ricorrenti potrebbero fare accostare tale opera al dramma wagneriano. In realtà Verdi aveva seguito un percorso del tutto autonomo in Aida, opera fondamentalmente intimista e poggiata su una vocalità dalle caratteristiche prettamente italiane. Ricordiamo a questo proposito che la prima opera wagneriana ad essere rappresentata in Italia fu il Lohengrin a Bologna, e ciò avvenne dopo la prima esecuzione dell'Aida. Verdi era tuttavia già al corrente di alcune innovazioni musicali del grande compositore tedesco, verso il quale inizialmente non nutriva molta stima.
    Dopo Aida, Verdi decise di ritirarsi a vita privata. Iniziò così il periodo del grande silenzio – sia pure interrotto dalla Messa di Requiem scritta in occasione della morte di Alessandro Manzoni – durante il quale il rude contadino di Roncole di Busseto meditò sui grandi mutamenti artistici in corso nel mondo. A far uscire Verdi dall'isolamento fu Arrigo Boito, il compositore scapigliato che lo aveva pubblicamente offeso nel 1863 ritenendolo causa del provincialismo e dell'arretratezza della musica italiana del tempo.

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    Gli ultimi capolavori
    Con gli anni Boito aveva compreso che solo Verdi avrebbe potuto portare l'Italia musicale al passo con l'Europa e, col fondamentale aiuto dell'editore Giulio Ricordi, si riconciliò con lui. Primo frutto della collaborazione fra il grande musicista e l'ex scapigliato fu il rifacimento del Simon Boccanegra rappresentato con grande successo al Teatro alla Scala di Milano nel 1881. Seguirono a distanza di alcuni anni due opere memorabili: Otello e Falstaff, entrambi frutto delle fatiche letterarie di Boito, che si occupò della stesura dei rispettivi libretti, e di Verdi che ne compose la musica. Si tratta di due capolavori assoluti del grande bussetano, ormai prossimo alla concezione wagneriana del dramma ma senza pagare un solo tributo allo stile del suo coetaneo d'oltralpe. In Boito Verdi poté trovare un collaboratore prezioso, che seppe essere all'altezza delle proprie concezioni drammaturgiche, un intellettuale di notevole spessore culturale, duttile nella versificazione e a sua volta musicista, ovvero capace di pensare la poesia in funzione della musica. Le due opere, entrambe rappresentate alla Scala, ebbero esiti diversi. Se Otello incontrò immediatamente i gusti del pubblico, affermandosi stabilmente in repertorio, Falstaff lasciò, in un primo momento, perplesso il grande pubblico verdiano e, più in generale, i melomani italiani. Per la prima volta dopo lo sfortunato Un giorno di regno infatti, l'anziano Verdi si cimentava nel teatro comico, ma con la sua estrema commedia aveva accantonato in un sol colpo tutte le convenzioni formali dell'opera italiana, dando prova di una vitalità artistica, di uno spirito aperto alla modernità e di un'energia creativa sorprendenti. Falstaff fu sempre amato dai compositori ed esercitò un influsso decisivo sui giovani operisti, da Puccini agli autori della Generazione dell'Ottanta.
    Verdi trascorse gli ultimi anni tra Sant'Agata e Milano. Nel 1897 la moglie Giuseppina morì, lasciandolo solo nella sua lunga vecchiaia. Nel 1899 istituì l'Opera Pia - Casa di Riposo per i Musicisti: redigendo il testamento, stabilì molti legati destinati ad essa e a vari altri enti sociali, mentre istituì erede universale delle sue ingenti ricchezze una cugina (da parte di padre) di Busseto, Filomena Verdi, la cui storia è quella di una fortunata Cenerentola. Di famiglia poverissima, aveva abitato con Carlo Verdi, che aveva voluto strapparla alla miseria di casa sua. Quando il padre di Verdi morì (14 gennaio 1867), il musicista e Giuseppina presero a loro volta in casa la bambina di sette anni, che ribattezzarono Maria ed educarono con ogni cura, considerandola una figlia a tutti gli effetti. In seguito la ragazza si sposò con il figlio del notaio Carrara, loro buon amico, ed ebbe quattro figli maschi. Fu lei a prendersi cura del Maestro rimasto vedovo, e fu lei presente al suo letto di morte, insieme alla cantante Teresa Stolz.

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    La morte
    Verdi morì a Milano in un appartamento dove era solito alloggiare dal 1872 al Grand Hotel et De Milan alle 2,50 del 27 gennaio 1901, a 87 anni. Era venuto nella città lombarda per trascorrervi l'inverno, come faceva da tempo. Colto da malore spirò dopo sei giorni di agonia. Il Maestro lasciò istruzioni per i suoi funerali: si sarebbero dovuti svolgere all'alba, o al tramonto, senza sfarzo né musica. Volle esequie semplici, come semplice era sempre stata la sua vita. Le ultime volontà del compositore vennero rispettate, ma non meno di centomila persone seguirono in silenzio il feretro. Nei giorni che precedettero la morte di Verdi, via Manzoni e le strade circostanti vennero cosparse di paglia affinché lo scalpitio dei cavalli e il rumore delle carrozze non ne disturbassero il riposo.
    Tra le cerimonie svoltesi in tutta Italia per commemorare la morte di Verdi, particolarmente suggestiva fu quella che si svolse, alla presenza del Duca di Genova, nel teatro greco di Siracusa. Fu stampata anche una cartolina commemorativa in occasione del luttuoso evento, mentre sia Pascoli che D'Annunzio scrissero composizioni poetiche in sua memoria. magini e una breve storia della presenza del Maestro presso quella dimora: Il sito alle 2,50 del 27 gennaio 1901, a 87 anni. Era venuto nella città lombarda per trascorrervi l'inverno, come faceva da tempo. Colto da malore spirò dopo sei giorni di agonia. Il Maestro lasciò istruzioni per i suoi funerali: si sarebbero dovuti svolgere all'alba, o al tramonto, senza sfarzo né musica. Volle esequie semplici, come semplice era sempre stata la sua vita. Le ultime volontà del compositore vennero rispettate, ma non meno di centomila persone seguirono in silenzio il feretro. Nei giorni che precedettero la morte di Verdi, via Manzoni e le strade circostanti vennero cosparse di paglia affinché lo scalpitio dei cavalli e il rumore delle carrozze non ne disturbassero il riposo.
    Tra le cerimonie svoltesi in tutta Italia per commemorare la morte di Verdi, particolarmente suggestiva fu quella che si svolse, alla presenza del Duca di Genova, nel teatro greco di Siracusa. Fu stampata anche una cartolina commemorativa in occasione del luttuoso evento, mentre sia Pascoli che D'Annunzio scrissero composizioni poetiche in sua memoria.

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    Il Verdi non operistico
    Verdi si cimentò anche al di fuori dal campo operistico. Dopo aver ricevuto la formazione di maestro di cappella - secondo la prassi italiana dell'epoca - scrisse molta musica sacra e strumentale, destinata per lo più alla locale Società filarmonica. Ricordiamo di questo periodo (1836-1839) un Tantum ergo, che il compositore giudicò molto severamente negli anni della propria maturità. Dall'Oberto (1839) abbandonò, per oltre vent'anni, i generi non operistici, con l'eccezione della musica da camera (fra cui alcune romanze da salotto).
    Nel 1862 compose, per l'Esposizione Universale di Londra, l'Inno delle Nazioni su testo di Boito. Molti anni più tardi, Verdi scrisse una Messa di requiem per la morte di Alessandro Manzoni (rappresentata nella Chiesa di San Marco a Milano il 22 maggio 1874). In realtà già dopo la morte di Rossini (1868), Verdi aveva proposto a ben undici compositori italiani del tempo, come omaggio collettivo al compositore pesarese, un Requiem mai realizzato. Per sé aveva riservato l'ultimo brano, quel Libera me, Domine che avrebbe recuperato successivamente, inserendolo, con alcuni cambiamenti, nel Requiem per Manzoni.
    Sempre nel campo della musica sacra, Verdi compose un Pater noster, su testo in volgare di Dante, pubblicato nel 1880 e i Quattro pezzi sacri, composti nella tarda maturità e pubblicati nel 1898: Ave Maria, Stabat Mater, Laudi alla Vergine e Te Deum.
    Di Verdi, nel genere cameristico, ricordiamo alcune opere giovanili come le Sei romanze (ed. 1838) e Album di sei romanze (ed. 1845) per voce e pianoforte e il Quartetto per archi in mi minore (1873).

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    Verdi e la politica
    Parlamento italiano
    Senato del Regno d'Italia

    sen. Giuseppe Verdi
    Verdi partecipò attivamente alla vita pubblica del suo tempo. Fu, come si è accennato, un patriota convinto, anche se nell'ultima parte della sua vita traspare, dall'epistolario e dalle testimonianze dei suoi contemporanei, una disillusione, un disincanto, nei confronti della nuova Italia unita, che forse non si era rivelata all'altezza delle proprie aspettative. Fu sostenitore dei moti risorgimentali (pare che durante l'occupazione austriaca la scritta "Viva V.E.R.D.I." fosse letta come "Viva Vittorio Emanuele Re d'Italia"). Il Paese lo volle, quasi a viva forza, membro del primo parlamento del Regno d'Italia (1861-1865), eletto come Deputato nel Collegio di Borgo San Donnino, l'attuale Fidenza, e, successivamente, senatore a vita dal 1874. Fu anche consigliere provinciale di Piacenza. Rappresentò, e continua a rappresentare per molti italiani la somma di tutti quei simboli che li hanno guidati all'unificazione nazionale contro l'oppressione straniera.

    Personalità
    Per lungo tempo Verdi è stato considerato un tranquillo uomo di campagna toccato dal genio, un uomo rustico e schietto, integerrimo, e di rara onestà intellettuale. Tale immagine si univa a quella del patriota ardente, che a giusto titolo sedette come deputato nel primo parlamento dell'Italia unita (1861). Aspetti questi, facenti sicuramente parte della sua personalità ma che da soli non possono spiegare la grandezza dell'artista e delle sue immortali creazioni. In realtà Verdi fu un operista attento alle grandi correnti di pensiero che percorrevano l'Italia e l'Europa del tempo, pronto a mettersi in discussione e nel contempo profondamente conscio del proprio valore. Sempre aggiornatissimo, alla ricerca di nuovi soggetti cui ispirare le proprie opere, fu un grande frequentatore della capitale artistica dell'Europa del tempo, Parigi. Il suo primo viaggio nella Ville Lumière risale al 1847, l'ultimo, al 1894, in occasione dell'allestimento dell'Otello che egli stesso volle seguire personalmente. Compositore meticoloso, dotato di un'eccezionale sensibilità drammaturgica che aveva ulteriormente affinato con gli anni, Verdi fu per tutta la sua vita uno sperimentatore, proteso verso traguardi sempre più alti e dotato di un senso critico fuori del comune, che gli permise di andare incontro ai gusti di un pubblico sempre più esigente pur senza mai rinunciare ai propri convincimenti di uomo ed artista. L'enorme epistolario che ci ha lasciato, oltre a rappresentare un affascinante affresco di quasi settant'anni di storia italiana (dalla metà degli anni trenta dell'Ottocento sino alla fine del secolo), è uno strumento per conoscere un Verdi "inedito", orgoglioso della propria estrazione contadina, ma allo stesso tempo uomo fondamentalmente colto e osservatore fine della realtà e dell'ambiente che lo circondavano, personaggio inquieto e protagonista carismatico di un'epoca memorabile. Stimato e amato da un ampio pubblico internazionale è, con Giacomo Puccini, l'operista più rappresentato al mondo, occupando un posto privilegiato nell'olimpo dei più grandi creatori musicali di tutti i tempi.


    Opere liriche



    • Oberto, Conte di San Bonifacio (Teatro alla Scala di Milano, 17 novembre 1839) - Dramma in due atti di Temistocle Solera
    • Un giorno di regno (Teatro alla Scala di Milano, 5 settembre 1840) - Melodramma giocoso in due atti di Felice Romani
    • Nabucco (Teatro alla Scala di Milano 9 marzo 1842) - Dramma lirico in quattro parti di Temistocle Solera
    • I Lombardi alla prima crociata (Teatro alla Scala di Milano, 11 febbraio 1843) - Dramma lirico in quattro atti di Temistocle Solera
    • Ernani (Teatro La Fenice di Venezia, 9 marzo 1844) - Dramma lirico in quattro parti di Francesco Maria Piave
    • I due Foscari (Teatro Argentina di Roma, 3 novembre 1844) - Tragedia lirica in tre atti di Francesco Maria Piave
    • Giovanna d'Arco (Teatro alla Scala di Milano, 15 febbraio 1845) - Dramma lirico in un prologo e tre atti di Temistocle Solera
    • Alzira (Teatro San Carlo di Napoli, 12 agosto 1845) - Tragedia lirica in un prologo e due atti di Salvadore Cammarano
    • Attila (Teatro La Fenice di Venezia, 17 marzo 1846) - Dramma lirico in un prologo e tre atti di Temistocle Solera
    • Macbeth (Teatro della Pergola di Firenze, 14 marzo 1847) - Melodramma in quattro parti di Francesco Maria Piave
    • I masnadieri (Her Majesty's Theatre di Londra, 22 luglio 1847) - Melodramma tragico in quattro parti di Andrea Maffei
    • Jérusalem (Teatro de l'Opéra di Parigi, 26 novembre 1847) - Opera in quattro atti di Alphonses Royer e Gustave Vaëz, rifacimento de I Lombardi alla prima crociata
    • Il corsaro (Teatro Grande di Trieste, 25 ottobre 1848) - Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
    • La battaglia di Legnano (Teatro Argentina di Roma, 27 gennaio 1849) - Tragedia lirica in quattro atti di Salvadore Cammarano
    • Luisa Miller (Teatro San Carlo di Napoli, 8 dicembre 1849) - Melodramma tragico in tre atti di Salvadore Cammarano
    • Stiffelio (Teatro Grande di Trieste, 16 novembre 1850) - Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
    • Rigoletto (Teatro La Fenice di Venezia, 11 marzo 1851) - Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
    • Il trovatore (Teatro Apollo di Roma, 19 gennaio 1853) - Dramma in quattro parti di Salvadore Cammarano, con aggiunte di Leone Emanuele Bardare
    • La traviata (Teatro La Fenice, 6 marzo 1853) - Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
    • Les vêpres siciliennes (Teatro dell'Opéra di Parigi, 13 giugno 1855) - Dramma in cinque atti di Eugène Scribe e Charles Duveyrier)
    • Simon Boccanegra (Teatro La Fenice, 12 marzo 1857) - Melodramma in un prologo e tre atti di Francesco Maria Piave; seconda versione, su libretto rivisto e ampliato da Arrigo Boito (Teatro alla Scala di Milano, 24 marzo 1881)
    • Aroldo (Teatro Nuovo di Rimini, 16 agosto 1857) - Melodramma in quattro atti di Francesco Maria Piave, rifacimento di Stiffelio
    • Un ballo in maschera (Teatro Apollo di Roma, 17 febbraio 1859) - Melodramma in tre atti di Antonio Somma
    • La forza del destino (Teatro Imperiale di Pietroburgo, 10 novembre 1862) - Opera in quattro atti di Francesco Maria Piave
    • Don Carlos (Teatro de l'Opéra di Parigi, 11 marzo 1867) - Opera in cinque atti di Joseph Méry e Camille du Locle
    • Aida (Teatro dell'Opera del Cairo, 24 dicembre 1871) - Opera in quattro atti di Antonio Ghislanzoni
    • Otello (Teatro alla Scala di Milano, 5 febbraio 1887) - Dramma lirico in quattro atti di Arrigo Boito
    • Falstaff (Teatro alla Scala di Milano, 9 febbraio 1893) - Commedia lirica in tre atti di Arrigo Boito
    Verdi e il cinema
    Film biografici, più o meno liberamente tratti dalla vita di Giuseppe Verdi:
    • Giuseppe Verdi (1938) - film diretto da Carmine Gallone
    • Giuseppe Verdi (1953) - film diretto da Raffaello Matarazzo
    • Verdi (1982) - sceneggiato televisivo diretto da Renato Castellani
    • Giuseppe Verdi (2000) - documentario di Francesco Barilli

    Onorificenze

    Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia

    Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro

    — 1856

    Cavaliere dell'Ordine Civile di Savoia

    — 1869
    Cavaliere di III classe dell'Ordine di Medjidié

    — 1869
    Commendatore dell'Ordine Imperiale di Francesco Giuseppe

    — 1869
    Cavaliere di Gran Croce della Legion d'onore

    — 1894
    Cavaliere della Legion d'Onore

    — agosto 1852
    Cavaliere dell'Ordine di San Stanislao

    — San Pietroburgo, novembre 1862
    Cavaliere dell'Ordine Pour le Mérite (classe di pace)

    — 1887
    • Cittadinanza onoraria di Parma con medaglia d'oro (5 aprile 1872), per mano del sindaco Cavagnari
    Curiosità
    • Nel 2010 la trasmisione televisiva Il più grande (italiano di tutti i tempi) l'ha eletto seconda persona italiana più grande di tutti i tempi alle spalle di Leonardo Da Vinci.


    image


    Nabucco

    Musica: Giuseppe Verdi

    Atti: quattro (denominati "parti")
    Epoca di composizione: estate 1841 - 1842
    Prima rappresentazione: 9 marzo 1842
    Teatro: Teatro alla Scala, Milano
    Prima rappresentazione italiana:
    Teatro:
    Versioni successive:

    * Autunno 1842 - Teatro alla Scala, Milano
    * 26 dicembre 1842 - Teatro la Fenice, Venezia
    * 29 novembre 1848 - Théâtre-Royal, Bruxelles
    * 9 dicembre 1920 - Teatro Carcano, Milano

    Personaggi:

    * Nabucco, re di Babilonia (baritono)
    * Ismaele, nipote di Sedecia re di Gerusalemme (tenore)
    * Zaccaria, gran pontefice degli Ebrei (basso)
    * Abigaille, schiava, creduta figlia primogenita di Nabucco (soprano)
    * Fenena, figlia di Nabucco (mezzosoprano)
    * Il Gran Sacerdote di Belo (basso)
    * Abdallo, vecchio ufficiale del re di Babilonia (tenore)
    * Anna, sorella di Zaccaria (soprano)
    * Coro

    « Non son più re, son dio! »

    (Nabucco, parte II)


    Nabucco è la terza opera (il titolo originale completo è Nabucodonosor) di Giuseppe Verdi e quella che ne decretò il successo. Composta su libretto di Temistocle Solera, Nabucco fece il suo debutto il 9 marzo 1842 al Teatro alla Scala di Milano. Questi gli interpreti di quella prima: Nabucodonosor, Giorgio Ronconi, baritono; Ismaele, Corrado Miraglia, tenore; Zaccaria, Prospero Derivis, basso; Abigaille, Giuseppina Strepponi, soprano; Fenena, Giovannina Bellinzaghi, soprano; Il Gran Sacerdote, Gaetano Rossi, basso.

    È stata spesso letta come l'opera più risorgimentale di Verdi, poiché gli spettatori italiani dell'epoca potevano riconoscere la loro condizione politica in quella degli ebrei soggetti al dominio babilonese.

    Questo tipo di lettura è tuttavia incentrata soprattutto sul famosissimo coro Va', pensiero, sull'ali dorate, intonato appunto dal popolo ebreo. Il resto del dramma è invece incentrato sulle figure drammatiche del re di Babilonia Nabucodonosor II e della sua presunta figlia Abigaille.

    Occorre inoltre ricordare che il librettista Solera aderì alla battaglia risorgimentale da posizioni neoguelfe, circostanza che giustificherebbe la collocazione di un'autorità di tipo religioso, l'inflessibile pontefice Zaccaria, a capo della fazione ebrea. Una prospettiva non condivisa da Verdi, la cui simpatia e il cui interesse di drammaturgo vanno soprattutto verso le figure più complesse e tormentate del tiranno babilonese e di Abigaille. Pochi forse sanno che, in origine, il nome dato da Giuseppe Verdi alla sua opera fosse "Nabuccodonosor" ma, data la lunghezza dello stesso sulla locandina, venne diviso in due righe e cioè "Nabucco" e, a capo, "Donosor" ma la gente faceva caso solo alla prima riga. Da qui la diffusione del nome dell'opera fino ad oggi come del "Nabucco".[senza fonte]


    Trama
    Parte I - Gerusalemme

    Gli Ebrei bravi riuniti nel tempio di Gerusalemme piangono la loro sconfitta nella guerra contro i babilonesi. Zaccaria, il Gran Sacerdote, li invita a non disperare perché il Dio di Israele ha dato un segno del suo potere: Fenena, la figlia del re babilonese, è loro prigioniera. Il giovane Ismaele, nipote di Sedecia, reca la notizia dell'imminente arrivo di Nabucco e del suo esercito. Quando Zaccaria gli affida la custodia di Fenena, egli riconosce la fanciulla che l'ha salvato dalla prigione al tempo della sua missione di ambasciatore a Babilonia. Ismaele, che ama ricambiato la figlia del suo nemico, intende ora ricambiare tanta generosità ma, mentre sta per trarre in salvo la fanciulla, viene fermato da Abigaille - una schiava ambiziosa ritenuta la seconda figlia di Nabucco - che irrompe nel tempio alla testa di un manipolo di guerrieri assiri travestiti da ebrei. La donna propone al giovane, di cui è anch'essa innamorata, uno scambio: il suo amore contro la salvezza del popolo ebraico. Ma Ismaele la respinge. Una folla di ebrei in fuga cerca invano rifugio nel Tempio invaso dai nemici. Nabucco giunge con i suoi fino alla sacra soglia e Zaccaria lo sfida avvertendolo che se tenterà di profanarla Fenena sarà uccisa. Il re dapprima finge di esitare ma poi, deciso a distruggere a ogni costo il regno di Giuda, sfida il Sacerdote e ordina agli ebrei di prostrarsi davanti a lui. Zaccaria reagisce alzando il pugnale su Fenena ma Ismaele ferma la sua mano e libera la fanciulla attirando su di sé l'ira del suo popolo, che lo accusa di tradimento. Nabucco ordina di saccheggiare il Tempio, mentre Abigaille si ripromette di cancellare dalla faccia della terra il popolo maledetto cui appartiene l'uomo che l'ha respinta.

    Parte II - L'empio

    Abigaille, sola negli appartamenti reali, tiene fra le mani una pergamena sottratta a Nabucco, che attesta le sue umili origini di schiava. La sua rabbia esplode in una furia incontenibile alla notizia che Fenena, nominata Reggente dal padre, ha dato ordine di liberare tutti gli ebrei. Ormai Abigaille è decisa a tutto pur di impossessarsi del trono.
    Zaccaria, prigioniero degli assiri, entra in una sala della reggia seguito da un Levita che reca le Tavole della Legge e, dopo aver sollecitato Iddio a parlare attraverso il suo labbro, si ritira.
    Ismaele, convocato dal Pontefice per rispondere del suo tradimento, è maledetto dai Leviti, ma Anna, sorella di Zaccaria, lo difende; il giovane infatti non ha salvato la vita ad un'infedele bensì ad un'ebrea, giacché la figlia del re nemico si è nel frattempo convertita alla Legge.
    La situazione precipita: in un rapidissimo susseguirsi di eventi Abigaille irrompe in scena con il suo seguito e pretende da Fenena la corona, ma Nabucco, creduto morto in battaglia, giunge e richiede per sé la corona. Poi comincia a deridere il Dio Belo, che avrebbe spinto i prigionieri a tradirlo, e dopo anche il Dio degli ebrei. Esige di essere adorato come l'unico Dio, minacciando di morte Zaccaria e gli ebrei se non si piegheranno al suo volere. Subito dopo il Dio degli Ebrei scaglia un fulmine sul suo capo, la corona cade al suolo e il re comincia a manifestare segni di follia. La corona viene prontamente raccolta da Abigaille.

    Parte III – La profezia

    Abigaille, seduta sul trono accanto alla statua d'oro di Belo, nei giardini pensili di Babilonia, riceve l'omaggio dei suoi sudditi. Quando il Gran Sacerdote le consegna la sentenza di condanna a morte degli ebrei, la regina si finge ipocritamente incerta sul da farsi. All'arrivo del re spodestato – in vesti dimesse e con lo sguardo smarrito – l'usurpatrice cambia atteggiamento e gli si rivolge con ironica arroganza, dando ordine di ricondurlo nelle sue stanze. Quindi lo avverte di essere divenuta la custode del suo seggio e lo invita perentoriamente a porre il regale suggello sulla sentenza di morte degli ebrei. Il vecchio re esita, Abigaille lo incalza accusandolo di viltà e alla fine Nabucco cede. Ma lo coglie un dubbio: che ne sarà di Fenena? Abigaille, implacabile, afferma che nessuno potrà salvare la fanciulla e gli ricorda che anch'essa è sua figlia. Ma il re la sconfessa: ella è solo una schiava. La donna trae dal seno la pergamena che attesta la sua origine e la fa a pezzi. Il re, ormai tradito e detronizzato, nell'udire il suono delle trombe che annunciano l'imminente supplizio degli ebrei chiama le sue guardie, ma esse giungono per arrestarlo obbedendo agli ordini della nuova regina. Confuso e impotente, Nabucco chiede invano ad Abigaille un gesto di perdono e di pietà per la povera Fenena.
    Sulle sponde dell'Eufrate gli ebrei, sconfitti e prigionieri, ricordano con nostalgia e dolore la cara patria perduta (coro: Va', pensiero, sull' ali dorate). Il Pontefice Zaccaria li incita a non piangere come femmine imbelli e profetizza una dura punizione per il loro nemico: il Leone di Giuda sconfiggerà gli assiri e distruggerà Babilonia.

    Parte IV – L'idolo infranto

    Nabucco, solo in una stanza della reggia, si sveglia da un incubo udendo alcune grida e, credendole segnali di guerra, chiama i suoi prodi a raccolta per marciare contro Gerusalemme. Tornato in sé all'udire altre voci che ripetono il nome di Fenena, egli si affaccia alla loggia e vede con orrore la figlia in catene. Disperato, corre alla porta, tenta invano di aprirla e infine, rendendosi conto di essere prigioniero, cade in ginocchio e si rivolge al dio di Giuda invocando il suo aiuto e chiedendogli perdono. Come in risposta alla sua preghiera, sopraggiunge il fedele ufficiale Abdallo con un manipolo di soldati, restituendogli la spada e offrendosi di aiutarlo a riconquistare il trono.
    Nei giardini pensili di Babilonia passa il triste corteo degli ebrei condotti al supplizio. Zaccaria conforta Fenena incitandola a conquistare la palma del martirio; la fanciulla si prepara a godere delle gioie celesti. L'atmosfera mistica è interrotta dall'arrivo di Nabucco che, alla testa delle sue truppe, ordina di infrangere la statua di Belo. Miracolosamente, «l'idolo cade infranto da sé». Tutti gridano al «divino prodigio», Nabucco concede la libertà agli ebrei, annunzia che la perfida Abigaille si è avvelenata e ordina al popolo d'Israele di costruire un tempio per il suo Dio grande e forte, il solo degno di essere adorato. Mentre tutti, ebrei ed assiri, s'inginocchiano invocando l'«immenso YHWH», entra Abigaille sorretta da due guerrieri: la donna confessa la sua colpa e invoca il perdono degli uomini e di Dio prima di cadere esanime. Zaccaria rivolge a Nabucco l'ultima profezia: «Servendo a Jehova sarai de' regi il re!».

    Vocalità

    La parte di Abigaille, una delle più impervie che Verdi abbia composto per la voce di soprano, richiede un soprano drammatico d'agilità di inusitata potenza e flessibilità. Il ruolo impone anche difficoltà tecniche onerose (con la ricorrenza frequente di crescendo al do sopracuto da eseguire a voce spiegata), funzionali a mettere in luce il carattere iracondo della principessa.

    Tra le più celebri Abigaille spiccano Maria Callas (1949) e Ghena Dimitrova.

    Il ruolo di Fenena, figlia legittima di Nabucco, richiede una voce morbida e ben calibrata di timbro brunito ed è stato interpretato finora da vari mezzosoprani celebri italiani ed esteri quali Giulietta Simionato, Fiorenza Cossotto, Violeta Urmana e Caterina Novak.
    Organico orchestrale

    La partitura di Verdi prevede l'utilizzo di:

    * ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti
    * 4 corni, 2 trombe, 2 tromboni tenori, trombone basso, cimbasso
    * timpani, grancassa, piatti, tamburo, triangolo
    * 2 arpe
    * archi

    Da suonare sul palco:

    * banda

    Brani celebri

    * Sinfonia (parte I)
    * Mio furor, non più costretto, (finale parte I)
    * Ben io t'invenni, o fatal scritto!... Anch'io dischiuso un giorno, recitativo e aria di Abigaille (parte II)
    * Vieni, o Levita, preghiera di Zaccaria (parte II)
    * S'appressan gli istanti!, concertato (parte II)
    * È l'Assiria una regina, introduzione (parte III)
    * Va', pensiero, sull'ali dorate, coro degli ebrei (parte III)
    * Dio di Giuda, perdono! preghiera di Nabucco (parte IV)





    Nabucco - Va pensiero

     
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    Una delle ouverture più belle di Verdi è senza dubbio quella de "La forza del destino."



     
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  5. DonaVivi
     
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    Visto che nel 2013 si celebra il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi, vorrei segnalare a tutti gli appassionati che Viva Verdi è l'album che Riccardo Chailly, la Filarmonica della Scala e Decca hanno realizzato per omaggiare il grandissimo compositore italiano. Purtroppo non ho ancora avuto occasione di ascoltarlo, ma rimedierò a breve.
     
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    VIVA VERDI. OUVERTURES E PRELUDI
    CHAILLY/FILARMONICA SCALA


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    nterpreti: Riccardo Chailly • Filarmonica della Scala

    Il 2013 segna una ricorrenza davvero significativa per Milano, per l’Italia e per tutto il mondo musicale: il bicentenario della nascita di GIUSEPPE VERDI. Per questo importante anniversario Riccardo Chailly, la Filarmonica della Scala e DECCA si sono riuniti per omaggiare l’amato compositore con un nuovo cd, realizzato con il sostegno di UniCredit, rinnovando il loro sodalizio discografico. Per la Filarmonica della Scala questo omaggio verdiano costituisce il ritorno in sala di incisione dopo oltre 12 anni di assenza dal mercato discografico, per quello che si preannuncia come uno degli omaggi più significativi al grande compositore di Busseto nell’anno del bicentenario. Riccardo Chailly, è stato recentemente insignito del premio ECHO 2012 come “Direttore dell’anno” in Germania, e alla fine di Ottobre ha ricevuto a Torino il premio “Arca d’oro”. La registrazione è avvenuta nella primavera del 2012 all’Auditorium di Milano e raccoglie ouvertures e preludi tra i più famosi e conosciuti del compositore, oltre alle ouvertures da Alzira e Corsaro e ai ballabili da “Jerusalem” raramente eseguiti. L’unicità di questo progetto è siglata da altri importanti elementi: Giuseppe Fortunino Francesco Verdi, nato a Roncole il 10 ottobre 1813, visse e morì a Milano, città che ha accolto anche i natali di Riccardo Chailly; sempre Milano è la città che 30 anni fa ha ospitato la nascita dell’Orchestra Filarmonica della Scala, fondata dal Maestro Claudio Abbado. Come tutti ricorderanno, Riccardo Chailly ha a lungo frequentato Claudio Abbado negli anni della sua stabilità alla Scala, affinando poi le sue interpretazioni verdiane in oltre quattro decadi che lo hanno visto dirigere e registrare il repertorio del compositore bussetano in un crescendo di successo internazionale. Tra queste non si possono non menzionare fra le altre la registrazione pubblicata nel 2001, centenario della morte di Verdi, che raccoglie rarità e prime incisioni verdiane, sempre su etichetta DECCA, l’incisione in audio e video di “Macbeth” e la doppia registrazione di “Rigoletto”, sempre con Luciano Pavarotti nel ruolo del Duca di Mantova. Riccardo Chailly e la Filarmonica della Scala saranno al Teatro alla Scala di Milano nel febbraio 2013 per una serata verdiana, trasmessa in diretta nei cinema di tutto il mondo, che costituisce un ulteriore contributo dell’orchestra alle celebrazioni del bicentenario.

    fonte:http://www.universalmusic.it/classica/artista/discografia/?ida=614224


    grazie..DonaVivi :bye1.gif: ho messo qui la tua segnalazione!!!
     
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5 replies since 16/12/2010, 15:36   1994 views
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