Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

Romagna di Giovanni Pascoli

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    Romagna

    di Giovanni Pascoli



    Sempre un villaggio, sempre una campagna
    mi ride al cuore (o piange), Severino:
    il paese ove, andando, ci accompagna
    l'azzurra vision di San Marino:

    sempre mi torna al cuore il mio paese
    cui regnarono Guidi e Malatesta,
    cui tenne pure il Passator cortese,
    re della strada, re della foresta.

    La' nelle stoppie dove singhiozzando
    va la tacchina con l'altrui covata,
    presso gli stagni lustreggianti, quando
    lenta vi guazza l'anatra iridata,

    oh! fossi io teco; e perderci nel verde,
    e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie,
    gettarco l'urlo che lungi si perde
    dentro il meridiano ozio dell'aie;

    mentre il villano pone dalle spalle
    gobbe la ronca e afferra la scodella,
    e 'l bue rimina nelle opache stalle
    la sua laboriosa lupinella.

    Da' borghi sparsi le campane in tanto
    si rincorron coi lor gridi argentini:
    chiamano al rezzo, alla quiete, al santo
    desco fiorito d'occhi di bambini.

    Gia' m'accoglieva in quelle ore bruciate
    sotto l'ombrello di trine una mimosa,
    che fioria la mia casa ai di' d'estate
    co' suoi pennacchi di color di rosa;

    e s'abbracciava per lo sgretoalto
    muro un folto rosaio a un gelsomino;
    guardava il tutto un pioppo alto e slanciato,
    chiassoso a giorni come un birichino.

    Era il mio nido: dove immobilmente,
    io galoppava con Guidon Selvaggio
    e con Astolfo; o mi vedea presente
    l'imperatore nell'eremitaggio.

    E mentre aereo mi poneva in via
    con l'ippogrifo pel sognato alone,
    o risonava nella stanza mia
    muta il dettare di Napoleone;

    udia tra i fieni allor falciati
    de' grilli il verso che perpetuo trema,
    udiva dalle rane dei fossati
    un lungo interminabile poema.

    E lunghi, e interminati, erano quelli
    ch'io meditai, mirabili a sognare:
    stormir di frondi, cinguettio d'uccelli,
    riso di donne, strepito di mare.

    Ma da quel nido, rondini tardive,
    tutti tutti migrammo un giorno nero;
    io, la mia patria or e' dove si vive;
    gli altri son poco lungi; in cimitero.

    Cosi' piu' non verro' per la calura
    tra que' tuoi polverosi biancospini,
    ch'io non ritrovi nella mia verzura
    del cuculo ozioso i piccolini,

    Romagna solatia, dolce paese,
    cui regnarono Guidi e Malatesta;
    cui tenne pure il Passator cortese,
    re della strada, re della foresta.

    (Giovanni Pascoli)


    Analisi


    La poesia si compone di 15 quartine di versi endecasillabi (11) in rima alternata (ABAB).

    E' una delle poesie piu' serene del Pascoli, nonostante alcuni accenni di tristezza dovuti ai ricordi dell'infanzia, che pero' in questi versi ne mostra il suo volto piu' gioioso e sereno prima della tempesta.
    Il poeta, che si rivolge all'amico Severino, ricorda i momenti felici passati nella sua terra d'origine, a San Mauro, un paese immerso nella campagna, sormontato dal monte di San Marino che appare azzurro in lontananza.
    Di questa Romagna, patria in passato delle potenti famiglie dei Guidi e dei Malatesta, ma anche del brigante detto il Passatore (all'anagrafe Stefano Pelloni, celebre brigante dell'Ottocento, passato alla storia con il nome di Passator Cortese: passatore perche' esercitava il mestiere di traghettatore su un fiume, cortese, perche' nelle leggende popolari i briganti finiscono spesso per diventare degli eroi gentili e altruisti, come Robin Hood), il poeta ricorda le scene campestri le grandi aie immerse nel sole d'estate, gli stagni d'acqua, con gli animali da cortile, i grilli e le rane che cantano in mezzo al profumo del fieno appena falciato, e poi i grandi olmi ombrosi che un tempo erano molto frequenti nelle nostre campagne.
    Su questi alberi si arrampicavano i bambini e si chiamavano gridando nel gran silenzio del mezzogiorno assolato. Pascoli coglie proprio questo momento di quiete, quando i contadini smettono di lavorare e tornano per il pranzo e gli animali prendono un po' di riposo all'ombra delle stalle.
    Le campane dei borghi vicini sembrano benedire allegramente questo momento di quiete e di intimita' familiare, con la tavola della casa, sacra come un altare, attorno alla quale si raccoglie tutta la famiglia. Che senso di pace intorno!
    In quel nido tranquillo, all'ombra di una mimosa e di un pioppo, c'era la sua casa, tra fiori di gelsomino e di rosa.
    Qui il Pascoli bambino viveva mille avventure fantastiche, suggeritegli dai libri che leggeva: e cosi' immaginava di vivere grandi avventure con i personaggi dell'Orlando furioso in groppa al mitico ippogrifo, il cavallo alato; oppure fantasticava sui grandi eroi conosciuti sui libri di storia, come Napoleone morente nell'esilio di S. Elena.

    Due soli accenni tristi in questa atmosfera gioiosa: all'inizio quando dice che il ricordo gli "ride al cuore", cioe' gli procura un sentimento di gioia ma anche di pianto, e verso la fine, quando accenna a quel giorno nero della loro partenza, alla ricerca di una nuova casa, lontano da San Mauro, spiegandone i motivi nella bella metafora del verso "ch'io non ritrovi nella mia verzura del cuculo ozioso i piccolini" dove, alludendo all'abitudine del cuculo di deporre le uova nel nido di altri uccelli e nel buttar fuori dal nido gli altri piccoli quando il proprio pulcino e' nato, altro non e' che quello che e' accaduto alla sua famiglia, dove il nido rappresenta la loro casa di San Mauro e il cuculo colui che ha ucciso il padre e ha preso il posto come amministratore.

    Poi la poesia si chiude col ritornello della prima strofa, che riporta il clima di solare dolcezza che caratterizza questi versi.

     
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