Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

Principali poesie di Giovanni Pascoli, con parafrasi e commento

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    Principali poesie di Giovanni Pascoli, con parafrasi e commento


    GIOVANNI PASCOLI
    LAVANDARE da Myricae
    Due terzine di endecasillabi, seguite da una quartina. Le rime: ABA CBC (incatenata); nella quartina ABAB (alternata).
    Negli aspetti della natura e delle cose Pascoli mira sempre a cogliere gli emblemi, a mettere in luce gli elementi e i rapporti che gli servono per esprimere il suo senso della vita carico di perplessità e smarrimento. La campagna autunnale, il lavoro agricolo, l’umile fatica delle lavandare e il loro cantare, non rappresentano una serena descrizione, un idillio. Si risolvono invece in una rappresentazione dominata da nascoste corrispondenze tra le cose (l’immagine dell’aratro), in un sottile senso di malinconia, amarezza, reso dalla notazione del paesaggio (leggere nebbie autunnali) e dal canto dell’innamorata lasciata sola.
    NEL CAMPO MEZZO GRIGIO E MEZZO NERO Immagine cupa, autunnale
    RESTA UN ARATRO SENZA BUOI, CHE PARE Aratro: apre il componimento, paragonato alla lavandara lasciata sola dal proprio amato, come i buoi non sono con l’aratro.
    Enjambement
    DIMENTICATO, TRA IL VAPOR LEGGERO. Vapore: dà l’impressione di un fumo che sale dal terreno
    STROFA VISIVA
    ***
    E CADENZATO DALLA GORA VIENE
    LO SCIABORDARE DELLE LAVANDARE Sciabordare, lavandare: rima interna e allitterazione.
    Sciabordare: parola onomatopeica
    CON TONFI SPESSI E LUNGHE CANTILENE: Tonfi spessi: sinestesia (uditiva + tattile), riproduce lo sbattere del panno bagnato.
    Tonfi: parola onomatopeica
    Chiasmo: nome agg. / agg. nome
    STROFA ACUSTICA
    ***
    IL VENTO SOFFIA E NEVICA LA FRASCA, Assonanza con “rimasta”
    “Nevica la frasca”: dalla frasca cade la neve.
    Chiasmo: nome verbo/verbo nome
    E TU NON TORNI ANCORA AL TUO PAESE!
    QUANDO PARTISTI, COME SON RIMASTA! Assonanza con “frasca”.
    Assonanza: “partisti”, “rimasta”
    COME L’ARATRO IN MEZZO ALLA MAGGESE. Aratro: chiude il componimento.
    Similitudine.
    RITMO DELLA CANTILENA POPOLARE

    IL LAMPO da Myricae
    Formato da 7 versi endecasillabi sciolti, con uno spazio bianco tra il primo e il secondo verso. Questo sembra separare la rappresentazione del lampo dall’apparizione degli oggetti illuminati. Rime: ABCBCCA. Ritmo scandito, non ci sono enjambements.
    È una poesia in cui viene messo in rilievo l’effetto ottico del lampo, visto come un’improvvisa apparizione dell’angoscia e dell’allucinazione, intuizione dell’assurdo e del dolore.
    E CIELO E TERRA SI MOSTRO’ QUAL ERA: Apertura (rima con “nera”)
    “cielo e terra”: contrapposizione.
    Soggetto al plurale, predicato al singolare: vengono unificati dall’apparizione del lampo.

    SPAZIO BIANCO
    LA TERRA ANSANTE, LIVIDA, IN SUSSULTO; Tre attributi della terra: climax
    Allitterazione: “s”
    IL CIELO INGOMBRO, TRAGICO, DISFATTO: Tre attributi del cielo: climax
    Allitterazione: “r”
    BIANCA BIANCA NEL TACITO TUMULTO Tacito tumulto: ossimoro
    Bianca bianca: accostamento di parole simili o uguali accostate a due a due.
    UNA CASA APPARI’ SPARI’ D’UN TRATTO; Apparì sparì: accostamento di
    parole simili o uguali accostate a due a due. Antitesi.
    Parole tronche che accelerano il ritmo.
    COME UN OCCHIO, CHE, LARGO, ESTERREFATTO, Similitudine
    “Esterrefatto, largo”: parole lunghe, con allitterazione della “a” e “r” danno idea di apertura.
    S’APRI’ SI CHIUSE, NELLA NOTTE NERA. Chiusura (rima con “era”)
    S’aprì si chiuse: accostamento di parole simili o uguali accostate a due a due. Antitesi.
    Allitterazione: “n”.
    IL TUONO
    Formato da 7 endecasillabi sciolti. Uno spazio bianco di forte stacco tra il primo e il secondo verso. Lo schema delle rime è ABCBCCA, il primo e l’ultimo verso son identici e hanno funzione di apertura e chiusura.
    Rappresenta un evento naturale colto in un istante e reso in un tempo poetico assai
    conciso. Vengono contrapposti lo schianto e la forza della natura col sentimento della
    voce che pare vincere il male del mondo con costanza e amore (come il moto di una
    culla)
    E NELLA NOTTE NERA COME IL NULLA, Apertura: rima con culla. Da un lato l’immagine della morte
    Allitterazione: “n”
    SPAZIO BIANCO
    A UN TRATTO, COL FRAGOR D’ARDUO DIRUPO “a un tratto”: la voce si apre d’improvviso, con la “t” e la “a”
    CHE FRANA, IL TUONO RIMBOMBO’ DI SCHIANTO: “schianto”: rumore secco che segue il rimbombo
    RIMBOMBO’, RIMBALZO’, ROTOLO’ CUPO, Allitterazione: “r” e “u”.
    Onomatopee.

    E TACQUE, E POI RIMAREGGIO’ RINFRANTO, “e tacque”: calma.
    “rimareggiò rinfranto”: Allitterazione “r”, “g”… : eco del tuono paragonato ad un’onda sonora che si rivolge su se stessa.
    E POI VANI’. SOAVE ALLORA UN CANTO Cesura.
    “soave” parola melodiosa per la presenza di vocali dolci e aperte.
    Allitterazione: “a”
    S’UDÌ DI MADRE, E IL MOTO DI UNA CULLA. Chiusura: rima con nulla. In contrasto con nulla = morte. Culla = vita, nascita

    NOVEMBRE
    Tre endecasillabi e un quinario: STROFE SAFFICHE.
    Rime alternate: ABAB CDCD EFEF.
    L’endecasillabo è frantumato, ricco di spezzettature.
    Uso frequente della congiunzione “e”.
    È una delle composizioni più suggestive e significative. Come la maggior parte dei componimenti facenti parte della raccolta Myricae, anche questo, più che a descrivere la natura in un suo particolare momento, è rivolto a penetrare nel senso segreto delle cose, e a scoprire in esso un messaggio di morte, un senso di fragilità, di vuoto.
    GEMMEA L’ARIA, IL SOLE COSI’ CHIARO enjambement
    “gemmea l’aria”: aria nitida, limpida come una gemma
    CHE TU RICERCHI GLI ALBICOCCHI IN FIORE,
    E DEL PRUNALBO L’ODORINO AMARO “prunalbo”: pianta del biancospino
    Anastrofe: “del prunalbo l’odorino amaro”
    Sinestesia: “odorino amaro”
    SENTI NEL CUORE…
    Strofe dolci, quasi allegre, elementi naturali, calma.
    Forte interruzione dal “ma” e strofa secca, dura, dolorosa.
    MA SECCO E’ IL PRUNO, E LE STECCHITE PIANTE Allitterazione forte della “s”
    enjambement
    DI NERE TRAME SEGNANO IL SERENO, Allitterazione: “s” e suoni duri (“r”)
    E VUOTO IL CIELO, E CAVO AL PIE’ SONANTE enjambement
    “cavo”: terreno gelato che risuona come vuoto al passare dei tacchi. Significato di morte.
    SEMBRA IL TERRENO.
    SILENZIO, INTORNO: SOLO, ALLE VENTATE, “silenzio”: è ciò che più trasmette paura nella poesia. È un EEEEEE(luogo comune) della letteratura. È l’apice del terrore, il momento culminante della solitudine e della desolazione.
    ODI LONTANO, DA GIARDINI ED ORTI,
    DI FOGLIE UN CADER FRAGILE. E’ L’ESTATE, enjambement
    Anastrofe.
    Allitterazione: “f”
    Sinestesia: “ odi di foglie un cader fragile” (uditivo + tattile)
    Ipallage.
    FREDDA, DEI MORTI. Impressione visiva, sensoriale.
    Ossimoro: “estate fredda”
    Uso più frequente della punteggiatura.
    L’ASSIUOLO
    Tre strofe di 7 novenari, tutti piani, tranne il 6° verso (tronco, quindi 8 sillabe).
    Gli accenti ritmici cadono sempre sulla 2°, 5°, 8° sillaba. Rime ABAB CDCD: alternate.
    Assiuolo: uccello notturno, rapace, che si ricollega all’idea di morte, nella sera e nella notte descritta.
    DOV’ERA LA LUNA? CHE’ IL CIELO L’autore sente la presenza della luna, ma non la vede.
    NOTAVA IN UN’ALBA DI PERLA, “notava” = nuotava.
    “alba di perla”: Metafora
    ED ERGERSI IL MANDORLO E IL MELO
    PAREVANO A MEGLIO VEDERLA.
    VENIVANO SOFFI DI LAMPI Sinestesia: “soffi di lampi”
    DA UN NERO DI NUBI LAGGIÙ’;
    VENIVA UNA VOCE DAI CAMPI: “voce”: generico. *
    Chiù… Voce onomatopeica.
    Nota l’uso della punteggiatura di sospensione.
    Luminosità.

    LE STELLE LUCEVANO RARE
    TRA MEZZO ALLA NEBBIA DI LATTE:
    SENTIVO IL CULLARE DEL MARE, Anafora: “sentivo”
    “cullare del mare”: personificazione.
    SENTIVO UN FRU FRU TRA LE FRATTE; Anafora: “sentivo”
    Allitterazione: “f”, “r”, suoni duri
    “fru fru”: voce onomatopeica.
    SENTIVO NEL CUORE UN SUSSULTO, Anafora: “sentivo”
    COM’ECO D’UN GRIDO CHE FU.
    SONAVA LONTANO UN SINGULTO: “singulto”: più specifico e forte. *
    Chiù… Voce onomatopeica
    Immagine abbastanza serena della notte.
    SU TUTTE LE LUCIDE VETTE
    TREMAVA UN SOSPIRO DI VENTO:
    SQUASSAVANO LE CAVALLETTE Voce onomatopeica: “squassavano”
    FINISSIMI SISTRIF D’ARGENTO Allitterazione: “s”
    (TINTINNI A INVISIBILI PORTE “tintinnii”: voce onomatopeica.
    CHE FORSE NON S’APRONO PIÙ’?…); ticchetti che battono a porte che non si aprono più. (si erano aperte per Osiride,
    ma non per noi). Le “( )” significano ipotesi, supposizioni. Il “?” riprende quello presente nei primi versi.
    E C’ERA QUEL PIANTO DI MORTE… “pianto di morte”: fortissimo, in ciò sta tutta la paura, la desolazione, il dolore. *
    Chiù… Voce onomatopeica
    Numerose sono le personificazioni: tutti gli oggetti assumono un significato simbolico.
    *= passaggio semantico. *= strumenti musicali egizi che venivano utilizzati durante il mito di Iside.
    TEMPORALE
    Compare un solo verbo, ad inquadrare il contesto. Compare un solo elemento umano: il casolare.
    Settenari. Spazio bianco tra il primo e il secondo verso.
    UN BUBBOLIO LONTANO… “bubbolio”: voce onomatopeica.
    SPAZIO BIANCO.
    ROSSEGGIA L’ORIZZONTE,
    COME AFFOCATO, A MARE; “affocato”: sinistro bagliore del fuoco. Riprende il “rosseggia” del verso precedente.
    NERO DI PECE, A MONTE,
    STRACCI DI NUBI CHIARE: “nubi chiare”: squarci.
    TRA IL NERO UN CASOLARE: Analogia: tra il casolare bianco, come l’ala del gabbiano. Il poeta non ci dice che è bianco, ma lo capiamo appunto dall’analogia con l’ala del gabbiano.
    UN’ALA DI GABBIANO.
    Macchie di colore.

     
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    parafrasi della poesia in novenari "Allora" di Giovanni Pascoli


    Allora... in un tempo assai lunge
    felice fui molto; non ora:
    ma quanta dolcezza mi giunge
    da tanta dolcezza d'allora!

    Quell'anno! per anni che poi
    fuggirono, che fuggiranno,
    non puoi, mio pensiero, non puoi,
    portare con te, che quell'anno!

    Un giorno fu quello, ch'è senza
    compagno, ch'è senza ritorno;
    la vita fu vana parvenza
    sì prima sì dopo quel giorno!

    Un punto!... così passeggero,
    che in vero passò non raggiunto,
    ma bello così, che molto ero
    felice, felice, quel punto!

    Parafrasi:
    Allora in un tempo molto lontano fui molto felice; ma non adesso e quanta dolcezza mi ritorna in mente dai bei ricordi di allora!
    Quell’anno! Per tutti gli anni che sono trascorsi e che trascorreranno, non può la mia mente dimenticarsi di quell’anno! Quello fu un giorno che non avrà uguali, che non ritornerà; la vita fu inutile apparenza sia prima che dopo quel giorno! Quel punto trascorse così velocemente, che in realtà non fu mai raggiunto tuttavia fu talmente bello, che ero tanto felice per quel punto!

     
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    Pascoli, Giovanni, X Agosto analisi
    Parafrasi e commento dettagliato, comprendente anche l'analisi testuale nella parte finale, della poesia "X Agosto" di Giovanni Pascoli (1855-1912) tratta dalla raccolta "Myricae".

    Parafrasi
    I. San Lorenzo, io lo so perché tante stelle
    II. S’incendiano e cadono nell’aria tranquilla,
    III. perché un pianto, un dolore così grande
    IV. brilla nella volta celeste.

    V. Una rondine ritornava al suo nido:
    VI. l’uccisero: cadde tra le spine;
    VII. nel becco aveva un insetto:
    VIII. il cibo per i suoi piccoli.

    IX. Ora giace a terra, con le ali aperte come fosse in croce,
    X. con il becco aperto rivolto verso il cielo vasto e lontano;
    XI. e il suo nido viene oscurato dall’ombra, i piccoli attendono il ritorno della madre
    XII. e pigolano sempre più piano.

    XIII. Come la rondine, anche un uomo tornava alla sua casa:
    XIV. l’uccisero: chiese perdono per i peccati commessi
    XV. e restò con gli occhi aperti, sbarrati dal terrore:
    XVI. portava in dono alle figlie due bambole.

    XVII. Ora là, nella casa solitaria e vuota,
    XVIII. i figli lo aspettano invano
    XIX. poiché egli giace immobile e stupito,
    XX. rivolgendo le bambole al cielo lontano.

    XXI. E tu, oh Cielo vasto e divino,
    XXII. dal mondo ultraterreno, sereno,
    XXIII. inondi la Terra, questo insignificante frammento oscuro dell’universo dominato dal Male,
    XXIV. di un pianto, una pioggia di stelle.

    Commento

    La poesia “X agosto” è tratta dalla raccolta “Myricae” di Giovanni Pascoli (1855-1912). Come indicato dal titolo della raccolta, che significa “tamerici”, una pianta molto comune, gli argomenti trattati sono umili e modesti.

    La parte iniziale della poesia, infatti, sembra quasi una favola, il racconto della morte di una rondine, che Pascoli paragona al suo dolore personale per la perdita del padre e, nell’ultima strofa, al dolore dell’intera umanità. Il titolo, “X agosto”, è la data della morte del padre del poeta, ucciso per motivi poco chiari il 10 agosto 1867, un giorno molto doloroso che Pascoli non scorderà mai. Il 10 agosto è il giorno di San Lorenzo, in cui le stelle cadenti, che rappresenterebbero le lacrime del santo, sono particolarmente numerose. Partendo da questa semplice credenza, il poeta ha collegato la morte del padre al “pianto di stelle” che proprio nello stesso giorno si riversa sulla Terra.
    Nella prima strofa Pascoli espone questa sua considerazione, rivolgendosi direttamente al santo. Le successive quattro strofe sono analoghe e presentano prima la morte della rondine e poi quella di un uomo, che può essere sicuramente considerato il padre del poeta. L’immagine della rondine, secondo me, è molto significativa: essa procura il cibo ai piccoli, che non possono sopravvivere da soli, così come i figli hanno bisogno del padre. La morte della rondine è resa più drammatica dal fatto che l’animale giace con le ali aperte, come fosse in croce, a simboleggiare l’ingiustizia della sua uccisione e la sua innocenza. Un altro verso che mi ha colpito particolarmente è quello in cui viene descritto il nido, nascosto dall’ombra a significare un inquietante presagio, l’inevitabile ed imminente morte dei piccoli che, come se avessero capito il loro destino, pigolano sempre più piano, rassegnati. E’ questa secondo me l’immagine che trasmette meglio i sentimenti del poeta di fronte all’uccisione del padre: impotenza, solitudine e un’angosciante insicurezza, mancanza di protezione. Nella quarta e nella quinta strofa, invece, viene descritta in modo analogo la morte del padre, identificato in un uomo che stava tornando a casa, al suo “nido”, portando due bambole in dono alle figlie. Quando viene ucciso, chiede perdono per i peccati commessi e rivolge le bambole al cielo, quasi invocando pietà per un uomo che deve prendersi cura dei proprio figli, così come la rondine rivolge al cielo il becco aperto contenente il cibo per i piccoli, ma il cielo in quel momento era troppo lontano per ascoltare le preghiere di un uomo innocente. Nell’ultima strofa Pascoli paragona il suo dolore individuale a quello del mondo intero, riprendendo il discorso presentato all’inizio. Contrappone la serenità divina, spesso passiva verso i problemi umani, alla malvagità e all’ingiustizia che regnano sulla Terra.
    Le parole chiave di questa poesia sono il nido e l’attesa inutile dei rondinini e dei figli. Quando l’autore presenta la vicenda della rondine usa il termine “tetto”, mentre per riferirsi all’uomo si serve della parola “nido”. Apparentemente sembrerebbe più corretto invertire i due termini, ma in effetti “tetto” è più adatto alla rondine sia per la posizione del suo nido, spesso collocato sotto i tetti, sia perché è qualcosa di strettamente materiale e non intimo come un “nido”, che in questo caso rappresenta l’affetto e la protezione garantiti da una famiglia. Allo stesso modo il verme è legato alla sopravvivenza dei piccoli, mentre le bambole rappresentano l’astratto, l’affetto di un padre verso le figlie.

    Lo scopo di questa poesia, secondo me, è denunciare il dolore dell’umanità verso le ingiustizie impunite, come nel caso specifico di Pascoli, l’uccisione del padre. Trasmette l’impotenza, la rassegnazione e la desolazione di persone che non possono fare nulla per cambiare il corso degli eventi e devono scontrarsi con la realtà dura e ingiusta. A mio parere questi sentimenti sono sinceri e reali e chiunque, suo malgrado, un giorno potrebbe provarli.
    La poesia è una sestina, formata cioè da sei strofe composte ciascuna da quattro versi endecasillabi in rima alternata, a parte qualche verso novenario o decasillabo. Sono presenti molti enjambement, quasi ad ogni verso, che donano alla poesia continuità e scorrevolezza.

    Pascoli utilizza anche numerose sinalefi, soprattutto tra la terza e la quinta strofa e altrettante figure retoriche. Le principali sono la similitudine (“come in croce”), che paragona le ali aperte ad una croce, simbolo di innocenza ma anche di morte. Nella stessa strofa è presente anche una metonimia: nel verso “che pigola sempre più piano”, il soggetto reale non è il nido, ma i piccoli al suo interno. Forse Pascoli ha preferito attribuire quest’azione al nido per rendere l’idea di un gruppo ristretto e unito. Viene utilizzata anche una sinestesia (“restò negli aperti occhi un grido”) per descrivere l’espressione impaurita e sconvolta dell’uomo morente.

    Nell’ultima strofa l’autore utilizza una personificazione (“e tu, oh Cielo, inondi...”) riferendosi probabilmente alla divinità idealmente collocata nel cielo. Sono presenti delle consonanze, soprattutto della lettera “r”, forse per sottolineare la durezza delle quattro strofe centrali, e della lettera “l”. L’autore inserisce anche delle anafore (“ora, ora – aspettano, aspettano – l’uccisero, l’uccisero”). Pascoli utilizza un lessico semplice e comprensibile ed un registro non eccessivamente elevato. La poesia ha un ritmo cadenzato e cantilenante, che accompagna le analogie tra la morte della rondine e quella del padre del poeta.



    L'assiuolo
    Analisi della poesia l'Assiuolo di Giovanni Pascoli, composta di 3 strofe di 7 novenari (ABABCDC), il ritornello onomatopeico “chiù” rimante con il sesto verso di ogni strofa

    Spiegazione
    Il paesaggio de “L’assiuolo” è uno dei più intensi e suggestivi di tutta la produzione pasco liana.
    Le immagini si susseguono prive di ordine logico, come rivelazioni improvvise via via più profonde. Il vero filo conduttore è il verso dell’assiuolo, un piccolo rapace notturno, simile alla civetta, che va ripetendo il suo verso lamentoso: in quella voce sembra concentrarsi tutta la tristezza dell’universo, tutto il dolore, dell’esistenza nel suo fatale destino di morte.

    Dov’era la luna? ché il cielo
    notava in un’alba di perla,
    ed ergersi il mandorlo e il melo
    parevano a meglio vederla.
    Venivano soffi di lampi
    da un nero di nubi laggiù;
    veniva una voce dai campi:
    chiù...
    Le stelle lucevano rare
    tra mezzo alla nebbia di latte:
    sentivo il cullare del mare,
    sentivo un fru fru tra le fratte;
    sentivo nel cuore un sussulto,
    com’eco d’un grido che fu.
    Sonava lontano il singulto:
    chiù...
    Su tutte le lucide vette
    tremava un sospiro di vento:
    squassavano le cavallette
    finissimi sistri d’argento
    (tintinni a invisibili porte
    che forse non s’aprono più?...);
    e c’era quel pianto di morte...
    chiù...

    Spiegazione
    La lirica è composta di 3 strofe di 7 novenari (ABABCDC), il ritornello onomatopeico “chiù” rimante con il sesto verso di ogni strofa.
    Ché: (dov’era la luna) dal momento che…
    Notava: nuotava, era immerso.
    Di perla: perlacea, di un chiarore opalescente.
    Ergesi…vederla: gli alberi del mandorlo e del melo parevano ergersi in alto cercare di scorgerla.
    Soffi di lampi: lampi silenziosi per la lontananza, evanescenti come un soffio.
    Nebbia di latte: denso vapore bianco.
    Il cullare del mare: il rumore delle onde, sempre uguale e dolce come il movimento di una culla.
    Un fru fru: un fruscio indistinto.
    Fratte: cespugli.
    Sussulto: trasalimento per un’improvvisa emozione.
    Com’ero…che fu: come il lontano ricordo di un grido di dolore perduto nella profondità del tempo, antico quanto la vita, poiché di per sé essa comporta il dolore e la morte.
    Singulto: singhiozzo soffocato.
    Le lucide vette: le cime degli alberi, illuminate dalla luna.
    Squassavano…d’argento: le cavallette, scuotendo le loro ali, producevano un suono acuto e metallico.
    Tintinni…più: un tintinnare che sembrava battere a porte invisibili, le quali forse non si apriranno mai: le porte dell’ignoto, dell’immortalità un tempo garantita dal culto di Iside.

     
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    Pascoli, Giovanni - Vita, pensiero, opere

    GIOVANNI PASCOLI

    Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855. Dai sette ai dodici anni studiò nel collegio “Raffaello”, che dovette lasciare in seguito alla morte del padre, ucciso da sconosciuti mentre tornava dalla fiera di Cesena. Anche se fu colpito da altri lutti familiari come la morte della madre e della sorella, continuò a studiare, vincendo una borsa di studio, con la quale s’iscrisse alla facoltà di Lettere dell’Università di Bologna. Durante gli anni di Università partecipò alle dimostrazioni in favore di Passanante. Fu arrestato e trascorse tre mesi in carcere, dopodichè fu assolto e liberato. Riprese gli studi, si laureò e subito iniziò la carriera d’insegnante di latino e greco.

    Insegnò per varie Università, finchè nel 1905 ottenne a Bologna la cattedra di Letteratura italiana. Morì proprio a Bologna nel 1912.
    Il pensiero. Il Pascoli ebbe una concezione dolorosa della vita, le cause di tutto questo furono due fatti principali: la tragedia familiare e la crisi del positivismo. La tragedia familiare è costituita da vari lutti che colpirono il poeta, infatti prima gli fu ucciso il padre, poi in rapida successione morirono la madre, la sorella maggiore, e i due fratelli Luigi e Giacomo. Questi lutti gli ispirarono il mito del “nido” familiare da ricostruire, del quale fanno parte i vivi e idealmente anche i morti, legati ai vivi dai fili di una misteriosa presenza.

    Secondo il poeta infatti, in una società sconvolta dalla violenza, la casa è il rifugio nel quale i dolori e le ansie si placano. Il pensiero del Pascoli fu poi anche influenzato dalla crisi del positivismo, che si verificò verso la fine dell’Ottocento e fece crollare i suoi miti, quelli della scienza liberatrice e del progresso. Infatti il poeta riconosce l’impotenza della scienza nel risolvere i problemi umani e sociali, e inoltre la accusa anche di aver reso più infelice l’uomo, distruggendo in lui la fede in Dio, che era stata per secoli il suo conforto. Perduta la fede nella scienza il poeta fa adesso riferimento al mondo dell’ignoto e dell’infinito, arrivando alla conclusione che gli uomini sono creature fragili, soggette al dolore e alla morte.

    La poetica del fanciullino. La poetica del Pascoli è legata al suo modo di vedere il mistero come una realtà che ci avvolge. Questo mistero però, sia la filosofia che la scienza non hanno saputo svelare, e secondo il Pascoli, solo il poeta tramite improvvise intuizioni può scoprire il segreto della vita universale. Il Pascoli tramite queste intuizioni, elabora una sua poetica tutta particolare che prende il nome di “poetica del fanciullino”. Questo fanciullino secondo il poeta è in tutti gli uomini, ma nella maggior parte di essi però, distratti dalle loro attività, il fanciullino tace; in altri invece, cioè nei poeti, il fanciullino fa sentire la sua voce di stupore davanti alla bellezza della natura.
    Il Pascoli distingue quindi la poesia pura dalla poesia applicata. La poesia pura è quella fatta di stupori, e l’oggetto di essa non è soltanto la natura, ma anche le armi, le guerre, i viaggi, tutte cose che stimolano la fantasia del fanciullino. La poesia applicata invece, è fatta di drammi e di grandi romanzi, come ad esempio l’Orlando Furioso .

    Decadentismo del Pascoli. Il Pascoli contrariamente al D’Annunzio, pervenne al Decadentismo per istinto, e non per influenze esterne. Egli in seguito alla crisi del positivismo, elaborò una poetica che rientrava senza che lui stesso se ne accorgesse, nelle grandi correnti del suo tempo. Gli elementi del decadentismo pascoliano sono: 1) il senso smarrito del mistero e la sensibilità a percepire le voci provenienti dalle zone profonde dello spirito; 2) la poesia come strumento di conoscenza; 3) il simbolismo, cioè vedere le cose non nel loro aspetto reale, ma come simboli; 4) la fiacchezza di temperamento.

    Analisi delle opere. La prima raccolta di poesie del Pascoli è dedicata al padre, e si intitola Myricae. Il tema della raccolta è quello della campagna, colta nei suoi vari momenti, specialmente in quelli più malinconici dell’autunno, quando è ancora vivo il ricordo dell’estate appena trascorsa e si avverte il triste arrivo dell’inverno, che richiama l’idea della morte. La raccolta successiva furono i Poemetti, mentre ad essi seguirono I canti di Castelvecchio, dedicati alla madre e considerati il continuo delle Myricae.

    Motivi, struttura e forme della poesia pascoliana. I motivi della poesia pascoliana sono quattro: il motivo delle memorie autobiografiche; il motivo della celebrazione degli ideali morali, patriottici e umanitari; il motivo georgico; il motivo del mistero della vita e della cosmicità della terra. Il primo motivo rievoca con grande commozione i momenti della vita del poeta e i lutti familiari (L’aquilone, La cavallina storna).Il secondo motivo si ricollega alla tradizione ottocentesca, quando la poesia era intesa come strumento di educazione morale, patriottica e civile. Queste poesie sono state considerate scadenti perché troppo intellettuali (I due fanciulli). Il terzo motivo si sviluppa nella contemplazione della natura e della campagna. E’ uno dei motivi più suggestivi per la grande sensibilità del poeta (Lavandare, Il gelsomino notturno). Il quarto motivo, è quello più vicino ai temi del Decadentismo. La terra appare al Pascoli come un atomo opaco, sperduto nell’immensità dell’universo. Questa visione dà al poeta un senso di solitudine, che lo rende sensibilissimo a percepire le voci misteriose che arrivano dallo spazio (La vertigine).

    Per quanto riguarda la struttura e le forme della poesia pascoliana, c’è una rottura con la tradizione letteraria italiana, e il poeta dà inizio alla poesia moderna. Per comprendere questa nuova struttura, basta ricollegarsi alla poetica del fanciullino, dove questo fanciullo agli occhi del poeta assume un significato particolare, per cui anche una piccola cosa può diventare un grande simbolo. Da questo si intuisce che la poesia più profonda del Pascoli è quella dei componimenti brevi, delle sensazioni fulminee e delle fresche impressioni.

    Lavandare. Nel campo, mezzo grigio nella parte non arata e mezzo nero nella parte arata, c’è un aratro senza buoi, avvolto nella nebbia leggera.

    Dal canale d’acqua, proviene il rumore dei panni sulle pietre prodotto dalle lavandaie, accompagnate dalle loro cantilene. Intanto inizia a soffiare il vento, che dai rami fa cadere la neve. Il paesaggio così desolato ispira sentimenti tristi e malinconici, e il poeta interpreta la canzone delle lavandaie come il lamento della solitudine. La canzone dice che è quasi inverno e l’uomo amato, non ritorna ancora al paese, e la donna, si sente sola e abbandonata, come l’aratro in mezzo al maggese.
    Questa poesia fa parte della raccolta Myricae. Della poetica del fanciullino, la poesia ispira la contemplazione della natura e la percezione delle voci e dei rumori che l’attraversano. Della poetica del Decadentismo, rispecchia il simbolismo, la tendenza a vedere le cose come simbolo di realtà più profonde(l’aratro in questo caso è il simbolo della solitudine e dell’abbandono).

    La mia sera. Il giorno fu pieno di lampi, ma ora che la tempesta e finita ed è arrivata la sera, appariranno le stelle silenziose. Intanto nei campi si diffonde il gracidare delle rane, mentre le foglie dei pioppi tremano al vento come se fossero contente per la fine della tempesta. Poi iniziano ad aprirsi le stelle nel cielo pieno di colori teneri e vivaci, e accanto al gracidare delle rane, singhiozza il ruscello. Ora nel cielo invece dei fulmini si vedono nuvolette rosse e bionde, per i riflessi del sole che tramonta.

    Anche la nuvola più nera, più densa di bufera, nell’ultima ora della sera è più rosa delle altre. Durante il giorno tempestoso gli uccelli non hanno potuto cercare il cibo, e quando arriva la sera, finita la tempesta, volano allegramente e la fame patita nel povero giorno prolunga l’allegra cena, perché nel nido i piccoli non ebbero l’intera parte. E il poeta aggiunge che neanche lui l’ebbe nel passato. Il suono delle campane infine sembrano invitare al riposo il poeta e cullarlo dolcemente, facendogli ricordare l’infanzia quando la sera si addormentava sentiva per ultima la voce della madre e poi, una volta addormentatosi, più nulla.
    Il nulla sembra essere il simbolo della morte, nella quale il poeta troverà un riposo sereno ed eterno.

     
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    Pascoli, Giovanni - Temporale
    Commento, testo e analisi dettagliata della lirica pascoliana,

    Temporale
    La poesia di Giovanni Pascoli è tradizionalmente proposta alla lettura scolastica non solo per i temi (la gioia e la semplicità della vita a contatto con la natura, i buoni sentimenti, il valore della famiglia e della casa), ma anche per una presunta facilità del suo linguaggio. In realtà la lingua poetica di Pascoli porta straordinarie novità e cambiamenti in seno alla tradizione italiana: egli inizia infatti in Italia quella rivoluzione del linguaggio poetico che nelle altre letterature era già avviata. In particolare, è caratteristica della sua poesia l'attenzione all'aspetto fonico, per cui spesso i testi sono costruiti sull'effetto, sulle impressioni evocate dal succedersi dei suoni.
    Ne è un esempio famoso la poesia Temporale, inserita nella terza edizione della raccolta Myricae, del 1894.

    Il testo

    Un bubbolio lontano...

    Rosseggia l'orizzonte,
    come affocato, a mare;
    nero di pece, a monte,
    stracci di nubi chiare:
    tra il nero un casolare:
    un'ala di gabbiano.

    Il linguaggio delle sensazioni
    Pascoli presenta un paesaggio al tramonto: da un parte il mare, infuocato dal brillare dei raggi del sole che cala, e dall'altra le montagne, su cui si stanno addensando le nere nubi di un temporale. In mezzo alla campagna un casolare bianco si distingue grazie alla luce di un lampo improvviso. Il poeta descrive la scena attraverso le sensazioni, che si susseguono una dopo l'altra nella poesia: il rumore del tuono; il colore rosso dell'orizzonte; il nero delle nuvole minacciose del temporale, in mezzo al quale si staglia qualche nuvola sfilacciata più chiara; il colore bianco del casolare che appare all'improvviso e che è reso dall'analogia.

    Il linguaggio utilizzato fa ricorso solo alle sensazioni, alle impressioni, che colpiscono l'immaginazione del lettore: è come un quadro, in cui non ci si affida alla linea dei contorni delle figure ma solo al colore.

    La sintassi nominale
    La lingua poetica delle sensazioni e delle impressioni non utilizza quasi per niente i predicati verbali: si parla a questo proposito di sintassi nominale. L'unico vero verbo della poesia è Rosseggia, che tra l'altro indica non un'azione ma una tonalità di colore dell'orizzonte.

    Per il resto la poesia si affida solo a nomi e a aggettivi. Alcuni sintagmi forzano la lingua nominale: per esempio, si nota l'uso di espressioni onomatopeiche, oppure lo scambio tra sostantivo e aggettivo che mette ancora una volta in risalto la sensazione.
    Un altro procedimento che infrange la linearità logica del linguaggio è quello dell'analogia.
    Ogni legame logico è taciuto, sottinteso e dev'essere intuito; si ha perciò un legame analogico.

    La punteggiatura
    Un altro aspetto innovativo del linguaggio poetico pascoliano è costituito dalla punteggiatura e dall'aspetto grafico: i punti di sospensione dopo il primo verso e lo spazio bianco che lo separa dal secondo creano un vuoto, come un silenzio dopo il rumore del tuono; si tratta dello spazio di tempo che intercorre tra il tuono e il lampo che poi permette di scorgere il casolare. L'attenzione per l'aspetto grafico e un uso più espressivo della punteggiatura saranno propri della poesia del Novecento, anticipata anche in questo da Pascoli.

    Il simbolo
    La poesia pascoliana è caratterizzata da una valenza simbolica. Si tratta di una poesia che parla di cose che assumono un significato e un valore che vanno al di là della loro oggettività. Così il casolare è per analogia avvicinato all'ala del gabbiano e questa immagine assume un valore simbolico, anche se difficile da sciogliere. Gli uccelli sono largamente presenti nella poesia pascoliana: sono la voce di un mondo che sta al di là della realtà e che in genere coincide con il mondo dei morti. Gli uccelli poi sono strettamente legati all'idea del nido, uno dei temi ricorrenti in Pascoli: li vi trova sicurezza, calore e protezione, così come all'interno del casolare. Inoltre, l'immagine del gabbiano è sempre associata all'idea di libertà e di leggerezza, che contrasta il peso e la minaccia del temporale; anche il colore bianco costituisce un momento di consolazione e di conforto nello spavento provocato dal temporale, espresso invece con la sfumatura del nero.

    In sintesi
    Nella prima descrive una tempesta che si sta avvicinando, nella seconda l’attimo in cui il lampo acceca l’occhio. La prima si apre con un’onomatopea che indica l’eco lontano di una minaccia. L’unica salvezza nella tempesta è il casolare. È il nido. Nella seconda poesia domina il senso della vista: anche qui l’unico riparo è il casolare bianco. Il fanciullino non è in armonia con la natura ma deve fuggire da essa e rintanarsi nel suo rifugio.



    La poetica del fanciullino

    La poetica del fanciullino: Pascoli ritiene che in ogni persona ci sia un fanciullino, spirito sensibile che consiste nella capacità di meravigliarsi delle piccole cose

    Delinea gli aspetti fondamentali della sua poetica. Anche autori precedenti come Tasso e Leopardi avevano scritto saggi in cui delineavano la loro poetica. Leopardi scrisse Discorso di italiano introno alla poesia romantica in risposta alle accuse di Madame de Stael. Tasso aveva scritto i Discorsi sopra l’arte poetica nei quali delineava la teoria della verosimiglianza. Pascoli sulle orme della tradizione scrive la “poetica del fanciullino”, opera che sarà utilizzata come chiave di volta per tutta la produzione artistico - letteraria. Pascoli ritiene che in ogni persona (indipendentemente dal lavoro che svolge e dalla condizione sociale) ci sia un fanciullino.

    Esso è uno spirito sensibile che consiste nella capacità di meravigliarsi delle piccole cose, proprio come fanno i bambini. La differenza tra il poeta e l’uomo comune,quindi, è nel fatto che il primo riesce ad ascoltare e dare voce al fanciullino che in lui. In questa concezione, Pascoli si differenzia dal decadentismo. Infatti, tale movimento considera la poesia come qualcosa di elitario che si distingue dalla massa. D’Annunzio elaborando la teoria di Nietzsche del superuomo, ritiene che il poeta possegga superdoti, qualità superiori che lo elevano dalla massa. La gente comune viene considerata perciò, sentimentalmente e intellettualmente inferiore all’intellettuale. Per Pascoli, al contrario, il poeta è un uomo umile che gioisce nello scoprire le cose più modeste e genuine. Rappresenta scene che vede con la sua poetica semplice, parla di vita umile di scene di vita quotidiana viste con gli occhi del fanciullino. Tuttavia, secondo alcuni critici le figure del superuomo e del fanciullino coincidono perché sebbene da due prospettive diverse, dall’umiltà e dalla superiorità, sono due modi di distinguersi dalla massa. Due sono gli elementi principali nella poetica del fanciullino:
    IMPRESSIONISMO = l’artista non deve rappresentare il mondo e la natura per come si presentano poiché il ruolo del poeta è quello di fornire degli stimoli, spunti di riflessione sulla realtà, in modo tale che il lettore li percepisca in modo soggettivo (prende le distanze dal verismo a lui contemporaneo).

    C’è una mediazione tra il poeta e il lettore per cui la poesia lascia intravedere la realtà ma non la rappresenta come tale. Ci sono delle situazioni appena accennate e dipinte inventate e rielaborate dal poeta. La poesia, quindi, tratteggia la realtà ma non la definisce.
    SIMBOLISMO = il simbolo non è immediato, non ha un legame logico né un richiamo immediato. Pascoli utilizza il simbolo in una delle sue liriche più famose X Agosto →la notte in cui muore il padre corrisponde con la morte di San Lorenzo.

    La simbologia astronomica è forte: la morte in cui morì il padre è la notte in cui il cielo sembra piangere, partecipare al dolore della famiglia, dove le lacrime sono associate alle stelle cadenti.

     
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    Parafrasi Myricae
    parafrasi di alcune poesia tratte dall'opera Myricae di Pascoli.

    Parafrasi Myricae

    L’assiuolo
    Mi domando dove fosse la luna, visto che il cielo aveva un colore chiaro e il mandorlo e il melo sembravano sollevarsi per vederla meglio. Da nuvole nere in lontananza venivano dei lampi mentre una voce nei campi ripeteva: chiù. Solo poche stelle brillavano nella nebbia bianca. Sentivo il rumore delle onde del mare, sentivo un rumore tra i cespugli, sentivo un’agitazione nel cuore al ricordo di una voce che evocava un dolore antico. Si sentiva un singhiozzo lontano: chiù. Sulle vette dei monti illuminate dalla luna, soffia un vento leggero mentre il canto delle cavallette sembra il suono dei sistri funebri che bussano alle porte della morte che forse non si aprono più?...
    e continua insistentemente un pianto funebre... chiù...

    Novembre
    L’aria è limpida e fredda come una gemma, il sole è così luminoso che si ricercano con lo sguardo gli albicocchi in fiore, sentendo nel cuore l’odore amarognolo del biancospino. Ma l’albero del biancospino è secco, le piante scheletrite lasciano una traccia nera nel cielo sereno, il cielo è deserto, e il terreno sembra vuoto e sordo al piede che lo calpesta. Intorno c’è silenzio, soltanto grazie ai colpi di vento, si sente lontano un fragile cadere di foglie, proveniente dai giardini e dagli orti. È la fredda estate dei morti.

    Temporale
    Un borbotto di un tuono lontano... L’orizzonte si colora di rosso, come se fosse infuocato, verso il mare, sul monte quasi nero ci sono stracci di nubi chiare, nel buio del monte un casolare e le ali di un gabbiano.
    Lavandare
    Nel campo metà arato e metà no, è quasi come abbandonato un aratro senza buoi, tra la nebbia. Scandito dal fiume si sente il rumore delle lavandaie che lavano i panni, sbattendoli, con le loro lunghe cantilene. Il vento soffia e le foglie cadono come neve, e tu non sei ancora tornato, da quando sei partito sono rimasta come l’aratro abbandonato nel campo.

    X Agosto
    È il 10 agosto, il giorno di San Lorenzo, ed io so perchè così tante stelle in cielo ardono e sembrano cadere; perchè così tante stelle che sembrano lacrime, brillano in cielo.
    Una rondine ritornava al suo nido, sotto un tetto: venne uccisa, cadde tra i rovi, aveva nel becco un insetto, doveva essere la cena dei suoi piccoli. Ora lei è là, come se fosse morta in croce, che tende verso il cielo il verme cattuato, cielo indifferente al dolore; e nel nido ombroso, il pigolio dei piccoli si fa sempre più tenue. Anche un uomo, mio padre, tornava a casa: venne ucciso,l disse: Perdono; e morì con gli occhi spalancati come se volessero gridare per lo stupore, ed aveva con sè due bambole da regalare alle figlie... Ora là, nella casa isolata, lo aspettano, ma aspettano inutilmente: egli immobile, stupito, protende le bambole al cielo lontano ed indifferente. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi senza il male, infinito, immobile, è come se inondassi di stelle questo piccolissimo pianeta dominato dal male.

    Arano
    Nel campo dove qualche foglia di vite rossastra brilla nelle file e sembra che la nebbia mattutina fuma dai cespugli, arano: e gridando lentamente, uno spinge lentamente le vacche; altri seminano, uno ribatte le zolle lentamente con la sua zappa; il passero esperto nel suo cuore gia gode menre spia il tutto da i rami dritti del gelso; e il pettirosso fa sentire dalle siepi il suo sottile canto come il tintinnio dell’oro.

    Il lampo
    E cielo e terra si mostrarono nella loro identità, grazie alla luce del lampo: la terra ansimante, tetra, in un sussulto doloroso, il cielo ingombro di nuvole, cupo e sconvolto: nella silenziosa bufera appare improvvisa una casa bianca che sparisce subito; simile ad un occhio che dilatato, sbigottito, si apre e si chiude nella notte nera.

     
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    Novembre, Analisi della Poesia

    NOVEMBRE


    Gemmea l'aria, il sole così chiaro
    che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
    e del prunalbo l'odorino amaro
    senti nel cuore...

    Ma secco è il pruno e le stecchite piante
    di nere trame segnano il sereno,
    e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
    sembra il terreno.

    Silenzio, intorno; solo, alle ventate
    odi lontano, da giardini ed orti,
    di foglie un cadere fragile. E' l'estate,
    fredda, dei morti.


    Il titolo di questa poesia non ci fa comprendere alla prima lettura gli aspetti che si vogliono esaltare, poiché si comprende subito che il titolo si riferisce ad una collocazione nel tempo, mentre significa anche il mese nel quale si ricordano i propri cari che sono venuti a mancare.
    Come la maggior parte dei componimenti che fanno parte della raccolta Myricae, anche questo, più che a descrivere la natura in un suo particolare momento (il due novembre, che nella tradizione si ricorda per essere l’estate dei morti viventi), è rivolto a penetrare nel senso segreto delle cose, e a scoprirne un messaggio di morte, un senso di fragilità e di vuoto.
    Una serena giornata di novembre può per un attimo suggerire un'illusione di primavera e riportare quasi il profumo degli albicocchi in fiore. Ma si tratta di un'illusione che presto scompare, e alle iniziali impressioni subentra l’inverno che non solo indica solo la stagione, ma è metafora della precarietà dell’esistenza.

    In questa poesia, come spesso accade in Pascoli, il paesaggio mostra un duplice aspetto. Sotto un'apparenza di armonia e di positività possono nascondersi la presenza e la minaccia della morte. Quindi una giornata mite e serena può trasmettere per un attimo la sensazione di primavera, mentre in realtà è novembre.
    In questo, si può riscontrare un’analogia con Leopardi, il quale afferma che un piacere è figlio d’affanno, perché destinato a durare poco, in quanto è solo una pausa tra due angosce.
    In questo mese cade la cosiddetta "estate di San Martino", termine con il quale Pascoli ha voluto fondere particolarità del mese: la presenza frequente di giornate calde, quasi estive, e la ricorrenza dei morti che cade agli inizi di novembre.

    Nella prima strofa vi è inizialmente un'immagine primaverile (“Gemmea l'aria,il sole è così chiaro”), l'immagine di una giornata soleggiata nel mese di novembre. Il poeta infatti ci presenta una sensazione di luce e di vita, sottolineata dalla prevalenza di vocali aperte e dal paesaggio primaverile. La prima parola con cui si apre la poesia (“Gemmea”) racchiude l’idea di luminosità, di purezza e di vita. È presente anche la sinestesia “odorino amaro” al rigo tre. Il verso si chiude con “senti nel cuore”, parole dolci e calme che esprimono tranquillità, che viene spezzata però dal “Ma” del 5 rigo che capovolge la situazione e il poeta ci rappresenta il risvolto della medaglia, spiegandoci la breve illusione della felicità (“piacer figlio d’affanno” [Leopardi]).
    Nella bella giornata autunnale, la luce del sole e l'aria limpida danno per un istante l'illusione che sia primavera, ma subito ci si rende conto che le piante sono secche e spoglie (“ma secco è il pruno, e le stecchite piante”), quindi, inutilmente si cerca di scoprire gli alberi, ritornando alla realtà con la congiunzione avversativa e le parole "secco – stecchite – nere – vuoto – cavo", danno la sensazione di vuoto, di silenzio.
    Nella terza strofa viene confermata la realtà di morte, infatti, la poesia si apre con “silenzio”, che crea un’atmosfera funebre, accentuando la presenza della morte, (sottolineata anche con la sinestesia “cader fragile” che rafforza l’idea della precarietà e della morte, riferendosi alla vita umana) e la conclude con l’ossimoro “è l’estate fredda dei morti”. L’aggettivo fredda ci riporta a “gemmea” (al primo rigo) per sottolineare, appunto, il contrasto tra la vita e la morte. Il poeta, in questa ultima strofa, inserisce aggettivi che contengono un significato di vuoto e di solitudine: “silenzio – solo – lontano – fragile - fredda” .



    Pascoli, Giovanni - Novembre
    Gemmea l'aria, il sole così chiaro
    che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
    e del prunalbo l'odorino amaro
    senti nel cuore...

    Ma secco è il pruno e le stecchite piante
    di nere trame segnano il sereno,
    e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
    sembra il terreno.

    Silenzio, intorno; solo, alle ventate
    odi lontano, da giardini ed orti,
    di foglie un cadere fragile. E' l'estate,
    fredda, dei morti.


    Spiegazione
    “Novembre” è una poesia scritta da Giovanni Pascoli composta da tre strofe composte da endecasillabi saffici (tre endecasillabi e un quinario; questa struttura vuole dare un senso di lentezza) e dodici versi. La rima è alternata e il senso è discendente (si parte da una situazione positiva, disillusione, disincanto; si parte dal bello per arrivare alla tristezza).
    La struttura è paratattica, essenziale, veloce.
    • La prima strofa: pur essendo in novembre, l’illusione della primavera.
    • Seconda strofa: disillusione.
    • Terza strofa: la presa di coscienza che si è in autunno.
    Il linguaggio è semplice e quotidiano, ma simbolico, le parole sono ricche di simboli. Il linguaggio è allusivo e impressionistico, che deve evocare le impressioni che hai attraversi i sensi.
    Le figure stilistiche, retoriche sono molte. Sono presenti molti enjambement (quattro).
    • “Odorino amaro” è una sinestesia (figura stilistica che, in questo caso, mette insieme un senso olfattivo con un senso gustativo.

    Si ha una sinestesia quando vengono unite due sensazioni diverse. Ritrovo la sinestesia quando ho un linguaggio impressionistico).
    • “Estate fredda” è un ossimoro (contrapposizione di due parole; nome e aggettivo in contrasto. Anche l’ossimoro è usato per ottenere un linguaggio impressionistico).
    • “Gemmea l’aria” è un chiasmo (aggettivo e nome, sensazione fonico – visiva, sensazione sensoriale).
    In questa poesia si ha uno scardinamento della struttura metrica classica.
    Lo spazio e il tempo sono simbolici: il tempo è novembre, mentre lo spazio è di campagna, agreste (Pascoli pensa sempre alla campagna romagnola). Il poeta non ci vuole rappresentare la realtà; apparentemente ce la sta descrivendo, ma tutto rappresenta un’altra cosa.

    Il titolo, “Novembre”, rappresenta tutte le cose che sono destinate a morire, a non esserci più. In tutta la poesia è presente il senso della morte. Via via c’è il senso di tristezza, malinconia, lentezza. Pascoli ci sta parlano della vita, che poi porterà della morte. La poesia è ricca di musicalità in positivo per ottenere un linguaggio impressionistico. Le consonanti R e L accentuano gli effetti sonori.
    Nella poesia Pascoli unisce diversi campi semantici, sensoriali: olfattivo – uditivo, visivo, fonico. Apparentemente parla di sensazioni, ma parla dei suoi stati d’animo.

    Parafrasi
    L’aria è limpida e fredda, la luce del sole è così chiara che tu cerchi con lo sguardo gli albicocchi fioriti, l’odore amaro del biancospino dentro il tuo cuore…
    Ma, in realtà, il pruno è secco, e le piante stecchite tramano il cielo con i loro rami spogli e scuri, il cielo è privo di nuvole, e sotto il piede il terreno sembra duro e cavo.
    Tutto intorno v’è silenzio: solo con le folate di vento senti da lontano, dai giardini e dagli orti, un rumore leggero delle foglie che cadono. E’ l’estate fredda e veloce dell’inizio di novembre.

    Commento
    La poesia “Novembre” fu elaborata nel 1890 e pubblicata su “La Vita Nuova” nel febbraio 1891; infine fu conclusa nella prima edizione di Myricae nel 1891.
    E’ composta da tre quartine a rima alternata.
    La prima impressione è quella di avere davanti un paesaggio primaverile, ma questa è solo un’illusione: infatti la poesia è ambientata in novembre e i vari odori e colori sono percepiti non con i sensi ma con l’immaginazione.
    Nella prima quartina, viene descritto un paesaggio tipicamente primaverile, e persistono immagini di vita, di luce e di colore; nella seconda, invece, viene descritto il paesaggio autunnale e allude alla morte, e nell’ultima quartina Pascoli affianca l’immagine della “finta” estate alla morte, quindi sono presenti .
    L’elemento che bipartisce i due quadri naturali è “ma”, poiché ribalta tutto ciò che è stato detto un attimo prima. Inoltre la seconda quartina è piena di parole come “secco e stecchite” che cambiano immediatamente l’immagine della primavera.
    Sono presenti alcune sinestesie, come “odorino amaro”, “cader fragile”, e un ossimoro: “estate fredda”.



    Edited by Lussy60 - 25/3/2013, 16:38
     
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    Nido e Fanciullo

    Il fanciullino e il nido per Pascoli

    Fanciullino: Pascoli pubblicò questo saggio nel 1896 e cita <in ogni uomo c'è nascosto un fanciullo capace di commuoversi e sperimentare ogni giorno nuove emozioni. Spesso è condizionato dal mondo degli adulti ma se si risveglia in noi,è capace di far sognare ad occhi aperti facendo scoprire il lato attraente di ogni cosa,volando con la fantasia in mondi incantati>.
    Il fanciullo si emoziona per le piccole-grandi cose,cioè coi che è piccolo e per le altre persone quasi insignificante,per lui è esattamente il contrario,come osservando il filo d'erba.
    La poetica del fanciullino è genuinamente simbolista cioè la parola poetica è carica di soggettività e non esprime il significato che ha quell'oggetto ma in base a cosa si prova o legato a dei ricordi riguardanti questo simbolo.

    E' dentro di noi un fanciullo( dal saggio il Fanciullo) : in questo brano l'autore spiega che a qualsiasi età si è capace di provare ancora quello spirito ingenuo e pieno di entusiasmo di un bambino. Pascoli pero' tende a distinguere due periodi della vita umana :il fanciullo e la maturita' , distinguendo tra quello che non sa ma è capace di emozionarsi e quello che conosce.

    Nido: immagine reale perchè spesso vengono raffigurati gli uccelli,ma è sopratutto una metafora che vuole indicare:
    -casa,luogo dove rifugiarsi dal male
    -famiglia
    -patria, inteso come madre che custodisce i suoi figli(popolo)

    Raccolta Mirycae: pianta di origine spontaena come le sue poesie.
    racconta in particolare della campagna e la famiglia



    - Lavandare
    Testo, commento breve e parafrasi della poesia Lavandare, tratta dalla raccolta pascoliana Myricae.

    Lavandare
    Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
    resta un aratro senza buoi che pare
    dimenticato, tra il vapor leggero.

    E cadenzato dalla gora viene
    lo sciabordare delle lavandare
    con tonfi spessi e lunghe cantilene:

    Il vento soffia e nevica la frasca,
    e tu non torni ancora al tuo paese!
    quando partisti, come son rimasta!
    come l’aratro in mezzo alla maggese.

    Parafrasi
    Nel campo che è per metà arato per metà no
    c’è un aratro senza buoi che sembra
    dimenticato, in mezzo alla nebbia.

    E scandito dalla riva del fiume si sente
    il rumore delle lavandaie che lavano i panni,
    sbattendoli, e lunghe cantilene:

    Il vento soffia e ai rami cadono le foglie,
    e tu non sei ancora tornato!
    da quando sei partito sono rimasta
    come un aratro abbandonato in mezzo al campo

    Commento
    La poesia, composta fra il 1885 e il 1886, fa parte di Myricae, la prima raccolta del poeta che avrà una lunga serie di edizioni. Myricae è il nome delle tamerici, piccoli e modesti arbusti selvatici; Pascoli lo sceglie come titolo per sottolineare i contenuti umili, quotidiani, legati al mondo contadino che caratterizzano le liriche della raccolta. In questa poesia la descrizione del paesaggio autunnale, resa con rapide immagini che suscitano impressioni visive e sonore, sfuma nel malinconico canto delle lavandaie.
    La natura, la giornata autunnale, i colori e i suoni della campagna si trasformano nell'immagine di uno stato d`animo dominato dalla malinconia e dalla pena per gli affetti perduti.
    Il linguaggio e` musicale e ricco di simboli.L struttura metrica e` quella del madrigale: due terzine e una quartina finale di undici sillabe(endecasillabi).



    Divisione metrica della poesia pascoliana e testo della lirica

    Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
    resta un aratro senza buoi che pare
    dimenticato, tra il vapor leggero.
    E cadenzato dalla gora viene
    lo sciabordare delle lavandare
    con tonfi spessi e lunghe cantilene:
    Il vento soffia e nevica la frasca,
    e tu non torni ancora al tuo paese!
    quando partisti, come son rimasta!
    come l’aratro in mezzo alla maggese

    METRICA DELLA POESIA

    Nel/ cam/po mez/zo gri/gio e/ mez/zo ne/ro
    re/sta un/ ara/tro sen/za bu/oi che/ pa/re
    di/men/ti/ca/to, tra/ il/ va/por leg/ge/ro.
    E/ ca/den/za/to dal/la go/ra vie/ne
    lo/ scia/bor/da/re del/le la/van/da/re
    con/ ton/fi spes/si e/ lun/ghe can/ti/le/ne:
    Il/ ven/to sof/fia e/ ne/vi/ca la/ fra/sca,
    e/ tu/ non/ tor/ni an/co/ra al/ tuo/ pae/se!
    quan/do par/ti/sti, co/me son/ ri/ma/sta!
    co/me l’/ara/tro in/ mez/zo al/la mag/ge/se.



    parafrasi della poesia "La Pioggia"

    La Pioggia

    Cantava al buio d’aia in aia il gallo.

    E gracidò nel bosco la cornacchia:
    il sole si mostrava a finestrelle.
    Il sol dorò la nebbia della macchia,
    poi si nascose; e piovve a catinelle.
    Poi tra il cantare delle raganelle
    guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.

    Stupìano i rondinotti dell’estate
    di quel sottile scendere di spille:
    era un brusìo con languide sorsate
    e chiazze larghe e picchi a mille a mille;
    poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
    di stille d’oro in coppe di cristallo

    Parafrasi
    Cantava nel buio di aia in aia il gallo
    e si sentì nel bosco il gracidio della cornacchia:
    il sole si mostrava a finestrelle.
    il sole illuminò la nebbia della vegetazione
    e poi si nascose e cominciò a piovere a catinelle.
    poi tra il cantare delle piccole rane
    arrivò sui campi un raggio lungo e giallo.

    Le rondini d'estate erano stupiti
    da quella pioggia che scendeva sottile come tanti spilli
    era un brusio a deboli scrosci d'acqua
    e pozzanghere molto grandi e poi tante gocce a mille a mille,
    poi si smorza l'acqua in singhiozzi e inizia a cadere più rada:
    come gocce d'oro in coppe di cristallo.

     
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    La mia sera

    Testo e parafrasi della lirica La mia sera, scritta nel 1903 e tratta dalla raccolta Canti di Castelvecchio.

    La mia sera
    Il giorno fu pieno di lampi;
    ma ora verranno le stelle,
    le tacite stelle. Nei campi
    c'è un breve gre gre di ranelle.
    Le tremule foglie dei pioppi
    trascorre una gioia leggiera.
    Nel giorno, che lampi! Che scoppi!
    Che pace, la sera!
    Si devono aprire le stelle
    nel cielo si tenero e vivo.
    Là, presso le allegre ranelle,
    singhiozza monotono un rivo.
    Di tutto quel cupo tumulto,
    di tutta quell'aspra bufera,
    non resta che un dolce singulto
    nell'umida sera.
    E ', quella infinita tempesta,
    finita in un rivo canoro.
    Dei fulmini fragili restano
    cirri di porpora e d'oro.
    O stanco dolore, riposa!
    La nube nel giorno più nera
    fu quella che vedo più rosa
    nell'ultima sera.
    Che voli di rondini intorno!
    che gridi nell'aria serena!
    La fame del povero giorno
    prolunga la garrula cena.
    La parte , si piccola, i nidi
    nel giorno non l'ebbero intera.
    Né io……. e che voli, che gridi ,
    mia limpida sera!
    Don…don…e mi dicono,Dormi!
    Mi cantano, Dormi! Sussurrano,
    Dormi! Bisbigliano, Dormi!
    là voci di tenebra azzurra…
    Mi sembrano canti di culla,
    che fanno ch'io torni com'era…
    sentivo mia madre… poi nulla…
    sul far della sera.
    parafrasi
    Il giorno fu pieno di lampi, ma ora verranno le stelle, le stelle silenziose. Nei campi si sente un breve gracidio di ranelle.
    Una brezza leggera fa tremare, come un brivido di gioia, le foglie dei pioppi.
    Nel giorno, che lampi! Che scoppi! Ma poi, che pace la sera!

    Si devono vedere le stelle in un cielo così tenero e vitale. Presso le allegre ranelle un ruscello produce un suono monotono.
    Di tutto il rumore fragoroso, di tutta quella cupa bufera non resta che un dolce singhiozzo nella sera umida.
    E quella bufera infinita si spegne in un canto sonoro.
    Dei fulmini che si infrangono restano solo nuvolette sottili color porpora e d'oro; o stanchezza, riposa!
    La nube che nel giorno fu la più nera, ora è la più rosa: mentre la sera sta per finire.
    Che belli i voli di rondini intorno! Che gridi nell'aria serena!
    La fame accumulata nel giorno, rende più festosa e più lunga la cena.
    La porzione di cibo così piccola, gli uccellini nei nidi non l'ebbero intera, e nemmeno io.
    Mia limpida sera, un dolce Don Don di campane, mi dice: dormi!
    Le voci nella notte azzurra, mi sembrano canti di culla, che mi riportano all'infanzia: sentivo mia madre...poi nulla...sul far della sera.



    La mia Sera: aggettivi

    Elenco di parole de "La mia Sera" di Giovanni Pascoli Con i corrispondenti aggettivi ad esse associati.
    * Stelle = tacite
    * gre-gre = breve
    * foglie = tremule
    * gioia = leggera
    * cielo = tenero e vivo
    * ranelle = allegre
    * rivo = monotono
    * tumulto = cupo
    * bufera = aspra
    * singulto = dolce
    * sera = umida
    * tempesta = infinita
    * rivo = canoro
    * fulmini = fragili
    * dolore = stanco
    * nube = nera
    * sera = ultima
    * aria = serena
    * giorno = povero
    * cena = garrula
    * sera = limpida
    * tenebra = azzurra

    La mia sera, Figure retoriche

    Figure retoriche in “La mia sera” di Pascoli

    GRE - GRE: Onomatopea = si usa una parola che riproduce un suono.
    GIOIA LEGGIERA: SINESTESIA = accostamento insolito di due parole legate a sensi diversi.
    SINGHIOZZA MONOTONO UN RIVO: Personificazione = si attribuiscono ad una cosa o ad un animale proprietà umane.
    CIRRI DI PORPORA ED ORO: Metafora = è una similitudine senza il collegamento della parola "come": rosso come la porpora, giallo come l'oro.
    LA FAME DEL POVERO GIORNO: Metonimia = si attribuisce qualcosa al soggetto sbagliato, non è il giorno che ha provato fame, ma gli uccelli che non sono potuti uscire a procurarsi il cibo.
    LA GARRULA CENA: Metonimia = si attribuisce qualcosa al soggetto sbagliato, garrule sono le rondini.

    EI NIDI: Sineddoche = si indica qualcosa al posto di qualcos'altro (es.: il contenente al posto del contenuto)
    DON …DON…: Onomatopea
    DORMI…DORMI…DORMI…DORMI: Anafora = ripetizione della stessa parola.
    TENEBRA AZZURRA: Ossimoro = accostamento di due parole che si contraddicono



    Commento

    Questa è la poesia “La mia sera” di Giovanni Pascoli e già il titolo anticipa parzialmente quello di cui andrà a parlare il poeta.
    La lirica è costituita da cinque strofe e quaranta versi; ogni strofa presenta sette novenari e un senario.
    La rima è alterna (ABABCDCD).
    Il linguaggio, come si verifica anche in molte altre poesie del Pascoli: è apparentemente semplice, ma analizzando il componimento emerge proprio il vero significato: un ritorno all’infanzia col pensiero, dove gli mancò qualcosa di grande, di insostituibile e cioè il padre, il quale venne assassinato mentre tornava a casa con due bambole in dono (come ci viene detto nella poesia “10 agosto”). Il tema della poesia è, appunto, il ritorno al passato, in un giorno di bufera, che si placa solo al calar della sera. Sono presenti in quantità enorme le figure retoriche. Le più utilizzate sono le personificazioni, le analogie, gli ossimori e le anafore; ci sono anche diverse immagini simboliche (il primo e il secondo verso e il settimo e l’ottavo verso).
    E’ Presente anche un’onomatopea, nel trentatreesimo verso: essa ci fa proprio capire che il poeta è cullato dal loro suono, come se lo invitassero dolcemente ad addormentarsi. Tra l’altro, proprio per questo motivo, l’ultima strofa è quella che mi ha colpito di più. Un altro elemento di questa poesia è la presenza alla fine di ogni strofa della parola sera.

     
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    Poesia originale e la parafrasi de "La Capinera" di Giovanni Pascoli

    La Capinera
    Il tempo si cambia: stasera
    vuol l'acqua venire a ruscelli.
    L'annunzia la capinera
    tra li àlbatri e li avornielli:
    tac tac.
    Non mettere, o bionda mammina,
    ai bimbi i vestiti da fuori.
    Restate, che l'acqua è vicina:
    udite tra i pini e gli allori:
    tac tac.
    Anch'essa nel tiepido nido
    s'alleva i suoi quattro piccini:
    per questo ripete il suo grido,
    guardando il suo nido di crini:
    tac tac.
    Già vede una nuvola a mare:
    già, sotto le goccie dirotte,
    vedrà tutto il bosco tremare,
    covando tra il vento e la notte:
    tac tac.

    Parafrasi:

    Il tempo sta cambiando: Stasera
    l'acqua vuole venire in ruscelli
    questo è annunciato dalla Capinera
    tra gli albatri e gli avornielli:
    tac tac.
    Mammina dai capelli biondi, non mettete
    ai bambini i vestiti per uscire
    Restate a casa, perchè l'acqua è vicina:
    ascoltate tra i pini e gli allori:
    tac tac
    Anche la capinera nel nido tiepido
    alleva i suoi quattro piccoli:
    per questo ripete il suo grido,
    guardando il suo nido fatto di crini:
    tac tac
    Già ha visto una nuvola sul mare
    e sotto ad esse le gocce che cadono a dirotto
    presto vedrà tremare tutto il bosco,
    covando tra il vento e la notte:
    tac tac



    L'assiuolo

    Dov’era la luna? ché il cielo
    notava in un’alba di perla,
    ed ergersi il mandorlo e il melo
    parevano a meglio vederla.
    Venivano soffi di lampi
    da un nero di nubi laggiù;
    veniva una voce dai campi:
    chiù...

    Le stelle lucevano rare
    tra mezzo alla nebbia di latte:
    sentivo il cullare del mare,
    sentivo un fru fru tra le fratte;
    sentivo nel cuore un sussulto,
    com’eco d’un grido che fu.
    Sonava lontano il singulto:
    chiù...

    Su tutte le lucide vette
    tremava un sospiro di vento:
    squassavano le cavallette
    finissimi sistri d’argento
    (tintinni a invisibili porte
    che forse non s’aprono più?...);
    e c’era quel pianto di morte...
    chiù...

    Commento

    Questa poesia, pubblicata per la prima volta nel 1897, fa parte di Myricae.
    Un paesaggio notturno, fremiti misteriosi di piante e animali, un lieve chiarore lunare, fanno da cornice al richiamo lugubre e lamentoso dell`assiuolo che costituisce il motivo conduttore della poesia. Il canto lamentoso dell`uccello notturno, il cui verso chiude ogni strofa, suscita inquetudine, evoca dolori lontani, racchiude in sé il mistero della morte. Attraverso il paesaggio notturno e le immagini della natura il poeta esprime la propria realta interiore, da forma alla proria visione della vita come doloroso procedere verso la morte. La poesia è composta da tre strofe di sette novenari, più il ritornello chiù che rima con il sesto verso di ogni strofa. Il linguaggio, denso di simboli, è ricco di onomatopee e di metafore.



    Il Gelsomino Notturno,


    poesia di Giovanni Pascoli da I Canti di Castelvecchio. Il simbolismo pascoliano riflette nel fiore l'incontro amoroso tra due sposi. Commento e note.

    Il gelsomino notturno

    Giovanni Pascoli dedicò il gelsomino notturno all'amico Gabriele Briganti di Lucca,in occasione delle sue nozze. In apparenza si tratta della semplice descrizione di un fiore, il gelsomino notturno o "bella di notte", che schiude la sua corolla a sera e per tutta la notte esala il suo intenso profumo.
    In realtà,la fecondazione notturna del gelsomino è accostata per analogia al rito amoroso che si consuma tra le pareti domestiche la prima notte di nozze. Tutto si svolge in silenzio, accompagnato dallo sbocciare dei fiori del gelsomino. All'alba,i petali che si chiudono sembrano racchiudere in essi una "nuova felicità" non dissimile da quella donna chiamata a generare nuova vita.
    Si tratta di una delle poesie in cui più evidente è il simbolismo dell'autore che, attraverso una serie di corrispondenze "nascoste", ci restituisce in tal modo il fascino arcano della fecondazione.


    E s'aprono i fiori notturni,
    nell'ora che penso a' miei cari.
    Sono apparse in mezzo ai viburni
    le farfalle crepuscolari.
    Da un pezzo si tacquero i gridi:
    là sola una casa bisbiglia.
    Sotto l'ali dormono i nidi,
    come gli occhi sotto le ciglia.
    Dai calici aperti si esala
    l'odore di fragole rosse.
    Splende un lume là nella sala.
    Nasce l'erba sopra le fosse.
    Un'ape tardiva sussurra
    trovando già prese le celle.
    La Chioccetta per l'aia azzurra
    va col suo pigolio di stelle.
    Per tutta la notte s'esala
    l'odore che passa col vento.
    Passa il lume su per la scala;
    brilla al primo piano: s'è spento . . .
    È l'alba: si chiudono i petali
    un poco gualciti; si cova,
    dentro l'urna molle e segreta,
    non so che felicità nuova.

    Note:
    - La poesia è composta da strofe di 4 novenari a rima alternata abab (tranne il verso 21 sdrucciolo).
    - Fa parte dei Canti di Castelvecchio
    - Struttura circolare: l'immagine dei gelsomini che all'inizio della poesia si aprono, torna alla sua fine, quando si richiudono.
    - ora che ripenso ai miei cari/farfalle crepuscolari: immagini che richiamano l'idea della morte. Il paesaggio pascoliano presenta sempre presagi funebri.
    - odore di fragole rosse: sinestesia
    casa bisbiglia: personificazione e metonimia
    - cari/casa/nidi/chioccetta: allusione al nido e agli affetti familiari
    - uso di vocaboli onomatopeici: sussurro-bisbiglio-pigolio


    Commento
    Giovanni Pascoli dedicò questa poesia all'amico Gabriele Briganti di Lucca,in occasione delle sue nozze. In apparenza si tratta della semplice descrizione di un fiore,il gelsomino,che schiude la sua corolla a sera e per tutta la notte esala il suo intenso profumo.In realtà, la fecondazione notturna del gelsomino è accostata per analogia al rito amoroso che si consuma tra le pareti domestiche la prima notte di nozze. Tutto si svolge in silenzio,accompagnato dallo sbocciare dei fiori del gelsomino. All'alba,i petali che si chiudono sembrano racchiudere in essi una "nuovo felicita" non dissimile da quella della donna chiamata a generare una nuova vita.
    Si tratta di una delle poesie in cui più evidente è il simbolismo dell'Autore che, attraverso una serie di corrispondenze "nascoste", ci restituisce in tal modo il fascino arcano della fecondazione.


    Breve riassunto della vita del poeta
    Questa poesia è stata scritta da Giovanni Pascoli, nato a S.Mauro di Romagna nel 1855 e morto nel 1912. Egli fa parte della corrente letteraria chiamata Decadentismo, caratterizzata dalla sfiducia nella ragione e dal credere un abisso inesplorabile l’animo umano. Il tema principale di questa poesia è il desiderio del poeta di crearsi una famiglia propria ma c’è anche un legame con il passato, con i cari morti, che ostacola l’avverarsi del sogno.

    Commento personale della poesia
    La poesia è ricca di metafore originali ma quella che mi è piaciuta di più è stata sicuramente “La Chioccetta per l’aia azzurra va con il suo pigolio di stelle”: per me è molto bella l’immagine delle stelle che, dando la sensazione del pigolio dei pulcini con il loro brillio, passeggiano tranquille per il cortile azzurro, cioè il cielo.
    Come similitudini mi ha colpito “sotto l’ali dormono i nidi come gli occhi sotto le ciglia”: è molto tenera e ci fa vedere il fanciullino che (si trova-c’è) nel poeta.
    Le rime sono presenti in gran quantità in tutta la poesia con una struttura ABAB, CDCD, ecc…
    Il linguaggio, essendo contemporaneo, è semplice, chiaro, scorrevole e comprensibile.
    C’è anche un ossimoro: “Nasce l’erba sopra le fosse” che vuole dimostrare la nascita di qualcosa di bello, puro e semplice sopra qualcosa di finito, di morto, sopra la morte stessa.

    La poesia è ricca di immagini come “Un’ape tardiva sussurra trovando già prese le celle”, la quale mi mette addosso soprattutto tristezza perché mi fa davvero entrare nei pensieri del povero poeta; lui, l’ape tardiva che sussurra, quindi in qualche modo “protesta” quando trova le celle già prese dalle altre api ed è costretto a starsene fuori, al freddo tra i pericoli del mondo mentre le sue compagne sono tutte insieme al calduccio dentro l’alveare; quest’immagine mi fa pensare al poeta, alla sua solitudine, al suo sentirsi “fuori posto”.
    In questa poesia sono presenti anche le metonimie “una casa bisbiglia” e “dormono i nidi” ne sono due esempi.
    Si trovano anche delle sinestesie come “odore di fragole rosse” che unisce olfatto e vista e “pigolio di stelle” che collega l’udito e la vista.
    In questo componimento ci sono anche molti enjambement sparsi qua e la come “sono apparse i mezzo ai viburni/le farfalle crepuscolari”, “ la Chioccetta per l’aia azzurra/va col suo pigolio di stelle “ e “dai calici aperti si esala/l’odore di fragole rosse”.
    Molti sono anche i simboli; solo per citarne qualcuno, “urna molle e segreta” si usa per indicare il grembo materno, mentre “ fiori notturni” e “farfalle crepuscolari” vengono additate come immagini della morte.
    A proposito della struttura sintattica bisogna far notare la brevità e la semplicità dei periodi, infatti il poeta si esprime quasi come un bambino (il famoso “fanciullino” della sua poetica) e l’assoluta mancanza di subordinate.

    Da sottolineare anche l’abbondanza della punteggiatura e i verso “è l’alba: si chiudono i petali” perché è ipermetro, cioè ha una sillaba in più.
    Mi ha colpito particolarmente questa frase “è l’alba : si chiudono i petali un poco gualciti; si cova dentro l’urna molle e segreta, non so che felicità nuova”: mi da un senso di fine, di chiusura (della notte) ma mi da anche la sensazione di qualcosa di nuovo che è iniziato, forse una nuova vita che è stata appena generata, qualcosa che per il poeta è segreto ed inviolabile e da cui lui rimarrà per sempre escluso, diverso da tutti gli altri uomini probabilmente perché non ha mai saputo staccarsi dalla sua famiglia d’origine e formarne una propria, e questo suo cordone ombelicale mai tagliato ricorrerà sempre nelle sue poesie attraverso l’immagine del nido.

    Questa poesia mi è piaciuta molto, soprattutto perché il poeta ci fa entrare nelle sua ottica e ci fa sentire i suoi sentimenti “puri e duri" rispetto alle altre poesie di Pascoli, questa è quella che mi è piaciuta di più proprio perché qui il poeta ci racconta liberamente e con grande maestria (gran talento) i suoi sentimenti, seppur tristi e dolorosi.

     
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    Il Decadentismo-Giovanni Pascoli
    rapporto tra Pascoli poeta e la corrente decadente, con particolare riguardo all'aspetto decadente nella poetica pascoliana stessa

    Pascoli e il Decadentismo
    Il pascoli è un poeta tipico decadente. Infatti il pascoli costretto contro la sua volontà è stato emarginato dal mondo e adesso non riesce a comprenderlo, non riesce a coglierne il significato.
    Infatti il pascoli è l’eterno bambino; si potrebbe dire che soffrisse di una pseudo-sindrome di peter-pan. Il Pascoli è stato costretto a crescere dopo la morte del padre (la quale è stata quella che lo ha sconvolto di più, forse perché ancora impunita ) e di alcuni parenti, non è stato nutrito di quell’affetto materno di quel calore che solo dei genitori possono dare , ma che purtroppo la sorella maggiore, che ha fatto un po’ da madre (con scarsi risultati), non ha saputo dargli.

    Nelle sue poesie si notano dei versi che sono in analogia a questa mancanza di affetto che ha dovuto subire. Il Pascoli (come il poeta decadente del resto) è come se fosse in un cinema la vita gli scorre d’innanzi, ma lui non sa capire non riesce a dare un significato a ciò che succede. Non è ancora pronto ad affrontare ciò che succede in questo secolo.
    Infatti nel XX sec.(secolo in cui il Pascoli è vissuto) C’è la nascita di nuovi filoni letterari ma tutti comunque legati fra di loro da un unico filo “Il decadentismo”. Infatti il Carducci (benché definito l’ultimo grande classico) fa uso di caratteri tipici decadenti come l’uso dei colori; poi c’è il Verga(il quale è il massimo esponente del Verismo) ma che scrive comunque del disagi e dell’incomprensione della gente verso il mondo, infine il Pascoli che si esclude completamente dal mondo(perché non riesce ad interpretarlo)comunica solo attraverso le poesie e lo fa usando colori; suoni;tipicamente Decadenti; ma in lui rimarrà sempre l’estraniazione dal mondo e da ciò che vi succede.

    Infatti nel ‘900 l’Italia della piccola borghesia (alla quale apparteneva Pascoli) stava attraversando un periodo di scombussolamento, c’era il pericolo imminente del socialismo, che era il nemico principe dei borghesi, poiché il Pascoli ( come del resto i Borghesi) aspirava ad entrare nell’alta borghesia e non di retrocedere nel proletariato.

    Un netto episodio , che racconta l’inesperienza del Pascoli è proprio che in questo periodo di scombussolamento politico, perché la piccola borghesia si sentiva minacciata dal socialismo e non si sentiva più al centro del pensiero politico; il Pascoli aderisce al partito Socialista perché crede che questo partito sia fondato su orme francescane, su il tipico “volemose bene ” romano; quando poi il Pascoli capirà che il socialismo a cui lui aveva aderito non era lo stesso a cui lui aspirava se ne andrà. Ma tutto ciò lascerà il Pascoli molto confuso, sempre più convinto che il mondo lo esclude, senza invece capire che il mondo non lo esclude, ma è lui ad escludersi. L’esclusione dei poeti decadenti è diversa da quella dei romantici; perché i romantici sono superbi poiché si ritengono superiori e sono convinti che nessun può comprendere i loro problemi, mentre i decadenti si escludono perché non riescono a stare al passo con i vari cambiamenti che accadono nel mondo. Il Pascoli ormai escluso dal mondo, rimane chiuso in se stesso e nella sua casa infatti non si sposerà mai, forse perché inesperto o forse perché si riteneva più al sicuro nella sua casa nel suo “nido”

    .

    Arano

    Parafrasi e commento della poesia tratta dalla raccolta Myricae,

    G. Pascoli, Arano ( Myricae )

    Al campo, dove roggio nel filare
    qualche pampano brilla, e dalle fratte
    sembra la nebbia mattinal fumare,
    arano: a lente grida, uno le lente
    vacche spinge; altri semina; un ribatte
    le porche con sua marra paziente;
    ché il passero saputo in cor già gode,
    e il tutto spia dai rami irti del moro;
    e il pettirosso: nelle siepi s'ode
    il suo sottil tintinno come d'oro.

    Parafrasi

    La nebbia del mattino sembra fuoriuscire dal campo dove il colore rosso di quale foglia di vite spicca come una macchia intensa e dai cespugli/
    Si sta arando, qualcuno grida, qualcuno spinge le lente vacche, altri seminano, uno ribatte i rialzi di terra fra i solchi con la sua zappa leggera (in modo che gli uccelli non mangino becchettando i semi appena seminati).
    Il passero che osserva dai rami spogli del gelso, gode in cuor suo perché sa che non appena i contadini avranno finito lui potrà andare a beccare i semi mentre nelle siepi si sentono i versi simile al tintinnio dell’oro prodotto dai pettirossi.

    Spiegazione

    Questo brano rappresenta una immaginaria passeggiata compiuta da Pascoli nella campagna toscana. La nebbia conferisce un sentimento di malinconia alla poesia assieme ai contadini che svolgono operazioni agricole ripetendo gesti secolari. Vi è il tema della lotta fra l’uomo e la natura e infine c’è l’umanizzazione degli uccelli i quali sopravvivono rovinando il lavoro faticoso dei contadini.



    Pascoli e Leopardi - Natura

    La natura
    Pascoli nel suo mondo poetico è dominante la natura come un insieme di cose piccole e insignificante che tendono a diventare simboli di un universo misterioso e affascinante che solo Pascoli può conoscere e indagare. Addirittura in poesie come Rio Salto diventa una protezione per lo scrittore che riscopre nella poesia il "fanciullino" umano.

    Leopardi: il Leopardi vede la "natura" nel pessimismo individuale una madre affascinante e benigna contemplandola dalla sua camera non scoprendo che cosa serba. Con il ritorno traumatico da Roma passando in un pessimismo detto cosmico la natura diventerà madre maligna che perseguita gli uomini sin dal momento in cui li genera.

     
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    LA TESSITRICE
    di
    Giovanni Pascoli


    Mi son seduto su la panchetta
    come una volta... quanti anni fa?
    Ella, come una volta, s’è stretta
    su la panchetta.

    E non il suono d’una parola;
    solo un sorriso tutto pietà.
    La bianca mano lascia la spola.

    Piango, e le dico: Come ho potuto,
    dolce mio bene, partir da te?
    Piange, e mi dice d’un cenno muto:
    Come hai potuto?

    Con un sospiro quindi la cassa
    tira del muto pettine a sè.
    Muta la spola passa e ripassa.

    Piango, e le chiedo: Perchè non suona
    dunque l’arguto pettine più?
    Ella mi fissa timida e buona:
    Perchè non suona?

    E piange, e piange - Mio dolce amore,
    non t’hanno detto? non lo sai tu?
    Io non son viva che nel tuo cuore.

    Morta! Sì, morta! Se tesso, tesso
    per te soltanto; come non so:
    in questa tela, sotto il cipresso,
    accanto alfine ti dormirò.



    Il poeta si siede su una panchetta (del telaio), come una volta ....quanti anni fa?(immagina di incontrare una fanciulla di cui fu innamorato ma che era morta a vent'anni)
    Ella (la tessitrice), come allora, gli fa posto (s’è stretta) sulla panchetta.
    Lei non parla ma ha un sorriso di tenera commiserazione sia per sè, sia per il poeta (tutto pietà) e la sua mano bianca non regge la spola.
    [Il poeta parla con la fanciulla e le rivolge una domanda] Come ho potuto, dolce mio bene, partire da te? (andarmene, lasciarti). La tessitrice risponde piangendo con un cenno silenzioso (muto: l’uso di questo aggettivo è fondamentale e viene ripetuto nei versi seguenti. La tessitrice non parla perché non può ormai più farlo: il colloquio del poeta è un monologo) che esprime un malinconico rimprovero: Come hai potuto? (come di chi sa che il destino si è ormai compiuto, né sarebbe potuto essere diverso)
    Con un sospiro la tessitrice continua a tessere (Con un sospiro.....a sé: descrive il gesto usuale della tessitrice; cassa: è una parte del telaio che contiene il pettine, fra i denti del quale passano i fili dell’ordito). La spola passa e ripassa ma non se ne ode il rumore (muta).
    Ma a questa immagine non si accompagnano i suoni e il poeta si chiede perchè non si ode l'usuale ritmico rumore del telaio (arguto: sonoro/rumoroso). La fanciulla ricambia con uno sguardo dolce e timido.
    Nelle ultime due strofe la giovane cerca di "svegliare" il poeta, informandolo del fatto che lei è viva solo nel suo ricordo, ma in realtà è morta (Io non sono viva che nel tuo cuore).La fanciulla vive soltanto nell'affetto del poeta, che è ben povera cosa, e presto quando anch'egli cesserà di vivere ella sarà estinta per sempre perché non vivrà più neppure nel suo ricordo. E tesse, tesse soltanto grazie a lui (Se tesso, tesso per te soltanto) e lo rassicura dicendo che, quando anche egli morirà, dormiranno insieme sotto il cipresso, nella tela che stava tessendo (in questa tela: la tela nunziale, divenuta ora il lenzuolo funebre)


    Tema: La lirica è inserita nella sezione finale dei “Canti di Castelvecchio”, intitolata “Il ritorno a San Mauro". Rappresenta una sorta di ritorno alla fanciullezza e alla giovinezza, spezzate dall’esperienza della morte. Il Poeta ritorna dopo molti anni a San Mauro e va a far visita ad una fanciulla tessitrice e come un tempo le siede accanto sulla panchetta dove è intenta a filare. Il breve colloquio tra i due fa presto capire che il dialogo in realtà è un monologo: il poeta parla e la fanciulla risponde ma di un cenno muto. I movimenti della ragazza non producono alcun suono e il telaio non stride. In realtà la tessitrice è morta da tanti anni e vive soltanto nel cuore del poeta. La giovane tessitrice tesse il funebre sudario, nel quale dormirà con lui un sonno eterno. Il ricordo dell’antico amore culmina in un pensiero di morte.
    La giovane tessitrice evocata in questa lirica rappresenta il simbolo dell’amore perduto e, allo stesso tempo, della morte, promessa come un riposo e un rifugio.
    Forma metrica: Strofe di sei decasillabi (l’ultima di quattro) inframmezzati da un quinario che rima con il decasillabo precedente.

    fonte:http://www.parafrasando.it/

     
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  14. RobertSt
     
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  15. Nardo97
     
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    Avrei bisogno dell'analisi e delle figure retoriche della poesia Mezzanotte di Pascoli.... Non riesco a trovarla da nessuna parte
     
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18 replies since 2/12/2012, 12:33   145797 views
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