Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

Io Cresco.. bimbi..prime esperienze.

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    No alle punizioni fisiche nei confronti dei bambini

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    Per un quarto dei genitori italiani lo sculaccione è educativo. Il 57% ritiene che, dato una volta ogni tanto, "non ha mai fatto male a nessuno". Tanto che il 27% ammette di ricorrervi più o meno di frequente. Soltanto il 25% dei genitori si rifiuta di ricorrere alle punizioni fisiche. Sono i risultati di un sondaggio promosso da Save the Children, diffusi in occasione del lancio della campagna "A MANI FERME".

    Uno schiaffo non finisce mai

    L'iniziativa si inserisce nell'ambito del progetto europeo "Educate, do not punish", in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria (SIP) e l'Associazione Nazionale dei pedagogisti italiani (ANPE). L'obiettivo è chiaro: educare i genitori a non alzare le mani sui figli. Perché uno schiaffo non finisce mai. E, soprattutto se reiterato, ha conseguenze. Un bambino può diventare con l'andare del tempo aggressivo e nervoso, o al contrario deprimersi. Uno schiaffo è dolore, umiliazione e paura e indebolisce il legame tra genitori e figli: viene a mancare il rapporto di fiducia reciproca, fa sentire il bimbo solo e indifeso. E tutto ciò influisce negativamente sul suo sviluppo emotivo.

    Scatta per esasperazione

    "In Italia le punizioni corporali sono vietate nelle scuole, ma non esistono norme che proteggano il bambino in ambito familiare, a parte qualche singola sentenza e la Convenzione sui diritti dell'infanzia e l'adolescenza", dice Raffaela Milano, direttore dei Programmi Italia Europa di Save the Children. "La nostra campagna non intende, però essere un messaggio punitivo o colpevolizzante nei confronti dei genitori. Anzi. Le nostre analisi confermano che spesso la reazione violenta scatta quando lo stress è troppo alto, quando mamma e papà sono esasperati, non sanno più cosa fare, come farsi rispettare. I genitori hanno bisogno di essere aiutati a trovare la loro autorevolezza senza ricorrere a punizioni fisiche o umiliazioni".

    Una guida pratica per i genitori

    Per gestire meglio i momenti di stress e frustrazione, la campagna "A MANI FERME" propone anche una "Guida pratica alla genitorialità positiva", curata da un esperto canadese e finanziata dall'Unione Europea. Si basa su 4 principi fondamentali per essere genitori non violenti: individuare i propri obiettivi educativi di lungo termine; far sentire il proprio affetto e fornire punti di riferimento; comprendere cosa pensano e cosa provano i bambini in diverse situazioni; assumere un approccio che mira alla risoluzione dei problemi piuttosto che punitivo.



    Articolo di Chiara Sandrucci

     
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    Ha battuto la testa: cosa fare?

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    Per un bimbo, sempre in movimento, le cadute sono episodi abbastanza frequenti. E se ha battuto la testolina? Cosa è importante osservare e come intervenire?

    Rassicurare il piccolo

    "Innanzitutto, bisogna cercare di valutare la dinamica dell'accaduto, chiarendo da dove è caduto il bambino e contro cosa ha battuto la testolina", spiega Emilio Fossali, direttore della Pediatria d'Urgenza e Emergenza della Fondazione Policlinico IRCCS Ca' Granda di Milano. "Un conto, infatti, è una caduta avvenuta da un'altezza inferiore al metro, per esempio dal lettone dei genitori o dal divano mentre sta giocando, e su una superficie abbastanza morbida, come un tappeto o un prato. Più seria, invece, è una caduta da un'altezza maggiore - uno scivolo o un letto a castello - e su una superficie dura, come marmo o cemento".

    In ogni caso, va mantenuta la calma, cercando di rassicurare il bambino: vedere mamma e papà agitati e preoccupati rischierebbe di spaventare ancora di più il piccolo, peggiorando la situazione. Applicare del ghiaccio può essere utile a lenire il dolore e a rallentare l'ecchimosi, cioè l'infiltrazione di sangue nel tessuto sottocutaneo.

    Che cosa osservare nel bambino?

    "Innanzitutto, il tipo di reazione", risponde l'esperto. "Se piange subito, in genere si tratta di un buon segno: significa che il bimbo reagisce bene e prontamente. Se invece c'è una perdita di coscienza, anche breve, o il piccolo rimane per un po' intontito, pallido, quasi attonito, conviene portarlo al Pronto Soccorso per un accertamento".

    Altri segnali da tenere d'occhio? "Il vomito, specie se non compare subito dopo la caduta - quando potrebbe essere provocato solo dallo spavento - oppure se le crisi si ripetono. Un accertamento è necessario anche se si presentano convulsioni o scosse. Infine, un elemento da valutare nelle ore successive e da comunicare al pediatra è la sonnolenza, anche se in molti casi può essere dovuta al fatto che il bambino è stanco per aver pianto molto".



    Articolo di Francesca Mascheroni Agosto 2012

     
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    Inizia l’asilo, una nuova avventura


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    Settembre, tempo di inserimento per molte famiglie italiane. L'ingresso all'asilo è un momento importante per il bimbo che si trova ad affrontare il distacco dalla mamma e le tante novità della vita in comunità. Vediamo insieme come aiutarlo a vivere con serenità questa esperienza.

    Nido: serve gradualità

    Per molti bambini l'ingresso al nido coincide con la prima separazione dalla mamma e, quindi, è un momento particolarmente delicato. Ma anche per i bimbi che erano già abituati a trascorrere parte della giornata senza di lei, magari in compagnia dei nonni, quella del nido è comunque una novità importante e impegnativa. "Il piccolo, oltre ad affrontare il distacco dalla figura materna, deve prendere confidenza con un ambiente estraneo e una situazione completamente nuova", spiega Giovanna Bestetti, psicopedagogista dell'Università degli Studi di Milano e Milano-Bicocca e autrice del libro "Piccolissimi al nido" (Armando Editore, 2007). "Ecco perché è fondamentale la presenza di un familiare, che accompagni il bimbo nella fase iniziale per un periodo adeguato alla sua età e alle sue esigenze". L'ideale sarebbe che durante l'inserimento ci fosse sempre la stessa persona accanto al piccolo (la mamma, il papà, o anche una nonna), che possa garantirgli una certa continuità. I tempi vanno 'calibrati' in base alle reazioni del bimbo: se è in difficoltà, l'inserimento dovrebbe prolungarsi un po' di più, finché non apparirà più sereno.

    Scuola dell'infanzia: tante nuove esperienze

    I genitori possono aiutare il loro bimbo ad affrontare la novità presentandola come un'avventura emozionante. Il suggerimento è di raccontare al piccolo le esperienze che vivrà all'asilo, descrivendo i giochi con gli altri bimbi, le canzoni, le attività divertenti e le tante cose nuove che imparerà. Inoltre, si potrà parlargli della maestra, spiegando che a scuola sarà il punto di riferimento per tutti i bimbi, che dovrà ascoltarla e seguire le sue indicazioni e potrà rivolgersi a lei per ogni necessità. Nel periodo dell'inserimento, che dovrebbe essere graduale per dare al bambino il tempo di abituarsi al nuovo ambiente, ai compagni e alle attività, può essere di grande aiuto leggere insieme libretti in cui il protagonista sta iniziando l'asilo.

    Ci sono bambini che apprezzano subito la scuola dell'infanzia e altri che hanno bisogno di un approccio più lento, se possibile fermandosi all'asilo solo per mezza giornata, per un certo periodo. Se il piccolo si mostra preoccupato o inquieto, i genitori dovranno aiutarlo a esprimere le sue sensazioni, senza mai minimizzare ciò che prova. Così, si sentirà compreso e ascoltato e gli sarà più facile superare incertezze e timori.

    Il segreto? L'intesa scuola-famiglia

    Per garantire la serenità del bambino, al nido così come alla scuola dell'infanzia, è importante la collaborazione tra scuola e famiglia. "Il coinvolgimento di mamma e papà è fondamentale, non solo nel periodo dell'inserimento, ma anche in seguito", commenta Giovanna Bestetti. "Il genitore deve sapere che in qualsiasi momento potrà parlare del suo bambino con l'educatrice o con l'insegnante. La possibilità di confrontarsi, dialogare e chiedere informazioni è la condizione irrinunciabile perché si crei un rapporto di collaborazione reciproca. E questo è importante anche il piccolo, che è in grado di percepire la fiducia tra gli adulti che si prendono cura di lui, a casa e a scuola".



    Articolo di Giorgia E. Cozza Settembre 2012

     
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    Castigo, è un provvedimento giusto per i bambini?

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    Si vocifera da più parti che la nostra sia una generazione di genitori (ed educatori) permissivi. Non facciamo altro che parlare di quanto sia importante la disciplina e di quanto i nostri figli ne siano carenti; qualcuno si chiede anche se non sarebbe auspicabile tornare al rigore dei nostri genitori, eppure si discute ancora su quanto sia opportuno mettere i bambini in castigo.

    Spesso infatti (ovviamente non mi riferisco a casi limite, quelli che costituiscono maltrattamento e che vanno condannati senza se e senza ma) siamo molto reticenti a prendere questo tipo di provvedimento disciplinare in famiglia e condanniamo gli insegnanti che vi fanno ricorso a scuola.

    Troviamo ingiusto che un bimbo venga isolato dagli altri o gli venga negata la ricreazione o il gioco libero. Ma il castigo è così terribile? Davvero il bambino rischia di subire un trauma? La risposta pare ci sia ed è: dipende.

    Per prima cosa mi preme dire che il castigo applicato ai bambini “difficili”, affetti da un qualche problematica quale, ad esempio, l’iperattività o da disagi di tipo emotivo è inutile e dannoso. Quindi dipende dal bambino, dalla sua situazione personale. Se un bambino ha difficoltà di qualunque natura che gli impediscono di rispettare le regole e di convivere pacificamente con gli altri, va aiutato, non punito. Il castigo deve lasciare il posto ad un intervento di tipo educativo mirato, applicato in casa e a scuola e predisposto con l’aiuto di uno psicologo.

    In secondo luogo, bisogna capire quali sono gli intenti di un adulto che prende un provvedimento di questo tipo. Quindi dipende dal motivo per cui si decide di mettere in castigo il bambino: se la motivazione è: “Adesso ti faccio vedere io” è un errore. Il bambino in castigo ci va perchè capisca di avere sbagliato e in cosa, non perchè vogliamo “vendetta” o siamo stanchi o arrabbiati per i fatti nostri.

    L’adulto che mette il bambino in un angolo senza spiegargli il perchè, magari in uno scatto di rabbia, non compie un gesto educativo, piuttosto da al piccolo solo la sgradevole sensazione di essere vittima di un’ingiustizia alla quale potrebbe finire per ribellarsi. Più utile invece ricorrere al castigo solo se è veramente necessario e spiegando al bambino il motivo che ci ha portati a questo.

    Dipende poi dalla punizione prescelta: è adeguata all’età del bambino? E’ proporzionata allo sbaglio da questi commesso? E soprattutto, ne rispetta la dignità? Che tipo di esempio fornisce chi mette il bambino alla berlina invitando i suoi compagnetti a deriderlo per uno sbaglio o una mancanza (la cronaca ci dice che succede anche questo)?

    Infine, dipende anche dalla durata del castigo: qualche minuto è più che sufficiente per un bimbo piccolo.

    Ancora più importante poi, è chiedersi se il bambino ha ben chiare le regole. Ci siamo preoccupati di trasmettergli il fondamentale messaggio che esistono alcune regole (poche ma buone) e che vanno rispettate? Solo se l’adulto ha compito questo importante passo preliminare può pretendere che il piccolo si comporti in maniera adeguata. Diversamente, una regolata dobbiamo darcela noi.

     
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    Bambini moderni


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    Un bambino di oggi chiede al suo papà:
    - Papà, ma io come sono nato?
    E il papà gli risponde:

    - E va bene, tanto prima o poi avremmo dovuto parlare di questa cosa. Allora, fai attenzione: il papà ha conosciuto la mamma in una CHAT. Più tardi la mamma e il papà si sono incontrati in un CYBER CAFE', e nel bagno la mamma voleva fare un paio di DOWNLOAD dal JOYSTICK del papà. Quando poi il papà era pronto per l'UPLOAD, ci siamo accorti improvvisamente che non avevamo installato nessun FIREWALL... ma purtroppo era già tardi per premere CANCEL o ESCAPE, e la finestra VUOI VERAMENTE ESEGUIRE L'UPLOAD l'avevamo già disattivata all'inizio sotto OPZIONI e PROPRIETA'. L'antivirus di mamma da tempo non faceva più l'UPDATE, e non ha riconosciuto il BLASTER WORM del papà. Cosi' abbiamo premuto il tasto ENTER e alla mamma si è aperta una finestra con la comunicazione TEMPO PREVISTO PER IL DOWNLOAD: 9 MESI!

    fonte:invidia.blogspot.

     
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    ORA SOLARE: cosa vuol dire per i bambini?

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    bambini e l’ora solare: preparazione e problemi – Questo fine settimana le lancette dell’orologio tornano indietro di un’ora: nella notte tra sabato e domenica torna infatti l’ora solare e, come purtroppo accade ad ogni spostamento dell’orologio, qualche piccolo disturbo può arrivare a increspare le giornate successive. Un problema comune a molti adulti ma, purtroppo, anche a qualche bambino: come comportarci allora con i più piccoli per questo ritorno dell’ora solare?Innanzi tutto bisogna sapere che i più colpiti saranno i bambini in età scolare, coloro che infatti sono maggiormente legati a ritmi di vita assai rigidi: il consiglio è allora quello di intervenire con un po’ di anticipo e ricordarsi nei giorni precedenti il cambiamento di anticipare a mano a mano tutte le attivita’ della giornata, dal risveglio alla cena.Particolare attenzione va infatti riservata agli orari per andare a dormire e per svegliarsi: fateli scalare un po’ alla volta e ricordatevi che si tratta di momenti che il bambino deve vivere in autonomia; non c’è niente di peggio infatti che abituare un figlio alla presenza di mamma e papà prima di addormentarsi. Ciò non giova né al piccolo, né ai genitori e certo nemmeno all’avvento dell’ora dell’ora solare!

    chedonna.it

     
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    A “scuola” di cortesia

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    Non è mai troppo presto per insegnare ai nostri bambini i "rudimenti" della buona educazione. Con l'aiuto di mamma e papà, i piccoli imparano velocemente e senza fatica a usare le parole gentili - grazie, scusa, per favore - che sono, a un tempo, espressioni di cortesia e di rispetto verso gli altri.

    Le parole magiche: per favore e grazie

    Quando si possono 'introdurre' le buone maniere in famiglia? Il bimbo può imparare a usare espressioni semplici, come 'per favore' e 'grazie', sin da piccolissimo, quando inizia a cimentarsi con le prime parole. "In genere, non servono molte spiegazioni da parte dell'adulto: il bambino si abitua a usarle spontaneamente perché imita mamma e papà", spiega Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale. "Se in famiglia queste espressioni rappresentano una consuetudine, per il bimbo sarà semplice comportarsi di conseguenza". Nel caso in cui il piccolo dovesse dimenticarsi di usarle, il genitore potrà aiutarlo ricordandogli la 'parola magica': ad esempio, se il bimbo vuole qualcosa, la mamma, prima di accontentarlo, potrà chiedergli: "Come si dice?" o "Qual è la parolina magica?". Dai 3 anni circa, poi, è possibile spiegargli il valore delle parole gentili, sottolineando il fatto che rappresentano una dimostrazione di affetto e di considerazione nei riguardi degli altri. Il genitore potrà dire al bimbo che ringraziare una persona significa che abbiamo apprezzato quanto ha fatto per noi e che le vogliamo bene. Un messaggio importante, racchiuso in una piccola parola.

    Imparare a chiedere scusa

    Può capitare di rompere un soprammobile giocando in salotto o di rovesciare il bicchiere pieno d'acqua. Combinare 'pasticci' quando si è bambini è normale, e anche istruttivo (sbagliando si impara). A volte, invece, il problema è una parola sgarbata pronunciata in un momento di collera verso il fratellino o una 'rispostaccia' data a mamma e papà. Quando si sbaglia, chiedere scusa permette di esprimere il proprio rammarico ed è il primo passo per fare la pace. Il bimbo è in grado di comprendere l'importanza della parola 'scusa' fin da piccolo: pronunciarla lo aiuta a sviluppare la sua sensibilità e a maturare il senso di responsabilità. E poiché l'esempio, come sempre, conta più delle parole, è importante che anche mamma e papà non manchino di scusarsi se - involontariamente - commettono qualche mancanza nei suoi confronti.

    Salutare gli altri

    Ci sono bimbi molto espansivi, che regalano sorrisi e 'ciao ciao' con la manina anche agli sconosciuti, e altri più riservati che, quando incontrano un adulto per strada, in negozio o nella sala d'attesa del pediatra, si nascondono dietro le gambe della mamma e si chiudono in un ostinato mutismo. Come comportarsi se il piccolo fa fatica a salutare e non risponde alle domande degli adulti con cui non è in confidenza? Innanzitutto, bisogna rispettare la personalità del proprio bimbo (il suo carattere, tra l'altro, può modificarsi rapidamente nel corso della crescita), senza rimproverarlo o sottolineare - magari davanti agli altri - la sua 'timidezza'. D'altra parte, il genitore potrà spiegargli perché è importante salutare, raccontandogli, ad esempio, che la vicina di casa o la signora anziana incontrata al negozio diventano più allegre quando un bimbo le saluta. Sapere che un saluto può far felice una persona è uno stimolo forte e 'concreto' per il bambino, più efficace che appellarsi a generiche norme di buona educazione. E, quando il bimbo si dimentica di mettere in pratica questo insegnamento, il genitore potrà aiutarlo facendo un cenno con la mano e ripetendo insieme il saluto.

    Attendere il proprio turno

    Quando si è piccoli e si deve dire qualcosa, aspettare può rivelarsi estremamente faticoso. Ecco perché, per imparare ad attendere il proprio turno, occorre... esercitarsi molto. Anche in questo caso la guida di mamma e papà è fondamentale: tocca a loro ricordare al bimbo che non è gentile interrompere una persona mentre sta parlando ed è importante ascoltare quello che ha da dire. E se il bambino ormai ha preso la parola, interrompendo il genitore o il fratellino? La mamma potrà chiedergli di fermarsi: "No, aspetta. Ora sto raccontando io una cosa. Appena avrò finito toccherà a te, e ti ascolteremo tutti con attenzione".



    Articolo di Giorgia E. Cozza

     
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    Tic nervosi nei bambini? Sono frequenti ma non devono allarmare, si attenuano con l’età

    Tic-bambini

    Non è raro per i genitori, accorgersi che i proprio bambini hanno dei tic nervosi. Questa scoperta può generare allarme, preoccupazione, perché il pensiero immediatamente corre a qualche disturbo neurologico, e l’ansia cresce. In realtà un recente studio spagnolo ha rilevato un’incidenza altissima dei tic nei bambini in età scolare, pensate che ne soffrirebbe (anche se il termine non è adeguato, dato che non si tratta affatto di una malattia), un bambino su 5. Naturalmente c’è tic e tic, alcuni sono quasi irrilevanti, come piccoli movimenti degli occhi o della testa, altri ben più clamorosi e fastidiosi, con emissioni vocali o gesti scomposti.

    Ma entriamo nel merito della ricerca. Gli studiosi dell’ospedale neurologico di Burgos, coordinati dalla neurologa Esther Cubo, sono andati in una provincia della Spagna, e hanno preso in esame scuole medie ed elementari, coinvolgendo in tutto 1500 bambini.
    “Fino ad oggi si è sempre pensato che i tic siano un’evenienza tutto sommato rara, ma perché le ricerche sono state condotte sui pazienti che arrivano all’osservazione del medico e quindi hanno tic più pesanti ed evidenti – ha spiegato la dott.ssa Cubo – Osservando tutta la popolazione scolastica ci siamo invece accorti che i tic leggeri, quasi impercettibili, sono invece abbastanza comuni: ne soffre quasi un bambino su 5″.
    Le percentuali rilevate sono infatti state queste: il 17% dei bimbi fa ogni tanto qualche piccolo movimento involontario, percentuale che arriva al 20% tra i piccoli con problemi di apprendimento, inoltre più frequentemente i tic si manifestano nei maschietti (19%), che nelle femminucce (12%). “I tic sono il disturbo motorio su base neurologica più frequente tra bambini e ragazzi – ha proseguito la Cubo – ma non devono preoccupare.
    Non sappiamo ancora che cosa li provoca, ma di certo sono coinvolti i gangli cerebrali della base e la corteccia motoria: si suppone che ci sia un deficit della soppressione dei movimenti involontari e attraverso risonanze magnetiche funzionali è stato possibile capire che alcune aree cerebrali di chi soffre di tic sono iperattive o, al contrario, non si accendono quando dovrebbero eliminare i movimenti involontari”.
    Fin qui, tutto chiaro, tutto normale, ma esattamente un genitore che vedesse il proprio bimbo afflitto da tic di vario genere, quando dovrebbe preoccuparsi, considerando che si tratta di disturbi in buona parte ereditari? “Fra gli otto e i nove anni tre bambini su dieci hanno almeno un tic nervoso: ciò è assolutamente normale, se nel giro di qualche mese la manifestazione si esaurisce da sola – conclude la Cubo – Solo se i tic aumentano o si complicano è bene rivolgersi al medico per avere una corretta diagnosi ed eventualmente intervenire”. Insomma, niente drammi! La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Pediatric Neurology.

     
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    Crescita dei bambini: percentili e crescita ponderale

    ormone-crescita-300x225Secondo alcuni ricercatori della rivista Britannica “Pediatrics” i neonati che fanno fatica ad aumentare di peso nei primi mesi di vita, generalmente, si allineano ai loro coetanei verso i 13 anni.

    Questo studio anglosassone rassicura i genitori i cui bambini fanno fatica ad acquisire peso velocemente.

    Si avverte anche i genitori sui potenziali rischi che comporta l’introduzione di un esagerato numero di calorie pur di vedere i propri bimbi crescere più velocemente in quanto questo invece porta ad un elevato rischio di obesità.

    Gli esperti dicono che monitorare il peso nei bambini è comunque un fattore molto importante di valutazione, ma l’importante è che la crescita sia regolare e proporzionale.

    9bb588ffe6c848773b7626be5ab532e5uniqueidcmcimage1-300x225Si sono osservati 11.499 bambini che hanno preso parte ad un vasto studio tenutosi a Bristol negli anni novanta. Si è dimostrato che:

    507 bambini, che mostravano difficoltà nella crescita ponderale, cioè relativa al peso, nelle prime otto settimane di vita, si sono ripresi abbastanza velocemente e hanno quasi completamente recuperato nel giro di due anni;
    480 bambini, che aumentavano lentamente di peso tra le otto settimane e i nove mesi, continuavano nella loro curva di crescita lenta fino a quando, verso i sette anni, sono come sbocciati, raggiungendo poi i loro coetanei verso i 13 anni.

    “In passato molti genitori si sono caricati di ansie eccessive ed inutili a causa di una lenta crescita nei loro bambini e le evidenze emerse da questa ricerca sono senz’altro un messaggio rassicurante e positivo” dice il Professor Alan Emond dell’Università di Bristol.

    2.1-586x418-300x213I diversi modelli di recupero tra i due gruppi evidenziati possono avere diverse ragioni, spiegano i ricercatori, ma se non ci sono patologie i bambini recuperano.

    Tutti i bambini della ricerca erano ancora più esili e meno alti dei loro coetanei fino a quando erano teenagers ma comunque entro valori normali.

    “I risultati mettono in luce l’importanza di controllare il peso e l’altezza nelle prime settimane e durante i primi mesi di vita del bambino ma non creandosi ansie, lottando con i percentili. – prosegue il Prof Emond – Molto spesso i bimbi che comunque stanno bene non seguono la linea standard di crescita semplicemente perché stanno seguendo il loro potenziale genetico.”

    Sottolinea poi il professore:

    “Il secondo punto importante che valuta un pediatra è che non ci siano sintomi di qualche malattia, allora i genitori possono rilassarsi e godersi il loro bambino nella sua peculiarità senza introdurre calorie extra che possono invece generare il problema contrario, portando ad una vera e propria malattia come l’obesità.”

    ma-234x300È infatti dimostrato che le abitudini nutrizionali del secondo semestre di vita possono determinare l’aumento di peso futuro, consumare troppe calorie nell’infanzia può davvero creare le basi per malattie metaboliche importanti.

    Il dottor Simon Newell, vice-presidente del Royal College di Pediatria e Salute del Bambino, è completamente d’accordo con le conclusioni dei ricercatori ma ritiene sia comunque necessario valutare ogni caso di difficoltà di crescita nei bambini in modo ampiamente personalizzato:

    “Il peso dei neonati dipende per lo più dall’andamento della gravidanza, il peso a otto settimane è legato all’allattamento, poi è un conseguente e continuo adattamento al suo naturale percentile. È ovvio che i medici devono poi valutare il quadro generale. Io incoraggio i genitori ad usare le tabelle di crescita ma se le misurazioni mostrano che il bambino è più piccolo della media può comunque significare che il vostro bambino sia del tutto normale!”.

    Tratto da: www.bbc.co.uk

     
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    Saziamoli di baci!

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    “Mettilo giù che lo vizi”, “Ma quanto lo allatti? Così dipenderà sempre da te”, “Se lo baci così tanto lo consumi”. Quante volte neo-mamme e neo-papà sentono proferire queste frasi? Quanto forte è la pressione del mondo esterno, fatto di suocere, zie, amici vari, che all’arrivo di un neonato si propongono come esperti non richiesti di puericultura, allattamento, sonno e ed educazione dei bambini? Tanto, troppo forte.

    E invece, come recita il titolo di un libro di Concita De Gregorio… “Una madre lo sa“. Lo sa se è bene consumare un bambino a forza di baciarlo, per dire, o lasciarlo piangere un momentino, perché è opportuno o perchè lo impone una necessità. Una madre lo sa se è bene continuare ad allattare o smettere, ad un certo punto, perché non se la sente più, perché non lo vuole più il suo bimbo, perché lo ha fatto già per un tempo limite rispetto alla sua condizione o alla sua possibilità, perchè – semplicemente – lei e il suo bimbo hanno scelto.

    Io non ho mai ricevuto grandi pressioni, forse perché non ho una famiglia molto invadente o anche perché le mie bimbe sono sprovviste di nonne… Ma una cosa penso: che saziare i bambini di baci, di affetto, di contatto non sia che un bene, non sia che un modo per rinforzarli nella loro crescita affichè un domani siano più corazzati, di fronte al mondo.

    E poi ho letto – per caso – uno articolo pubblicato un paio di anni fa dalla rivista Uppa.

    Il titolo è significativo: Più amati da piccoli, meno ansiosi da grandi. L’articolo propone uno studio effettuato su 482 soggetti osservati dall’età di 8 mesi a 34 anni. Una vita! E cosa hanno analizzato di queste persone? Il livello di affettività e di cure materne messe poi in relazione al livello di ansietà e di risposta allo stress emozionale a distanza di trent’anni. Qui potete trovare l’articolo, le considerazioni e i dubbi dell’autrice, ma è interessante che sia stato dimostrato che le esperienze positive precoci producano importanti effetti altrettanto positivi a lungo termine. E che prevengono in una certa misura le esperienze negative perché i bambini, e – quando saranno cresciuti – i nostri figli, uomini e donne che siano, saranno più forti.

    Ecco, allora saziamoli di baci, non lesiniamo sull’affetto, sull’amore, su ciò che sentiamo come il loro bene. Senza per questo lasciarci tiranneggiare. L’amore non è mai troppo.

    fonte:http://blog.newbabyberry.com/

     
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    Addio al ciuccio

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    Il succhiotto è stato un aiuto prezioso di notte e nelle situazioni difficili, ma ora è giunto il momento di abbandonarlo. Pianificate l'addio in un periodo in cui il bambino è tranquillo, per esempio durante le vacanze e raccontategli la storia della fatina del ciuccio

    di Nostrofiglio Redazione
    Il momento giusto per dire basta al ciuccio

    Pianificate l'addio in un periodo in cui il bambino è calmo e spensierato, per esempio durante le vacanze. A che età bisognerebbe togliere il ciuccio: secondo gli esperti entro i due anni per evitare disturbi ai denti.

    A piccoli passi verso l'addio

    Consentite al bambino il succhiotto solo in casa. Poi restringete progressivamente i momenti in cui può usarlo, fino ad ammettere il ciuccio solo per andare a dormire.

    Preparatelo al cambiamento

    Tre giorni possono essere sufficienti: i bambini si abituano meglio ai cambiamenti quando sono ben preparati all'idea.

    Usate le parole giuste, un tono calmo e rassicurante

    Evitate espressioni colpevolizzanti e paragoni con altri bambini. E' importante usare un tono calmo e rassicurante. Ditegli semplicemente, "Ora sei grande e pronto per lasciare il ciucccio": deve suonare come un'informazione di ciò che avverrà e non come l'annuncio di un evento.

    Che ne dite di una ricompensa?

    Un suggerimento: raccontategli che porterete il succhiotto di un centro di riciclo plastica e si trasformerà in un gioco nuovo. Un regalo per lui! Oppure raccontategli la storia della fatina dei ciucci

    Oppure di raccontargli la storia della fatina dei ciucci?

    Sulla falsariga della fatina dei dentini che porta un soldino per ogni dentino da latte, è sempre più in voga anche la magica sorella: la fatina dei ciucci, una creatura magica, generosa come quelli dei denti...

    Che cosa si racconta al bambino? Occorre appoggiare tutti i succhiotti con un bel fiocco colorato sul davanzale di una finestra (o sul balcone). Di notte arriverà la fatina che li porta via per consegnarli ai bimbi più piccoli che ne hanno davvero bisogno, lasciando, però, un regalino...

    Questo 'mito moderno' gira tra le famiglie con i bimbi che non vogliono mollare il ciuccio e pare convincerli avvolgendo anche questo passaggio in una dimensione magica e fiabesca. Provate... e, ovviamente, modificate e arricchite la storia per renderla più affascinante ed efficace per il vostro bambino.

    Letture utili: Mark L. Brenner, Il ciuccio, l'orsetto, il biberon & il dito in bocca. Tutto quello che i genitori devono sapere sugli oggetti transizionali. Bonomi editore

     
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    GELOSIA FRATELLI: come gestirla?

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    Come gestire la gelosia del primo figlio quando arriva il secondo – Avere una famiglia numerosa è per molti versi un vantaggio non da poco: crescere con fratelli e sorelle ci porta ad avere subito un contatto più schietto con la vita in società, ci garantisce tanti momenti di aggregazione e un sicuro supporto attraverso le difficoltà della vita.Purtroppo di simili fortune ci si rende conto solo in un secondo tempo: quando infatti la mamma torna a casa con il nuovo arrivato il pensiero è solo uno, “chi è questo tizio che viene a portarmi via l’affetto di mamma e papà?”. La gelosia ha infatti la meglio il più delle volte in simili circostante e sta proprio ai genitori far sì che questo doloroso sentimento possa essere spazzato via, riportando l’armonia e l’amore tra le mura domestiche.Come fare? Be’, ovviamente non si tratta di un compito facile: bisogna infatti mantenere costanti nel tempo alcuni piccoli accorgimenti che facciano sentire il fratellino maggiore amato e coccolato. Per scoprire quali sono queste azioni miracolose potete leggere l’articolo che trovate al link qua sotto, un pezzo che vi istruirà circa i comportamenti da tenere quando la gelosia tra fratelli prende il sopravvento. buona fortuna.

     
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    L’IMPORTANZA DI UN’EDUCAZIONE SESSUALE SANA E CORRETTA

    Educazione-sessuale

    Secondo l’OMS l’educazione sessuale dovrebbe essere integrata lungo il corso del curriculum scolastico dalle scuole materne alle scuole superiori. Ce ne parla il nostro sessuologo.


    Quando solitamente in famiglia non vengono trasmesse quelle notizie di base per poter vivere adeguatamente la propria sessualità e le informazioni non vengono neppure recepite attraverso uno scambio amichevole disinteressato, in mancanza di sane letture che riportino dati scientificamente corretti, al fine di poter prevenire disfunzioni e disturbi della sfera sessuale la persona necessita di una educazione alla sessualità.

    Non è sufficiente essere dotati di organi sessuali adeguatamente funzionanti ed avere pulsioni per poter agire una sessualità gratificante con sé e con altri. E’ necessario conoscere praticamente il “che cosa è” (nozioni anatomiche) e il “come funziona” (nozioni fisiologiche) riferiti agli organi sessuali del proprio e dell’altrui sesso; inoltre è importante acquisire specifiche abilità sessuologiche (cognitive e comportamentali) di base che permettano un adeguato comportamento di approccio con l’altro antecedente lo scambio sessuale.

    Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’educazione sessuale dovrebbe essere integrata lungo il corso del curricolo scolastico dalle scuole materne alle scuole superiori, meglio se in classi miste per favorire la comunicazione tra i sessi. Infatti la sessualità si modifica nelle sue esigenze lungo gli anni dello sviluppo della persona: dalla iniziale curiosità, alla esplorazione personale fino a tutte quelle problematiche concernenti l’interrelazione con l’altro sesso (secondo una ottica eterosessuale).

    Tuttavia in certe scuole italiane si riscontra che la prevenzione fatta in gruppo, a livello pubblico, incontra purtroppo varie resistenze quando si tratta di prevenire problematiche personali ed interpersonali di rilevanza sanitaria e sociale attraverso programmi di educazione sessuali. Da una parte si riscontrano le paure di certi genitori per la scarsa fiducia che la scuola possa farsi carico di una tematica molto delicata, paure che possano venir messi in discussione atteggiamenti e valori genitoriali ed infine il timore che una informazione troppo esplicita possa nuocere a figli minorenni. D’altra parte tante scuole tendono a utilizzare o docenti insegnanti materie scientifiche o professionisti esterni molto collegati alla presidenza o ad alcuni docenti significativi. Non sempre sessuologi clinici con provate capacità didattiche vengono interessati dagli istituti scolastici a beneficio dei giovani che, in mancanza di informazioni corrette, sperimentano spontaneamente atti sessuali tra loro con il rischio di gravidanze indesiderate, traumi sessuali, malattie sessualmente trasmesse, attivazione di disfunzioni e disturbi della sessualità, approcci sessuali inadeguati, spesso violenti e dannosi. Non a caso, non ostante si parli molto più rispetto al passato sessualità e una educazione specifica venga attuata, seppur non capillarmente, in certe realtà scolastiche, i sessuologi clinici riscontrano un aumento della domanda sessuologia da parte dei giovani, comunque malattie sessualmente trasmesse continuano a proliferare, le gravidanze indesiderate sono in aumento, approcci inadeguati sembrano caratterizzare i rapporti tra i sessi, mentre le disfunzioni sessuali esordienti sin dai primi rapporti vengono spesso sanate o con interventi maldestri fai-da-te o vengono all’osservazione clinica tardivamente quando si sono cronicizzate. L’augurio è che una educazione alla sessualità possa non solo diffondersi maggiormente nella nostra Penisola, ma sia pure gestita da professionisti competenti e disinteressati al servizio di giovani che cercano un benessere completo fisico, mentale e sociale e non soltanto una assenza di malattie.


    Articolo scritto da: Prof. Paolo Zucconi

     
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    Dalle uno schiaffo! Il video contro la violenza sulle donne e le reazioni dei bambini

    Un video di buoni propositi per l’anno nuovo, un video contro la violenza sulle donne, è quello che, da qualche giorno a questa parte, gira sul web ed ha come protagonisti dei bambini. Dalle uno schiaffo! questo il video in questione, in cui, dopo una piccola intervista e la presentazione della bambina, viene chiesto ai cinque maschietti intervistati, di fare prima una carezza, poi una smorfia ed infine di dare una sberla alla ragazzina di nome Martina.

    Video

    Tutti i cinque bambini rifiutano di picchiare la ragazzina perché, come dice la voce fuori campo, è così che dovrebbe succedere, le donne non si toccano, nemmeno nei rapporti tra adulti.



    Un copione sbagliato secondo tantissimi opinionisti del web, secondo i quali il video darebbe degli stereotipici tipici, ahimè, della società attuale. “Le donne non si toccano nemmeno con un fiore”. La donna non dovrebbe non essere picchiata perché donna, ma semplicemente perché la violenza genera solo violenza e non risolve i problemi. Nel video, la bimba, Martina, aspetta inerme, la decisione dei bimbi che si ritrova davanti. Ancora una volta, secondo i critici, una donna sottomessa al genere maschile.

    C’è poi una parte del mondo del web che ha condiviso il video sulle proprie pagine social, scegliendolo come buono proposito per l’anno nuovo. Di fronte alle terribili percentuali di donne uccise lo scorso anno, questo sembra per loro un buon modo per ricominciare.

    Nel mondo dei bimbi si litiga, così come nel mondo degli adulti. Ma, nel 2015, si spera che in un sano litigio, non conti il sesso, la religione o il colore della pelle.

    Auguriamoci questo per il 2015 appena arrivato.

     
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    Bambini bilingue, i vantaggi evidenti a partire dagli 11 mesi

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    Uno studio dell’Università di Washington ha rilevato che non si è mai troppo piccoli per imparare le lingue. Sembra infatti che i bimbi bilingue comincerebbero a sortire i benefici di questa doppia impartizione già dagli 11 mesi.

    Quando infatti i bambini cominciano a parlare e proferire le prime paroline sono già a conoscenza di vocaboli appartenenti ai due idiomi.
    La ricerca dell’Università di Washington

    La ricerca dell’Università di Washington ha messo a confronto 16 bambini di 11 mesi, 8 cresciuti in famiglie monolingue inglesi e gli altri 8 in famiglie bilingue inglesi e spagnoli di diversa estrazione sociale.
    L’autrice della ricerca, la scienziata Naja Ferjan Ramirez ha dichiarato:
    “I nostri risultati suggeriscono che, prima ancora di iniziare a parlare, i bambini cresciuti in famiglie bilingue fanno pratica in attività che implicano la funzione esecutiva del cervello. Questo suggerisce che il bilinguismo favorisca non solo lo sviluppo del linguaggio, ma anche più in generale quello cognitivo”
    Gli scienziati per giungere al risultato della ricerca, si sono serviti della Magnetoencefalografia (MEG), che si basa sulla misurazione dei campi magnetici prodotti dall’attività elettromagnetica dell’encefalo, strumento in grado di individuare la tempistica e la localizzazione delle attività celebrali.
    I 16 bambini sono stati sistemati su dei seggioloni e dotati di un elmetto con lo scanner MEG. Tutti i bimbi poi hanno ascoltato una registrazione di 18 minuti contenente suoni del linguaggio.
    Durante il monitoraggio, è stata evidente la differenza tra i campioni, in due regioni del cervello a cui corrisponde la funzione esecutiva.
    I bambini bilingue in questa regione rispondevano maggiormente. I ricercatori inoltre hanno chiarito che i bimbi bilingue imparano le due lingue con lo stesso ritmo con cui gli altri bimbi ne imparano una, come affermato dalla dottoressa Ramirez:
    “Il cervello di bambini di 11 mesi è ugualmente in grado di apprendere una lingua così come lo è di due. I nostri risultati sottolineano che non solo sono capaci d’imparare le lingue già da piccoli, ma che la prima infanzia è il momento migliore per iniziare a farlo”

     
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77 replies since 2/3/2011, 15:27   10541 views
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