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Francesco Petrarca

Appunto riassuntivo comprensivo di una introduzione sulla vita, le opere e il Canzoniere di Francesco Petrarca.

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    Appunto riassuntivo comprensivo di una introduzione sulla vita, le opere e il Canzoniere di Francesco Petrarca.


    Petrarca, Francesco


    Vita
    Nasce ad Arezzo nel 1304, il padre, un notaio di Firenze è esiliato dalla sua città per motivi politici e pochi anni dopo trasferisce anche la sua famiglia nei pressi di Avignone.
    Dopo aver studiato legge alle facoltà di Montpellier e di Bologna, Petrarca viaggia in tutta Europa al seguito di nobili o alti prelati. Intanto si dedica con grande passione allo studio di autori latini e scrive le sue opere spesso rifugiandosi, alla ricerca di tranquillità, nella sua casa di Valchiusa, vicino ad Avignone.
    Muore ad Arquà, presso Padova, nel 1374.

    Le opere
    Petrarca ha scritto la maggior parte delle sue opere in latino; tra queste ricordiamo:
    * Epistole, lettere che lo scrittore indirizzava ad amici e famigliari ma anche immaginava di inviarla ai grandi autori latini
    * il poema Africa, in cui narra la seconda guerra punica combattuta dai Romani contro i Cartaginesi;

    * il Secretum in cui il poeta immagina un lungo colloquio con Sant'Agostino un pretesto per parlare della sua fede, delle sue passioni terrene, del significato della vita e della morte
    * I trionfi, un poema allegorico in cui canta il trionfo della morte sull'amore, sulla fama , sul tempo e sull'eternità.
    * La sua opera più nota, il Canzoniere, è invece scritta in lingua volgare.
    Il Canzoniere
    Il canzoniere è una raccolta di 366 componenti poetici, sopratutto sonetti, scritti in onore di una giovane donna, Laura, che Petrarca ha conosciuto ad Avignone, morta di peste nel 1348.
    I tempi principali sono il suo amore per Laura, amore infelice e non corrisposto, l'ansia religiosa, il senso del peccato e dell'umana debolezza, la provvisorietà dei piacere terreni,la brevità della vita.
     
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    Petrarca, Francesco


    Appunto breve e riassuntivo sulla vita e le opere principali di Petrarca


    --BIOGRAFIA:--
    Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304. Rimase poco in Toscana perché era poeta ufficiale della corte Avignonese.
    Nel 1326 lui ed il fratello si trasferiscono ad Avignone.
    Un ambiente molto colto, era pieno di artisti di tutta Europa, si parlava il latino.
    Ne l 1327 incontra Laura in un venerdì santo.
    Rimase senza soldi e così iniziò la sua carriera ecclesiastica, fondamentalmente sono le “Confessioni di sant’Agostino” che lo segnaroro.
    Nel 1337 nasce il primo figlio.
    Negli anni 40 scrisse diverse opere come il Secretum.
    Nel 1348 si diffonde la peste nera, Petrarca rientra in Italia, ma è obbligato a scappare da Milano verso Parma e gli arrivò la notizia che Laura è morta.

    Dagli anni 50 visse a Milano, ospite di Giovanni Visconti, rifiutando l’invito di Firenze, perché riteneva più sicura Milano.
    Nel 1361 lascia Milano e va a Padova (a Milano c’era ancora la peste) ma continuò a ricevere visite da Boccaccio.
    Nel 1374 muore ad Arquà in Veneto.

    ASPETTO LETTERARIO:
    Scrive in latino classico.
    La raccolta di poesie più importante è: Rerum Vulgarium Fragmenta (frammenti di cose volgari).
    A Petrarca interessava la psicologia dell’uomo cioè com’era fatto l’uomo.

    OPERE:

    CANZONIERE (RERUM VULGARIUM FRAGMENTA):


    Il canzoniere è una raccolta di 366 componenti poetici, sopratutto sonetti, scritti in onore di una giovane donna, Laura, che Petrarca ha conosciuto ad Avignone, morta di peste nel 1348.

    I tempi principali sono il suo amore per Laura, amore infelice e non corrisposto, l'ansia religiosa, il senso del peccato e dell'umana debolezza, la provvisorietà dei piacere terreni,la brevità della vita.

    SECRETUM:

    Opera fondamentale di Tetrarca, un testo molto complicato, scritto in prosa latina.
    E’ un dialogo immaginario tra Tetrarca e Sant’ Agostino, alla presenza di una donna che rappresenta la Verità
    L’opera si divide in 3 libri:
    - Il primo libro tratta del male in generale e conclude,
    secondo il pensiero appunto agostiniano, che esso non
    esiste, ma è causato da un'insufficiente volontà di bene,
    causata dalle passioni terrene che imbambolano lo spirito.

    - Nel secondo libro vengono analizzate le passioni negative
    del Petrarca stesso, tra le quali egli si sofferma
    soprattutto sull'accidia che lo tormenta.
    - Nel terzo si esaminano altre due passioni del poeta,
    in particolare l'amore per Laura e l'amore per la gloria,
    considerate le due più gravi indole di Petrarca:
    per quanto il poeta dia ragione a Sant'Agostino che
    gli consiglia di rinunciarvi egli però non sa come
    poter farne a meno.

    EPISTOLE:

    Lettere scritte da Petrarca, la maggior parte non era per i destinatari ma per il pubblico.
    Parlano di amore ma soprattutto di politica, sono destinate a amici, famigliari, re, principi ma quello che fa più pensare è che sono destinate anche a personaggi che hanno vissuto nel passato come Virgilio.

     
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    Petrarca, Francesco

    Appunto completo, ma sintetico sulla vita e le opere del Petrarca, utile soprattutto per i ripassi e per i compiti in classe

    La vita
    Francesco Petrarca nacque ad Arezzo dal padre Pietro detto Ser Petrarco e dalla madre Eletta Canigiani, nel 1304 e morì nel 1374 ad Arquà, Padova. Il padre apparteneva al partito guelfo ed era precisamente guelfo bianco. Fu esiliato nel 1312 e la famiglia si trasferì ad Avignone dove si trovava la curia papale. Per tanto tutta l’esistenza di Petrarca coincide con la Cattività Avignonese, ovvero il trasferimento della sede papale, da Roma ad Avignone. Lì il padre trovò lavoro come “uomo di penna”. Petrarca chiederà più volte al Papa di tornare a Roma per restaurare la gloria di Pietro e di Cesare. Egli ha un fratello, Gherardo, con il quale intraprende gli studi di Giurisprudenza prima a Monpellier poi a

    A Bologna, Petrarca entra in contatto con la corrente poetica dello Stilnovo, grande tradizione poetica nata proprio lì. Nel 1326, il padre muore e in Francia prende gli ordini minori da chierico. L’assunzione di questi ordini non è vista, da parte di Petrarca, come una vera e propria missione ma non sottovaluta questo ruolo e cerca di non compiere azioni trasgressive. Essere un chierico per opportunità gli consente di avere, nei confronti della Chiesa un giudizio imparziale e gli consente di ottenere benefici, fare lavori. Entra in servizio della famiglia Colonna. Lì può coltivare l’”othium letterario”, cioè lo studio spoglio di fini pratici.

    E’ un cortigiano per opportunità perché a corte riesce a coltivare lo studio. Petrarca aveva molto stima di sé e pur essendo un cortigiano non si sente per nulla inferiore rispetto al signore, ma comunque si sente libero. Questo lo ribadisce anche nel “Posteritate” (Lettera ai Posteri) dove sostiene che non è lui a viver con i signori, ma i signori a viver con lui. Il 6 aprile 1327, Francesco incontra Laura, giorno della passione di Cristo, nella Chiesa di Santa Chiara ad Avignone. La figura di Laura può essere ricondotta a quella di Laura di Noves, sposa di un visconte, che morì di peste il 6 aprile 1348. Laura è la donna più intensamente lodata da un innamorato nella letteratura.

    L’amore di Petrarca per Laura è un amore più concreto, più terreno, dai caratteri stilnovisti, si, ma quell’ amore che Petrarca rappresenta non nobilita l’animo dell’innamorato, anzi, lo fa rimanere sulla Terra, non lo innalza verso Dio. Tra il 1336/37 Francesco arriva a Roma, e se ne innamora, dedicandole due grandi opere: “Africa” e “Deviris Illustribus”. Nel 1341 viene incoronato poeta laureto al Campidoglio, principalmente per le sue opere in latino, da Carlo D’Angiò considerato uno sei principi più colti del tempo. Continua a viaggiare all’estero e entra in contatto con la drammatica situazione dell’ Italia, divisa in signorie, corti, ect…. Questa situazione gli suggerisce una canzone: “Italia Mia” che poi verrà inserita nel Canzoniere. Nel 1343, il fratello, Gherardo, conclude il corso da monaco e prende i voti. Francesco si sente inferiore nei suoi confronti, turbato, e questo fa intensificare il suo dissidio interiore. Il turbamento petrarcheso viene espresso principalmente nel versante della produzione poetica cosiddetto ascetico. Nel 1350 si recò a Firenze dove conobbe Boccaccio, e instaura con lui una profonda amicizia. Al centro di questa amicizia vi è una diversa considerazione delle opere di Dante. Boccaccio amava la Divina Commedia, recitandola anche nella provincia fiorentina, e fu uno dei primi commentatori dell’opera. Petrarca non amava l’opera dantesca, in quanto la considerava troppo realistica. I veri valori che Francesco mostrò furono l’ othium letterario e la Libertas. La corruzione della corte avignonese e i sempre più frequenti soggiorni in Italia fecero sì che Petrarca decidesse di abbandonare la Provenza per trasferirsi presso la corte di Galeazzo II Visconti, signore di Milano: l'Italia, meta desiderata, si configurava sempre più ai suoi occhi come l'erede culturale dell'impero romano. Arrivò in città nel 1353, e vi rimase fino al 1361, con la speranza e il desiderio di potersi finalmente dedicare a tempo pieno agli amati studi e alla poesia, aspirazione che realizzò nonostante qualche missione diplomatica e qualche viaggio privato. Allo scoppio della peste nera, nel 1361, Petrarca fuggì prima a Padova e poi a Venezia; come in precedenza, di tanto in tanto rivide l'amico Boccaccio. Infine si stabilì, nel 1368, ad Arquà, sui colli Euganei, ospite di Francesco da Carrara. A partire dal 1370 trascorse qui la maggior parte del suo tempo, con la figlia Francesca e la famiglia, dedicandosi alla revisione definitiva delle sue opere. I suoi ultimi anni di vita li trascorse ad Arquà, Padova dove morì nel 1374, poco prima si finire definitivamente il Canzoniere. Ebbe due figli Francesca ed Ignazio ma non si sa chi siano le madri.

    Fra Dante e Petrarca vi è una profonda differenza da ogni punto di vista: Dante, a differenza di Francesco, interpreta la figura dell’intellettuale medievale, partecipa ad un sapere organico, utilizza tutti i generi letterari e tutti gli stili, non è solo un poeta puro ma anche un profeta, è un cortigiano per necessità, perché lo fa per vivere, si rivolge ad un pubblico universale, vuole creare una classe di intellettuali laica senza interessi particolari, se non per l’ amore verso la cultura, si impegna politicamente e fa del volgare una questione di principio rispetto al latino, interrompe le sue opere quando ha bisogno ella Commedia, esteriore solo certezze e conosce la sua strada fino in fondo.

    Petrarca, invece, interpreta la figura dell’intellettuale moderno lacerato fra ragione e sentimento. Non ha certezze ma solo dubbi da esprimere, Queste incertezze nascono dl fatto che Petrarca è tra “cielo e terra “: è lacerato tra ragione e sentimento; sa benissimo che la strada da percorrere è quella verso Dio, ma non ci riesce perché ama troppo le cose terrene, che consistono nell’amore vero Laura, l’amore per la gloria e per lo studio. Si tratta di cose vane (che chiamerà vanitade) ma non riesce a staccarsene perché le ama troppo. Questa condizione di dolore che vive continuamente è già stata di antichi poeti come Ovidio e Saffo. Petrarca interpreta alcuni versi di Ovidio e dall’interpretazione petrarchesca si capisce il turbamento e le incertezze del poeta.

    Petrarca contrappone a momenti di forte malinconia e solitudine, attimi di vita pubblica da magno poeta. Egli è pro-umanista, per la sua ricerca, il suo studio e il suo amore verso tutti i classici e la sua voglia di scoprire nuovi codici. La vita privata di Petrarca, che alternava le attività culturali alle missioni diplomatiche, non sempre fu distinta da quella pubblica. In tale varietà di lavori e di interessi è possibile individuare un primo sintomo della modernità della vocazione petrarchesca, che anche a livello strettamente culturale e letterario mostra una notevole ricchezza: alla riflessione religiosa (lesse ben presto e meditò le Confessioni di sant'Agostino, nel 1333) si accompagna il precoce amore per i classici della letteratura latina (nel 1333 scoprì a Liegi l'orazione di Cicerone in difesa del poeta Archia e nel 1345, nella Biblioteca Capitolare di Verona, le lettere di Cicerone ad Attico, a Bruto e a Quinto); e alla produzione in latino si accompagnò quella in volgare, relativamente esigua (due sole opere) ma importantissima.

    Petrarca può a ragione essere considerato uno dei primi umanisti proprio per l'amore profondo che nutrì per i classici, concepiti non in contrasto ma in continuità con la tradizione cristiana, e per l'utilizzo degli esempi antichi nell'ambito della sua produzione. Tipicamente umanistica è la sua vocazione filologica, ma anche il fatto che egli fu sempre in relazione con i maggiori studiosi a livello europeo, secondo una concezione di arte transnazionale e cosmopolita. E’ un filologico, cioè si spoglia di ogni prevenzione teologia morale della cristianità del tempo e interpreta gli scritti antichi come si dovrebbe al fine di scoprire il vero messaggio. Petrarca è uno dei più grandi lirici della storia, perfeziona il sonetto, esercitando sui numerosi poeti un’influenza determinante. La poesia lirica è quella poesia mediante la quale il poeta riesce ad esprimere i suoi sentimenti. La più grande esperienza lirica è riconducibile a Petrarca, in lingua volgare. Oltre a lui vi sono quelle di Tasso, Leopardi e Montale (che si ispirano a quella petrarchesca). Petrarca lascia Aristotele per Platone; S. Tommaso per S. Agostino le cui confessioni rappresenta la principale fonte delle sue opere. Non sente come Dante il problema del volgare: scrive indistintamente sia in volgare che in latino per la produzione poetica latina viene incoronato poeta laureato in Campidoglio con la corona d’alloro. Non vive l’esilio, come lo vive Dante, perché Dante lo considera una conseguenza dell’esilio, mentre Petrarca nacque gia in esilio. Il viaggio, per Francesco, rappresenta una fonte di conoscenza. Ogni opera petrarchesca non ha il sigillo della completezza perché rivisita continuamente le sue opere. Il pubblico a cui si rivolge la lirica di Francesco è un pubblico meno ampio, ma si tratta di un pubblico di scelti elettori che condividono con lui i sentimenti espressi e che si sentono coinvolti nelle sue vicende emotive. Stacco storico e biografica tra Dante e Petrarca: in merito a Dante abbiamo pochissime notizie biografiche, mentre Francesco è stato molto attento a preparare la propria immagine pubblica (per contrasto ama la solitudine, rinchiudendosi nelle sue tenute ma contrappone a questa cosa momenti di vita pubblica).

    la produzione poetica di Petrarca si divide in due gruppi: produzione poetica volgare e produzione latina.
    Per quanto riguarda la produzione poetica volgare le uniche opere scritte in volgare, cioè in italiano, furono “il Canzoniere” e “I Tronfi”.
    L'opera che rese Petrarca uno dei poeti più celebri al mondo è il Canzoniere, una raccolta di testi in volgare che l'autore riteneva di importanza secondaria rispetto alle sue grandi opere in latino. Il Canzoniere non ha una precisa data di pubblicazione perché essa è scritta nell’ambito di tutta la sua vita. Le poesie in volgare le definisce, come Cavillo, “mugole” (bazzicale). Il titolo originale recita infatti “Rerum vulgarium fragmenta”, cioè "Frammenti di cose volgari", dove “volgari” deve intendersi, appunto, in lingua volgare, ossia in italiano.

    Questa opera fu trasmessa anche con altre intitolazioni come “Rime” o “Rime Sparse”. Però questo è in contraddizione perché la parola Canzoniere rimanda ad una compiutezza mentre “Rime Sparse”rimandano d un disordine. In realtà la cura con cui l'autore organizzò questo canzoniere fu attentissima, e del resto proprio l'impianto così meditato fu una vera e propria novità. La raccolta è composta di 366 componimenti (per la maggior parte sonetti: 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali) concepiti come lettura da compiere nell'arco dell'anno, un componimento al giorno, più uno proemiale.

    La raccolta ha al centro la figura di Laura, e nel complesso tematizza due epoche fondamentali nella vita del poeta, la fase in cui Laura era viva e quella in cui era ormai morta. Non si tratta di una suddivisione cronologica, ma di una serie di corrispondenze e di atmosfere ispirate a questi due fatti capitali, frammenti di una vita segnata dalla gioia dell'amore e dal dolore della morte, in modo difficilmente districabile. Laura, raffigurata in modo astratto e stilizzato, incarna l'ideale dell'amore, della bellezza e della religiosità e rappresenta un'aspirazione irraggiungibile che viene esplicitata tramite metafore e immagini studiate e ricorrenti. Petrarca lavorò con grande impegno a ogni singolo testo, apportando continue correzioni e varianti, con un meticoloso lavoro di rifinitura e di bilanciamento fra i singoli componimenti e l'insieme che essi costituiscono. Il tema principale è l amore ma a fianco ai sonetti amorosi vi sono anche temi politici o contemplazione della natura, esaltazione dell’othium letterario. L’amore espresso da Petrarca è un amore più intenso rispetto a quello provato da Dante nei confronti di Beatrice. L’amore viene rappresentato con elementi stilnovisti ma quell'amore che Francesco esprime non nobilita l’uomo e non lo innalza verso il cielo , anzi, lo fa rimanere sulla Terra. L’amore non è virtù (stilnovo) ma è mezzo di perdizione che provoca dolore. Perciò Petrarca non arriverà mai a dire che quell'amore virtuoso lo conduce a Dio. L’amore è un peccato, un’ ”errore giovanile”. Il Canzoniere è diviso in due grandi sezioni: “In Vita di Madonna Laura” e “In Morte di Madonna Laura”.
    Per realizzare una poesia all'altezza dell'argomento, il volgare assunse un'eleganza mai raggiunta prima; il vocabolario usato dal poeta è ridotto e molto scelto, ma usato in modo "intensivo": nella poesia del Canzoniere conta anche la minima sfumatura di significato. Proprio la sistematicità con cui il progetto fu realizzato, insieme alla sua astrattezza intellettuale (una poesia dunque non legata da questo punto di vista a un preciso contesto storico e culturale), rese il Canzoniere un vero e proprio modello poetico, che avrebbe poi influenzato per diversi secoli la lirica occidentale. Si tratta di un paradigma determinante anche dal punto di vista metrico, ad esempio nella definizione della forma del sonetto e della canzone. Il centro del Canzoniere, secondo alcuni studiosi, non è Laura, ma Francesco, grande innamorato che parte da sé e torna sé (il centro dell’opera è l’animo del poeta). In ogni componimento c’è sempre lui, al centro con il suo stato d’animo, di fronte all’amore vero Laura,. Compaiono molte figure retoriche dell’ordine (anafora, chiasmo, antitesi ect….). Viene utilizzata il <<sehnal>>.
    L'altra importante opera poetica in volgare è un poema in terza rima intitolato “I Trionfi”, a cui Petrarca lavorò tra il 1356 e il 1374.

    Rimasto incompiuto, fu stampato per la prima volta con il Canzoniere nel 1470; la struttura riprendeva l'impostazione data da Boccaccio alla sua Amorosa visione, articolata in una serie di "trionfi". Il poeta dorme in Valchiusa, quando gli appaiono visioni trionfali del dio Amore seguito da un corteo di personaggi storici e mitologici. Anche qui ha grande importanza la valutazione, da un punto di vista spirituale, dell'esperienza legata alla figura di Laura. In generale, ogni quadro, attraverso un processo di simbolizzazione e allegorizzazione, cerca di innalzare sentimenti ed esperienze terrene verso l'assoluto celeste e la verità universale.

    La produzione poetica latina, invece, comprende opere del versante classico e del versante ascetico. Per quanto riguarda il versante delle opere classico abbiamo “Africa” e “ De viris illustribus” le cui fonti di ispirazione sono gli storici scrittori latini Livio e Virgilio.
    L’ “Africa” fu composto tra il 1338 e 1339. L’ “Africa” è un poema epico ispirato alla seconda guerra punica, centrato sull'eroica figura di Scipione l'Africano e celebrativo dell'alto destino provvidenziale del popolo romano; è interrotto al nono libro, in cui il Poeta esalta la superiorità della civiltà occidentale su quella orientale, attraverso la descrizione della seconda guerra punica che vide Scipione l'Africano trionfatore su Annibale.

    Quest’opera, cui il Poeta maggiormente teneva, è debole dal punto di vista epico e di pregevole presenta solo qualche passo di intonazione lirica.
    Il “De Viris Illustribus” è un opera nella quale compare una galleria di profili biografici di personaggi tratti dalla storia antica, dalla Sacra Scrittura e dalla mitologia classica.
    Il turbamento e il dissidio interiore del poeta viene espresso nelle opere del versante ascetico: “"Secretum”, “De Vita Solitaria” e “De Othio Religioso”.
    Il “Secretum” racconta in tre libri, tre giorni di confessioni di Petrarca a S.Agostino, in presenza della verità. Le fonti principali sono le Confessioni di S.Agostino. Francesco confessa tutti i peccati tranne l’invidia (perché l’invidia non gli appartiene).

     
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    Petrarca, Francesco - Epistole, Sonetti e Opere Religiose


    Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304, da padre notaio in esilio da Firenze. Ad otto anni si trasferì ad Avignone, dove cominciò i suoi studi. A dodici anni fu inviato all'università di Montpellier per gli studi di diritto, e a sedici all'università di Bologna. A ventidue anni, alla morte del padre, tornò ad Avignone. Questo continuo viaggiare lo porta a contatto con diversi ambienti culturali, cosa che gli permetterà di svincolarsi dal municipalismo dantesco e di entrare in una dimensione europea. Il Petrarca era molto appassionato dei classici antichi, in particolare di Virgilio e Cicerone, la cui lingua aveva a tal punto interiorizzato da scrivere i propri appunti ed esprimere i suoi sentimenti più intimi in latino.

    Ma allo stesso tempo la sua vita fu condizionata dalla lettura delle Confessionidi S. Agostino, nel cui tortuoso percorso spirituale il Petrarca si riconosceva. Dobbiamo infatti distinguere due produzioni del Petrarca: una in latino, alla quale appartengono le Epistule (tra cui l'Ascesa al monte Ventoso), il Secretum, l'Africa, il De vita solitaria, e l'altra in volgare alla quale appartengono il Canzoniere e una serie di opere minori. Il 6 aprile 1327 avviene l'incontro con Laura nella chiesa di S. Chiara ad Avignone. Proprio a questa donna, vera o fittizia che sia, si ispirerà tutta l'opera del Canzoniere. Dopo di che per garantirsi un relativo benessere economico senza lavorare, prende gli ordini minori.

    In questo periodo si svolgono i viaggi che si concluderanno attorno al 1336 con il ritiro in otium in Valchiusa, dove compone il De vita solitaria e altre opere in latino e in volgare. Nel 1341 a questo momento di ricerca spirituale si oppone l'incoronazione di poeta nel Campidoglio, che concretizza il suo forte desiderio di gloria terrena (la stessa Laura può essere intesa come L'aura, ovvero la gloria). Nel 1343 il fratello Gherardo si ritira in convento. Questo causa nel Petrarca una profonda crisi interiore, poiché vedeva nel fratello una sorta di alter ego in cui rispecchiarsi. Ciò lo porta ad una profonda revisione della sua vita, e in particolare emerge sempre più drammatico il dualismo tra il desiderio di amore e di gloria terrena, valori tramandati dalla lettura dei classici, e il desiderio di abbandono spirituale in Dio, insegnatogli dalle Confessioni.
    er questo Petrarca è considerato la vittima del passaggio dalla cultura teocentrica medievale alla cultura antropocentrica umanistica. Dopo la morte di Laura nel 1348, Petrarca incomincia la sua peregrinazione nelle corti delle varie signorie italiane, senza mai farsi condizionare o esserne influenzato. Muore nel 1374 a Padova, secondo la tradizione mentre leggeva Virgilio.

    L'Ascesa al monte Ventoso
    La lettera, che fa parte delle Familiari, narra la scalata al monte Ventoso, presso Avignone, compiuta da Petrarca insieme al fratello. E indirizzata a Dionigi da Borgo San Sepolcro Il racconto assume chiaramente un valore allegorico, cioè di un'esperienza che deve servire di insegnamento. Ciò che spinge Petrarca ad intraprendere la scalata è in primo luogo la curiosità di scoprire; ma in secondo luogo vi è anche la volontà "umanistica" di emulare l'esperienza di un antico (Filippo di Macedonia). Il primo significato allegorico dell'ascesa al monte è la conquista del mondo esteriore, poi, raggiunta la meta, si ha un rovesciamento radicale. La vista del mondo esterno, faticosamente conquistata spinge Petrarca soprattutto ad indagare se stesso, lo scrittore sa vedere a fondo nel proprio animo, mette in luce "quel doppio uomo" che è in lui. Questo passaggio prepara la presa di coscienza centrale di tutta l'esperienza dell'ascesa. Petrarca arriva a capire che la verità abita nell'interiorità dell'uomo. Non è un caso quindi se, nel disegno del racconto, Petrarca sceglie una frase di Agostino come fonte della sua presa di coscienza, avviando così il processo della sua conversione.

    Il Secretum
    Nel III libro del Secretum Agostino mira a liberare l'animo di Francesco da due errori più pericolosi, l'amore per la gloria e l'amore per Laura. Francesco si difende sostenendo che il suo amore è stato solo spirituale, e che lo ha purificato e innalzato interiormente. Agostino, al contrario, con abili e stringenti argomentazioni, lo induce a confessare che ha amato la bellezza fisica di Laura, e che questo amore è stato origine non di elevazione, ma di traviamento, è stato la radice da cui sono scaturite tutte le più basse passioni del suo animo.

    Il dialogo si presenta anche in forma drammatica come lo scontro tra due codici culturali. Quella di Francesco è la concezione cortese e stilnovistica dell'amore che raffina, ingentilisce e innalza moralmente; con Agostino si contrappone la concezione cristiana che smaschera il carattere sensuale e peccaminoso che si cela dietro quelle sublimazioni. La pagina presenta un groviglio irrisolto di impulsi e contrasti: ma la forma che li esprime è tersa e nitida, di perfezione classica. Il latino di Petrarca tende a uniformarsi ai modelli più illustri della poesia antica, in particolare a quelli di Cicerone.

    Il Canzoniere
    Il Canzoniere è un'opera in volgare composta da 366 liriche, di cui 263 composte prima della morte di Laura e 103 dopo la morte.
    I componimenti sono per lo più sonetti, ma ci sono anche ballate, canzoni, madrigali. Come dice nel sonetto di apertura del Canzoniere, "Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono" questi componimenti non sono collegati fra loro (rime sparse) come quelli di Dante nella "Vita Nova", raccordati da pezzi in prosa. Inoltre essi rispecchiano i vari stati d'animo del poeta, tra illusioni e disillusioni di un amore non corrisposto (come ad esempio nei due sonetti gemelli 61 e 62 "Benedetto sia 'l giorno 'l mese e l'anno" e "Padre del ciel, dopo i perduti giorni", in cui si può vedere una netta contrapposizione degli stati d'animo del poeta).
    Il tema principale del Canzoniere è l'amore per Laura, ma si potrebbe anche intendere come il desiderio di gloria del poeta poiché il nome Laura si può intendere anche come L'aura, cioè la gloria, poiché con un rametto di lauro viene incoronato il sommo poeta. A differenza del dolce stil novo, in cui il protagonista è lo stato d'animo, in Petrarca è il conflitto interiore del poeta, diviso tra i fini materiali della vita (amore e gloria) e aspirazione al misticismo in Dio. Al contrario della Beatrice di Dante, infatti, Laura non è la donna-angelo veicolo tra il poeta e Dio, ma non è che una nobilissima creatura terrena (in "Erano i capei d'oro a l'aura sparsi" viene addirittura descritta da vecchia), e pertanto l'amore verso di lei allontana dalla fede in Dio.

    utta questa esperienza viene ripresa intersecando vari piani temporali: da uomo maturo riesamina col tempo della memoria gli avvenimenti passati confrontandoli con la situazione presente o addirittura facendo previsioni sul futuro. In questo Petrarca è molto moderno: tutta la letteratura del Novecento che utilizza il tempo della memoria di rifà a strutture già usate da lui (Proust, Svevo, Joyce, ecc.). La figura di Laura non è descritta dettagliatamente, ma è semplicemente tratteggiata attraverso i topoi della bellezza proveniente dallo stilnovismo ("bionda", "occhi luminosi come un lago", "capelli d'oro", "viso di perla", "voce soave"), per questo essa in "Chiare fresche e dolci acque" "pare", cioè appare, non è quindi reale. Tutta questa esperienza si conclude con la richiesta di perdono a Dio per questo "giovenile errore", e anzi nella lettera ai posteri Petrarca ringrazia che Dio gli abbia tolto Laura (muore nel 1348) così da permettergli di riprendere a camminare sulla via che porta a Lui.

    Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono (I)

    Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
    di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
    in sul mio primo giovenile errore
    quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono,

    del vario stile in ch'io piango e ragiono
    fra le vane speranze e 'l van dolore,
    ove sia chi per prova intenda amore,
    spero trovar pietà, nonché perdono.

    Ma ben veggio or sì come al popol tutto
    favola fui gran tempo, onde sovente
    di me medesmo meco mi vergogno;

    e del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
    e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente
    che quanto piace al mondo è breve sogno.

    Parafrasi: Voi che ascoltate, espressi in componimenti slegati tra loro, / il suono di quei sospiri che alimentavano la mia passione amorosa / al tempo del mio primo traviamento amoroso giovanile / quando ero, seppur in parte (traccia di quella passione permane ancora) un altro uomo rispetto a quello che sono ora: / spero di trovare comprensione, nonché perdono, / del mutevole stile con cui esprimo la mia sofferenza e parlo / oscillando tra le vane speranze e il vano dolore (vani perché terreni). / ovunque vi sia qualcuno che, avendolo provato, sappia cosa sia Amore. / Ma ora mi rendo ben conto di come fui per molto tempo una favola / per tutta la gente ignorante, visto che / io stesso mi vergogno di me, / e del mio perdermi dietro a cose vane sono conseguenze / il vergognarmi, il pentirmi e il capire chiaramente / che quanto piace nella vita terrena non è altro che una breve illusione.


    In questo sonetto il poeta si rivolge ad un pubblico ben specifico, ovvero a quelli che soffrono le pene dell'amore, presso il quale spera di trovare perdono e comprensione poiché a causa di questo sentimento, frutto di uno sbaglio giovanile, quando il poeta era ben diverso dall'uomo che è oggi, non solo ha commesso un errore dal punto di vista morale, mettendo da parte Dio, ma anche dal punto di vista letterario, visto che l'amore ha prodotto sotto quest'aspetto dei componimenti slegati fra loro e che esprimono sentimenti contrastanti, frutto di diversi stati d'animo del poeta. Dopodiché si rende conto che a causa del suo vaneggiar d'amore egli è divenuto la favola del popolo e quindi si vergogna di sé stesso e il frutto del suo amore è la vergogna stessa.

    l sonetto si conclude con la presa di coscienza che tutto ciò che c'è di terreno è vano.

    Passato-presente: (grazie a Annarita Biondi) Nel sonetto si intrecciano diversi piani temporali (espressi da altrettanti tempi verbali): c'è il presente, che è il tempo del pentimento e della presa di coscienza, e il passato, tempo dell'errore. Per questo questi due piani temporali sono in contrasto e lo possiamo vedere nel v. 4. Petrarca nel proemio si rivolge a coloro che soffrono le pene dell'amore, presso i quali spera di trovare perdono e comprensione poichè a causa di questo sentimento, frutto di uno sbaglio giovanile, quando il poeta era ben diverso dall'uomo che è oggi, non solo ha messo da parte Dio, ma ha anche prodotto, dal punto di vista letterario, dei componimenti slegati fra loro e che esprimono sentimenti contrastanti, frutto di diversi stati d'animo.

    Dopodiché si rende conto che a causa del suo vaneggiar d'amore egli è divenuto la favola del popolo e quindi si vergogna di sé stesso e la vergogna stessa è il frutto del suo amore. Il sonetto si conclude con la presa di coscienza che tutto ciò che c'è di terreno è vano.

    Ecco i topoi presenti nella poesia (se il vostro docente è fissato con questa roba!!):

    * Sospiri, topos che risale agli stilnovisti; solo alla vista della donna amata l'amante sospira.


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    Petrarca, Francesco - Epistole, Sonetti e Opere Religiose
    Appunto con un'imperdibile trattazione, corredata da una ricca serie di commenti ad alcune delle poesie più importanti di Francesco Petrarca

    di Daniele
    Admin
    25331 punti



    In questo sonetto il poeta si rivolge ad un pubblico ben specifico, ovvero a quelli che soffrono le pene dell'amore, presso il quale spera di trovare perdono e comprensione poiché a causa di questo sentimento, frutto di uno sbaglio giovanile, quando il poeta era ben diverso dall'uomo che è oggi, non solo ha commesso un errore dal punto di vista morale, mettendo da parte Dio, ma anche dal punto di vista letterario, visto che l'amore ha prodotto sotto quest'aspetto dei componimenti slegati fra loro e che esprimono sentimenti contrastanti, frutto di diversi stati d'animo del poeta. Dopodiché si rende conto che a causa del suo vaneggiar d'amore egli è divenuto la favola del popolo e quindi si vergogna di sé stesso e il frutto del suo amore è la vergogna stessa.

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    Il sonetto si conclude con la presa di coscienza che tutto ciò che c'è di terreno è vano.

    Passato-presente: (grazie a Annarita Biondi) Nel sonetto si intrecciano diversi piani temporali (espressi da altrettanti tempi verbali): c'è il presente, che è il tempo del pentimento e della presa di coscienza, e il passato, tempo dell'errore. Per questo questi due piani temporali sono in contrasto e lo possiamo vedere nel v. 4. Petrarca nel proemio si rivolge a coloro che soffrono le pene dell'amore, presso i quali spera di trovare perdono e comprensione poichè a causa di questo sentimento, frutto di uno sbaglio giovanile, quando il poeta era ben diverso dall'uomo che è oggi, non solo ha messo da parte Dio, ma ha anche prodotto, dal punto di vista letterario, dei componimenti slegati fra loro e che esprimono sentimenti contrastanti, frutto di diversi stati d'animo.
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    Dopodiché si rende conto che a causa del suo vaneggiar d'amore egli è divenuto la favola del popolo e quindi si vergogna di sé stesso e la vergogna stessa è il frutto del suo amore. Il sonetto si conclude con la presa di coscienza che tutto ciò che c'è di terreno è vano.

    Ecco i topoi presenti nella poesia (se il vostro docente è fissato con questa roba!!):

    * Sospiri, topos che risale agli stilnovisti; solo alla vista della donna amata l'amante sospira.

    Scuola del futuro, firma oraTest ingresso: preparati onlineSchool of Love: impara ad amare
    * Verso 11, in cui il Petrarca dice di essere la favola del popolo, già usato da Orazio nell'Epodo libro 11 versi 7-8
    * Il verso 14, in cui Petrarca afferma che tutto quello che è terreno è vano, esprime un concetto già definito nelle "Ecclesiaste"

    Anche un po' di analisi formale:

    La lirica è un sonetto, e anche in questo caso si intrecciano diversi piani temporali (espressi da altrettanti tempi verbali): c'è il presente, che è il tempo del pentimento e della presa di coscienza, e il passato, tempo dell'errore. Per questo questi due piani temporali sono in contrasto e lo possiamo vedere nel verso 4 (quand'era in parte altr'uom dal quel ch'i' sono).

    Era il giorno ch'al sol si scoloraro (III)
    Era il giorno ch'al sol si scoloraro
    per la pietà del suo factore i rai,
    quando i' fui preso, e non me ne guardai,
    ché i be' vostr'occhi, donna, mi legaro.

    Tempo non mi parea da far riparo
    contra colpi d'Amor: però m'andai
    secur, senza sospetto; onde i miei guai
    nel commune dolor s'incominciaro.

    Trovommi Amor del tutto disarmato
    et aperta la via per gli occhi al core,
    che di lagrime son fatti uscio e varco:

    però al mio parer non li fu onore
    ferir me de saetta in quello stato,
    a voi armata non mostrar pur l'arco.

    Il sonetto rievoca il giorno dell'innamoramento per Laura, corrispondendo una corrispondenza con il giorno della Passione, il venerdì santo. Alla base del discorso vi è dunque un parallelismo voluto. Questo parallelismo se paragonati a quelli della poesia amorosa dantesca permettono di cogliere la distanza tra i due poeti. Nella "Vita Nova" i segni che accompagnano la morte di Beatrice sono gli stessi della morte di Gesù: con questo Dante vuole sottolineare il significato mistico della donna. In Petrarca invece l'amore per la donna e l'immagine di Cristo sono in opposizione, anzi, l'amore è di ostacolo alla salvezza.


    Movesi il vecchierel canuto e bianco (XVI)
    Movesi il vecchierel canuto e bianco
    del dolce loco ov'ha sua età fornita
    e da la famigliuola sbigottita
    che vede il caro padre venir manco;

    indi traendo poi l'antiquo fianco
    per l'estreme giornate di sua vita,

    quanto più pò, col buon voler s'aita,
    rotto dagli anni, e dal cammino stanco;

    e viene a Roma, seguendo 'l desio,
    per mirar la sembianza di colui
    ch'ancor lassù nel ciel vedere spera:

    così, lasso, talor vo cercand'io,
    donna, quanto è possibile, in altrui
    la disïata vostra forma vera.


    Parafrasi:
    Il vecchieeto canuto e bianco parte dall'amato luogo dove a trascorso la sua
    vita( ov'à sua età fornita)e dalla sua famiglia turbata e sorpresa che vede il
    suo caro padre andare via( venir manco); di lì(indi), trascinando poi il
    vecchio corpo (antiquo fianco) per gli ultimi giorni della sua vita, quanto più
    può, si aiuta con la forza della volontà, consumato dagli anni e stanco per il

    cammino; e giunge a Roma, seguendo il suo desiderio, per contemplare l'immagine
    di colui che spera di poter vedere di nuovo il paradiso; così, ahimè (lasso),
    talvolta anch'io cerco, o donna, per quanto è possibile, la vostra desiderata
    immagine (forma vera) in altre donne


    Analisi:
    Il sonetto si fonda su una similitudine tra il vecchio pellegrino in cerca di Cristo e il poeta in cerca nel viso di altre donne la forma di Laura. Al motivo religioso si collega quello della vecchiaia che evoca il trascorrere del tempo che distrugge le cose umane, tematica ripresa in Erano i capei d'oro a l'aura sparsi. Un altro tema presente nel sonetto è quello della pietà e degli affetti sottolineata dai diminutivi.

    Benedetto sia 'l giorno e 'l mese e l'anno (LXI)

    Benedetto sia 'l giorno e 'l mese e l'anno
    e la stagione e 'l tempo e l'ora e 'l punto
    e 'l bel paese e 'l loco ov'io fui giunto
    da' duo begli occhi che legato m'ànno;

    e benedetto il primo dolce affanno
    ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto,
    e l'arco e le saette ond'io fui punto,
    e le piaghe che 'nfin al cor mi vanno.

    Benedette le voci tante ch'io
    chiamando il nome de mia Donna ho sparte,
    e i sospiri e le lagrime e 'l desio;

    e benedette sian tutte le carte
    ov'io fama l'acquisto, e 'l pensier mio,
    ch'è sol di lei; sì ch'altra non v'à parte.

    In questo sonetto il poeta esprime gioia, dovuta forse ad un'illusione che Laura avrebbe corrisposto il suo Amore
    Non si spiega altrimenti l'invocazione della benedizione per il momento in cui lui ha incontrato Laura, per la prima pena d'amore dovuta all'incertezza di essere corrisposto o meno, per il momento in cui Amore ha trapassato con le frecce il suo cuore . Il poeta continua nelle due terzine sottolineando ancore la benedizione per le parole di lode e per gli scritti con cui ha parlato di questa donna, che gli daranno la fama.

    Elenco dei topoi:

    * begli occhi: topos stilinovista dello sguardo
    * il primo dolce affanno: topos provenzale della sofferenza e dell'incertezza che segue subito l'innamoramento dovuto alla preoccupazione di non essere corrisposti
    * Amor: personificazione dell'amore
    * arco e saette: uso di paragoni bellici per parlare dell'amore, topos proveniente da Cavalcanti e anche da Guinizelli
    * fama: motivo della fama, che spiegherebbe anche il secondo modo di intendere Laura (vedi spiegazione canzoniere)

    Padre del ciel, dopo i perduti giorni (LXII)
    Padre del ciel, dopo i perduti giorni,
    dopo le notti vaneggiando spese,
    con quel fero desio ch'al cor s'accese,
    mirando gli atti per mio mal sì adorni,

    piacciati omai col Tuo lume ch'io torni
    ad altra vita ed a più belle imprese,
    sì ch'avendo le reti indarno tese,
    il mio duro avversario se ne scorni.

    Or volge, Signor mio, l'undecimo anno
    ch'i fui sommesso al dispietato giogo
    che sopra i più soggetti è più feroce.

    Miserere del mio non degno affanno;
    reduci i pensier' vaghi a miglior luogo;
    ramenta lor come oggi fusti in croce.

    Questo sonetto rappresenta la preghiera a Dio di Petrarca nella quale lo supplica i perdonarlo per essere stato preda dell'amore. In questo sonetto, il 62, l'amore è definito come un fero (cioè feroce) disio, mentre in quello precedente, il 61, cioè "Benedetto sia 'l giorno e 'l mese e l'anno" esso viene addirittura benedetto. Ecco, sono questi gli "sbalzi d'umore" cui alludeva il poeta nel sonetto d'apertura "Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono", che hanno portato a componimenti dai sentimenti contrastanti (rime sparse). Petrarca continua la sua invocazione a Dio chiedendogli di farlo ritornare ad una vita così meritoria, così che il suo avversario, il demonio, resti sconfitto. Inoltre chiede al Signore, allora che ricorreva l'undicesimo anniversario da quando il poeta era stato messo sotto il giogo dell'amore, di ricondurlo al bene.

    Elenco dei topoi:

    * fero desio: topos di Guinizelli
    * Giogo: topos dell'amore visto come un giogo

    Erano i capei d'oro a l'aura sparsi (XC)
    Erano i capei d'oro a l'aura sparsi
    che 'n mille dolci nodi gli avvolgea,
    e 'l vago lume oltra misura ardea
    di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi;

    e 'l viso di pietosi color' farsi,
    non so se vero o falso, mi parea:
    i' che l'ésca amorosa al petto avea,
    qual meraviglia se di sùbito arsi?

    Non era l'andar suo cosa mortale,
    ma d'angelica forma, e le parole
    sonavan altro, che pur voce umana.

    Uno spirto celeste, un vivo sole
    fu quel ch'i' vidi; e se non fosse or tale,
    piaga per allentar d'arco non sana.

    La figura di Laura (notevole il senhal l'aura = Laura per celare il nome della donna, espediente ricorrente in Petrarca) non è descritta dettagliatamente, ma è semplicemente tratteggiata attraverso i topoi della bellezza proveniente dallo stilnovismo; al contrario della Beatrice di Dante, però, Laura non è la donna-angelo veicolo tra il poeta e Dio, bensì una nobilissima creatura terrena che nel sonetto viene addirittura descritta mentre sta invecchiando; il poeta continua ad amarla anche se alla donna sta venendo meno la bellezza fisica.

    La contrapposizione dei piani temporali è evidente: la prima quartina inizia con "erano", imperfetto della memoria e della rievocazione della bellezza di Laura, e finisce con "or", avverbio che riporta l'attenzione sul presente e sulla vecchiezza della donna.

    Al verso 6 la narrazione ritorna al passato, dove alla rievocazione della bellezza di Laura viene affiancato il ricordo dell'innamoramento. Il ritorno al presente al verso 13, utilizzato in senso gnomico, conclude la lirica in uno stato di universalità temporale: l'amore resta immutato nonostante lo scorrere del tempo.

    Elenco dei topoi:

    * capei d'oro, begli occhi, viso di pietosi color', le parole / sonavan altro: topoi provenzali della donna amata
    * parea: significa appariva, e richiama il Dante di "Tanto gentile e tanto onesta pare"
    * l'andar suo [...] d'angelica forma, spirto celeste: formule che ricordano la donna-angelo dello Stil Novo, anche se caricate di un significato meno ascetico e più umano
    Se lamentar augelli, o verdi fronde (CCLXXIX)
    Se lamentar augelli, o verdi fronde
    mover soavemente a l'aura estiva,
    o roco mormorar di lucide onde
    s'ode d'una fiorita et fresca riva,

    là 'v'io seggia d'amor pensoso et scriva,
    lei che 'l ciel ne mostrò, terra n'asconde,
    veggio, et odo, et intendo ch'anchor viva
    di sì lontano a' sospir' miei risponde.

    "Deh, perché inanzi 'l tempo ti consume?
    - mi dice con pietate - a che pur versi
    degli occhi tristi un doloroso fiume?

    Di me non pianger tu, ché miei dì fersi
    morendo eterni, e ne l'interno lume,
    quando mostrai de chiuder, gli occhi apersi".

    Laura nel sonetto subisce una profonda "trasfigurazione" che consiste in un totale cambiamento di visione della donna da parte del poeta. La morte di Laura, è questo il tema del sonetto, porta Petrarca a ringraziare Dio di avergli privato di avvicinarsi a Laura quando era in vita così da permettergli di riprendere a camminare sulla via che porta a Lui. Anche la stessa Laura, nell'immaginazione del poeta, invita Petrarca a considerare la sua morte in chiave cristiana (vv. 12-14).

    Chiare, fresche e dolci acque (CXXVI)
    Chiare, fresche e dolci acque,
    ove le belle membra
    pose colei che sola a me par donna;
    gentil ramo ove piacque
    (con sospir' mi rimembra)
    a lei di fare al bel fianco colonna;
    erba e fior' che la gonna
    leggiadra ricoverse
    co' l'angelico seno;
    aere sacro, sereno,
    ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse:
    date udïenza insieme
    a le dolenti mie parole estreme.

    S'egli è pur mio destino,
    e 'l cielo in ciò s'adopra,
    ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda,
    qualche grazia il meschino
    corpo fra voi ricopra,
    e torni l'alma al proprio albergo ignuda.
    La morte fia men cruda
    se questa spene porto
    a quel dubbioso passo:
    ché lo spirito lasso
    non poria mai in più riposato porto
    né in più tranquilla fossa
    fuggir la carne travagliata e l'ossa.

    Tempo verrà ancor forse
    ch'a lusato soggiorno
    torni la fera bella e mansueta,
    e là 'v'ella mi scorse
    nel benedetto giorno,
    volga la vista disïosa e lieta,
    cercandomi: ed, o pieta!,
    già terra in fra le pietre
    vedendo, Amor l'inspiri
    in guisa che sospiri
    sì dolcemente che mercé m'impetre,
    e faccia forza al cielo,
    asciugandosi gli occhi col bel velo.

    Da' be' rami scendea
    (dolce ne la memoria)
    una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo;
    ed ella si sedea umile in tanta gloria,
    coverta già de l'amoroso nembo.
    Qual fior cadea sul lembo,
    qual su le treccie bionde,
    ch'oro forbito e perle
    eran quel dì a vederle;
    qual si posava in terra, e qual su l'onde;
    qual con un vego errore
    girando parea dir: Qui regna Amore

    Quante volte diss'io
    allor pien di spavento:
    Costei per fermo nacque in paradiso.
    Così carco d'oblio
    il divin portamento
    e 'l volto e le parole e 'l dolce riso
    m'aveano, e sì diviso
    da l'immagine vera,
    ch'i' dicea sospirando:
    Qui come venn'io, o quando?;
    credendo esser in ciel, non là dov'era.
    Da indi in qua mi piace
    questa erba sì, ch'altrove non ò pace.

    Se tu avessi ornamenti quant'ài voglia,
    poresti arditamente
    uscir del bosco, e gir in fra la gente.

    In questa canzone il poeta si trova sul fiume Sorga in Valchiusa, e la visione di quel luogo gli fa ricordare Laura, che aveva vista in quel medesimo luogo. Sul filo della memoria descrive Laura, e quell'attimo in cui la viene dilatato nel tempo della memoria (per capirci, ci mette quasi una strofa per descrivere come ha visto Laura in quell'attimo). Inoltre la dolce ragazza non ha più le sue caratteristiche reali ma è stilizzata, cioè il poeta seleziona dal reale gli elementi poeticamente o soggettivamente trasfigurabili, cioè che si adattano allo stato d'animo del poeta: ne risulta una Laura appena tratteggiata, delicata, descritta utilizzando molti topoi della bellezza stilnovista (bionda, occhi luminosi, voce soave, capelli d'oro, viso di perla, ecc.).



    Anche il paesaggio risulta segnato, cioè perde le sue caratteristiche individuali e reali e acquista quelle di Laura. Abbiamo qui il locus amenus, cioè un paesaggio stilizzato (o segnato) che fa da sfondo ad un personaggio altrettanto stilizzato. E nella seconda strofa della canzone il poeta chiede ad Amore di lasciare riposare, una volta morto, in questo locus amenus, che sembra un porto sicuro per il poeta al momento di affrontare quel passo che gli lascia del timore.
    Nella terza strofa Petrarca si augura, che una volta morto, Laura, torni, non feroce come quando lo aveva fatto soffrire in vita, ma mansueta, e cercandolo in quel locus amenus veda che egli giace morto lì e asciugandosi gli occhi piangenti chieda al cielo di accogliere l'anima del poeta. Nella quarta strofa il poeta ritorna a viaggiare sul tempo della memoria, che viene definita dolce, e si ricorda Laura, la cui descrizione è appena tratteggiata, sul cui corpo cadono petali di fiori che sembrano quasi dire che il quel luogo regna amore. Per questo il poeta afferma che la donna amata è nata in cielo. Ma pochi versi dopo arriva la presa di coscienza: il viaggio nella sua memoria lo ha allontanato e distaccato dalla realtà, facendogli credere che ci fosse il paradiso là dove effettivamente non è (dove si è posata Laura). La canzone si conclude con l'invocazione al componimento, che potrebbe andare in giro fra la gente, uscendo dal locus amenus, se avesse tanti pregi artistici quanti ne vorrebbe il poeta.

    Elenco dei topoi:

    * Par: l'uso di questo verbo tipico degli stilinovisti per sottolineare la rarefazione della donna
    * sospir: l'amore porta la sofferenza e quindi fa sospirare (in Dante il sospiro è invece volontà dell'amante di migliorarsi per arrivare al livello di perfezione della donna amata)
    * Amor: personificazione dell'amore
    * fera bella e mansueta: il tema della donna petra sperimentato da Dante
    * gli occhi che lacrimano
    * pioggia di fiori: immagine della donna ricoperta da una pioggia di fiori, che verrà ripresa in tutto il Rinascimento, anche in pittura (Botticelli).
    * divin portamento: topos del portamento tipico del dolce stil novo
    * Invocazione alla canzone: topos che parte dai provenzali (Arnaut Daniel) passa per lo stilnovo (Cavalcanti) e arriva fino a Petrarca. Il poeta prende consapevolezza della sua opera e si rivolge direttamente a lei.

    Zefiro torna, e 'l bel tempo rimena (CCCX)
    Zefiro torna, e 'l bel tempo rimena,
    e i fiori e l'erbe, sua dolce famiglia,
    et garrir Progne et pianger Filomena,
    e primavera candida e vermiglia.

    Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena;
    Giove s'allegra di mirar sua figlia;

    l'aria e l'acqua e la terra è d'amor piena;
    ogni animal d'amar si riconsiglia.

    Ma per me, lasso, tornano i più gravi
    sospiri, che del cor profondo tragge
    quella ch'al ciel se ne portò le chiavi;

    e cantar augelletti, e fiorir piagge,
    e 'n belle donne oneste atti soavi
    sono un deserto, e fere aspre e selvagge.

    il sonetto è costruito su un'antitesi: il ritorno della primavera porta con sé serenità e amore, che pervadono tutta la natura; da tanta serenità è escluso il poeta, che la gioia accentua il suo dolore per la morte della donna amata. Il motivo del ritorno della primavera e folto di reminiscenze classiche: Catullo, Orazio; si mescolano con rimandi mitologici (Filomena, Giove) inoltre la rappresentazione della natura primaverile è estremamente stilizzata e ricalca tutta la serie di topoi fissati dalla convenzione letteraria.

    Quel rosignuol, che sì soave piagne (CCCXI)
    Quel rosignuol, che sì soave piagne,
    forse suoi figli, o sua cara consorte,
    di dolcezza empie il cielo e le campagne
    con tante note sì pietose e corte,

    e tutta notte par che m'accompagne,
    e mi rammente la mia dura sorte:
    ch'altri che me non ho di ch'i' mi lagne,
    ché 'n dee non credev'io regnasse Morte.

    O che lieve è inganar chi s'assecura!
    Que' duo bei lumi assai più che 'l sol chiari
    chi pensò mai veder far terra oscura?

    Or cognosco io che mia fera ventura
    vuol che vivendo e lagrimando impari
    come nulla qua giù diletta, e dura.

    Ritorna il rapporto tra le manifestazioni della natura e l'animo del poeta: ma al contrasto si sostituisce l'analogia. Di qui si sviluppa il tema della presa di coscienza della labilità delle cose. Solo la morte dissolve l'inganno. Torna così l'immagine tipicamente petrarchesca, della bellezza femminile sottoposta alla forza disgregatrice del tempo. L'apprendimento dell'amara lezione si traduce nella riflessione conclusiva che richiama il tema biblico della vanità del tutto. Anche qui vi sono riferimenti classici. L'immagine dell'usignolo è ispirata a Virgilio.

    fonte:.skuola.net/

     
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