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ARAFRASI -"LA FUGA DI ANGELICA"

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    ARAFRASI DI "LA FUGA DI ANGELICA"

    Riassunto del Canto

    Angelica ed Orlando tornano insieme dall'Oriente e si recano là dove re Carlo aveva insediato il proprio esercio, per dare battaglia a re Agramante, giunto dall'Africa per vendicare la morte di Traiano, e al suo alleato il re Marsilio.
    Rinaldo, anch'egli innamorato di Angelica, giunge anche lui sul posto ed entra subito in conflitto con Orlando. Carlo Magno è quindi costretto, per porre fine al conflitto amoroso, ad affidare la bella donna a Namo di Baviera, promettendola quindi in dono a chi dei due duellanti risulterà il più valoroso nella imminente battaglia contro i saraceni.
    I cristiani vengono però sconfitti e sono costretti a ritirarsi. Il duca Namo viene fatto prigioniero ed Angelica, rimasta incustodita, approfitta della situazione per fuggire a cavallo.

    Inoltratasi in un bosco, incontra Rinaldo che avanza correndo, avendo in precedenza perduto il proprio cavallo. Angelica impaurita, cambia prontamente direzione e fugge al cavaliere.

    Giunta sulla riva di un fiume incontra quindi il saraceno Ferraù che, spinto da un grande desiderio di dissetarsi e di riposarsi, si era allontanato dal campo di battaglia. Nel gesto di bere aveva però perduto il proprio elmo e si si era quindi poi dovuto fermare oltre per cercarlo.
    Ferraù, probabilmente anch'egli vittima del fascino di Angelica, corre in aiuto della donzella, sguaina la spada ed affronta Rinaldo. Angelica approfitta della situazione e riprende la fuga.
    Dopo un feroce combattimento senza vincitore i due però decidono di non perdere ulteriormente tempo e di correre insieme, sullo stesso cavallo, all'inseguimento della donna, rimandando quindi il duello. Ad un bivio devono però separarsi.

    Dopo diverse vicissitudini, Ferraù si ritrova infine nuovamente al fiume e si rimette a cercare l'emo. Dalle acqua vede comparire Argalia, cavaliere ucciso da Ferrù, che lo rimprovera per non avere mantenuto, se non per caso (con la perdita dell'elmo), la promessa data di gettare le sue armi.
    Argalia lo incita quindi a conquistare l'elmo di Orlando o di Rinaldo in sostituzione del suo, promesso ma mai restituito. Ferraù per la vergonga e per l'ira decide di fare qualunque cosa per soddisfare almeno questa ultima richiesta e si lancia alla ricerca di Orlando.

    Poco dopo aver lasciato Ferraù Rinaldo vede ricomparire il suo cavallo Baiardo. Cerca di richiamarlo a se ma il cavallo si allontana.

    Temendo di avere ancora alle spalle Rinaldo, Angelica prosegue nella sua fuga fino a giungere il giorno dopo presso un ruscelletto presso il quale decide di riposarsi, nascosta in un cespuglio.
    Ginge al ruscello anche un cavaliere, Sacripante, piangente e disperato per non essere riuscito ad avere Angelica. La donzella lo riconosce, sa dell'amore di lui e decide di sfruttarlo per farsi fare da guida. Esce dal cespuglio e si mostra quindi a lui.

    Ma proprio mentre Sacripante è deciso ad approfittare egli stesso della situazione, compare un cavaliere misterioso completamente vestito di bianco che lo interrompe.
    I due si affrontano subito in duello. Il cavallo di Sacripante viene ucciso e cadendo, tiene imprigionato sotto il proprio peso il proprio padrone.
    Angelica aiuta allora il cavaliere, nuovamente sospirante per la vergogna della situazione, a rialzarsi e lo conforta.

    Arriva in quel momento anche un messaggero lanciato all'inseguimento del cavaliere bianco e in cambia delle informazioni ricevute circa la direzione da prendere, annuncia a Sacripante che a disarcionarlo è stata una donna, Bradamante.

    Sacripante ed Angelica montano quindi sul cavallo di Angelica e si allontanano. Percorsa poca strada incontrano Baiardo, che, dopo aver allontanato Scaripante, viene avvicinato da Angelica e si lascia quindi montare dal cavaliere.

    Sopraggiunge infine Rinaldo a piedi. Rinaldo ama con tutto se stesso Angelica, tanto quanto lei lo odia. In passato i sentimenti dei due erano esattamanete il contrario, è stata una fontana fatata ad invertire la situazione.


    Testo e Parafrasi COMPLETA del Canto


    1
    Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,
    le cortesie, l'audaci imprese io canto,
    che furo al tempo che passaro i Mori
    d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
    seguendo l'ire e i giovenil furori
    d'Agramante lor re, che si diè vanto
    di vendicar la morte di Troiano
    sopra re Carlo imperator romano.

    2
    Dirò d'Orlando in un medesmo tratto
    cosa non detta in prosa mai, né in rima:
    che per amor venne in furore e matto,
    d'uom che sì saggio era stimato prima;
    se da colei che tal quasi m'ha fatto,

    che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima,
    me ne sarà però tanto concesso,
    che mi basti a finir quanto ho promesso.

    3
    Piacciavi, generosa Erculea prole,
    ornamento e splendor del secol nostro,
    Ippolito, aggradir questo che vuole
    e darvi sol può l'umil servo vostro.
    Quel ch'io vi debbo, posso di parole
    pagare in parte e d'opera d'inchiostro;
    né che poco io vi dia da imputar sono,
    che quanto io posso dar, tutto vi dono.

    4
    Voi sentirete fra i più degni eroi,
    che nominar con laude m'apparecchio,
    ricordar quel Ruggier, che fu di voi
    e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.
    L'alto valore e' chiari gesti suoi
    vi farò udir, se voi mi date orecchio,
    e vostri alti pensieri cedino un poco,
    sì che tra lor miei versi abbiano loco.

    5
    Orlando, che gran tempo innamorato
    fu de la bella Angelica, e per lei
    in India, in Media, in Tartaria lasciato
    avea infiniti ed immortal trofei,
    in Ponente con essa era tornato,
    dove sotto i gran monti Pirenei
    con la gente di Francia e de Lamagna
    re Carlo era attendato alla campagna,

    6
    per far al re Marsilio e al re Agramante
    battersi ancor del folle ardir la guancia,
    d'aver condotto, l'un, d'Africa quante
    genti erano atte a portar spada e lancia;
    l'altro, d'aver spinta la Spagna inante
    a destruzion del bel regno di Francia.
    E così Orlando arrivò quivi a punto:
    ma tosto si pentì d'esservi giunto:

    7
    Che vi fu tolta la sua donna poi:
    ecco il giudicio uman come spesso erra!
    Quella che dagli esperi ai liti eoi
    avea difesa con sì lunga guerra,
    or tolta gli è fra tanti amici suoi,
    senza spada adoprar, ne la sua terra.
    Il savio imperator, ch'estinguer volse
    un grave incendio, fu che gli la tolse.


    8
    Nata pochi dì inanzi era una gara
    tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
    che entrambi avean per la bellezza rara
    d'amoroso disio l'animo caldo.
    Carlo, che non avea tal lite cara,
    che gli rendea l'aiuto lor men saldo,
    questa donzella, che la causa n'era,
    tolse, e diè in mano al duca di Bavera;

    9
    in premio promettendola a quel d'essi,
    ch'in quel conflitto, in quella gran giornata,
    degl'infideli più copia uccidessi,
    e di sua man prestasse opra più grata.
    Contrari ai voti poi furo i successi;
    ch'in fuga andò la gente battezzata,
    e con molti altri fu 'l duca prigione,
    e restò abbandonato il padiglione.

    10
    Dove, poi che rimase la donzella
    ch'esser dovea del vincitor mercede,
    inanzi al caso era salita in sella,
    e quando bisognò le spalle diede,
    presaga che quel giorno esser rubella
    dovea Fortuna alla cristiana fede:
    entrò in un bosco, e ne la stretta via
    rincontrò un cavallier ch'a piè venìa.

    11
    Indosso la corazza, l'elmo in testa,
    la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;
    e più leggier correa per la foresta,
    ch'al pallio rosso il villan mezzo ignudo.
    Timida pastorella mai sì presta
    non volse piede inanzi a serpe crudo,
    come Angelica tosto il freno torse,

    che del guerrier, ch'a piè venìa, s'accorse.


    12
    Era costui quel paladin gagliardo,
    figliuol d'Amon, signor di Montalbano,
    a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo
    per strano caso uscito era di mano.
    Come alla donna egli drizzò lo sguardo,
    riconobbe, quantunque di lontano,
    l'angelico sembiante e quel bel volto
    ch'all'amorose reti il tenea involto.

    13
    La donna il palafreno a dietro volta,
    e per la selva a tutta briglia il caccia;
    né per la rara più che per la folta,
    la più sicura e miglior via procaccia:
    ma pallida, tremando, e di sé tolta,
    lascia cura al destrier che la via faccia.
    Di sù di giù, ne l'alta selva fiera
    tanto girò, che venne a una riviera.

    14
    Su la riviera Ferraù trovosse
    di sudor pieno e tutto polveroso.
    Da la battaglia dianzi lo rimosse
    un gran disio di bere e di riposo;
    e poi, mal grado suo, quivi fermosse,
    perché, de l'acqua ingordo e frettoloso,
    l'elmo nel fiume si lasciò cadere,
    né l'avea potuto anco riavere.

    15
    Quanto potea più forte, ne veniva
    gridando la donzella ispaventata.
    A quella voce salta in su la riva
    il Saracino, e nel viso la guata;
    e la conosce subito ch'arriva,
    ben che di timor pallida e turbata,
    e sien più dì che non n'udì novella,

    che senza dubbio ell'è Angelica bella.

    16
    E perché era cortese, e n'avea forse
    non men de' dui cugini il petto caldo,
    l'aiuto che potea tutto le porse,
    pur come avesse l'elmo, ardito e baldo:
    trasse la spada, e minacciando corse
    dove poco di lui temea Rinaldo.

    Più volte s'eran già non pur veduti,
    m'al paragon de l'arme conosciuti.

    17
    Cominciar quivi una crudel battaglia,
    come a piè si trovar, coi brandi ignudi:

    non che le piastre e la minuta maglia,
    ma ai colpi lor non reggerian gl'incudi.
    Or, mentre l'un con l'altro si travaglia,
    bisogna al palafren che 'l passo studi;
    che quanto può menar de le calcagna,
    colei lo caccia al bosco e alla campagna.

    18
    Poi che s'affaticar gran pezzo invano
    i dui guerrier per por l'un l'altro sotto,

    quando non meno era con l'arme in mano
    questo di quel, né quel di questo dotto;
    fu primiero il signor di Montalbano,
    ch'al cavallier di Spagna fece motto,
    sì come quel ch'ha nel cuor tanto fuoco,
    che tutto n'arde e non ritrova loco.

    19
    Disse al pagan: - Me sol creduto avrai,
    e pur avrai te meco ancora offeso:
    se questo avvien perché i fulgenti rai
    del nuovo sol t'abbino il petto acceso,
    di farmi qui tardar che guadagno hai?
    che quando ancor tu m'abbi morto o preso,
    non però tua la bella donna fia;
    che, mentre noi tardiam, se ne va via.

    20
    Quanto fia meglio, amandola tu ancora,
    che tu le venga a traversar la strada,
    a ritenerla e farle far dimora,
    prima che più lontana se ne vada!
    Come l'avremo in potestate, allora
    di chi esser de' si provi con la spada:
    non so altrimenti, dopo un lungo affanno,
    che possa riuscirci altro che danno. -

    21
    Al pagan la proposta non dispiacque:
    così fu differita la tenzone;
    e tal tregua tra lor subito nacque,
    sì l'odio e l'ira va in oblivione,
    che 'l pagano al partir da le fresche acque
    non lasciò a piedi il buon figliuol d'Amone:
    con preghi invita, ed al fin toglie in groppa,
    e per l'orme d'Angelica galoppa.

    22
    Oh gran bontà de' cavallieri antiqui!
    Eran rivali, eran di fé diversi,
    e si sentian degli aspri colpi iniqui
    per tutta la persona anco dolersi;
    e pur per selve oscure e calli obliqui
    insieme van senza sospetto aversi.
    Da quattro sproni il destrier punto arriva
    ove una strada in due si dipartiva.

    23
    E come quei che non sapean se l'una
    o l'altra via facesse la donzella
    (però che senza differenza alcuna
    apparia in amendue l'orma novella),
    si messero ad arbitrio di fortuna,
    Rinaldo a questa, il Saracino a quella.
    Pel bosco Ferraù molto s'avvolse,
    e ritrovossi al fine onde si tolse.

    24
    Pur si ritrova ancor su la rivera,
    là dove l'elmo gli cascò ne l'onde.
    Poi che la donna ritrovar non spera,
    per aver l'elmo che 'l fiume gli asconde,
    in quella parte onde caduto gli era
    discende ne l'estreme umide sponde:
    ma quello era sì fitto ne la sabbia,
    che molto avrà da far prima che l'abbia.

    25
    Con un gran ramo d'albero rimondo,
    di ch'avea fatto una pertica lunga,
    tenta il fiume e ricerca sino al fondo,
    né loco lascia ove non batta e punga.
    Mentre con la maggior stizza del mondo
    tanto l'indugio suo quivi prolunga,
    vede di mezzo il fiume un cavalliero
    insino al petto uscir, d'aspetto fiero.

    26
    Era, fuor che la testa, tutto armato,
    ed avea un elmo ne la destra mano:
    avea il medesimo elmo che cercato
    da Ferraù fu lungamente invano.
    A Ferraù parlò come adirato,
    e disse: - Ah mancator di fé, marano!
    perché di lasciar l'elmo anche t'aggrevi,
    che render già gran tempo mi dovevi?

    27
    Ricordati, pagan, quando uccidesti
    d'Angelica il fratel (che son quell'io),
    dietro all'altr'arme tu mi promettesti
    gittar fra pochi dì l'elmo nel rio.
    Or se Fortuna (quel che non volesti
    far tu) pone ad effetto il voler mio,
    non ti turbare; e se turbar ti déi,
    turbati che di fé mancato sei.

    28
    Ma se desir pur hai d'un elmo fino,
    trovane un altro, ed abbil con più onore;
    un tal ne porta Orlando paladino,
    un tal Rinaldo, e forse anco migliore:
    l'un fu d'Almonte, e l'altro di Mambrino:
    acquista un di quei dui col tuo valore;
    e questo, ch'hai già di lasciarmi detto,
    farai bene a lasciarmi con effetto. -

    29
    All'apparir che fece all'improvviso
    de l'acqua l'ombra, ogni pelo arricciossi,
    e scolorossi al Saracino il viso;
    la voce, ch'era per uscir, fermossi.
    Udendo poi da l'Argalia, ch'ucciso
    quivi avea già (che l'Argalia nomossi)
    la rotta fede così improverarse,

    di scorno e d'ira dentro e di fuor arse.

    30
    Né tempo avendo a pensar altra scusa,
    e conoscendo ben che 'l ver gli disse,
    restò senza risposta a bocca chiusa;
    ma la vergogna il cor sì gli trafisse,
    che giurò per la vita di Lanfusa
    non voler mai ch'altro elmo lo coprisse,
    se non quel buono che già in Aspramonte
    trasse dal capo Orlando al fiero Almonte.

    31
    E servò meglio questo giuramento,
    che non avea quell'altro fatto prima.
    Quindi si parte tanto malcontento,
    che molti giorni poi si rode e lima.
    Sol di cercare è il paladino intento
    di qua di là, dove trovarlo stima.
    Altra ventura al buon Rinaldo accade,
    che da costui tenea diverse strade.


    32
    Non molto va Rinaldo, che si vede
    saltare inanzi il suo destrier feroce:
    - Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede!
    che l'esser senza te troppo mi nuoce. -
    Per questo il destrier sordo, a lui non riede
    anzi più se ne va sempre veloce.
    Segue Rinaldo, e d'ira si distrugge:
    ma seguitiamo Angelica che fugge.

    33
    Fugge tra selve spaventose e scure,
    per lochi inabitati, ermi e selvaggi.
    Il mover de le frondi e di verzure,

    che di cerri sentia, d'olmi e di faggi,
    fatto le avea con subite paure
    trovar di qua di là strani viaggi;
    ch'ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,
    temea Rinaldo aver sempre alle spalle.

    34
    Qual pargoletta o damma o capriuola,
    che tra le fronde del natio boschetto
    alla madre veduta abbia la gola
    stringer dal pardo, o aprirle 'l fianco o 'l petto,
    di selva in selva dal crudel s'invola,
    e di paura trema e di sospetto:
    ad ogni sterpo che passando tocca,
    esser si crede all'empia fera in bocca.

    35
    Quel dì e la notte a mezzo l'altro giorno
    s'andò aggirando, e non sapeva dove.
    Trovossi al fin in un boschetto adorno,
    che lievemente la fresca aura muove.
    Duo chiari rivi, mormorando intorno,
    sempre l'erbe vi fan tenere e nuove;
    e rendea ad ascoltar dolce concento,
    rotto tra picciol sassi, il correr lento.

    36
    Quivi parendo a lei d'esser sicura
    e lontana a Rinaldo mille miglia,
    da la via stanca e da l'estiva arsura,
    di riposare alquanto si consiglia:
    tra' fiori smonta, e lascia alla pastura
    andare il palafren senza la briglia;
    e quel va errando intorno alle chiare onde,
    che di fresca erba avean piene le sponde.

    37
    Ecco non lungi un bel cespuglio vede
    di prun fioriti e di vermiglie rose,
    che de le liquide onde al specchio siede,
    chiuso dal sol fra l'alte querce ombrose;
    così voto nel mezzo, che concede
    fresca stanza fra l'ombre più nascose:
    e la foglia coi rami in modo è mista,
    che 'l sol non v'entra, non che minor vista.


    38
    Dentro letto vi fan tenere erbette,
    ch'invitano a posar chi s'appresenta.
    La bella donna in mezzo a quel si mette,
    ivi si corca ed ivi s'addormenta.
    Ma non per lungo spazio così stette,
    che un calpestio le par che venir senta:
    cheta si leva e appresso alla riviera
    vede ch'armato un cavallier giunt'era.

    39
    Se gli è amico o nemico non comprende:
    tema e speranza il dubbio cor le scuote;
    e di quella aventura il fine attende,
    né pur d'un sol sospir l'aria percuote.
    Il cavalliero in riva al fiume scende
    sopra l'un braccio a riposar le gote;
    e in un suo gran pensier tanto penètra,
    che par cangiato in insensibil pietra.

    40
    Pensoso più d'un'ora a capo basso

    stette, Signore, il cavallier dolente;
    poi cominciò con suono afflitto e lasso
    a lamentarsi sì soavemente,
    ch'avrebbe di pietà spezzato un sasso,
    una tigre crudel fatta clemente.
    Sospirante piangea, tal ch'un ruscello
    parean le guance, e 'l petto un Mongibello.


    41
    - Pensier (dicea) che 'l cor m'agghiacci ed ardi,
    e causi il duol che sempre il rode e lima,
    che debbo far, poi ch'io son giunto tardi,
    e ch'altri a corre il frutto è andato prima?

    a pena avuto io n'ho parole e sguardi,
    ed altri n'ha tutta la spoglia opima.
    Se non ne tocca a me frutto né fiore,
    perché affligger per lei mi vuo' più il core?

    42
    La verginella è simile alla rosa,
    ch'in bel giardin su la nativa spina
    mentre sola e sicura si riposa,
    né gregge né pastor se le avvicina;
    l'aura soave e l'alba rugiadosa,
    l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:
    gioveni vaghi e donne inamorate
    amano averne e seni e tempie ornate.

    43
    Ma non sì tosto dal materno stelo
    rimossa viene e dal suo ceppo verde,
    che quanto avea dagli uomini e dal cielo
    favor, grazia e bellezza, tutto perde.
    La vergine che 'l fior, di che più zelo
    che de' begli occhi e de la vita aver de',
    lascia altrui corre, il pregio ch'avea inanti

    perde nel cor di tutti gli altri amanti.

    44
    Sia Vile agli altri, e da quel solo amata
    a cui di sé fece sì larga copia.
    Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata!
    trionfan gli altri, e ne moro io d'inopia.
    Dunque esser può che non mi sia più grata?
    dunque io posso lasciar mia vita propia?
    Ah più tosto oggi manchino i dì miei,
    ch'io viva più, s'amar non debbo lei! -

    45
    Se mi domanda alcun chi costui sia,
    che versa sopra il rio lacrime tante,
    io dirò ch'egli è il re di Circassia,
    quel d'amor travagliato Sacripante;
    io dirò ancor, che di sua pena ria
    sia prima e sola causa essere amante,
    è pur un degli amanti di costei:
    e ben riconosciuto fu da lei.

    46
    Appresso ove il sol cade, per suo amore
    venuto era dal capo d'Oriente;
    che seppe in India con suo gran dolore,

    come ella Orlando sequitò in Ponente:
    poi seppe in Francia che l'imperatore
    sequestrata l'avea da l'altra gente,
    per darla all'un de' duo che contra il Moro
    più quel giorno aiutasse i Gigli d'oro.

    47
    Stato era in campo, e inteso avea di quella
    rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo:
    cercò vestigio d'Angelica bella,
    né potuto avea ancora ritrovarlo.
    Questa è dunque la trista e ria novella
    che d'amorosa doglia fa penarlo,
    affligger, lamentare, e dir parole
    che di pietà potrian fermare il sole.


    48
    Mentre costui così s'affligge e duole,
    e fa degli occhi suoi tepida fonte,
    e dice queste e molte altre parole,
    che non mi par bisogno esser racconte;
    l'aventurosa sua fortuna vuole
    ch'alle orecchie d'Angelica sian conte:
    e così quel ne viene a un'ora, a un punto,
    ch'in mille anni o mai più non è raggiunto.

    49
    Con molta attenzion la bella donna
    al pianto, alle parole, al modo attende
    di colui ch'in amarla non assonna;
    né questo è il primo dì ch'ella l'intende:
    ma dura e fredda più d'una colonna,
    ad averne pietà non però scende,
    come colei c'ha tutto il mondo a sdegno,
    e non le par ch'alcun sia di lei degno.

    50
    Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola
    le fa pensar di tor costui per guida;
    che chi ne l'acqua sta fin alla gola
    ben è ostinato se mercé non grida.
    Se questa occasione or se l'invola,
    non troverà mai più scorta sì fida;
    ch'a lunga prova conosciuto inante
    s'avea quel re fedel sopra ogni amante.

    51
    Ma non però disegna de l'affanno
    che lo distrugge alleggierir chi l'ama,
    e ristorar d'ogni passato danno
    con quel piacer ch'ogni amator più brama:
    ma alcuna finzione, alcuno inganno
    di tenerlo in speranza ordisce e trama;
    tanto ch'a quel bisogno se ne serva,
    poi torni all'uso suo dura e proterva.

    52
    E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
    fa di sé bella ed improvvisa mostra,
    come di selva o fuor d'ombroso speco
    Diana in scena o Citerea si mostra;
    e dice all'apparir: - Pace sia teco;
    teco difenda Dio la fama nostra,
    e non comporti, contra ogni ragione,
    ch'abbi di me sì falsa opinione. -

    53
    Non mai con tanto gaudio o stupor tanto
    levò gli occhi al figliuolo alcuna madre,
    ch'avea per morto sospirato e pianto,
    poi che senza esso udì tornar le squadre;

    con quanto gaudio il Saracin, con quanto
    stupor l'alta presenza e le leggiadre
    maniere, e il vero angelico sembiante,
    improviso apparir si vide inante.

    54
    Pieno di dolce e d'amoroso affetto,
    alla sua donna, alla sua diva corse,
    che con le braccia al collo il tenne stretto,
    quel ch'al Catai non avria fatto forse.
    Al patrio regno, al suo natio ricetto,
    seco avendo costui, l'animo torse:

    subito in lei s'avviva la speranza
    di tosto riveder sua ricca stanza.

    55
    Ella gli rende conto pienamente

    dal giorno che mandato fu da lei
    a domandar soccorso in Oriente
    al re de' Sericani e Nabatei;
    e come Orlando la guardò sovente
    da morte, da disnor, da casi rei:
    e che 'l fior virginal così avea salvo,
    come se lo portò del materno alvo.

    56
    Forse era ver, ma non però credibile
    a chi del senso suo fosse signore;
    ma parve facilmente a lui possibile,
    ch'era perduto in via più grave errore.

    Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibiIe,
    e l'invisibil fa vedere Amore.
    Questo creduto fu; che 'l miser suole
    dar facile credenza a quel che vuole.

    57
    - Se mal si seppe il cavallier d'Anglante
    pigliar per sua sciocchezza il tempo buono,
    il danno se ne avrà; che da qui inante
    nol chiamerà Fortuna a sì gran dono
    (tra sé tacito parla Sacripante):
    ma io per imitarlo già non sono,
    che lasci tanto ben che m'è concesso,
    e ch'a doler poi m'abbia di me stesso.

    58
    Corrò la fresca e matutina rosa,
    che, tardando, stagion perder potria.
    So ben ch'a donna non si può far cosa
    che più soave e più piacevol sia,
    ancor che se ne mostri disdegnosa,
    e talor mesta e flebil se ne stia:
    non starò per repulsa o finto sdegno,
    ch'io non adombri e incarni il mio disegno. -

    59
    Così dice egli; e mentre s'apparecchia
    al dolce assalto, un gran rumor che suona
    dal vicin bosco gl'intruona l'orecchia,
    sì che mal grado l'impresa abbandona:
    e si pon l'elmo (ch'avea usanza vecchia
    di portar sempre armata la persona),
    viene al destriero e gli ripon la briglia,
    rimonta in sella e la sua lancia piglia.

    60
    Ecco pel bosco un cavallier venire,
    il cui sembiante è d'uom gagliardo e fiero:
    candido come nieve è il suo vestire,
    un bianco pennoncello ha per cimiero.
    Re Sacripante, che non può patire
    che quel con l'importuno suo sentiero
    gli abbia interrotto il gran piacer ch'avea,

    con vista il guarda disdegnosa e rea.

    61
    Come è più appresso, lo sfida a battaglia;
    che crede ben fargli votar l'arcione.

    Quel che di lui non stimo già che vaglia
    un grano meno, e ne fa paragone,
    l'orgogliose minacce a mezzo taglia,
    sprona a un tempo, e la lancia in resta pone.

    Sacripante ritorna con tempesta,
    e corronsi a ferir testa per testa.

    62
    Non si vanno i leoni o i tori in salto
    a dar di petto, ad accozzar sì crudi,
    sì come i duo guerrieri al fiero assalto,
    che parimente si passar li scudi.
    Fe' lo scontro tremar dal basso all'alto
    l'erbose valli insino ai poggi ignudi;
    e ben giovò che fur buoni e perfetti
    gli osberghi sì, che lor salvaro i petti.

    63
    Già non fero i cavalli un correr torto,
    anzi cozzaro a guisa di montoni:

    quel del guerrier pagan morì di corto,
    ch'era vivendo in numero de' buoni:

    quell'altro cadde ancor, ma fu risorto
    tosto ch'al fianco si sentì gli sproni.
    Quel del re saracin restò disteso
    adosso al suo signor con tutto il peso.

    64
    L'incognito campion che restò ritto,
    e vide l'altro col cavallo in terra,
    stimando avere assai di quel conflitto,
    non si curò di rinovar la guerra;
    ma dove per la selva è il camin dritto,
    correndo a tutta briglia si disserra;
    e prima che di briga esca il pagano,
    un miglio o poco meno è già lontano.

    65
    Qual istordito e stupido aratore,
    poi ch'è passato il fulmine, si leva
    di là dove l'altissimo fragore
    appresso ai morti buoi steso l'aveva;
    che mira senza fronde e senza onore
    il pin che di lontan veder soleva:
    tal si levò il pagano a piè rimaso,
    Angelica presente al duro caso.

    66
    Sospira e geme, non perché l'annoi
    che piede o braccio s'abbi rotto o mosso,
    ma per vergogna sola, onde a' dì suoi
    né pria né dopo il viso ebbe sì rosso:
    e più, ch'oltre il cader, sua donna poi
    fu che gli tolse il gran peso d'adosso.
    Muto restava, mi cred'io, se quella
    non gli rendea la voce e la favella.

    67
    - Deh! (diss'ella) signor, non vi rincresca!
    che del cader non è la colpa vostra,
    ma del cavallo, a cui riposo ed esca
    meglio si convenia che nuova giostra.
    Né perciò quel guerrier sua gloria accresca
    che d'esser stato il perditor dimostra:
    così, per quel ch'io me ne sappia, stimo,

    quando a lasciare il campo è stato primo. -


    68
    Mentre costei conforta il Saracino,
    ecco col corno e con la tasca al fianco,
    galoppando venir sopra un ronzino
    un messagger che parea afflitto e stanco;
    che come a Sacripante fu vicino,
    gli domandò se con un scudo bianco
    e con un bianco pennoncello in testa
    vide un guerrier passar per la foresta.

    69
    Rispose Sacripante: - Come vedi,
    m'ha qui abbattuto, e se ne parte or ora;

    e perch'io sappia chi m'ha messo a piedi,
    fa che per nome io lo conosca ancora. -
    Ed egli a lui: - Di quel che tu mi chiedi
    io ti satisfarò senza dimora:
    tu dei saper che ti levò di sella
    l'alto valor d'una gentil donzella.

    70
    Ella è gagliarda ed è più bella molto;
    né il suo famoso nome anco t'ascondo:
    fu Bradamante quella che t'ha tolto
    quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. -
    Poi ch'ebbe così detto, a freno sciolto

    il Saracin lasciò poco giocondo,
    che non sa che si dica o che si faccia,
    tutto avvampato di vergogna in faccia.

    71
    Poi che gran pezzo al caso intervenuto
    ebbe pensato invano, e finalmente
    si trovò da una femina abbattuto,
    che pensandovi più, più dolor sente;
    montò l'altro destrier, tacito e muto:

    e senza far parola, chetamente
    tolse Angelica in groppa, e differilla
    a più lieto uso, a stanza più tranquilla.

    72
    Non furo iti due miglia, che sonare
    odon la selva che li cinge intorno,
    con tal rumore e strepito, che pare
    che triemi la foresta d'ogn'intorno;
    e poco dopo un gran destrier n'appare,
    d'oro guernito e riccamente adorno,
    che salta macchie e rivi, ed a fracasso

    arbori mena e ciò che vieta il passo.


    73
    - Se l'intricati rami e l'aer fosco,
    (disse la donna) agli occhi non contende,
    Baiardo è quel destrier ch'in mezzo il bosco
    con tal rumor la chiusa via si fende.
    Questo è certo Baiardo, io 'l riconosco:
    deh, come ben nostro bisogno intende!
    ch'un sol ronzin per dui saria mal atto,

    e ne viene egli a satisfarci ratto. -

    74
    Smonta il Circasso ed al destrier s'accosta,
    e si pensava dar di mano al freno.
    Colle groppe il destrier gli fa risposta,
    che fu presto al girar come un baleno;
    ma non arriva dove i calci apposta:
    misero il cavallier se giungea a pieno!
    che nei calci tal possa avea il cavallo,
    ch'avria spezzato un monte di metallo.

    75
    Indi va mansueto alla donzella,
    con umile sembiante e gesto umano,
    come intorno al padrone il can saltella,

    che sia duo giorni o tre stato lontano.
    Baiardo ancora avea memoria d'ella,
    ch'in Albracca il servia già di sua mano

    nel tempo che da lei tanto era amato
    Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.

    76
    Con la sinistra man prende la briglia,
    con l'altra tocca e palpa il collo e 'l petto:
    quel destrier, ch'avea ingegno a maraviglia,
    a lei, come un agnel, si fa suggetto.
    Intanto Sacripante il tempo piglia:
    monta Baiardo e l'urta e lo tien stretto.

    Del ronzin disgravato la donzella
    lascia la groppa, e si ripone in sella.

    77
    Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira
    venir sonando d'arme un gran pedone.
    Tutta s'avvampa di dispetto e d'ira,
    che conosce il figliuol del duca Amone.
    Più che sua vita l'ama egli e desira;
    l'odia e fugge ella più che gru falcone.

    Già fu ch'esso odiò lei più che la morte;
    ella amò lui: or han cangiato sorte.

    78
    E questo hanno causato due fontane
    che di diverso effetto hanno liquore,
    ambe in Ardenna, e non sono lontane:
    d'amoroso disio l'una empie il core;
    chi bee de l'altra, senza amor rimane,
    e volge tutto in ghiaccio il primo ardore.
    Rinaldo gustò d'una, e amor lo strugge;
    Angelica de l'altra, e l'odia e fugge.

    79
    Quel liquor di secreto venen misto,
    che muta in odio l'amorosa cura,
    fa che la donna che Rinaldo ha visto,
    nei sereni occhi subito s'oscura;
    e con voce tremante e viso tristo
    supplica Sacripante e lo scongiura
    che quel guerrier più appresso non attenda,
    ma ch'insieme con lei la fuga prenda.

    80
    - Son dunque (disse il Saracino), sono
    dunque in sì poco credito con vui,
    che mi stimiate inutile e non buono
    da potervi difender da costui?
    Le battaglie d'Albracca già vi sono
    di mente uscite, e la notte ch'io fui
    per la salute vostra, solo e nudo,
    contra Agricane e tutto il campo, scudo? -

    81
    Non risponde ella, e non sa che si faccia,
    perché Rinaldo ormai l'è troppo appresso,
    che da lontan al Saracin minaccia,
    come vide il cavallo e conobbe esso,
    e riconohbe l'angelica faccia
    che l'amoroso incendio in cor gli ha messo.
    Quel che seguì tra questi duo superbi
    vo' che per l'altro canto si riserbi.
    1
    Delle donne, dei cavalieri, delle battaglie, degli amori,
    degli atti di cortesia, delle audaci imprese io canto,
    che ci furono nel tempo in cui gli Arabi
    attraversarono il mare d'Africa, e arrecarono tanto danno in Francia, seguendo le ire e i furori giovanili
    del loro re Agramante, il quale si vantò
    di poter vendicare la morte di Traiano
    contro il re Carlo, imperatore romano.

    2
    Nello stesso tempo, racconterò di Orlando
    cose che non sono state mai dette né in prosa né in rima:
    che per amore, divenne completamente folle,
    lui che prima era considerato uomo così saggio;
    dirò queste cose se da parte di colei che mi ha quasi reso tale
    e che a poco a poco consuma il mio piccolo ingegno,
    me ne sarà concesso a sufficienza (di ingegno)
    che mi basti a finire l'opera che ho promesso.

    3
    Vi piaccia, generosa e nobile prole del [duca] Ercole I,
    che siete ornamento e splendore del nostro tempo,
    Ippolito, di gradire questo poema che vuole
    e darvi solo può il vostro umile servitore.
    Il mio debito nei vostri confronti, lo posso solo
    pagare in parte con le mie parole ed opere scritte;
    non mi si potrà accusare di darvi poco,
    perché io vi dono tutto quanto posso donarvi, non ho altro.

    4
    Voi mi sentirete ricordare fra i più valorosi eroi,
    che mi appresto a citare lodandoli,
    di quel Ruggiero che fu il vostro
    e dei vostri nobili avi il capostipite.
    Il suo grande valore e le sue imprese
    vi farò udire se mi presterete ascolto;
    e ile vostre profonde preoccupazioni cedano un poco,
    in modo che tra loro i miei versi possano trovare spazio.

    5
    Orlando, che per tanto tempo era stato innamorato
    della bella Angelica e per lei
    in India, in Oriente, aveva lasciato
    trofei immortali ed in numero infinito,
    era tornato infine con la donna amata in Occidente
    dove, sotto gli alti monti Pirenei,
    con i Francesi ed i Tedeschi,
    il re Carlo si era insediato in campo aperto

    6
    perché il re Marsilio ed il re Agramante
    si pentissero ancora una volte delle loro folli azioni;
    Agramante per avere condotto dall'Africa tante
    persone quanto erano in grado di portare spada e lancia,
    Marsilio per avere condotto la Spagna
    nella distruzione del bel regno di Francia.
    E così Orlando arrivò sul posto al momento giusto,
    ma subito si pentì di esservi giunto.

    7
    Gli anche fu tolta la donna che amava:
    ecco come il giudizio umano spesso sbaglia!
    La donna che dalle coste Orientali a quelle Occidentali
    aveva difeso con una tanto lunga guerra,
    ora gli viene tolta tra tanti suoi amici,
    senza che sia adoperata spada alcuna, sulla sua terra.
    Il saggio imperatore, con la volontà di estinguere
    un grave incendio (pericolosa contesa d'amore), fu a togliergliela.

    8
    Pochi giorni prima era infatti iniziato un conflitto
    tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo,
    poiché entrambi, per la rara bellezza di Angelica,
    avevano l'animo infiammato dal desiderio amoroso.
    Carlo non vedeva di buon occhio tale lite,
    che poteva mettere in dubbio il loro aiuto,
    questa fanciulla (Angelica), che ne era la causa,
    prese e consegno nelle mani del duca Namo di Baviera;

    9
    promettendola in premio a chi dei due,
    nell'imminente conflitto, in quella battaglia campale,
    avesse ucciso il maggior numero di infedeli,
    e con la sua mano avesse quindi reso maggior servizio.
    Gli eventi fecero però venire meno le promesse;
    perché i cristiani dovettero ritirarsi,
    insieme a molti altri, il duca Namo fu fatto prigioniero
    e la sua tenda rimase vuota (Angelica rimase incustodita).

    10
    Rimasta sola nella tenda, la donzella,
    che avrebbe dovuto essere la ricompensa del vincitore,
    visto l'andamento degli eventi, salì in sella ad un cavallo
    e ad momento opportuno scappò,
    avuto presagio che, quel giorno, avversa
    alla fede cristiana sarebbe stata la fortuna.
    Entrò in un bosco e per lo stretto sentiero
    incontrò un cavaliere che avanzava a piedi.

    11
    Con addosso la corazza, in testa l'elmo,
    al fianco la spada ed al braccio lo scudo,
    correva per la foresta più rapidamente
    di un contadino poco vestito in una gara di corsa.
    Una timida pastorella mai così rapidamente
    sottrasse il piede dal morso di un serpente letale,
    quanto rapidamente Angelica tirò le redini per cambiare direzione
    non appena si accorse del guerriero che sopraggiungeva a piedi.

    12
    Era questo guerriero (Rinaldo) quel paladino,
    figlio di Amone, signore di Montauban,
    al quale poco prima il proprio destriero
    per uno strano caso era fuggito di mano.
    Non appena posò lo sguardo sulla donna,
    riconobbe, nonostante fosse lontana,
    l'angelica figura ed il bel volto
    che lo avevano fatto prigioniero delle reti dell'amore.

    13
    La donna volta indietro il cavallo
    e per il bosco lo lancia in corsa a briglia sciolta;
    più per la rada (sgombra) che per la fitta boscaglia
    non va cercando la via migliore e più sicura,
    perché pallida, tremante, e fuori di sé,
    lascia che sia il cavallo a frasi strada da solo.
    L'animale da ogni parte, nell'inospitale foresta,
    tanto vagò che infine giunse alla riva di un fiume.

    14
    In riva al fiume trovò Ferraù
    tutto impolverato e sudato.
    Poco prima lo aveva tolto dalla battaglia
    una grande desiderio di bere di riposarsi;
    e poi, contro la sua volontà, lì si dovette fermare ,
    perché, nella fretta di bere,
    lasciò cadere nel fiume il proprio elmo
    ed ancora non era riuscito a ritrovarlo.

    15
    Sopraggiunse, gridando quanto più poteva
    la donzella spaventata.
    Udita la voce, il Saracino salta sulla riva
    la guarda attentamente in viso
    e subito riconosce che chi sta arrivando arriva al fiume,
    nonostante fosse pallida e turbata dalla paura
    e fossero passati più giorni dall'ultima volta che ne ebbe notizia,
    era senza dubbio la bella Angelica.

    16
    Essendo di indole gentile e forse avendo
    anche l'animo infiammato non meno dei due cugini,
    porse a lei tutto l'aiuto che era in grado di dare,
    come se avesse riavuto l'elmo, temerario e spavaldo:
    sguainò la spada e corse minaccioso
    verso Rinaldo, che in realtà non era per niente intimorito da lui.
    Più volte si era già non solo visti
    ma anche scontrati con le armi.

    17
    Cominciò lì una battaglia crudele,
    a piedi, come si trovavano entrambi, con le spade sguainate,
    Non solo le piastre della corazza e la maglia di ferro
    ma neanche gli scudi reggevano ai loro colpi.
    Ora, mentre l'uno si occupa affannosamente dell'altro,
    il destriero di Angelica è costretto ad affrettare il passo,
    perché con quanta forza riesce a spronarlo,
    la donna lo spinge a correre per il bosco e l'aperta campagna.

    18
    Dopo che si furono affaticati invano
    i due cavalieri nel tentativo ognuno di fare soccombere l'altro,
    in quanto, con la spada in mano, non
    meno istruito, capace, era l'uno dell'altro;
    fu per primo il signore di Montauban
    a rivolgersi al cavaliere spagnolo,
    così come colui ha in petto, nel cuore, tanto fuoco
    che lo fa ardere tutto senza trovare pace.

    19
    Disse al pagano: "Avrai creduto me solo
    di ferire quando invece ferisci anche te stesso,
    se questo accade perché la sfavillante bellezza
    di Angelica ha acceso d'amore anche il tuo petto,
    che cosa guadagni facendomi perdere tempo qui?
    Che anche se tu mi catturi o mi uccidi
    non riuscirai a fare tua la bella donna,
    da momento che, mentre noi ci attardiamo, lei scappa via.

    20
    Quanto sarebbe meglio, poiché ancora la ami,
    che tu le vada invece ad incrociarne la strada
    a trattenerla e farla fermare,
    prima che ancora più lontano scappi!
    Appena ne avremo il possesso, allora
    a chi dei due avrà appartenere verrà poi deciso con la spada:
    non so altrimenti, dopo una lungo e faticoso combattimento,
    cosa riusciamo ad ottenere se non un danno."

    21
    Al pagano (Ferraù) la proposta piacque:
    così il duello fu rimandato
    e la tregua proposta fu subito fra loro attuata;
    tanto l'odio e l'ira vengono dimenticati,
    che il pagano nel partire dalle fresche acque del fiume
    non lasciò a piedi il buon figlio di Amone:
    lo preghiere lo invita ed alla fine lo fa montare a cavallo
    ed all'inseguimento di Angelica galoppa.

    22
    Oh bontà dei cavalieri antichi!
    Erano rivali, parlavano una diversa lingua,
    si sentivano dei duri colpi crudeli
    ancora dolere tutto il corpo;
    eppure per boschi oscuri e sentieri tortuosi
    vanno insieme senza temersi tra loro.
    Da quattro speroni punto, il destriero arriva
    ad un bivio.

    23
    E come quelli che non sapevano se l'una
    l'altra via avesse imboccato la donzella
    (poiché senza alcuna differenza,
    su entrambi i sentieri l'impronta appariva fresca, recente)
    misero la propria sorte nelle mani della fortuna.
    Rinaldo per questo sentiero, il saracino per quello.
    Per il bosco Ferraù molto s'aggirò
    ad alla fine si ritrovò al punto di partenza.

    24
    Viene a ritrovarsi infine ancora sulla riva del fiume,
    là dove l'elmo gli cascò dalla testa tra le onde.
    Poiché non ha più speranze di ritrovare la donna,
    per riavere l'elmo che il fiume gli nasconde,
    dalla parte dove gli era caduto
    scende fino alle estreme umide sponde:
    ma l'elmo era così ben nascosto nella sabbia
    che dovrà operare molto prima di poterlo riavere.

    25
    Con un lungo ramo d'albero ripulito da rami e foglie,
    con il quale si era costruito una lunga pertica,
    sonda il fiume e cerca fino sul fondo,
    battendo e pungendo con la punto in tutti i punti del fiume.
    Mentre con un enorme risentimento, stizza,
    prolunga oltre la sua permanenza in quel luogo,
    vede in mezzo il fiume un cavaliere
    uscire dall'acqua fino al petto, di aspetto fiero.

    26
    Era, ad eccezione della testa, completamente armato,
    ed aveva una elmo nella mano destra:
    aveva in particolare lo stesso elmo che aveva cercato
    Ferraù invano per così tanto tempo.
    Il cavaliere si rivolse a Ferraù in tono adirato,
    disse: "Ah traditore che non mantiene la parola data!
    Perché ti dispiace anche di abbandonare l'elmo,
    che invece mi avresti dovuto rendere già da tanto tempo?

    27
    Ricordati, pagano, di quanto hai ucciso
    il fratello di Angelico, sono io quello (Argalia),
    insieme alle altre armi tu mi promettesti
    di gettare entro pochi giorni anche il mio elmo.
    Ora, se la fortuna (quello che non hai voluto
    fare tu) ha poi voluto che si realizzasse il mio volere,
    non ti devi dispiacere; e se anzi ti devi dispiacere,
    devi solo dispiacerti di non avere mantenuto la parola data.

    28
    Ma se desideri ancora un buon elmo,
    trovane un altro e portalo con te con più onore;
    uno di buona fattura lo porta il paladino Orlando,
    un altro Rinaldo, forse anche migliore di quello d'Orlando:
    prima uno apparteneva ad Almonte e l'altro a Mambrino:
    conquistane uno dei due con il tuo valore,
    questo invece, che avevi già promesso di lasciarmi,
    farai bene a lasciarmelo effettivamente."

    29
    Non appena, all'improvviso, appare
    dall'acqua il fantasma, si rizzo ogni pelo
    del Saracino ed il viso gli si fece scolorito;
    la voce gli si strozzò in gola.
    Udendo poi da Argalia, che ucciso
    lui aveva (perché Argalia si chiamava),
    rimproverare a sé stesso di non aver mantenuto la parola data,
    di scocciatura e di ira si accese tutto, dentro e fuori.

    30
    Non avendo tempo per cercare una altra scusa,
    sapendo benissimo che Argalia diceva il vero,
    Ferraù rimase a bozza chiusa, senza controbattere;
    ma il suo cuore fu talmente trafitto dalla vergogna,
    che giurò sulla vita di sua madre (Lanfusa)
    non volere indossare più nessun altro elmo
    se non quello di buona fattura che nell'Aspromonte
    Orlando levò dal capo di Almonte (dopo averlo ucciso).

    31
    E mantenne questo giuramento meglio
    di quanto non aveva fatto con quell'altro prima.
    Ripartì dal fiume con tanto malcontento
    che per molti successivi giorni si tormentò e consumò.
    Ha voglia solo di cercare il Paladino (Orlando)
    in ogni luogo dove ritiene possa trovarlo.
    Avventura diversa accadde al valoroso Rinaldo
    che si incamminò su sentieri diversi da quelli percorsi da costui.

    32
    Rinaldo non fa molta strada che vede
    comparire davanti a sé il proprio focoso destriero:
    "Fermati, Boiardo mio, dai, arresta il galoppo!
    Perché stare senza di te è per me troppo pericoloso."
    Non per questo il cavallo, sordo ai richiami, torna da lui,
    anzi si allontana veloce sempre di più.
    Rinaldo lo segue, tormentandosi d'ira:
    ma seguiamo ora Angelica in fuga.

    33
    Fugge tra spaventosi ed oscuri boschi,
    per luoghi inabitati, selvaggi e solitari.
    Il rumore provocato dal movimento dei rami e dalla vegetazione
    di querce, olmi e faggi, che Angelica sentiva,
    causa le improvvise paure, le avevano
    fatto intraprendere insoliti sentieri da ogni parte;
    perché ogni ombra che vedeva sui monti o nelle valli,
    le facevano temere di avere ancora alle spalle Rinaldo.

    34
    Come un cucciolo di daino o capriolo,
    che tra i rami del boschetto nel quale è nato
    abbia visto la gola della madre dal morso
    del leopardo stretta, o che le squarcia il petto od il fianco,
    scappa dall'animale crudele di bosco in bosco
    e trema per la paura e per il sospetto della sua presenza:
    per ogni cespuglio che tocca al proprio passaggio
    crede di essere già già in bocca alla belva crudele.

    35
    Quel giorno, la stessa notte e per metà del giorno seguente
    vagò senza sapere dove stesse andando.
    Venne a trovarsi infine in un boschetto leggiadro,
    mosso delicatamente da un vento fresco.
    Due ruscelli trasparenti, riempiendo l'aria del loro gorgoglio,
    consentono la presenza sempre dell'erba e la sua crescita;
    e rendevano piacevole da ascoltare il concerto,
    interrotto solo tra piccoli sassi, del loro scorrere lento.

    36
    Qui, credendo di essere al sicuro
    e lontana mille miglia da Rinaldo,
    per lo stancante tragitto ed il caldo estivo
    decide di riposare per un po' tempo:
    scende da cavallo tra i fiori e lascia andare a nutrirsi,
    senza briglia, libero, il proprio destriero;
    l'animale vaga quindi nei dintorni dei ruscelli,
    che avevano piene le rive di fresca erba.

    37
    Non lontano da sé Angelica scorge un bel cespuglio,
    fiorito di susine e di rose rosse,
    che si specchia nelle onde limpide dei ruscelli
    ed è riparato dal sole dalle alte querce ombrose;
    vuoto nel mezzo, così da concedere
    fresco giaciglio tra le ombre più nascoste:
    le sue foglie ed i suoi rami sono talmente intrecciati che non
    passa il sole, e nemmeno la vista dell'uomo, meno penetrante.

    38
    L'erbetta morbida crea un letto all'interno del cespuglio,
    invitando a stendersi sopra chi vi giunge.
    La bella donna si mette in mezzo al cespuglio,
    lì si corica e quindi si addormenta.
    Ma non rimane lì addormentata molto tempo,
    che le sembra di sentire avvicinarsi un rumore di calpestio:
    si solleva piano piano e presso la riva di un ruscello
    vede essere giunto un cavaliere armato.

    39
    Angelica non riesce a capire se gli è amico o nemico:
    il timore e la speranza le scuotono il suo cuore dubbioso;
    attende che quella avventura giunga ad un termine
    senza emettere neanche un solo sospiro.
    Il cavaliere si siede in riva al ruscello
    reggendosi la testa con un braccio;
    e viene tanto rapito dai propri pensieri, al punto che,
    immobile, sembra essersi mutato in insensibile pietra.

    40
    Assorto dai propri pensieri, con il capo basso, per più di un'ora
    stette, cardinale Ippolito, il cavaliere abbattuto;
    dopo di ché cominciò con un lamento afflitto e dolente
    a lamentarsi in modo tanto struggente,
    che avrebbe infranto un sasso per pietà,
    una crudele tigre fatta misericordiosa.
    Piangeva tra i sospiri, tanto che un ruscello
    sembrava scorrergli sulle guance ed il petto un vulcano infuocato.

    41
    Diceva: "Pensiero che mi ghiaccia ed arde il cuore,
    e causa il dolore che sempre lo consuma,
    che ci posso fare se sono giunto tardi
    ed altri, arrivati prima, avevano già colto il frutto (Angelica)?
    Ho ricevuto a stento suoi sguardi e parole,
    altri hanno invece ricevuto tutto il ricco bottino.
    Se a me non spettano né il frutto né il fiore,
    perché per lei voglio ancora tormentare il mio cuore?

    42
    La vergine è simile ad una rosa,
    che in un bel giardino, sul rovo che l'ha generata,
    si riposa finché è sola ed al sicuro,
    e né gregge né pastore le si avvicinano;
    la brezza delicata e la rugiada del mattino,
    l'acqua e la terra si inchinano davanti al suo fascino:
    giovani amanti e donne innamorate
    amano ornarsi il collo e la testa lei, la rosa.

    43
    Ma non appena dallo stelo materno
    e dal ceppo verde del cespuglio viene staccata,
    quanto aveva per gli uomini e per il cielo
    fascino, grazia e bellezza, tutto perde.
    La vergine che il proprio fiore, del quale deve avere cura più
    che dei propri begli occhi e della propria vita,
    lascia cogliere ad altra persona, perde l'ammirazione che poco
    prima aveva nel cuore di tutti i propri amanti.

    44
    Diviene di scarso valore agli occhi degli altri, ed amata solo
    da colui al quale fece così grande dono di sé.
    Ah, fortuna crudele, fortuna ingiusta!
    Gli altri godono mentre io muoio di stenti.
    Non potrebbe allora essermi lei meno cara?
    Non potrei forse abbandonare la mia propria vita?
    Ah, che io muoia oggi stesso piuttosto
    che vivere più a lungo, se non dovessi amare lei!"

    45
    Se qualcuno mi domandasse chi sia questo cavaliere,
    che versa così tanta lacrime sopra il torrente,
    io risponderò che lui è il re di Circassia,
    Sacripante, tormentato dall'amore;
    dirò ancora che della sua pena, grave da sopportare,
    la prima e sola causa è l'amare una donna,
    ed è proprio uno degli amanti di Angelica:
    è subito fu infatti da lei riconosciuto.

    46
    In Occidente, dove il sole tramonta, per amore di lei
    era giunto dal confine estremo dell'Oriente;
    appena, in India, venne a conoscenza, con suo grande dolore,
    che lei aveva seguito Orlando in occidente:
    poi seppe, giunto in Francia, che l'imperatore
    l'aveva allontanata dalle altre persone,
    con l'intento di darla a chi dei due, contro gli arabi,
    avesse meglio aiutato la Francia.

    47
    Era stato sul campo di combattimento ed aveva intravisto
    la crudele confitta che di lì a poco avrebbe subito re Carlo:
    cercò tracce della bella Angelica,
    ma non era ancora riuscito a trovarne.
    Questa è dunque la triste e dolorosa vicenda
    che lo fa penare per il male d'amore,
    lo fa affliggere, lamentare, e dire parole
    che potrebbe fare fermare il sole per pietà nei suoi confronti.

    48
    Mentre Sacripante in tale modo si affligge e soffre,
    rende i suoi occhi una tiepida fonte di lacrime,
    e pronuncia queste e molte altre parole,
    che non mi sembra necessario siano raccontate;
    la sua buona sorte vuole
    che dalle orecchie di Angelica siano conosciute:
    e così accadde in un'ora, in un solo momento,
    quello che il mille anni, od anche mai, può succedere.

    49
    Con molta attenzione Angelica,
    presa ascolto al pianto, alle parole, ai gesti
    di colui che di amarla si affaccenda molto;
    e non è una scoperta di questo giorno:
    ma, dura e fredda più di una colonna,
    non si degna di avere pietà di lui,
    come colei che snobba tutto il mondo
    e pensa non esista persona alcuna degna di lei.

    50
    Solo il fatto di trovarsi sola tra quei boschi
    le fa pensare di prendere il cavaliere come guida;
    perché chi sta nell'acqua fino alla gola, annegando,
    sarebbe molto ostinato se non chiedesse aiuto.
    Se questa occasione ora le sfugge,
    non potrà poi mai più trovare una scorta più fidata;
    poiché già in precedenza aveva sperimentato a lungo
    quel re, fedele più di qualunque altro suo amante.

    51
    Non pensa però di alleviare l'affanno
    che distrugge lui che la ama,
    e rimediare ad ogni precedente danno
    donandogli quel piacere che ogni amatore più desidera:
    ma con qualche finzione, con qualche inganno,
    trama ed ordisce di mantenerne viva la sua speranza;
    tanto che per quel suo fine se ne servirà,
    per poi tornare alle sue abitudini, insensibile ed ostinata.

    52
    Fuori da quel cespuglio oscuro e buio
    all'improvviso si mostra nella sua bellezza,
    come dalla foresta o fori dall'ombrosa grotta
    Diana o Venere si mostrarono;
    e dice non appena è visibile: "La pace sia con te;
    ai tuoi occhi Dio difenda la nostra reputazione,
    e non tolleri, contro ogni giustizia,
    che tu abbia di me una così falsa opinione."

    53
    Mai con tanta felicità e stupore
    una madre posò i propri occhi sul figlio,
    che aveva pianto e sospirato pensandolo morto,
    dopo che aveva sentito ritornare l'esercito senza di lui appresso;
    con quanta felicità il saraceno, e con quanto stupore,
    la nobile figura ed il leggiadro
    comportamento, e le angeliche sembianze,
    si vide all'improvviso apparire dinnanzi a sé.

    54
    Pieno di dolce ed amoroso affetto,
    corse dalla sua sua donna amata, dalla sua dea,
    la quale lo tenne stretto al collo con le sue braccia,
    come in Catai non avrebbe mai forse fatto.
    Al regno del padre, al nido ove era nata,
    avendo ora Sacripante con sé, come guida, rivolge il pensiero:
    subito in lei si riaccende la speranza
    di poter presto rivedere la sua ricca reggia.

    55
    Angelica gli raccontò, nei minimi particolare, ciò che successe
    dal giorno che fu mandato da lei
    a chiedere soccorso in Oriente
    al re Gradasso di Sericana e Nabatea;
    e come Orlando la salvò all'ultimo
    dalla morte, dal disonore e da situazioni pericolose:
    e che così aveva avuto la propria verginità inviolata,
    come l'aveva avuta dalla nascita.

    56
    Forse era vero ciò che diceva, ma non era però credibile
    a chi fosse padrone della propria ragione;
    ma parve facilmente possibile a Sacripante,
    che aveva commesso un ben più grave errore, innamorandosi.
    Quel che l'uomo potrebbe vedere, l'amore gli nasconde,
    e ciò che non sarebbe visibile viene fatto vedere dall'amore.
    Il racconto fu creduto; poiché l'uomo misero è solito
    credere troppo facilmente a ciò che ha bisogno di credere.

    57
    "Se male seppe Orlando, cavaliere di Anglante,
    approfittare per sua sciocchezza della situazione favorevole,
    pagherà poi le conseguenze; perché da ora in avanti
    la fortuna non gli proporrà più una tale buona occasione
    (disse tra sé e sé Sacripante):
    ma io non intendo imitarlo,
    così da lasciare tutto il bene che mi è concesso
    per poi avere di che rammaricarmi di me stesso.

    58
    Coglierò la fresca e mattutina rosa,
    che, con il tempo, potrebbe perdere la sua freschezza.
    So bene che a una donna non si può far cosa
    che sia più dolce e piacevole,
    anche se si mostro disdegnosa a riguardo,
    ed a volte se ne stia triste e piangente:
    non permetterò che un rifiuto o un finto sdegno
    non lasci prender forma e realizzare il mio intento."

    59
    Così pensa Sacripante; e mentre si appresta
    al dolce assalto, un rumore forte proveniente
    dal vicino bosco gli rimbomba nelle orecchie,
    così che contro voglia è costretto ad abbandonare l'impresa:
    si rimette l'elmo (avendo la vecchia abitudine
    di girare sempre armato),
    raggiunge il destriero, gli rimette le briglie,
    rimonta in sella ed impugna la lancia.

    60
    Ed ecco sopraggiungere per il bosco un cavaliere,
    le cui sembianze sono di uomo vigoroso e fiero:
    candido come la neve è il suo vestiario,
    un pennacchio bianco aveva come cimiero.
    Re Sacripante, non potendo sopportare
    che quel cavaliere, con l'inopportuno suo percorso,
    gli abbia interrotto la situazione piacevole nella quale si trovava,
    lo guarda con occhi minacciosi e pieni di sdegno.

    61
    Non appena è a lui più vicino, lo sfida a combattere;
    credendo di disarcionarlo, farlo cadere da cavallo, facilmente.
    L'altro cavaliere, che di Sacripante non stimo possa valere
    meno, e di questo ne dà la prova,
    le orgogliose minacce lascia a metà,
    sprona subito il cavallo e pone in posizione di attacco la lancia.
    Sacripante con furore, presa la rincorsa, va al galoppo,
    e si corrono incontro per ferirsi.

    62
    Non vanno i leoni od i tori in amore
    ad affrontarsi, a scontrarsi con così tanta crudeltà,
    come i due guerrieri al fiero assalto,
    che allo stesso modo trapassano l'uno lo scudo dell'altro.
    Lo scontro fece tremare dal basso all'alto
    le valli erbose fino alle spoglie vette;
    e fu vantaggioso che furono di buona fattura e perfette
    le corazze, tanto che salvarono i loro petti da ferite mortali.

    63
    I due cavalli, uno di fronte all'altro, non deviarono in corsa,
    anzi si scontrarono violentemente tra loro come fanno i montoni:
    il cavallo di Sacripante morì sul colpo,
    pur potendo essere annoverato, da vivo, tra i buoni destrieri:
    anche l'altro cadde a terra, ma si rialzò
    non appena sentì pungere al suo fianco gli speroni.
    Quello del re saracino restò disteso,
    tendendo schiacciato con il proprio peso il padrone.

    64
    Il misterioso campione che rimase dritto a cavallo,
    e vide l'altro cavaliere in terra con il cavallo,
    ritenendo di avere avuto sufficiente trionfo da quel conflitto,
    non ritenne necessario rinnovare il combattimento;
    la dove, attraverso la selva, il sentiero è dritto,
    si lancia invece al galoppo;
    e prima che il pagano riesca a liberarsi dall'impaccio,
    si è già allontanato di un miglio o poco meno.

    65
    Come lo stordito e stupito aratore,
    dopo che è passato il fulmine, si alza in piedi
    dal posto dove il fragore assordante
    l'aveva sbattuto a terra vicino ai buoi uccisi dallo stesso;
    guarda privo di rami, e quindi privo di onore,
    il pino che da lontano era abituato a scorgere:
    allo stesso modo si alzò Sacripante,
    con Angelica testimone alla situazione imbarazzante.

    66
    Sospira e geme, non perché gli dia fastidio
    l'essersi rotto o slogato un braccio od un piede,
    ma solamente per la vergogna, per la quale, mai in vita sua,
    né prima né dopo quel momento, arrossì tanto in viso:
    ed in aggiunta, oltre all'essere caduto, fu Angelica
    a liberarlo dal grande peso che aveva addosso.
    Il saraceno sarebbe restato muto, lo posso capire, se
    Angelica non gli avesse ridato la voce ed il dono della parola.

    67
    Disse lei: "Dai! Signore, non preoccupatevi!
    Perché la colpa della caduta non è vostra
    ma del cavallo, il quale di riposo e di cibo
    aveva più bisogno che di un altro duello.
    E l'altro guerriero non esalti troppo il proprio trionfo
    perché ha dimostrato di essere stato lui lo sconfitto:
    valuto, per quel poco che ne capisco a riguardo, così l'accaduto,
    dal momento che per primo ha abbandonare il combattimento.

    68
    Mentre lei conforta così il saraceno,
    ecco che, con il corno ed al fianco la borsa,
    sopraggiunge, galoppando sopra un ronzino,
    un messaggero che appariva stanco e sconsolato;
    dopo essersi avvicinato a Sacripante,
    gli chiese se, con un scudo bianco
    e con un pennacchio bianco sul l'elmo,
    avesse visto passare un cavaliere attraverso la foresta.

    69
    Sacripante rispose: "Come vedi,
    il cavaliere che cerchi mi ha disarcionato ed è appena ripartito;
    affinché io possa sapere chi mi ha fatto cadere da cavallo,
    fammi conoscere il suo nome, nelle armi l'ho già conosciuto."
    Ed il messaggero a lui: "Il tuo desiderio di sapere
    verrà soddisfatto senza alcuna esitazione:
    devi perciò sapere a disarcionarti
    è stato l'alto valore di una nobile donzella.

    70
    Lei è energica, ma soprattutto bella;
    ma il suo famoso nome non ti nasconderò oltre:
    è stata Bradamante ha toglierti
    più onore di quanto tu ne abbia mai guadagnato al mondo."
    Dopo essersi così pronunciato, il messaggero ripartì al galoppo
    lasciando molto poco allegro Sacripante,
    che non sa più che dire o fare,
    con la faccia completamente infiammata dalla vergogna.

    71
    Dopo aver pensato a lungo, invano,
    alla situazione fortunosa che gli era capitata, si trovò infine
    steso a terra da una femmina,
    e più ci pensa e più ne soffre;
    monta sul cavallo di Angelica, silenzioso ed incapace di parlare:
    senza proferire parola, con calma,
    prede in groppa Angelica, e rimanda quindi i suoi piani
    ad una momento più lieto, ad un luogo più tranquillo.

    72
    Non avevano percorso più di due miglia, che
    udirono risuonare il bosco che li circondava
    con un tale rumore e strepitio, che sembrava
    tremasse tutta la foresta:
    poco dopo compare dalla vegetazione un destriero possente,
    abbellito con oro e adornato riccamente,
    che procede scavalcando con balzi cespugli e torrenti, travolge
    e distrugge gli alberi ed ogni altro impedimento al suo passaggio.

    73
    "Se la presenza di rami intricati e la scarsa luce
    (disse la donna) non mi ingannano gli occhi,
    è Baiardo quel destriero che in mezzo al bosco,
    con tale frastuono, si apre a forza la strada.
    Questo destriero è di certo Baiardo, lo riconosco:
    deh, quanto bene può fare alla nostra causa!
    Perché un solo destriero per due perone sarebbe poco adatto,
    ed è lui venuto a soddisfare subito il nostro bisogno!

    74
    Sacripante smonta e si avvicina al fianco di Baiardo,
    pensando di riuscire ad impugnarne il freno.
    Il destriero risponde al tentativo con i muscoli posteriori,
    girandosi velocemente come un fulmine;
    ma non arriva a colpire là dove aveva indirizzato i calci:
    povero il cavaliere se avesse colpito in pieno!
    Poiché il cavallo aveva una tale forza nel calciare
    da riuscire a spezzare anche una montagna di metallo.

    75
    Poi va invece mansueto dalla donzella
    con fare umile ed atteggiamento docile,
    così come il cane è solito saltellare introno al proprio padrone,
    dopo essere da lui stato lontano per due o tre giorni.
    Boiardo si ricordava ancora di lei,
    che in Albracca lo aveva accudito e governato personalmente,
    nel periodo in cui Angelica tanto amava
    Rinaldo, che invece si mostrava allora crudele ed insensibile.

    76
    Angelica impugna con la mano sinistra la briglia del cavallo,
    accarezzandone con la destra il collo ed il petto;
    quel destriero, dotato di ottima intelligenza,
    nei confronti di lei si dimostra mansueto come un agnello.
    Nel frattempo Sacripante coglie l'attimo favorevole:
    monta Boiardo, lo sprona tendendolo a freno nello stesso tempo.
    Angelica abbandona quindi la groppa del suo ronzino
    ora alleggerito, e si rimette quindi, più comoda, in sella.

    77
    Poi, posando intorno a se lo sguardo, vede
    sopraggiungere di corsa un possente guerriero a piedi.
    Angelica si accende d'ira e di disappunto;
    riconosce infatti in lui Rinaldo.
    Più dalla propria vita lui la ama e desidera:
    lei lo odia e lo evita più di quanto faccia la gru con un falcone.
    Prima accadde che lui odiasse lei più della morte;
    lei amò invece lui: ora la propria sorte hanno invertito.

    78
    Ciò è stato causato da due fontane
    che rilasciano liquidi che producono effetti contrari,
    entrambe si trovano nelle Ardenne, poco distanti tra loro:
    l'una riempie il cuore di desiderio d'amore;
    chi beve dall'altra viene invece privato dell'amore,
    e tramuta in ghiaccio il proprio ardore iniziale.
    Rinaldo assaporò un liquido e si tormenta ora d'amore;
    Angelica dall'altra ed ora lo odia e fugge da lui.

    79
    Quel liquido mescolato ad un filtro magico,
    che trasforma in odio la passione amorosa,
    rende la donna che ha visto Rinaldo
    subito oscura negli occhi sereni;
    e con una voce tremante ed un viso triste
    lei supplica e scongiura Sacripante
    di non aspettare più vicino quel cavaliere,
    ma di fuggire insieme a lei.

    80
    -Valgo dunque- disse il Saraceno (Sacripante) - valgo
    dunque così poco ai vostri occhi,
    visto che mi credete inutile, e non capace
    da potervi difendere da costui?
    Le battaglie d'Albracca già avete
    dimenticato, e la notte in cui io,
    per la vostra salvezza, fui solo e nudo
    a proteggervi contro Agricane e tutto il campo?

    81
    Lei non risponde e non sa cosa fare,
    perché Rinaldo ormai le è troppo vicino,
    e minaccia il Saraceno da lontano
    quando vede il cavallo
    e quando riconosce il viso angelico
    che gli aveva messo in cuore la passione amorosa.
    Quello che seguì tra questi due superbi,
    voglio che sia riservato per il prossimo canto.
     
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