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Paolo Bonolis..."Avanti Un Altro!!"

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  1. Lussy60
     
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    PAOLO BONOLIS SVELA I SEGRETI DEL SUCCESSO DI «AVANTI UN ALTRO!», L’INTERVISTA


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    Rilassato, cortese, sicuro di sé, Paolo Bonolis ci accoglie nel suo camerino pochi minuti prima della registrazione di «Avanti un altro!» per raccontarci i segreti del quiz-varietà, in onda ogni giorno su Canale 5 prima di cena.


    Molti format di successo sono importati dall’estero, questo l’ha inventato lei. È importante?

    «È fondamentale. Io mi domando prima di tutto cosa piace a me. Se un’idea mi appartiene, sono in grado di raccontartela meglio e viverla con più entusiasmo. Non si può solo percorrere strade altrui. Altrimenti finisci per essere un mero esecutore. Immettere novità sul mercato è sempre una soddisfazione: questo show è stato già venduto in sette Paesi».


    E in Italia funziona sempre meglio. Secondo lei, perché è successo?


    «Perché non esisteva prima, perché esce dallo schema globalizzato. Perché non è “politicamente corretto”. Ogni puntata è totalmente imprevedibile, sia per chi la guarda che per chi la fa».

    Quindi è tutto improvvisato?


    «Direi il 90%. Le domande sono preparate prima dagli autori, ma tutto quello che ne consegue è… impreparabile».

    Quindi andate a briglia sciolta?


    «È come nella commedia dell’arte. Fondamentalmente sono un autore che si ritrova a fare il conduttore».

    Lei e gli autori siete una famiglia…


    «Ormai da anni c’è una grande sintonia con tutti: Salvati, Rubino, Jurgens».

    E come vivete la competizione con «L’eredità» su Raiuno?


    «Con grande serenità. Carlo Conti e io ci conosciamo bene, lui fa un prodotto da Rai1, noi facciamo uno show tutto nostro che potrebbe andare su ogni canale. La valutazione sugli ascolti è complicata: siamo praticamente alla pari, noi abbiamo 12 minuti in più di assenza dal video per la pubblicità».

    State preparando qualche novità?

    «Faremo una puntata speciale per l’Epifania dedicata a nonni e bambini. E ci saranno alcuni personaggi nuovi: tra poco arriverà “L’avvocato del diavolo”».

    Ma come li scovate?


    «Immaginiamo un personaggio, la società di casting Sdl ci fa delle proposte che potrebbero incarnare il ruolo, li valutiamo. Nelle prime due o tre puntate lo sistemiamo, e se ci piace rimane con noi per un po’».

    Ci sono nuovi show in vista?


    «Sto lavorando a una cosa, ma deve essere ancora discussa ai piani alti».

    Qualche indizio?


    «Parlarne non ha senso, se mi dicono di no abbiamo parlato dell’aria fritta».

    Ci sono programmi che vorrebbe non aver fatto, invece?


    «No, mi son piaciuti tutti. Poi è normale che in 30 anni di televisione una singola trasmissione non vada bene. Alla fine della fiera sono contento».

    Ha iniziato con la tv dei ragazzi.Cosa guardano i suoi figli in tv?


    «La tv dei ragazzi non c’è più. Guardano canali specifici con cartoni e documentari, ma manca la persona che li guida attraverso quello che guardano».

    Ne sente la mancanza?


    «C’è una solitudine d’apprendimento. È come mettere dei bambini in una classe e dare dei libri da leggere senza l’insegnante. Ci vuole un “fratello maggiore” che faccia da traduttore delle vicende. Noi a “Bim Bum Bam” cercavamo di trasferire ai piccoli il miglior antibiotico che ci sia al mondo: l’ironia».

    Parla mai con suo figlio Stefano, che vive negli Stati Uniti, della tv americana?


    «Spesso. Negli Stati Uniti si generano molti più prodotti, in Italia si acquistano quelli generati altrove. È un problema che ha portato a un’atrofia di idee: chi avrebbe voglia di fare delle proposte nuove ormai non le fa più».

    Quindi in che stato è la televisione italiana, alla vigilia dei 60 anni?


    «A quell’età secondo me bisogna farsi vedere la prostata!».

    Come se ne esce?


    «Secondo me una via d’uscita può esserci solo se la durata del prodotto televisivo si uniforma con gli standard internazionali. Un’idea deve esprimersi nello spazio di un’ora. Se la declini per due ore e mezzo, rischia di diventare terribilmente annacquata».

    Quindi come comporrebbe una serata televisiva?

    «Tre prodotti invece di due».

    Così non costerebbero il triplo?

    «Ma si venderebbero meglio! In un’ora sei in grado di circoscrivere il pubblico, in due ore e mezza invece il flusso è così variabile che devi rivolgerti a tutti e diventa molto faticoso».

    Ha mai pensato ad andare altrove, via da Rai e da Mediaset?

    «Perché mai? Una volta Sky mi propose di fare una cosa che già facevo a Mediaset. Che senso ha? Non è solo una questione di guadagni, anche di idee».

    Lei ha fatto di tutto, anche la radio e il doppiaggio. Ha ancora dei sogni?

    «Sì, quello di smettere! È una cosa alla quale prima o poi dovrò dare voce».

    Il cinema è stata solo una cotta?

    «Non sono un attore, non sono capace. Ho fatto “Commediasexi” perché Alessandro D’Alatri me l’aveva chiesto con entusiasmo. Secondo me se fai bene una cosa è giusto che ti dedichi solo a quella. Ora invece tutti sanno fare tutto».

    E l’esperienza di giudice di talent a «Jump!» com’è stata?

    «Erano reati minori, per fortuna! Mi avevano chiesto di condurlo ma non volevo. Non riesco più a fare trecento cose, ho anche una famiglia. Quindi ho seguito la direzione artistica e poi… mi sono seduto a dire cavolate senza gli oneri della conduzione».

    Lei è un appassionato di sport: si può ancora innovare il calcio in tv?


    «Il problema è che viene trattato solo in chiave polemica. È un nostro dettame ideologico, come con la politica. Ma lo sport si può trattare anche in altre maniere, più affascinanti. Molti sport lo fanno, il calcio ha questa sorta di giugulare polemica che trasporta tutto il sangue. Questo rende tutto un po’ noioso».

    Lei è un grande tifoso nerazzurro: metterebbe Thohir, il nuovo presidente dell’Inter, nel «Minimondo»?

    «Beh, se ci portasse dei soldi potremmo rifare lo studio (ride). È appena arrivato, non possiamo mica giudicarlo solo perché è indonesiano! Alla squadra servivano dei soldi e lui li ha portati. Ora vediamo cosa combina».

    24 novembre 2013

    Scritto da: Francesco Chignola

     
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