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parafrasi -la morte di priamo -tratto dal libro dell'eneide dal verso 597 al verso 684.
E come quelli, dopo aver tessuto
giri e festosi cantici nel cielo,
rèduci batton l'ali fragorose,
or così le tue navi e i tuoi compagni
sono giunti nel porto o a piene vele
già toccano l'entrata. Or dunque avanza,
e volgi i passi tuoi per questa via.>>
Disse la Diva e si rivolse. Il collo
le balenò di roseo splendore;
effusero gli ambrosii capelli
dalla sua testa un celestial profumo;
scese ai piedi la veste, c agli atti e al passo
ella apparì veracemente Dea.
Pronto la Genitrice egli conobbe
e coi detti inseguì la tuggitiva:
<<oh crudele anche tu! Perché sì spesso
con aspetti fallaci inganni il figlio?
Perché non posso unir destra con destra
e dirti e udir da te schiette parole?>>
Ei così si doleva, e il passo volse
alla città. Ma Venere li cinse
in aere oscuro e in folto vel di nebbie
perché nessuno scorgerli potesse
né potesse accostarli o trattenerli
interrogarli intorno al lor cammino.
Ed ella a Pafo ritornò pel cielo
e alla sede gioconda ov'è il suo tempio,
ove cento are le ardono d'incensi
sabèi, le odoran di perpetui serti.
[LA CITTÀ' OPEROSA]
Quelli mossero allor per il sentiero
e furon presto su l'eccelso colle
che, sovrastando la città, dall'alto
dòmina a fronte le turrite mura.
Le moli, che pur ora eran capanne,
guarda ed ammira Enea, mira le porte,
l'alto clamor, le lastricate strade.
Vasta e febbrile è l'opera dei Tirii:
chi con le braccia vòltola macigni
per alzare l'acropoli e le mura,
chi sceglie il luogo della sua dimora
e lo cinge d'un solco. Altri le sedi
per le magistrature e per le leggi
disegnano e per l'ìnclito senato;
altri scavano il porto; altri, ponendo
le fondamenta per un gran teatro,
scalpellano dal marmo alte colonne
per ornamento alle future scene.
Così le api alla stagion novella
s'affaticano al sole in mezzo ai fiori
quando traggono fuor la prole adulta,
quando, il miele liquido stipando,
di nèttare soave empion le celle,
se prendono il carco alle tornanti
loro compagne, o se in serrata schiera
dall'alveare cacciano gli sciami
infingardi dei fuchi; e l'opra ferve,
ed aulisce di timi il miel fragrante.
<<oh voi felici, che già i muri alzate
della vostra città!», proruppe Enea
contemplando gli aèrei fastigi;
e avvolto nella nube (oh maraviglia!)
entro la moltitudine si spinse
e, invisibile a lei, vi si confuse.
[IL TEMPIO ISTORIATOI
In mezzo alla àsorgeva un bosco
giocondissimo d'ombre ove i Eenici,
sbalestrati dai turbini e dall'onde,
avean scavato il simbolo augurale
a lor predetto dalla Dea Giunone:
un teschio di cavallo impetuoso;
onde per molti secoli la gente
ricca d'agi sarebbe e insigne in guerra.
Ivi un tempio a Giunone edificava
la sidonia Didone, un vasto tempio
ricco di doni e del favor del Nume:
di bronzo, sui gradhli, eran le soglie,
di bronzo gli architravi, e tutte in bronzo
stridevano sui cardini le pone.
E là nel bosco un inatteso aspetto
placo l'ansia di Enea, che finalmente
spero salvezza, e al misero suo stato
guardare oso con più fidente cuore,
Ché mentre ai piedi dell'immenso tempio,
aspettando il venir della regina,
egli lo contemplava in ogni parte,
mentre ammirava l'opulenza tiria,
la gara degli artefici, l'industle
pregio dell'opre, in ordine disposte
egli vide le iliache battaglie
e la guerra già nota in tutto il mondo:
Priamo, l'Atride e ad ambi infesto Achille..