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Sorridi
SORRIDI: qualcuno ti ama !
Sorridere è contagioso,
si espande come un raffreddore:
quando qualcuno ci sorride,
anche noi cominciamo a sorridere.
Passavo per strada
e qualcuno mi ha visto sorridere;
quando mi ha restituito il sorriso
ho capito che lo avevo contagiato.
La risposta di quel sorriso
mi ha fatto capire
che sorridere vale la pena.
Un sorriso semplice come il mio,
può viaggiare per tutto il mondo !
Cosí, se senti che ti stanno mandando un sorriso,
non far finta di niente,
comincia una rapida epidemia
e contagiaaa tuutttiiiii quaaaantiiiiiiiiii !
Mantieni questo SORRISO in movimento,
mandalo ai tuoi amici speciali !
Tutti
hanno bisogno di un
SORRISOOOOOOO !
Ma perché sorridere?
Semplicissimo:
PERCHE' QUALCUNO TI AMA!!!!
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Se un giorno
ti venisse voglia di piangere…
chiamami.
Non prometto di farti ridere,
ma potrei piangere con te…
Se un giorno
tu decidessi di scappare,
non esitare a chiamarmi.
Non prometto di chiederti di restare,
ma potrei scappare con te.
Se un giorno
ti venisse voglia
di non parlare con nessuno…
Chiamami.
In quel momento
prometto di starmene zitta.
Ma…se un giorno tu mi chiamassi
e non rispondessi…
Vienimi incontro di corsa…
Forse io ho bisogno di TE!
DAL WEB. -
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LA FELICITA' DEL SORRISO INTERIORE
C’era una volta un bambino che in un paesino di collina cresceva sano e bello e tutto il paese coccolava quel bambino. Tutto quello che gli insegnavano, lui lo apprendeva fino a farne un tesoro nella sua mente. Recitava fin da piccolino le poesie in vernacolo, andava a messa, era riconoscente a tutto ciò che il cielo gli donava.
Giocava con i bambini anche più grandi e si trovava bene anche con loro, era obbediente, anche se a volte combinava delle marachelle.
Un giorno quel bambino fu portato via dal paese, l’esigenza del lavoro dei genitori dovette toccare anche il suo trasferimento, contro la sua volontà, ma era piccolo e non aveva voce in capitolo.
La cittadina non era poi così tanto grande e in poco tempo riuscì ad adattarsi, facendo amicizie diverse. Anche lì tutti gli volevano bene, gli amichetti lo cercavano perché era ironico, divertente, era bravo a dare calci al pallone, insomma cresceva nel contesto di questa microscopica città.
I genitori avrebbero tanto voluto che lui studiasse, ma non era proprio tagliato per scaldare i banchi, così cominciò ad osservare chi lavorava, gli piacevano i grandi, quelli pieni di sudore, quelli sporchi che tornavano dalle fonderie.
Sapete perché gli piacevano? Perché portavano con sé il sorriso, sì il sorriso del sacrificio, a volte della disperazione, di non poter mettere insieme il pranzo con la cena, ma c’era sulla bocca quel sorriso che lo faceva sognare.
Diventò un giovanotto e sognava di lavorare, di sudare, di tornare a casa sporco, ma con quel sorriso che vedeva negli anni precedenti.
Fu così che la mamma gli trovò un lavoro, sì un lavoro pulito, lindo, ogni giorno andava vestito come un universitario, eppure non aveva studiato e ricopriva una carica molto importante. Non lo diceva a nessuno ma al suo ritorno a casa, si chiedeva come mai a lui mancava quel sorriso, si tormentava, si chiedeva perché gli mancava quel pizzico di felicità.
Eppure aveva tanti amici, aveva la macchina e perché no, anche le ragazze, ma non era felice.
Cominciò ad essere generoso, cercò la felicità andando a cena con gli amici, possibilmente aveva il piacere di pagare lui il conto, eppure non aveva quel sorriso che tanto avrebbe desiderato.
Diventò un uomo ebbe una famiglia, dei figli, ma non riusciva a trovare la gioia ,quel sorriso che sempre aveva cercato.
Era contento solo quando poteva aiutare qualcuno, in quel momento si sentiva utile, ma l’utilità era la felicità di un attimo.
Poi sbagliò tutto e con le sue mani si ridusse ad essere inutile. La morte del padre lo aiutò non poco a risollevarsi ma, era dura, troppo dura, legato nove ore ad una macchina, non gli dava neanche il tempo di fumarsi una sigaretta.
Cambiò di nuovo lavoro in un posto dove era trattato come un animale, una bestia, un essere inferiore... quindi come può una bestia sorridere?
Un giorno la sua mamma si ammalò, allora l’uomo la prese in casa, lasciò il lavoro e l'accudiva; a volte si arrabbiava, però la sera, appena messa a letto la sua mamma, lui si rifugiava in camera e da solo sorrideva, sorrideva con quel sorriso che aveva cercato per tanto tempo.
Poi la mamma morì e non c’era più niente che lo facesse sorridere, aveva perso tutto, la casa era vuota, a volte mancava anche la carezza della sera di sua moglie, gli amici non si facevano più vedere e l’uomo pensava: “Eppure quando avevano bisogno, io c’ero, ora per me non ci sarà più nessuno”.
Non sorrideva più ma diceva fra sé: “Ho ancora tanto da dare, che se trovo la forza di riemergere dal pantano, non ci sarò più per nessuno!” Poi invece, sorridendo e guardandosi allo specchio, pensava: “Avrò fatto davvero tutto?” La risposta era sempre la stessa poiché la voce, che si sente nei momenti di disperazione, sussurrava: “Non hai fatto abbastanza per meritarti quel sorriso che cerchi da quando eri bambino”.
La morale di questa favola è che il sacrificio più grande su questa terra è solo di ottenere un sorriso, ed oggi è difficile vedere quel sorriso, solo ritornando bambini, ma proprio poppanti, possiamo ritrovarlo.
Non c’è cosa più vera della fantasia, cosa più pura di ritornare bambini.
Dario Bellandi. -
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