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Giovanni Verga-biografia poesie e parafrasi

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    Romanziere e novelliere d’eccezione, oltre che autore di teatro, a lui si devono i più alti risultati del verismo in Italia.
    La vita
    Giovanni Verga nasce a Catania il 2 settembre 1840, da una famiglia di possidenti.
    Cominciò a scrivere giovanissimo, pubblicando nel 1861-62 il suo primo romanzo, “I carbonari della montagna”. (la prima produzione è costituita da romanzi storico patriottici denotano la provincialità delle sue letture. I modelli presenti sono quelli di Scott e Dumas.)
    Vi è poi il superamento di questa prima produzione: “Una peccatrice”, “tigre reale”, “Storia di una capinera” sono storie basate:
    - su passioni fatali;
    - è già presente la vocazione realista;
    - inizia l’analisi dell’istituzione familiare, dove corrisponde anche un’integrazione sociale;
    - il soggetto si perde.
    Recatosi per la prima volta a Firenze nel maggio 1865, vi tornò con sempre maggiore frequenza fino al 1872. In questi anni si afferma con “Storia di una capinera”, romanzo epistolare che presenta la vicenda dell’educanda Maria. Romanzo patetico e intimista, Storia di una capinera, è ambientato nell’assolata campagna siciliana e rivela la cura con cui Verga andava fin d’allora studiando il folclore locale e i risvolti sociali delle vicende affrontate.
    Dal novembre 1872 al 1893, dimorò a Milano, dove partecipò alle discussioni e ai progetti dell’avanguardia letteraria e artistica dell’epoca e presso gli editori milanesi pubblicò la serie dei romanzi cosiddetti “Mondani”, che gli procurò un indiscusso successo: ”Eva”, “Eros” e “Tigre Reale”. In essi i personaggi maschili risultano spesso scialbi e meschini mentre ben più affascinanti e femminili sono invece le figure femminili.
    Ma già veniva maturando in lui un’alternativa, a cominciare dal “bozzetto siciliano”: “Nedda”, “Vita dei campi” e “Malavoglia”, prima tappa di un ciclo narrativo che, sul modello zoliano, doveva tracciare un quadro obiettivo dell’intera società.
    “Nedda” = ritorno del romanziere nella sua città; la protagonista è una ragazza povera, alla quale succedono molte disgrazie. Dentro questa opera comincia a elaborare la sua concezione: Destino determinato dalla sorte.
    “Per le vie” = Ambientato a Milano, dove una serie di ragazze vengono dalla campagna e si perdono nella città, sia moralmente che fisicamente.
    L’analisi del mondo contadino siciliano è compiuta con la “Novelle rusticane” e il “Mastro don Gesualdo”.
    Ritiratosi in Sicilia nel 1893, tentò invano di condurre a termine in “ciclo dei vinti”.
    Muore il 27 gennaio 1922 per un attacco di trombosi.

    OPERE
    Mastro don Gesualdo
    E’ il secondo grande romanzo verghiano, lungamente elaborato. La vicenda si svolge tra a fine del settecento e l’unità d’Italia; il Mastro finisce quindi per rivelarsi anche come una sorta di romanzo storico o di costume. Al centro sta la figura isolata e potente del protagonista, seguito nelle sua ascesa sociale, da semplice muratore (mastro) a proprietario terriero e marito di una nobile (don), fino al suo fallimento. Tutto ruota attono al tema della “roba”, la cui ricerca spinge e domina il protagonista. Il successo sociale lo porta al confronto con la desolazione affettiva che lo circonda e poi alla rovina totale, emblematica del destino umano.
    L’intreccio e l’ambientazione
    E’ ambientato, non più in un misero villaggio di pescatori, ma nella fertile pianura catanese. Il romanzo vede come protagonista Gesualdo Motta, che all’avidità di ricchezza “sacrifica ogni cosa”. Egli s’affatica tutta la vita per arricchire, levandosi il pane di bocca, lavorando come un negro, prima a cottimo, poi assumendo dei piccoli appalti, allargando man mano le sue speculazioni. Non sposa Diodata Limoli, una povera trovatella dalla quale ha avuto dei figli, e invece sposa donna Bianca Trao, di famiglia nobile e decaduta nella speranza di essere agevolato nei suoi affari dal parentado nobile e influente della moglie.
    Ma tutto gli si ritorce contro; la moglie avvilita, troppo diseguale d’educazione col marito, lo teme e non gode se non della sua ricchezza, tutto il paese gli è avverso. Mastro don Gesualdo mette la figliuola, bambina ancora, in un convento aristocratico a Palermo, malgrado l’opposizione della madre, e della ragazza, uscita poi dal collegio a 18 anni. La ragazza urtata dalla differenza d’educazione col genitore e colpita dalla schiavitù in cui tiene la madre non ama il padre. La madre muore di tisi. Mastro don Gesualdo torna al suo paese, malato di cancro, spende inutilmente i suoi denari per farsi curare dai primari medici, muore però solo come un cane, assistito solo da un muratore che egli ha sempre maltrattato.
    Le due redazioni:
    Il romanzo presenta due redazioni: la prima edita a puntate su “Nuova Antologia”, e la seconda che, dopo una radicale revisione da parte dell’autore, esce in volume.

    Storia di una capinera
    Romanzo epistolare scritto in un breve arco di tempo nell’estate del 1869 per presentarlo a Francesco Dall’Ongaro, apparso nel 1870 sul settimanale milanese “ Corriere delle donne” e in volume nel 1871 presso l’editore milanese Lampugnani.
    Il romanzo presenta le vicende dell’educanda Maria. Uscita dal convento a causa di un’epidemia di colera, Maria s’innamora di Nino, il quale però sposerà la sorella di Maria; rientrata in convento, si lascerà morire di dolore.
    La narrazione si sviluppa in forma di lettere inviate dalla protagonista ad un’amica, Marianna, sua compagna in convento, ora però felicemente sposata.
    Il romanzo è ambientato nelle campagne Siciliane.

    Vita dei campi
    E’ una raccolta che riunisce novelle anticipate in rivista negli anni appena precedenti. Sono otto testi, il primo dei quali, “Fantasticheria” contiene una dichiarazione di poetica e costituisce il manifesto della raccolta. Vi è delineato per la prima volta “l’ideale dell’Ostrica”, cioè la riluttanza a staccarsi dal luogo natale e l’impossibilità di riattecchirvi. Si delinea il recupero dei valori semplici e incontaminati del mondo contadino, volutamente contrapposti ai falsi valori e alle frivolezze della società mondana.
    “L’ideale dell’ostrica” da Fantasticheria.
    Nella novella Verga immagina di rivolgersi ad una signora del bel mondo catanese che, passando un giorno da Acitrezza, attratta dal sole, dal mare e dalla bellezza primitiva del villaggio di pescatori si ferma per qualche giorno per godere anche lei della bellezza del posto; ma dopo tre giorni ne fugge inorridita dicendo che non le pareva vita da uomini ma da bestie. Nell’ultima parte della novella la morale della vita del villaggio viene configurata nell'”ideale dell’ostrica”, cioè nella capacità di restar legato al proprio ambiente, di porsi fuori del fiume del progresso e della storia, di accettare il bene come il male con la stessa mancanza di ribellione.
    Seguono “Jeli il pastore”, “Rosso malpelo” e “Cavalleria rusticana”, riscritta poi come testo teatrale, cui s’accosta un nuovo dittico di drammi della gelosia: “ La Lupa”, “L’amante di Raja” e “L’amante di Gramigna”.
    “Rosso malpero”.
    La novella viene inserita al 3° posto dell’edizione del 1880 di “Vita dei campi”, dopo Fantasticheria e Jeli il pastore, con il quale forma un “dittico” di personaggi tragici.
    Narra la vicenda di un ragazzo siciliano, chiamato Malpelo per i suoi capelli rossi, che lavora in miniera, dove perde la vita il padre, e che infine si smarrisce nei cunicoli intricati, senza che di lui si abbiano più notizie.
    "La Lupa”.
    Appare per la prima volta sulla “Rivista nuova di scienze ,lettere e arti”, nel febbraio 1880, entra poi a far parte di Vita dei campi al secondo posto nel 1892.
    La protagonista, chiamata al villaggio la Lupa perché non era mai sazia di nulla, una popolana passionale ed esuberante, diviene l’amante del genero e viene infine trucidata da lui, che non riesce a liberarsi dalla suggestione e dalla passione che lo lega a lei.
    "L’amante di Gramigna” è un testo particolarmente importante, perché nella lettera-prefazione (lettera indirizzata a Salvatore Farina), che lo introduce, Verga attua un preciso bilancio della propria produzione fino al 1880 e abbozza il cammino da percorrere per giungere alla piena realizzazione del programma verista. Si basa tutta sull’esigenza di cogliere i fatti dalla realtà, con scrupolo scientifico, di rappresentarli senza alcun intervento deformante dello scrittore, in modo che l’opera d’arte sembri “essersi fatta da sé”. E’ l’ideale del racconto come documento, “documento umano” come lo definisce Verga.
    Concludono la raccolta “Guerra di Santi” e “Pentolaccia”. I temi vertono su:
    - personaggi del mondo contadino, lasciati agire in prima persona e non più osservati con occhio paternalistico. Essi non appena tentano di sollevarsi dalla situazione di miseria e subordinazione nella quale vivono vengono però stritolati dal “pesce vorace”, ovvero dal mondo.
    - triangolo amoroso, che trova la drammatica soluzione nel duello rusticano, conseguenza del ferreo codice dell’onore, superiore ad ogni altra legge.
    Nel 1897 Verga ripubblicò la raccolta, attuando una serie di correzioni a livello strutturale e stilistico, non sempre con risultati migliorativi.
    Nel 1880 il sistema lessicale e sintattico della raccolta era coerente e mirava all’assunzione del linguaggio popolare dentro l’italiano e all’uso di una sintassi sgrammaticata e deviante, a imitazione della parlata siciliana.
    Nel 1897 le correzioni lessicali vanno in 2 direzioni contraddittorie:
    1) da un lato elimina toscanismi e termini disusati
    2) dall’altro recupera vocaboli letterari, toscani o indefiniti, a scapito di quelli popolari.

    I malavoglia
    I Malavoglia appartengono al ciclo dei vinti, narrano il desiderio di star meglio della classe sociale più bassa
    I personaggi sono i vinti, travolti dalla fiumana del progresso. Vinti diverso da Umili, non vanno a definire una categoria sociale: sono quelli vinti dal progresso, è un desiderio di tutti gli uomini uscire dalla miseria e desiderare di più.
    Il protagonista è tutto il villaggio - romanzo corale - le vicende sono filtrate dal punto di vista del villaggio .
    Ø Trama
    Il romanzo narra la vicenda della famiglia Toscano (I Malavoglia appunto), pescatori di Aci Trezza che, nella” ricerca del meglio”, finiscono per indebitarsi irreparabilmente. Fallito il commercio di una partita di lupini a causa del naufragio della barca, partiti i nipoti per la leva militare, finito in prigione ‘Ntoni', la famiglia si disgrega e la “casa del nespolo” viene venduta.
    Solo dopo la morte della nuora di Padron’Toni, Maruzza, e dello stesso patriarca, i nipoti superstiti riescono a riscattare la casa e a ricostruire un piccolo nucleo familiare, dal quale restano esclusi per il loro “ tradimento” Lia finita prostituta, e ‘Ntoni.
    Ø Struttura e le scansioni spazio-temporali
    L’opera è composta da 15 capitoli, i quali si possono dividere in due blocchi narrativi:
    - I- IX = il protagonista è padron ‘Ntoni;
    - XI- XV = il protagonista è ‘Ntoni;
    - X = funge da cerniera tra i due blocchi.
    Lo spazio del villaggio, non descritto minuziosamente ma presentato ai lettori come una realtà già nota, si articola in una serie di luoghi chiave che assolvono a funzioni ben definite:
    · la farmacia dove si svolgono i discorsi politici;
    · il sagrato della chiesa dove chiacchierano i possidenti;
    · l’osteria per gli sfaccendati;
    Fanno da confine:
    - il mare = presenza costante e bivalente: fonte di sostentamento, ma anche luogo di pericolo e morte;
    - la sciara = desolata piana che circonda il villaggio, oltre la quale si apre il mondo esterno, luogo di perdizione e di morte.
    Il tempo in cui si svolge l’azione è uniforme, monotono e poco rilevato. Non compaiono quasi mai riferimenti espliciti agli anni e ai mesi, ma piuttosto la scansione temporale si basa sulle ricorrenze religiose, sui ritmi stagionali dei lavori e dei raccolti o sugli avvenimenti che riguardano da vicino la vita del paese.
    Da appunti manoscritti di Verga si è rilevato che la vicenda occupa un arco di circa 15 anni: dalla partenza di ‘Ntoni per la leva (1863), fino al suo ritorno e definitivo allontanamento dopo la drammatica esperienza della prigione (1878).
    I personaggi vengono introdotti a poco, a poco.
    Ø Temi
    - “casa del nespolo” = simboleggia il permanere delle tradizioni e dei valori del passato;
    - Partenza e ritorno = legati indissolubilmente al tema della morte
    - Ripetersi immutabile delle stagioni e degli eventi, in contrapposizione con il mutamento continuo che il progresso porta.
    - Ruolo della famiglia = focolare domestico; è facile comprendere i sentimenti di amarezza e dolore di chi è costretto a vendere la propria abitazione per pagare i debiti di un affare sfortunato.
    Provvidenza –> nome della barca.
    Narrazione – filtrata dal punto di vista del personaggio.
    In tutta l’opera sono presenti 150 proverbi; li usa per esprimere la sua posizione.
    I proverbi nei “malavoglia”.
    >” Senza pilota barca non cammina. Per far da papa bisogna saper far da sagrestano”.
    >” Fa il mestiere che sai , che se non arrichisci camperai”.
    >”contentati di quel che t’ha fatto tuo padre; se non altro non sarai un birbante”.
    >” Chi ha carico di casa non può dormire quando vuole , perché , chi comanda ha da dar conto.”
    >” L’uomo è il fuoco , e la donna è la stoppa: viene il diavolo e soffia”.
    >” Quel che è di patto non è d’inganno”.
    >” Al giorno che promise si conosce il buon pagatore”.
    >” Triste quella casa dove ci è la visita del marito”.

    Novelle rusticane
    “ Novelle Rusticane” vengono elaborate nei primi anni ottanta e vengono pubblicate in volume alla fine del 1882.
    La realtà in esse rappresentata appare decisamente più cupa.
    Le parole: Dio, Re, Giustizia, Libertà perdono valore, rivelano tutta la contraddittorietà di un mondo in cui il progresso è illusorio e quindi il cambiamento solo apparente.
    Non a caso molte novelle si svolgono nel 1860, anno in cui era trionfata l’eresia, ovvero al re Napoletano succedeva quello Piemontese.
    Oltre alla polemica ideologica c’è la polemica sociale che vede gli umili soccombere, non solo davanti ai potenti, ma anche di fronte ad una natura maligna.
    Miseria e desolazione, sia per i vincitori e vinti, sia per ingannatori e ingannati.
     
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    Differenze Malavoglia-Promessi Sposi

    Vinti: nei Malavoglia sono tutti dei vinti, nei Promessi Sposi Renzo e Lucia capiscono che solo le sofferenze aiutano a vincere.
    Nei Promessi Sposi il narratore è interno ed è onniscente (sa tutto) mentre nei Malavoglia il narratore fa parte di quella comunità e non interviene nel racconto (narratore esterno).



    - Rosso Malpelo
    Riassunto ben fatto della novella di Giovanni Verga, Rosso Malpelo

    Rosso Malpelo

    Malpelo era chiamato così perché i suoi capelli erano rossi, e secondo una tradizione popolare siciliana colui che li possedeva era malvagio. Tutti lo chiamavano Malpelo tant’è che la stessa madre non si ricordava quale fosse il suo nome. Malpelo lavorava in una miniera, insieme al padre Misciu (soprannominato in seguito Misciu bestia, dato l’enorme peso che riusciva a trasportare) per cui provava un fortissimo affetto. Il resto del nucleo famigliare lo disprezzava, infatti la madre lo teneva in considerazione solo quando alla fine della settimana portava il suo misero stipendio. Le altre persone della miniera lo prendevano in giro, e per questo Malpelo tendeva a isolarsi.
    Un giorno, dato che la famiglia di Malpelo si trovava in una brutta situazione economica, il padre fu obbligato ad accettare un lavoro pericoloso, che nessun altro minatore aveva accettato, in cambio di una modesta remunerazione. Purtroppo la scelta degli altri minatori era stata saggia perché Misciu, svolgendo quel lavoro, morì sotterrato dalle macerie. Nel momento della morte di Misciu, vi era presente anche Rosso Malpelo, che si era allontanato per riporre il piccone, e non riuscì a tornare indietro in tempo. Quando arrivò sul luogo, il padre era sotto tonnellate di macerie. Allora nel paese ci fu un grande sgomento, ma ben presto ci si rese conto che per Misciu bestia non vi era niente da fare.

    Allora in primi soccorsi si fiaccarono e i minatori tornarono a casa. L’unico che continuò a scavare tra l’arena fu Rosso Malpelo, a tal punto da farsi sanguinare le unghie, che non si capacitò della morte del padre. Egli scaricò la sua collera su un asino da soma, flagellandolo con la zappa. Dopo la morte del padre, Malpelo era diventato ancora più cattivo come se gli fosse entrato il diavolo nell’anima. Poco tempo dopo arrivò un altro lavoratore soprannominato Ranocchia. Egli era chiamato così perché aveva dei problemi a una spalla, e quando portava delle sacche di arena, faceva versi simili a quelli emessi dalle rane. Tra il protagonista e Ranocchia nasce una strana amicizia.

    nfatti Malpelo lo menava e perseguitava, ma Rosso non lo faceva solo per procurarli dolore fisico, ma per “temprarlo” alla vita. Lo perseguitava in tantissimi modi: lo colpiva così forte da fargli uscire sangue dalla bocca e dalle narici. Egli non scaricava la sua frustrazione solo contro Ranocchio, ma anche verso i poveri animali della miniera; tant’è che quando un asino si fermava sfinito lo colpiva così forte quasi da renderlo zoppo. Quando a Ranocchio erano assegnati lavori troppo duri che egli non riusciva a portare a termine, finiti i suoi, Malpelo lo aiutava, vantandosi della sua resistenza e della sua abitudine all’essere trattato male e sfruttato. Nella miniera Malpelo era diventato il capo espiatorio di tutte le malefatte e veniva punito per le sue (perché ne faceva) e anche per quelle degli altri. In realtà egli non era la vittima, perché si era trovato in quella situazione perché trattava male gli altri che ti conseguenza lo schermivano e sfruttavano. Quando il sabato sera tornava a casa, la sorella lo obbligava a entrare in casa e a nascondersi, per paura che il suo fidanzato vedendo un cognato così conciato l’avrebbe lasciata. E la domenica quando tutti i ragazzi del suo quartiere si vestivano bene o per andare a messa o per giocare in cortile lui andava da solo nei campi a prendere a sassate le povere lucertole. La madre si sentiva vittima di avere un figlio così malandato, come dicevano tutti, lo stesso figlio che era buono solo a spezzarsi la schiena in miniera. Malpelo avrebbe sicuramente preferito fare il manovale come Ranocchio, o il carrettiere come Gaspare, o il contadino e non fare il minatore, a cui ormai era destinato. Egli non si era ancora rassegnato e continuava a togliere arena, quella stessa arena che o aveva ucciso o imprigionato suo padre. E quando la portava al carrettiere, egli gli rispondeva che suo padre, dietro a quelle macerie indossava un paio di pantaloni di fustagno nuovi. Ci vollero parecchi giorni prima di trovare i primi segni di Misciu Bestia. Il primo segno fu uno scarpone del padre e il suo piede nudo, trovati dallo stesso Malpelo che inorridito si sconvolse e si fece trasferire in un’altra parte della miniera. Pochi giorni dopo fu trovato tutto il corpo del papa di Malpelo, compresi i calzoni di fustagno. Da com’era disposto il corpo, ci si rese conto che Misciu aveva tentato di liberarsi, perché aveva le mani lacerate e le unghie rotte. I minatori che trovarono il corpo decisero dapprima di non dare la notizia al fanciullo, per paura della sua reazione. La madre di Malpelo rimpicciolì i pantaloni e la maglia del padre e gli adattò a Malpelo. Malpelo fu affezionò molto all’eredità lasciata dal padre, e indossando i pantaloni si ricordavano le mani lisce del padre che gli accarezzavano i capelli. Oltre a quello ereditò anche i ferri da lavoro del padre, che nonostante troppo pesanti per lui, non lì vendette a nessuno. In quegli stessi tempi, era morto anche il povero asino grigio e Malpelo obbligava Ranocchio ad andare a visitare la carcassa di quel povero animale, e vedere come i cani del vicinato se la contendevano. Inoltre Malpelo pensava che poiché avesse passato tutta la vita a essere sfruttato tanto valeva non essere mai nato. D’estate Malpelo frequentava spesso quel luogo e guardando le stelle meditava sulla sua e sulla vita degli altri. Intanto l’amicizia tra Malpelo e Ranocchio si forgia sempre di più. Purtroppo le condizioni di salute di Ranocchio peggiorarono, a tal punto che la sera Malpelo lo portava fuori dalla cava in spalla perché il fanciullo tremava febbricitante. Malpelo non si rendeva conto che la situazione di salute di Ranocchio era precaria e per spronarlo lo picchiava. Un giorno colpendolo Malpelo gli fece venire uno sbocco di sangue, e Rosso si spaventò molto, auto convincendosi che la causa del suo malessere non fosse stato il suo pugno. Per dimostrarglielo si colpì a lungo il petto con le mani. Questo non bastò a far guarire Ranocchio la cui situazione peggiorava di giorno in giorno. Ormai aveva la febbre tutti i giorni e continuava a sputar sangue. Malpelo allora iniziò a togliere del denaro dalla sua paga per permettere all’amico di nutrirsi, e gli regalò i pantaloni del padre. Purtroppo non ci fu giovamento, e poco dopo Ranocchio morì.

    Intanto la famiglia lo abbandonò trasferendosi a Cibali. Poco tempo dopo venne nella cava un evaso, ma ritenendo meglio la prigione piuttosto che la vita da minatore, si costituì e tornò in galera. A tal punto Malpelo pensò di andare anche lui in carcere e morirci, invece le sue ossa le lasciò in miniera come il padre. Infatti un giorno Malpelo accettò un incarico molto pericoloso, ovvero quello di esplorare una galleria che forse si congiungeva con un pozzo, ma se non fosse stato così c’era la possibilità di smarrirsi e non uscirne più fuori. Ormai abbandonato da tutti, prese gli arnesi di suo padre, il pane e si avventurò nella galleria. Non si seppe più nulla di lui. Non si ritrovarono nemmeno le ossa del povero fanciullo, e i ragazzi della cava quando parlano di lui abbassano la voce, perché hanno paura di ritrovarselo davanti, con i capelli rossi e gli occhiacci grigi.

    fonte:.skuola.net/



    Riassunti di alcune novelle di Giovanni Verga: Nedda, Rosso Malpelo, La lupa, Cos'è il re, La roba, Libertà

    RIASSUNTI

    1. NEDDA


    Il narratore guardando un focolare si rammenta un altro focolare visto. Davanti a questo caminetto ci sono delle ragazze che si asciugavano i vestiti bagnati dalla raccolta di olive avvenuta sotto la pioggia. Una delle ragazze è particolarmente triste, Nedda, perché la madre è molto ammalata. I soldi guadagnati dalla raccolta vengono portati alla madre per le medicine, ma questa muore.
    Dopo la morte della madre, la ragazza è isolata dal perbenismo dei paesani che la rimproverano di non portare il lutto. Le critiche del prete e delle comari si fanno ancora più spietate quando ella intreccia una relazione amorosa con un contadino, Janù.
    Questi decide di andare a lavorare nella piana di Catania, dove c’è la malaria ma dove potrebbe raggranellare i denari per il matrimonio. Ma qui si ammala, cade da un olivo e muore. Così Nedda resta sola con la figlioletta natale dal rapporto con Janù. Nonostante sia povera, si rifiuta di portare la figlia illegittima alla Ruota, convento dove venivano lasciati i bambini illegittimi, e viene perciò ancor più duramente criticata dalle comari. Infine la figlioletta muore di stenti.

    2. ROSSO MALPELO

    Rosso Malpelo è un ragazzo che lavora in una cava di rena. Poiché ha i capelli rossi, è ritenuto malvagio e tiranneggiato da tutti.
    All’inizio è protetto dal padre, ma, quando questi muore in un incidente di lavoro, resta solo e indifeso, anche perché la madre, restata vedova, e la sorella si sposano. Rosso assimila la violenza che subisce e cerca di insegnarne la lezione anche all’unico amico che abbia, un ragazzo sciancato, Ranocchio. Quando anche costui muore, accetta di visitare un tratto inesplorato della galleria e vi si perde per sempre.

    3. LA LUPA

    La novella è suddividibile in quattro momenti: 1) il ritratto del personaggio pone in primo piano la figura di una donna che trasgredisce ogni regola sociale e che, per la determinazione con cui segue i propri appetiti sessuali, viene chiamata “la lupa”; 2) il vano amore della “lupa” per Nanni, che invece, badando all’interesse, mira a sposare la figlia di lei, Maricchia; 3) dopo il matrimonio fra Nanni e Maricchia, esplode l’amore incestuoso fra genero e suocera, provocando lo scandalo nel paese, la reazione drammatica di Maricchia e gli scrupoli di Nanni, che più volte tenta di sottrarsi al fascino della donna; 4) infine Nanni, non riuscendo altrimenti a porre fine alla relazione, uccide “la lupa”.

    4. COS’E’ IL RE

    Compare Cosimo è un lettighiere a cui viene chiesto la lettiga per portare il re a Catania. Durante il tragitto Cosimo è molto preoccupato perché a causa della gran festa che c’è per il re a paura che i suoi muli possano imbizzarrirsi.
    Molti conoscenti, alla fine del viaggio, vanno a chiedergli come era stato questo, ma al lettighiere veniva subito la febbre a pensare a quanto si era preoccupato per il trasporto del re.
    Dopo molti anni il re venne a pignorargli tutte le mule e Cosimo non si dava pace pensando che pure quelle erano le mule che gli avevano portato la moglie sana e salva.
    Gli venne in mente della ragazza che chiese al re di risparmiare la persona condannata a morte e che se lui fosse andato a parlare con il re tutto so sarebbe messo a posto.

    5. LA ROBA

    Protagonista del racconto è Mazzarò, un contadino siciliano che a poco a poco, tutto sacrificando alla logica economica, è divenuto il maggior proprietario terriero della regione, sostituendosi al barone. Ma il processo di accumulazione economica si scontra con la sua sostanziale insensatezza: di fronte alla morte, infatti, Mazzarò scopre il non-senso di una vita dedicata esclusivamente alla roba.

    6. LIBERTA’

    Per le vie del paese la folla grida "Viva la libertà", si ritrova davanti al municipio, in piazza, sugli scalini della chiesa armata di scuri e di falci.
    Vengono uccisi preti, notai, molti galantuomini, ma anche i loro figli perché si dice, che un giorno sarebbero diventati come i loro genitori, donne nobili coem la baronessa con i suoi tre figli.
    Alla sera, finiti i tumulti, tutti rientrano nelle proprie case pensando a come spartirsi le ricchezze dei galantuomini, ma senza sapere come fare perchè non c’erano più notai per misurare i terreni o dividerli.
    Non si poteva più dire messa perchè non c'erano più preti, tutti guardavano il proprio vicino per intuire quante morti aveva sulla coscienza e si viveva nell'attesa di qualcosa.
    Il giorno dopo arriva il generale a far giustizia, subito vengono fucilate 4 o 5 persone, dopo arrivano anche i giudici che, presi i colpevoli, li conducono in città per un processo che dura tre anni. Madri e molgi pe run po' si recano in città per seguire i loro cari, ma poi tornano al paese e tutto sembra tornare come prima. Gli arrestati vengono condannati per il massacro, senza capire cos'hanno fatto di male e chiedendosi quale colpa hanno commesso.

     
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