Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

Ugo Foscolo..biografia poesie e parafrasi

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    Nasce a Zante (l'antica Zacinto), una delle isole Ionie allora appartenente alla Repubblica Veneta, il 6 febbraio 1778 — dal medico Andrea Foscolo, di antica famiglia veneziana, e dalla greca Diamantina Spathis. Il suo nome di battesimo è Niccolò, ma dal 1795 preferisce farsi chiamare Ugo.
    La famiglia si trasferisce successivamente a Spalato, in Dalmazia, e dopo la morte improvvisa del padre (1788), si trasferisce a causa delle difficoltà economiche, con la madre e i suoi tre fratelli, a Venezia.

    Il 1797 è un anno fondamentale nella storia della formazione di Foscolo: compone e mette in scena il Tieste, tragedia costruita sui modelli alfieriani e piena di furore libertario. Dopo la discesa dei francesi in Italia, sotto l'influenza delle idee giacobine s'impegna nell'attività politica e nell'aprile del '97 fugge a Bologna dove si arruola nell'esercito napoleonico e pubblica l'ode A Bonaparte liberatore. A maggio, dopo l'arrivo dei francesi e l'instaurazione del regime democratico, fa ritorno a Venezia e vi svolge un'intensa attività politica fino all'amara delusione del trattato di Campoformio (1797)(con il quale Napoleone cede Venezia all’Austria ponendo così fine alle speranze indipendentistiche dei giacobini italiani).
    Le due odi Ai novelli repubblicani (incitamento a difendere i diritti conquistati contro i nemici della Rivoluzione) e soprattutto Bonaparte Liberatore (appello al generale vittorioso perchè mantenga le promesse di libertà) esprimono il risentimento e i fondati timori di Foscolo.
    Venduta la sua patria all'Austria, lascia per sempre Venezia e la madre. Quindi, parte in volontario esilio, per la capitale della Repubblica Cisalpina, Milano, dove si lega ai più attivi gruppi giacobini italiani, conosce il vecchio Parini e diviene amico di Vincenzo Monti, ed è tra i principali collaboratori del foglio giacobino “Il Monitore italiano” presto soppresso da Bonaparte.

    Nel '98 si arruola volontario nella Guardia Nazionale di Bologna e insieme con i francesi, combatte valorosamente in Emilia e Romagna, ma rimane ferito sia a Cento sia poi, una seconda volta, a Genova assediata. Nel frattempo scrive l’ode alla giovane contessina Luigia Pallavicini, vittima di un incidente equestre A Luigia Pallavicini caduta da cavallo.

    Il primo Ortis
    Nel autunno del '98 a Bologna esce la prima edizione del romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis. (ma l’opera, interrotta dall’autore, per volontà dell’editore il libraio Marsigli, e ad insaputa del Foscolo, era stata portata a termine da un certo Angelo Sassoli, letterato bolognese).
    La prima edizione del romanzo non può certo dirsi opera nuova e originale, è assente il tema politico, fondamentale nel secondo Ortis, e centrale invece quello idillico-amoroso e sentimentale. Ma già in questa prima stesura si può notare la non comune cura linguistica e stilistica.
    Dal punto di vista politico con i comizi di Lione del 1802, che confermano il ruolo subalterno toccato all'Italia nel sistema napoleonico, determinano la profonda delusione del Foscolo che da adesso anziché protagonista diverrà distaccato e scettico spettatore degli eventi (crisi denunciata nell’ Orazione a Bonaparte pel Congresso di Lione). In questo clima di sconfitta e di delusione si collocano la revisione dell’ Ortis (1802), e la prima edizione delle Poesie(1802-1803).

    Il secondo Ortis
    Il secondo Ortis ha un impianto rinnovato rispetto al primo: il giovane Jacopo, fin dalle prime pagine, è un perseguitato politico, costretto ad abbandonare Venezia dopo che il “sacrificio della patria è stato consumato” (cioè dopo che Napoleone ha ceduto Venezia all’Austria). La vicenda amorosa di Jacopo s’iscrive ora in una realtà di sconfitta e di disperazione e il suicidio è molto meno conseguenza del rifiuto da parte di Teresa che del senso di umiliazione e di scacco esistenziale.

    Le poesie
    Con le Poesie, Foscolo tocca la maturità lirica: i dodici sonetti e le due odi lo consacrano immediatamente quale voce più alta e originale della poesia neoclassica, in linea con il magistero pariniano (specie per le odi) e alferiano (per i sonetti). Il numero ridotto dei componimenti, quattordici, doveva suonare come un correttivo drastico alla moda di una poesia facile, abbondante e piacevole che aveva trionfato durante il settecento, e alla quale si era già opposto Parini. Altrettanto nuova è la materia della raccolta: un’autobiografia eroica, che culmina nella rinuncia alla poesia, una volta cadute le idealità giovanili, cioè l’amore e l’impegno politico e civile. Abbandonata la poesia, la gloria potrà essere assicurata dalle “fatiche dotte” cioè da studi eruditi.

    Il modello alferiano
    Foscolo si richiama a Vittorio Alfieri, in particolare tra le opere dell’Alfieri fu la raccolta delle Rime a produrre grande impressione sul giovane poeta. Si spiegano così la scelta del sonetto, l’ascendenza petrarchesca della raccolta (limitata al tema del tormento amoroso) e i consistenti richiami e la scoperta volontà di emulazione dei modelli (fino al caso estremo del sonetto autoritratto, interamente costruito a confronto con quello alfieriano).

    L’influsso pariniano
    Accanto all’influenza di alfieri si distingue chiaramente nelle Poesie il magistero di Giuseppe Parini, di cui era uscita a Milano l’edizione delle Opere, elevato, dagli uomini del Risorgimento fino al Carducci, a nume tutelare della nostra letteratura in sostegno del Risorgimento nazionale. La lezione di Parini si avverte particolarmente nelle odi: si nota nel recupero dei classici già chiaro nelle Poesie e poi sempre più sviluppato nei Sepolcri e nelle Grazie. I classici appaiono soprattutto come maestri di moralità. Ma accanto a questa funzione etica (già presente sia in Parini che in Alfieri), Foscolo cerca nei classici anche una perfezione linguistica e stilistica rivelata soprattutto dagli arditi procedimenti della sintassi e dello studio del lessico.

    I sepolcri

    I dissapori con Monti
    Tra il 1809 e il 1810 cresce, da parte del Monti e del suo gruppo di amici, un’ostilità sempre più agguerrita e feroce contro Foscolo. Ha così fine il loro intenso sodalizio anche artistico .

    IL SOGGIORNO FIORENTINO
    Nell’agosto del 1811 Foscolo lascia Milano e si trasferisce a Firenze dove inizia a lavorare al poema delle Grazie (che non giungerà mai a stesura definitiva). Riprendendo il mito classico della nascita delle Grazie, della loro opera di civilizzazione presso un’umanità primitiva, Foscolo mira a ricostruire una storia idealizzata del corso della civiltà e della funzione assolta dalle arti (poesia, pittura, scultura, musica) nel progresso civile, etico-morale dell’umanità.
    I contenuti delle Grazie: i tre inni sono dedicati rispettivamente a Venere, Vesta e Pallade.
    - Nel primo inno si narra l’origine della Grazie e i primordi della civiltà umana;
    - nel secondo si assiste al sacrificio del poeta alle Grazie e ad una ricostruzione fantastica della civiltà di Firenze, nuova culla della poesia italiana;
    - il terzo inno è riservato alla lavorazione del Velo che dovrà preservare le Grazie dalle insidie delle passioni umane (impersonate da Amore) e garantire loro la purezza e la perfezione, simbolo del sereno distacco contemplativo che contemplativo uno dei temi di fondo del poema.

    A Firenze Foscolo riprende il lavoro di traduzione del ‘Viaggio sentimentale’ del celebre scrittore inglese Laurence Sterne. Facendo sue le parole di Pindemonte, Foscolo si dice convinto che la traduzione deve essere una “specie di invenzione” e che il traduttore non deve mai cessare “d’esser poeta”. Foscolo non sarà mai completamente convinto del lavoro nonostante la sua continua attenzione linguistica e ciò determinerà un continuo lavoro di revisione.

    Verso l’esilio: Nell'ottobre del 1813, approssimandosi dopo la sconfitta di Lipsia il crollo del regime napoleonico , rientra a Milano. Il ritorno dell’Austria determina un clima quasi intollerabile per Foscolo che però ad un certo punto, forse per sottrarsi ai sospetti e agli arresti che già cominciano a fioccare sembra sul punto di collaborare al nuovo giornale letterario filoaustriaco (che sarà poi la ‘Biblioteca italiana’). Ma alla vigilia del giuramento di fedeltà all'Austria, tenendo fede ai suoi principi di «libero scrittore», il 30 marzo del 1815, fugge da Milano e prende la via dell'esilio.

    Dapprima ripara in Svizzera, dove attende ad una nuova edizione dell'Ortis (1816), porta a termine la satira Ipercalisse e compone i discorsi Della servitù dell'Italia. Poi, dopo varie peregrinazioni, essendo perseguitato dalla polizia, si stabilisce alla fine del 1816 a Londra.

    IL PERIODO INGLESE
    Qui inizialmente viene accolto con favore nei circoli letterari e culturali, ma presto, per il desiderio di vivere in un ambiente di raffinata eleganza, si avventura in imprese economiche rovinose; e a causa sia del suo orgoglioso, aggressivo e polemico carattere sia degli antichi risentimenti, finisce per alienarsi le simpatie e della compunta aristocrazia inglese e dei numerosi italiani in esilio a Londra (Berchet, Confalonieri, Scalvini, Santarosa). Alle difficoltà economiche, tuttavia, cerca di ovviare con un indefesso e ostinato e spesso ingrato lavoro, ovvero con conferenze, lezioni, articoli e saggi sui giornali e riviste.
    Le opere critiche: Al periodo 1818-1825 appartengono gli scritti di critica e storia letteraria: il Discorso sul testo della Divina Commedia di Dante, i Saggi sul Petrarca, il Discorso storico sul testo del Parallelo tra Dante e Petrarca, il Saggio sulla letteratura contemporanea in Italia (polemica ricostruzione di un periodo letterario in cui il Foscolo pone se stesso come più alto esponente).
    Di grande rilievo anche il Discorso sul decamerone.
    Di fronte alla ricchezza della produzione critica vi è però una povertà di produzione poetica. Sul fronte della prosa vi è la redazione definitiva dell'Ortis, e sono interessanti le Lettere scritte dall'Inghilterra, di cui però solo una parte viene stampata..
    Dopo aver passato un breve periodo in prigione a causa dei debiti contratti, è costretto a vivere sotto falso nome per non farsi raggiungere dai creditori.
    La lettera apologetica costituisce il testamento politico di Foscolo: a essa il poeta consegnava l’ultimo bilancio del suo operato, l’ultima difesa della sua azione politica.
    Niccolò Ugo Foscolo muore il 10 settembre 1827 in condizioni di povertà e viene sepolto nel cimitero di Chiswick.
    Solamente, dopo l'unità d'Italia, nel 1871, le spoglie sono state collocate a Firenze, nella chiesa di Santa Croce, accanto ai grandi italiani che aveva celebrato nel carme Dei Sepolcri.
     
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    Sepolcri - Commento

    Foscolo e 'I Sepolcri'

    Foscolo, nelle sue opere, fa un cammino riflessivo, infatti dal pessimismo predominante nell’Ortis in seguito della delusione dalla libertà della patria, passa ad una accettazione della vita non ignara della morte ne ‘I Sepolcri'.
    Foscolo scrisse ‘I Sepolcri’, in seguito ad una discussione avvenuta con Pindemonte a causa dell’editto napoleonico di Saint-Cloud che imponeva le sepolture fuori dei confini della città e regolamentava le scritture sulle lapidi.
    Nel carme, il poeta ribadisce inizialmente le tesi materialistiche della morte, l’inutilità delle tombe e l’indifferenza per il modo di seppellire i defunti.

    La morte è considerata dal poeta la distruzione totale dell’individuo che non lascia la possibilità di sopravvivenza.
    Per questo motivo, il defunto non può avere nessun conforto dalla tomba, e la trasformazione della materia, impedisce anche la sopravvivenza del ricordo, perché con il passare del tempo viene cancellata ogni traccia dell’esistenza. Queste idee sono sostenute da Foscolo con un atteggiamento disilluso difronte ad una verità amara.
    L’illusione della sopravvivenza è trasmessa dalla tomba perché essa mantiene vivo il ricordo ed instaura una “corrispondenza d’amorosi sensi” tra il defunto e il vivo; questa corrispondenza affettiva è una dote divina per gli uomini perché da loro una forma d’immortalità paragonabile a quella degli dei.

    Le tombe e la pietà per i defunti sono segni distintivi della civiltà, insieme alla famiglia, alla giustizia alla religione. La nascita di queste istituzioni hanno segnato il passaggio dell’uomo dall’età primitiva all’età civile. Inoltre, si ritiene che con la tomba vengono rilevati i valori di un popolo e perciò sono il mezzo per misurare il grado di civiltà di una società.

    Foscolo estende il valore civile delle tombe alla dimensione storica, cioè la tomba viene vista non più come il centro dei valori di una civiltà, ma come il messaggio che trapassa il tempo.
    Per questo, il poeta, passa dal parlare delle tombe in generale alle tombe degli uomini ‘grandi’, il cui ricordo dura nei secoli.

    Infatti, predomina il tema delle tombe della chiesa di Santa Croce a Firenze, che stimolano gli animi generosi a compiere grandi azioni e rendono sacra la terra in cui sono seppelliti.
    Alla funzione delle tombe, si affianca quella della poesia, perché la loro funzione non è limitata nel tempo.
    La poesia non è sottoposta alle leggi materiali, quindi la sua armonia dura nei secoli e mantengono vivo il ricordo.
    Per Foscolo, la poesia è un motivo di riflessione; infatti, è proprio discutendo di questo tema che si conclude il carme: la poesia deve custodire il ricordo dei sconfitti, delle sofferenze, delle sventure, del sangue versato, e, nello stesso tempo, deve risvegliare i sentimenti, la compassione e la solidarietà.
    Tutto ciò, è essenziale per la costruzione di una civiltà.



    In morte del fratello Giovani - Commento

    In morte del fratello Giovanni

    1 Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
    di gente in gente, me vedrai seduto
    su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
    il fior de' tuoi gentil anni caduto.
    5 La Madre or sol suo dì tardo traendo
    parla di me col tuo cenere muto,
    ma io deluse a voi le palme tendo
    e sol da lunge i miei tetti saluto.
    Sento gli avversi numi, e le secrete
    10 cure che al viver tuo furon tempesta,
    e prego anch'io nel tuo porto quiete.
    Questo di tanta speme oggi mi resta!
    Straniere genti, almen le ossa rendete
    allora al petto della madre mesta.

    Commento

    Il tema principale del brano è la morte di Giovanni, nei primi versi.
    I personaggi sono la madre (versi 5-6 e 14), ovvero un’anziana donna che si addolora per la perdita prematura del figlio (a cui parla sulla tomba, come se lui fosse ancora lì con lei).
    Le parole che corrispondono sono “petto”, “madre mesta” e “di suo tardo traendo”. La fine di Giovanni e l’esilio di Ugo l’hanno, infatti, stancata. L’autore afferma che il petto di lei, che gli ha dato la vita nutrendolo alla nascita, rappresenta l’accoglienza materna verso i bambini. Altro personaggio è il fratello, morto suicida in tenera età a causa dei troppi debiti (versi 4, 6, 9 e 10): l’autore infatti scrive” Sento gli avversi numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta”. Egli, infatti, sente gli affanni che vi furono nella vita del morto, e vuole così arrivare al “porto quiete”, ovvero la fine della vita, per ritrovarlo.
    Le parole che a lui dedica sono “il fior dei tuoi gentili anni caduti”, “cenere muto” e “porto quiete”. Ultimo elemento presente è l’io di Foscolo, ovvero un uomo sempre in fuga, che geme per la perdita dei suoi cari e per l’abbandono del suo paese (versi 1, 2, 7, 8 e 9). Le parole a lui dedicate sono “non andrò sempre fuggendo”, “prego” e “almen le ossa rendete”.
    Il poema è diviso in quattro parti:
    - l’esilio e il compianto per il fratello (versi dall’1 al 4);
    - la solitudine angosciosa della madre e la triste consapevolezza di non poter più tornare a Venezia (versi dal 5 all’8);
    - le tempestose inquietudini dell’animo e l’invocazione alla quiete (versi dal 9 all’11);

    - la caduta di ogni speranza e il presentimento della morte tra gente straniera (versi dal 12 al 14).
    Sono poi presenti diversi contenuti, ovvero la consapevolezza dell’esilio e delle peregrinazioni, la lotta contro il destino avverso, l’amore di patria, la commozione per gli affetti familiari perduti e la caduta delle speranza e delle illusioni. Il primo argomento è trattato nei versi 1-2, 9-10, 8 (“sol da lunge i miei tetti saluto”) e descrive la certezza dell’esilio, seguita dalla tristezza per la terra d'origine lasciata. Il secondo, esposto nei versi 9-10, fa notare la battaglia di Ugo contro il destino per restare vivo e riunirsi ai propri cari. Il terzo, illustrato nei versi 7-8, narra dell’amore verso la paese natale che si nota quando asserisce di aver voluto abbracciare la sua famiglia e ritornare, ma di esserne stato impedito a causa dalla legge. Il quarto, sviluppato nei versi 5-6 e 3-4, racconta della disperazione provata dal poeta per la scomparsa di alcuni suoi cari, che non può andare neanche a pregare a Venezia. Il quinto, analizzato nel verso 12, mostra ai lettori lo sconforto del letterato per la caduta di tutte le speranze e le illusioni che aveva.
    Il canto ha 14 versi endecasillabi, divisi in due quartine e due terzine. La rima è alternata, ovvero “abab” e “cdcd”.
    Nella lirica sono presenti varie figure retoriche. Abbiamo quattro gerundi (fuggendo, gemendo, traendo, tendo) e vari enjambement (fuggendo di gente in gente, seduto sulla tua pietra, gemendo il fior, traendo parla, secrete cure, rendete allora), che hanno la funzione di dilatare il respiro dei versi e prolungare le azioni nel tempo. Alla riga 5 abbiamo due allitterzioni, ovvero sol, suo e tardo traendo. Le metafore più evidenti della poesia sono: fiore degli anni (la giovinezza), la tempesta (segreti che sono forti come una tempesta) e il porto (il trapasso). Vi è una sineddoche nel verso 4, in cui anni viene usato a indicare la vita, una metonimia nella riga 5, in cui di tardo traendo è usato come un anno di vita e un’altra metonimia nel verso 8, in cui tetti è usato come patria.
    Su di “gente in gente” abbiamo una disseminazione del significato e su “fuggendo” un ictus. Nel verso 5 gli accenti sono sulla settima e sulla decima, nel 6 sono sulla quarta e sulla decima, nel 7 sono sull’ottava e sulla decima, nel 9 sono sulla sesta e sulla decima, nell’11 sono sulla quarta e sulla decima e nel 14 sono sulla terza e sulla decima.



    Sol chi lascia eredità d'affetti
    parafrasi della poesia Sol chi non lascia eredità d'affetti, nella quale torna il tema della morte

    Testo della poesia
    Sol chi non lascia eredità d'affetti
    poca gioia ha dell'urna: e se pur mira
    dopo l'esequie, errar vede il suo spirto
    fra' l compianto de' templi Acherontei,
    o ricovrarsi sotto le grandi ale
    del perdono d'Iddio: ma la sua polve
    lascia alle ortiche di deserta gleba
    ove nè donna innamorata preghi,
    nè passeggier solingo oda il sospiro
    che dal tumulo a noi manda Natura.

    Parafrasi della poesia
    Solo chi non lascia rimpianto di sè, perchè non è stato capace di suscitare affetti negli altri, non trova consolazione in una degna sepoltura: e se anche, avendo fede, immagina un destino ultraterreno e pensa a ciò che avverrà di lui dopo i funerali, vede la propria anima errare fra il pianto delle moltitudini che si aggirano negli abissi, tra le volte infernali dove scorre il fiume Acheronte, oppure trovare conforto nella misericordia divina: ma lascia il suo corpo a una terra incolta, abbandonata alle ortiche, desolata, dove nessuna donna innamorata andrà mai a pregare, nè un viandante solitario potrà udire il sospiro lamentoso che la Natura sembra mandarci dalla tomba.

     
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    In morte al fratello Giovanni
    testo originario, la parafrasi, il commento e l'analisi (divisioni in sequenze, tematiche generali, uso di specifiche figure retoriche)

    In morte al fratello Giovanni


    Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
    di gente in gente, me vedrai seduto
    su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
    il fior de' tuoi gentil anni caduto.

    La Madre or sol suo dì tardo traendo
    parla di me col tuo cenere muto,
    ma io deluse a voi le palme tendo
    e sol da lunge i miei tetti saluto.

    Sento gli avversi numi, e le secrete
    cure che al viver tuo furon tempesta,
    e prego anch'io nel tuo porto quiete.

    Questo di tanta speme oggi mi resta!
    Straniere genti, almen le ossa rendete
    allora al petto della madre mesta.

    Parafrasi:
    Un giorno io non andrò sempre fuggendo
    e tra le altre persone mi vedrai seduto
    sulla tua tomba, fratello mio, piangendo
    la tua morte nel fiore dei tuoi anni.
    La Madre nell'età più anziana, parla di me
    davanti al tuo sepolcro,
    ma io tendo a voi mie mani
    e posso salutarvi solo da lontano

    Sento i numi contro di me, e le preoccupazioni
    che tormentavano la tua vita,
    e prego anche io di ricevere la tua stessa quiete

    Questa speranza oggi mi resta!
    Genti stranieri almeno ridate il mio
    cadavere al cuore della mia triste madre.

    1 la poesia può essere divisa in quattro sequenze, individuale e in ciascuna di esse riconosci i temi trattati
    - Prima sequenza = è la parte iniziale in cui ricorda il fratello e in cui presenta il tema dell'esilio vorrebbe piangere la morte del fratello seduto sul suo sepolcro, ma non può, questo tema è ancor più triste, perchè la madre è sola.
    Seconda sequenza = il tema della madre che è sola e che immagina mentre parla al figlio morto.
    - Terza sequenza = Parla dei numi avversi e della morte come un quiete, da una vita travagliata
    - Quarta sequenza = si chiude con la speranza che il suo cadavere sia restituito alla madre.

    2. come vengono rappresentati il fratello e la madre?
    Il tema principale è quello degli affetti familiari (insieme a quello della fortuna avversa). Il sonetto è dedicato alla memoria del fratello Giovanni Dionigi, tenente dell'esercito che si suicidò nel 1801. La figura della madre appare nel sonetto come figura dolorosa, ella è rimasta sola in età avanzata ed è descritta come una donna che ormai trascina gli anni.

    Il poeta la immagina in un monologo delirante, mentre parla con il figlio morto "cenere muto" di lui esiliato. Circa la figura del fratello, il poeta sogna di andare un giorno alla sua tomba per piangere la sua morte, e per il momento, impossibilitato ad andare a Venezia, il poeta si limita a tendere le mani da lontano. Il fratello è descritto come un uomo che amava i tavoli da gioco e molto angosciato nel suo intimo, ma anche molto timido e vergognoso, l'autore spera che almeno nella morte il fratello possa trovare la pace. Tutto il sonetto è cosparso da un grande senso di pietà e dolore, sono state deluse tutte le aspettative di Foscolo: quella di un futuro per lui e per il fratello e quella madre che ora è sola e anziana; inoltre appare un'altra tematica romantica e generatrice di sofferenza: continuare a condurre una vita da esule.

    3. costruisci il tema del sonetto, la misura e il nome dei versi
    Il sonetto è dedicato alla memoria del fratello Giovanni e fin dall'inizio richiama il famoso Carme di Catullo dedicato ad un fratello scomparso. I temi principali sono i seguenti:
    - lontananza dalla patria
    - esilio
    - la morte, che è anche luogo di pace
    - sepolcro come memoria al vivo del defunto
    Il tema dell'esilio ha un forte valore simbolico serve a Foscolo per accostare la sua immagine a quella di una figura eroica, sfortunata e in quel determinato periodo storico, anche senza una patria e quindi impossibilitato a sentirsi parte di un particolare contesto politico e sociale. L'autore al proposito dirà di sentirsi perseguitato da: “avversi numi” come un eroe classico, anche Foscolo si trova a combattere contro un potere oscuro e superiore. In questa situazione il sepolcro diventa l'unico punto fermo, un luogo di congiunzione con il fratello scomparso.
    Nelle prime tre strofe è frequente il tema dell'esilio che annulla questa possibilità di un ricongiungimento familiare. Poi il poeta parla del tema della morte paragonata alla "quiete", la morte non è un annullamento, quando è “lacrimata”, infatti, ha un nesso con la vita.
    Il sonetto è scritto in rima e segue questo schema:
    ABAB ABAB CDC DCD,
    Il sonetto ha un'allitterazione sia consonantica (dominano le consonanti t, r e d) che assonantica. I periodi sintattici sono per lo più paratattici con poche subordinate.
    4. I tre gerundi nelle quartine e l' uso enjambement che funzione hanno?
    I gerundi indicano la sofferenza della vita, mentre gli enjambements, trasmettono un'idea di meditazione, unita ad una sorta di lamento continuo e sommesso.

     
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    AUTORITRATTO
    Ugo Foscolo

    Solcata ho fronte, occhi incavati intenti,
    crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto,
    labbro tumido acceso, e tersi denti,
    capo chino, bel collo, e largo petto;

    giuste membra; vestir semplice eletto,
    ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti;
    sobrio, umano, leal, prodigo, schietto;
    avverso al mondo, avversi a me gli eventi.

    talor di lingua, e spesso di man prode;
    mesto i più giorni e solo, ognor pensoso,
    pronto, iracondo, inquieto, tenace:

    di vizi ricco e di virtù, do lode
    alla ragion, ma corro ove al cor piace:
    morte sol mi darà fama e riposo.



    parafrasando
    Solcata = segnata dalle rughe (anastrofe). occhi incavati intenti = l’intensità dello sguardo viene resa con l’uso di più aggettivi (intenti, latinismo, proviene dall’Eneide di Virgilio-II, 1-; ripreso da Petrarca “e gli occhi porto per fuggire intenti”, Canzoniere - XXXV,3)
    crin fulvo = capelli di colore rosso; emunte guance = latinismo, colore pallido del viso; sineddoche che varia l’alfieriano “pallido in volto”.
    labbro tumido acceso =labbra rosse e pronunciate. tersi denti = denti bianchissimi. capo chino = anche qui richiama l’autoritratto dell’Alfieri “capo a terra prono”. giuste membra = con un corpo proporzionato. Eletto (lat.) = accurato (semplice eletto = ossimoro). Ratti = veloci. sobrio, umano (latinismo), leal, prodigo, schietto = semplice, umano, leale, generoso, sincero. Avverso…eventi: in continua lite con il mondo e sempre con gli eventi avversi.
    talor di lingua, e spesso di man prode = valoroso con la parola (con la letteratura) ma anche nell’azione (con le armi);

    morte sol mi darà fama e riposo = sviluppa quanto già riportato nel testo di Alfieri "uom, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai" ed è un motivo tipico nei Sepolcri.


    Tema: Pubblicato nell’ottobre 1802 nel “Nuovo giornale dei letterati” di Pisa, il sonetto Autoritratto di Foscolo, tratto dalla raccolta "Poesie", sonetto VII, si presenta come una vera e propria descrizione che l'autore compie di se stesso, sia a livello fisico, sia a livello psicologico-morale. Si richiama al modello dell’autoritratto di Vittorio Alfieri (Rime, CLXVII, Sublime specchio di veraci detti), il quale per primo attraverso la forma del sonetto autoritratto ha espresso l’ansia preromantica di una definizione di sé.
    Il primo verso (Solcata ho fronte) contiene l’anagramma del nome di Foscolo (questa tecnica dell’anagramma è tipicamente petrarchesca).
    Forma metrica: Sonetto di due quartine e due terzine, a schema ABAB, BABA; CDE, CED.
    Enjambement: "do lode/alla ragion".
    2 climax ai versi 7 e 11 che creano un crescendo emotivo che giunge al termine solo con l'ultima parola :"riposo".

    fonte:http://www.parafrasando.it/

     
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