Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

Romeo e Giulietta..

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    Romeo e Giulietta


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    Romeo e Giulietta (The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet) è una tragedia di William Shakespeare tra
    trama


    Nel prologo, il coro racconta agli spettatori come due nobili famiglie di Verona, i Montecchi e i Capuleti, si siano osteggiate per generazioni e che "dai fatali lombi di due nemici discende una coppia di amanti, nati sotto cattiva stella, il cui tragico suicidio porrà fine al conflitto".
    Il primo atto comincia con una rissa di strada tra le servitù delle due famiglie, interrotta da Escalus, principe di Verona, il quale annuncia che, in caso di ulteriori scontri, i capi delle due famiglie saranno considerati responsabili e pagheranno con la vita. Quindi fa disperdere la folla. Paride, un giovane nobile, ha chiesto al Capuleti di dargli in moglie la figlia poco meno che quattordicenne, Giulietta. Capuleti lo invita ad attirarne l'attenzione durante il ballo in maschera del giorno seguente, mentre la madre di Giulietta cerca di convincerla ad accettare le offerte di Paride. Questa scena introduce la nutrice di Giulietta, l'elemento comico del dramma. Il rampollo sedicenne dei Montecchi, Romeo, è innamorato di Rosalina, una Capuleti (personaggio che non compare mai). Mercuzio (amico di Romeo e congiunto del Principe) e Benvolio (cugino di Romeo) cercano invano di distogliere Romeo dalla sua malinconia, quindi decidono di andare mascherati alla casa dei Capuleti, per divertirsi e cercare di dimenticare. Romeo, che spera di vedere Rosalina al ballo, incontra invece Giulietta.


    Romeo e Giulietta, dipinto di Ford Madox Brown
    I due ragazzi si scambiano poche parole, ma sufficienti a farli innamorare l'uno dell'altra e a spingerli a baciarsi. Prima che il ballo finisca, la Balia rivela a Giulietta il nome di Romeo. Rischiando la vita, Romeo si trattiene nel giardino dei Capuleti dopo la fine della festa. Durante la famosa scena del balcone, i due ragazzi si dichiarano il loro amore e decidono di sposarsi in segreto. Il giorno seguente, con l'aiuto della Balia, il francescano Frate Lorenzo unisce in matrimonio Romeo e Giulietta, sperando che la loro unione possa portare pace tra le rispettive famiglie.
    Le cose precipitano quando Tebaldo, cugino di Giulietta e di temperamento iracondo, incontra Romeo e cerca di provocarlo a un duello. Romeo rifiuta di combattere contro colui che è ormai anche suo cugino, ma Mercuzio (ignaro di ciò) raccoglie la sfida. Tentando di separarli, Romeo inavvertitamente permette a Tebaldo di ferire Mercuzio, che muore augurando "la peste a tutt'e due le vostre famiglie". Romeo, nell'ira, uccide Tebaldo. Il Principe condanna Romeo solo all'esilio (perché Mercuzio era suo congiunto e Romeo l'ha solo vendicato): dovrà lasciare la città prima dell'alba del giorno seguente. I due sposi riescono a passare insieme un'unica notte d'amore. All'alba, svegliati dal canto dell'allodola, messaggera del mattino (che vorrebbero fosse il canto notturno dell'usignolo), si separano e Romeo fugge a Mantova.
    Giulietta dovrebbe però sposarsi tre giorni dopo con Paride. Frate Lorenzo, esperto in erbe medicamentose, dà a Giulietta una pozione che la porterà a una morte apparente per quaranta ore. Nel frattempo il frate manda un messaggero a informare Romeo affinché egli la possa raggiungere al suo risveglio e fuggire da Mantova.


    Romeo e Giulietta (Atto V, scena III), Incisione di P. Simon da un dipinto di J. Northcode
    Sfortunatamente il messaggero del frate non riesce a raggiungere Romeo poiché Mantova è sotto quarantena per la peste, e Romeo viene a sapere da un servitore della famiglia del funerale di Giulietta (una interessante incongruenza nella storia: come avrebbe fatto il servitore a tornare a Mantova dopo aver assistito al "funerale" di Giulietta?). Romeo si procura un veleno, torna a Verona in segreto e si inoltra nella cripta dei Capuleti, determinato ad unirsi a Giulietta nella morte.
    Romeo, dopo aver ucciso in duello Paride, che era giunto anche lui nella cripta, e aver guardato teneramente Giulietta un'ultima volta, si avvelena pronunciando la famosa battuta "E così con un bacio io muoio" (Atto 5 scena III). Quando Giulietta si sveglia, trovando l'amante e Paride morti accanto a lei, si trafigge con il pugnale di Romeo.
    Nella scena finale, le due famiglie e il Principe accorrono alla tomba, dove Frate Lorenzo gli rivela l'amore e il matrimonio segreto di Romeo e Giulietta. Le due famiglie, come anticipato nel prologo, sono riconciliate dal sangue dei loro figli, e pongono fine alla loro guerra.



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    Una bianca figura si affacciò al balcone fiorito: era Giulietta Capuleti, la figlia di uno dei più ricchi e potenti cittadini di Verona. Non riusciva a dormire, la bella e giovanissima Giulietta, perché per la prima volta il suo cuore spasimava d'amore.


    E l'uomo che amava lo aveva incontrato quella sera durante un ballo ed era Romeo Montecchi, appartenente ad una famiglia rivale alla sua. Spesso era accaduto che Capuleti e Montecchi si scontrassero lungo le strade di Verona. Giulietta capiva che il suo era un amore impossibile, ma come poteva soffocare le ragioni del suo cuore? Romeo dichiarò subito alla bella fanciulla le sue intenzioni di sposarla, nonostante l'odio che divideva le due famiglie. "Lo faremo di nascosto, con l'aiuto di Fra Lorenzo, un mio amico" le disse baciandole la guancia e, lei, acconsentì, travolta da quell'amore così grande.


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    Con l'aiuto della nutrice, nel cuore della notte, Giulietta lasciò la sua casa e raggiunse il monastero dove il buon frate celebrò una breve cerimonia e subito rientrò nelle sue stanze, dopo aver promesso a Romeo di vederlo ancora la notte seguente, in giardino. Ma il destino aveva disposto diversamente. La mattina seguente Benvolio e Mercuzio, amici di Romeo, passeggiavano per le vie di Verona, quando si imbatterono in Tebaldo, cugino di Giulietta, un giovane di temperamento focoso, che subito li investì di minacce ed insulti. Mercuzio rispose a tono, mentre Benvolio cercava invano di mettere pace, quando giunse per caso Romeo. Desideroso di non attaccare briga col parente della sua dolce sposa, lui fece pure il possibile per placare gli animi e non reagì nemmeno quando Tebaldo lo aggredì: "Vigliacco!". Ma, se non reagì Romeo, lo fece invece Mercuzio, che ignaro di quanto era accaduto la notte precedente, non si spiegava il perché di tanta tolleranza da parte dell'amico.

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    E mal gliene incolse, perché con un colpo imparabile, Tebaldo lo uccise. Romeo, nel vedere l'amico morto non poté più trattenersi e seguì un secondo duello dove fu Tebaldo a pagare con la vita. Il duello si era svolto nel cuore della città, con numerosi spettatori e la notizia si diffuse ovunque. Sul luogo accorse il principe di Verona che subito proclamò:" Intendo far cessare queste risse che da anni insanguinano la città, quindi condanno Romeo all'esilio perpetuo!".

    Quando la notizia dell'accaduto giunse a Giulietta, ella cadde nella più cupa disperazione. Anche Romeo era disperato e dette sfogo al suo dolore nella cella di Fra Lorenzo dove aveva trovato temporaneo rifugio. "Lasciare Verona, non rivedere più Giulietta... meglio la morte!"gridava. Il buon frate cercò di calmarlo e di farlo riflettere. "Il principe si é mostrato indulgente, avrebbe potuto condannarti a morte, inoltre Giulietta ti ama ed é già tua sposa. Ascolta il mio consiglio Romeo; questa notte andrai in segreto a salutare Giulietta, poi partirai per Mantova e là resterai finché io non avrò trovato il modo di far accettare queste nozze alle vostre famiglie. In seguito vedrai che il principe ti perdonerà e potrai tornare a Verona." Quelle parole così sagge, placarono e diedero un po' di pace all'animo di Romeo. Al calar della notte, con mille precauzioni, Romeo raggiunse la stanza di Giulietta. Furono ore di gioia immensa, ma l'incanto si ruppe, quando il cielo cominciò a schiarirsi. Col cuore gonfio, Romeo salutò la sua sposa e si calò dal balcone, affondando fra i cespugli. Dovette affrettarsi a scomparire, perché se dopo l'alba le guardie del principe lo avessero scoperto ancora a Verona, sarebbe stata la morte per lui. Passarono i giorni. Giulietta consumava i suoi in tristezza e solitudine, in attesa della promessa finale. Una mattina le si avvicinò il padre, Messer Capuleti e le volle parlare.


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    "Figlia mia, ormai sei giunta in età di sposarti, ed io ho scelto per te la persona giusta; il conte Paride, un degno gentiluomo pieno di qualità". Giulietta all'udire quelle parole, impallidì, poi trovò la forza di obiettare:" Ma padre mio, la nostra famiglia é ancora in lutto per la morte di Tebaldo, non vi sembra indecoroso celebrare una cerimonia nuziale quando sono state appena concluse le cerimonie funebri?" Ma Messer Capuleti fu irremovibile. "No, non lo trovo affatto indecoroso ed é mia volontà che questo matrimonio si faccia al più presto. Se rifiuti non ti considererò più mia figlia!" rispose. Giulietta disperata, chiese consiglio alla nutrice ed insieme esaminarono ogni possibilità e alla fine giunsero alla conclusione che l'unica persona in grado di dare aiuto era Fra Lorenzo. Quella stessa mattina, Giulietta uscì di casa, accompagnata dalla nutrice, e si recò al monastero. Non appena Fra Lorenzo la vide intuì il motivo della visita, perché in città si parlava dell'imminente matrimonio della giovane figlia dei Capuleti col conte Paride. "Figliola cara, so in quale situazione ti trovi ed immagino il perché sei venuta fin qui" le disse. "Si Fra Lorenzo, senza il vostro aiuto sono perduta" esclamò piangendo Giulietta. "Sei disposta a tutto per uscire da questa situazione?" chiese Fra Lorenzo. "A tutto, piuttosto che contrarre un secondo matrimonio, vorrei essere sepolta viva!" disse Giulietta stringendo a sé il frate. Fra Lorenzo, allora frugò in un cofano e prese una fiala di vetro che lasciava trasparire un liquido scuro e disse: "Ecco, questa ti servirà..." così Fra Lorenzo le spiego tutto. Adesso Giulietta sarebbe tornata a casa assumendo un'aria lieta ed avrebbe comunicato a suo padre di aver cambiato idea e avrebbe acconsentito alle nozze con il conte Paride. "Lo farai Giulietta?" "Lo farò se siete voi ad ordinarmelo." disse la fanciulla. La notte precedente alla cerimonia, berrai il contenuto della fiala; é un filtro potente che avrà l'effetto di farti apparire per quarantadue ore, fredda e inanimata, come morta, mentre sarai solo addormentata. E morta ti crederanno i tuoi genitori e Paride. Secondo la tradizione, verrai portata in una bara scoperta fino al sepolcro di famiglia." Giulietta ascoltava ed annuiva. Ora cominciava a comprendere il progetto del buon frate e sperava. "Se veramente ti senti di affrontare questa terribile prova, ti garantisco che dopo ti risveglierai come da un sogno ed io nel frattempo avrò avvertito Romeo a Mantova. Lui verrà a Verona, di notte in gran segreto ed io stesso lo guiderò al tuo sepolcro. Poi insieme fuggirete e tornerete a Mantova." Giulietta strinse forte la fiala, tanto era l'amore per Romeo, che nulla poteva ostacolarla. Implorò la benedizione del frate e con la nutrice al fianco se ne tornò a casa. Subito si recò da suo padre e gli disse che era convinta al matrimonio col conte Paride nel giorno stabilito. Quelle nozze dovevano essere splendide e principesche e c'erano infiniti preparativi da fare per renderle tali. Giunse la sera, la vigilia del matrimonio, il momento fissato per bere il contenuto della fiala e, Giulietta ebbe dubbi e paure. E se Fra Lorenzo non avesse ben dosato il filtro? Se lei si fosse risvegliata prima dell'arrivo di Romeo, nel buio sepolcro... rischiava di impazzire per l'orrore. Alla fine, per amore del suo adorato sposo, bevve il liquido e si sdraiò sul letto. Immediatamente perse conoscenza. Quando, il mattino il conte Paride giunse a palazzo Capuleti, lo aspettò un'amarissima sorpresa. Davanti al corpo immobile di Giulietta, Messere e Madonna Capuleti piangevano tutte le loro lacrime per la morte della loro unica figlia. Il banco di nozze si trasformò in un banchetto funebre, i fiori che avrebbero dovuto essere sparsi lungo il cammino degli sposi, furono deposti sulla bara e tutta Verona pianse la dolce Giulietta. Dopo una breve sosta in chiesa, il corpo della fanciulla venne deposto nel sepolcro di famiglia.


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    Le cattive notizie corsero in fretta e Romeo seppe dell'amata prima che giungesse il messaggero con la lettera inviata da Fra Lorenzo per avvertirlo che quella morte non era reale ma apparente. Romeo rimase come fulminato, dapprima incredulo, poi travolto dalla disperazione. Ora l'unica cosa che gli restava da fare era rivedere per l'ultima volta l'amata nella tomba, e poi seguirne il destino. Subito corse a comprare un veleno potentissimo, poi salì a cavallo, pronto a partire. Galoppò per ore ed ore incurante della fatica e col dolore che gli stringeva il cuore in una morsa.Allo scoccare della mezzanotte giunse a Verona e raggiunse il cimitero dove sorgeva la cappella funebre della famiglia Capuleti. Smontò da cavallo, quando nel buio della notte risuonò una voce: "Vile Montecchi che fai qui?" Era il conte Paride che si trovava lì a piangere colei che avrebbe dovuto essere la sua sposa. Paride, naturalmente ignorava tutto delle nozze segrete tra Romeo e Giulietta e pensava che il giovane Montecchi volesse violare il sepolcro per un atto di oltraggio alla famiglia rivale. Romeo al buio non riconobbe la voce di Paride, ma sentì il rumore della sua spada.Lo stridere delle lame scalfì il silenzio della notte con un lamento soffocato, il conte Paride cadde a terra, trafitto da un colpo in pieno petto. Quando, al lume della torcia, Romeo scoprì l'identità di colui che aveva ucciso, promise a sé stesso di dargli onorata sepoltura accanto alla donna che ambedue avevano amato. Con una spranga, penetrò nella cappella e vi trascinò il corpo di Paride. Giulietta era composta in una bara bianca ed appariva bella, rosea in viso, che per un attimo Romeo pensò che dormisse.Ma fu una vana speranza, Giulietta giaceva lì, morta e a lui non restava che seguirne la sorte. Senza più esitare, baciò per l'ultima volta la sua sposa e bevve il veleno che in un attimo stroncò la sua vita. Nel frattempo Fra Lorenzo riceveva dal messaggero inviato a Mantova la notizia che non era stato possibile consegnare la sua lettera al destinatario, assente. Subito pensò, e colto da uno strano presentimento si diresse subito al cimitero. Quando vi giunse, notò con sorpresa che la cappella era aperta, e avvicinandosi, vide delle macchie di sangue e rabbrividì, sgomento. Lo spettacolo che lo aspettava all'interno era terribile ed agghiacciante: accanto alla tomba di Giulietta, giaceva il corpo senza vita di Romeo e più lontano quello di Paride. In quell'istante Giulietta aprì gli occhi e si guardò attorno e vedendo il frate accanto a sé si ricordò tutto. "E Romeo?" chiese. "Fuggi via da qui" disse il frate.

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    "Qualcosa di più grande di noi ha sconvolto i nostri piani. Fuggi Giulietta e seguimi!" disse dileguandosi. Rimasta sola, Giulietta vide Romeo riverso sul pavimento con la fiala di veleno ancora fra le mani. Giulietta fu talmente sconvolta che prese il pugnale di Romeo e, dopo aver sfiorato le labbra ancora calde del suo amore, se lo conficcò nel cuore. Intanto il principe di Verona e le guardie del suo seguito che avevano appreso entrarono nel sepolcro e, subito si fermarono ed arretrarono. Giulietta e Romeo giacevano l'una accanto all'altro, morti ambedue. Sui loro volti non c'erano segni di sofferenza, anzi sembrava che sorridessero, ed ora erano uniti per sempre. Mai più e niente al mondo , gli avrebbe più potuti separare.



    Edited by Lussy60 - 27/11/2011, 15:44
     
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    romeo e giulietta....

    le varie interpretazioni...


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    Romeo e Giulietta, ultimo Atto.




    A Broadway, Terence Granchester e Susanna Marlowe nei ruoli di Romeo e Giulietta si esibiscono alle prove della tragedia di Shakespeare.
    Un giorno durante le prove ci fu' un terribile incidente sul palcoscenico: cadde un pesantissimo riflettore dal soffitto e, Susanna pur di salvare Terence, si lancia su di lui per coprirlo con il proprio corpo, rimanendo cosi' ferita gravemente.
    Ella a causa delle gravissime condizioni in cui si trova le venne amputata una gamba.
    Cosi' Susanna non potendo recitare per la sera della prima venne sostituita da Karen Klies.

    Atto III scena Prima

    Luogo funebre con lampade accese, ove stanno le tombe de' Cappellii. Quella di Giulietta con iscrizione sarà in discreta eminenza con gradini a' piedi.
    Romeo, e Coro di Montecchii; Giulietta nella tomba.

    ROMEO:
    Ecco il luogo: ecco l'urna. Ahi vista atroce!
    ove beltà, ed amore,
    ove innocenza, e fede
    hanno tomba feral. Tributo amici
    di lagrime, e d'affanno
    s'offra alla spoglia sua. Quel freddo sasso
    innanzi a me schiudete:
    indi o fedeli miei meco piangete.

    (viene aperta la tomba, e si vede Giulietta)

    CORO:
    Lugubri gemiti
    sol qui risuonino,
    di meste lagrime,
    quest'urna spargasi,
    tributo misero
    del nostro cor.

    ROMEO:
    O mia Giulietta...

    CORO:
    O inesorabile
    morte tiranna!

    ROMEO:
    Io l'ho perduta!

    CORO:
    Ombra adorabile
    deh accogli i spasimi
    del nostro barbaro
    fiero dolor.

    ROMEO:
    Non più compagni: andate;
    solo restar desio, meco non bramo
    che il mio dolor crudel. Mi da conforto
    solo il barbaro affanno:
    ogni altro oggetto a me divien tiranno.

    (il Coro si ritira)

    ROMEO:
    O mia Giulietta! O sposa!
    Mai più ti rivedrò? Pensier funesto!
    O Giulietta infelice!
    Ma di te mille volte
    più misero Romeo! Tu almen non vedi
    le sue smanie crudeli; ed ei ti mira
    spoglia esangue dinanzi... o dolce sposa,
    anima mia, mia speme,
    t'ho perduta per sempre! oh dio che affanni!
    che duol! che angoscie estreme!
    Gela e avvampa il mio cor... palpita, e freme.

    ROMEO:
    Idolo del mio cor
    deh vedi il pianto mio,
    i gemiti, il dolor
    del tuo fedel.

    ROMEO:
    Ma che vale il mio duol? Mia bella speme,
    io ti sento; mi chiami
    a seguirti fra l'ombre: ebben m'aspetta,
    ti seguirò. Se a te compagno in vita
    non mi volle la sorte,
    teco m'unisca almen pietosa morte.

    (cava un'ampolla, e beve il veleno)

    Tranquillo io son: fra poco
    teco sarò mia vita; accogli intanto
    mia speme, anima mia
    questo ch'io verso per te ultimo pianto.

    ROMEO:
    Ombra adorata aspetta
    teco sarò indiviso,
    nel fortunato eliso
    avrà contento il cor.
    Là tra i fedeli amanti
    ci appresta amor diletti,
    godremo i dolci istanti
    de' più innocenti affetti;
    e l'eco a noi d'intorno
    risuonerà d'amor.

    (Giulietta gradatamente va rinvenendo)

    ROMEO:
    Odiosa mi si rende
    questa mia vita: ah già mi sento
    serpeggiar nelle vene
    un freddo gel di morte... ah sì; vicino,
    a te fra pochi istanti
    anima mia sarò: cara consorte...

    GIULIETTA:
    Romeo, Romeo...

    ROMEO:
    Qual voce!
    Eterni dèi!

    GIULIETTA:
    Romeo!...

    ROMEO:
    Ah chi mi chiama!

    GIULIETTA:
    La tua Giulietta.

    (scende dalla tomba)

    ROMEO:
    Dove son?... Deliro?
    Sei tu?

    GIULIETTA:
    Caro sposo.
    Deh m'assisti... Deh vieni.

    ROMEO:
    Ah come mai
    in vita tu ritorni?

    GIULIETTA:
    E che? No 'l sai?
    Fu simulata la mia morte.

    ROMEO:
    Spiegati.

    GIULIETTA:
    A te Gilberto amico
    tutto non palesò?

    ROMEO:
    Non mi fu nota
    che la tua morte. Io venni
    disperato alla tomba: e il mio dolore...

    GIULIETTA:
    A che ti trasse mai?

    ROMEO:
    Ah non ho core.

    GIULIETTA:
    Ahimè già vengo meno:
    deh mi palesa almeno
    del tuo destin l'orror.

    ROMEO:
    Sappi, che un rio veleno
    già mi serpeggia in seno,
    opra del mio furor.

    GIULIETTA:
    Ah che m'opprime l'anima

    ROMEO:
    il barbaro tormento:
    la pena ch'io mi sento
    più non mi può straziar.

    ROMEO:
    Che duol!... che fier tormento...
    mi sento già mancar.

    GIULIETTA:
    Ma che facesti barbaro!
    A tanto mal, riparo
    non si saprà trovar?

    ROMEO:
    Solo mi puoi compiangere
    idolo... amato... e caro;
    le forze... più non reggono...
    vedimi... oh dio... spirar.

    (muore)

    GIULIETTA:
    Romeo!... se n' muore... oh ciel, soccorso, aiuto.

    Atto III scena Seconda

    Gilberto con quattro Seguaci.

    GILBERTO:
    Eccomi pronto a te.

    GIULIETTA:
    Dagli occhi miei
    vanne spietato amico: ecco qual frutto
    ebbe la tua pietà.

    GILBERTO:
    Come! morto Romeo!...

    GIULIETTA:
    Sì: e la cagion tu sei... ma s'egli estinto
    è per mio amor, voglio seguirlo ancora:
    con questo brando tuo lascia che mora.
    (va per prendere la spada a Gilberto)

    GILBERTO:
    Ah no! t'arresta, oh dio!...
    Correte, amici andate,
    chiedete qualche aita.
    (i seguaci partono)

    GIULIETTA:
    È vana, indegno,
    la tua pietà, voglio morir.

    GILBERTO:
    T'affrena.
    L'intempestivo duolo a qual ti guida
    cieco insano furore?

    GIULIETTA:
    Ad appagare un disperato amore.

    Atto III scena Terza ultima

    Detti, e tutti gli altri.

    EVERARDO:
    Ed è pur ver? tu vivi ancor, mia figlia?

    GILBERTO:
    Deh! per pietà si salvi
    dal furor disperato, ond'ella è in preda.

    EVERARDO:
    Ma qual spoglia esangue io vedo? Romeo?

    GIULIETTA:
    Sì è desso, è desso, miralo,
    miralo pur, padre crudele, e sappi
    ch'egli morì per me mio sposo amante,
    e ch'io lo vo' seguir fida, e costante.

    EVERARDO:
    Ah, tu che dici mai?
    Quali eventi son questi?

    GILBERTO:
    In altro tempo
    tutto poi si saprà: cerchiamo adesso
    di salvare costei da un fiero eccesso.

    MATILDE:
    Giovane afflitta, e misera,
    possa il tuo cor ricevere
    quel che ti viene a porgere
    sollievo il nostro amor.

    EVERARDO:
    Figlia sgraziata incauta,
    vedi a qual tristo fato
    amor sì sconsigliato
    te riducendo va.

    GIULIETTA:
    Sprezzo l'accuse, e l'onte
    e sdegno il mio destino,
    or che al mio ben vicin
    morir io bramo ancor.
    Romeo... mia vita... oh dio!
    m'opprime il mio dolor.

    (cade svenuta su le sue donzelle)

    CORO:
    L'eccesso del duolo
    l'opprime, l'affanna,
    che giorno d'orror.

    EVERARDO:
    In quanti m'involse
    sventure il rigore:
    m'è il vivere molesto,
    e pena mi fa.

    CORO:
    Che esempio funesto
    un odio ci dà!

    Fine Atto III

    Ecco una breve storia di Romeo e Giulietta:

    Romeo, figlio ed erede della famiglia Montecchi, è innamorato della bella Rosalina e non teme di affrontare a questo riguardo gli scherzi dei suoi amici Benvolio e Mercuzio.

    Capuleti, il capo della famiglia rivale si prepara a dare una grande festa per permettere a sua figlia, Giulietta, di incontrare il Conte di Parigi. Quest'ultimo, in effetti, l’ha richiesta in matrimonio ed i genitori di Giulietta sono favorevoli a quest'unione. Romeo - che crede di trovarvi Rosalina - si autoinvita con gli amici Benvolio e Mercuzio a questo grande ballo mascherato. Scorge Giulietta e resta folgorato dalla sua bellezza cadendo follemente innamorato di lei; è il colpo di fulmine reciproco. Le si avvicina e l’abbraccia due volte quindi si ritira. Romeo e Giulietta scoprono adesso la loro identità reciproca. Disperati si rendono conto di essersi innamorati ciascuno del proprio peggior nemico.
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    Al cader della notte, Romeo si nasconde nel giardino del Capuleti. Quindi si avvicina sotto il balcone di Giulietta e le dichiara il suo amore. Tutti e due fanno a gara nel pronunciare dichiarazioni d’amore appassionate. Perdutamente innamorato, Romeo si confida il giorno dopo con fra Lorenzo, il suo confessore. Inizialmente incredulo, fra Lorenzo promette tuttavia a Romeo di aiutarlo e di celebrare il suo matrimonio, nutrendo anche la speranza di riconciliare Capuleti e Montecchi.

    Tebaldo cugino di Giulietta, sfida Romeo a duello. Ma il giovane - al colmo della felicità e pieno di una simpatia "fraterna" per l’aggressore - rifiuta di battersi. Mercuzio, il confidente ed amico di Romeo, giovane coraggioso e brillante, si affretta a sostituirlo battendosi contro Tebaldo. Quest'ultimo lo ferisce a morte. Mercuzio muore maledicendo il litigio delle due famiglie nemiche. Romeo vendica la morte del suo amico ed uccide Tebaldo. Romeo ormai ricercato deve fuggire in esilio.

    Giulietta è in preda al dolore. Suo padre, reso inquieto dallo stato d’animo della figlia, decide di accelerarne il matrimonio con il Conte di Parigi. Il matrimonio avrà luogo il giorno dopo. Giulietta si rifiuta. Suo padre la minaccia: o sposa il Conte, o la disereda. Lei corre da fra Lorenzo che le propone di bere un filtro che può darle l'aspetto della morta per quaranta ore: credendola morta la chiuderanno nella tomba del Capuleti. Fra Lorenzo verrà allora con Romeo a liberarla. Il frate promette di informare Romeo dello stratagemma. Giulietta accetta il piano. Rimasta sola nella sua camera, beve il filtro. La mattina del giorno dopo la governante la scopre inanimata. Tutta la famiglia piange la morte di Giulietta. Fra Lorenzo fa sì che tutto si svolga secondo i suoi piani.

    A Mantova, dove Romeo è in esilio, riceve la visita di Baldassarre, suo servo, che gli annuncia la morte di Giulietta. Ha soltanto un rapido pensiero: procurarsi del veleno e ritornare a Verona per morire accanto alla sua Giulietta. Durante questo lasso di tempo, fra Lorenzo apprende che un intoppo ha impedito al suo messaggero di informare Romeo del suo stratagemma. Decide di recarsi alla tomba del Capuleti per liberare Giulietta. Ma il dramma precipita.

    Romeo si reca sulla tomba di Giulietta e vi incontra il Conte di Parigi venuto a portare fiori alla fidanzata morta. Un duello ha luogo tra i due giovani e il Conte, morente, chiede a Romeo che accetta, di adagiarlo vicino a Giulietta. Romeo contempla la bellezza luminosa di Giulietta e l’abbraccia prima di bere il veleno e morire a sua volta. Fra Lorenzo è sconvolto nello scoprire i corpi di Romeo e del Conte di Parigi. Assiste al risveglio di Giulietta e tenta di convincerla a seguirlo e andarsi a rifugiare in convento. Ma Giulietta che scopre il corpo di Romeo mortogli vicino si pugnala con la spada del suo amante e muore al suo fianco.
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    Il principe, Capuleti, e il vecchio Montecchi si recano al cimitero. Fra Lorenzo narra loro la storia triste degli "amanti di Verona". I due padri sfiniti dal dolore deplorano quest'odio, causa delle loro disgrazia. Si riconciliano sul corpo dei loro figli e promettono di erigere alla loro memoria una statua d'oro puro.


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    Una bianca figura si affacciò al balcone fiorito: era Giulietta Capuleti, la figlia di uno dei più ricchi e potenti cittadini di Verona. Non riusciva a dormire, la bella e giovanissima Giulietta, perché per la prima volta il suo cuore spasimava d'amore.


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    E l'uomo che amava lo aveva incontrato quella sera durante un ballo ed era Romeo Montecchi, appartenente ad una famiglia rivale alla sua. Spesso era accaduto che Capuleti e Montecchi si scontrassero lungo le strade di Verona. Giulietta capiva che il suo era un amore impossibile, ma come poteva soffocare le ragioni del suo cuore? Romeo dichiarò subito alla bella fanciulla le sue intenzioni di sposarla, nonostante l'odio che divideva le due famiglie. "Lo faremo di nascosto, con l'aiuto di Fra Lorenzo, un mio amico" le disse baciandole la guancia e, lei, acconsentì, travolta da quell'amore così grande.


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    Con l'aiuto della nutrice, nel cuore della notte, Giulietta lasciò la sua casa e raggiunse il monastero dove il buon frate celebrò una breve cerimonia e subito rientrò nelle sue stanze, dopo aver promesso a Romeo di vederlo ancora la notte seguente, in giardino. Ma il destino aveva disposto diversamente. La mattina seguente Benvolio e Mercuzio, amici di Romeo, passeggiavano per le vie di Verona, quando si imbatterono in Tebaldo, cugino di Giulietta, un giovane di temperamento focoso, che subito li investì di minacce ed insulti. Mercuzio rispose a tono, mentre Benvolio cercava invano di mettere pace, quando giunse per caso Romeo. Desideroso di non attaccare briga col parente della sua dolce sposa, lui fece pure il possibile per placare gli animi e non reagì nemmeno quando Tebaldo lo aggredì: "Vigliacco!". Ma, se non reagì Romeo, lo fece invece Mercuzio, che ignaro di quanto era accaduto la notte precedente, non si spiegava il perché di tanta tolleranza da parte dell'amico.


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    E mal gliene incolse, perché con un colpo imparabile, Tebaldo lo uccise. Romeo, nel vedere l'amico morto non poté più trattenersi e seguì un secondo duello dove fu Tebaldo a pagare con la vita. Il duello si era svolto nel cuore della città, con numerosi spettatori e la notizia si diffuse ovunque. Sul luogo accorse il principe di Verona che subito proclamò:" Intendo far cessare queste risse che da anni insanguinano la città, quindi condanno Romeo all'esilio perpetuo!".

    Quando la notizia dell'accaduto giunse a Giulietta, ella cadde nella più cupa disperazione. Anche Romeo era disperato e dette sfogo al suo dolore nella cella di Fra Lorenzo dove aveva trovato temporaneo rifugio. "Lasciare Verona, non rivedere più Giulietta... meglio la morte!"gridava. Il buon frate cercò di calmarlo e di farlo riflettere. "Il principe si é mostrato indulgente, avrebbe potuto condannarti a morte, inoltre Giulietta ti ama ed é già tua sposa. Ascolta il mio consiglio Romeo; questa notte andrai in segreto a salutare Giulietta, poi partirai per Mantova e là resterai finché io non avrò trovato il modo di far accettare queste nozze alle vostre famiglie. In seguito vedrai che il principe ti perdonerà e potrai tornare a Verona." Quelle parole così sagge, placarono e diedero un po' di pace all'animo di Romeo. Al calar della notte, con mille precauzioni, Romeo raggiunse la stanza di Giulietta. Furono ore di gioia immensa, ma l'incanto si ruppe, quando il cielo cominciò a schiarirsi. Col cuore gonfio, Romeo salutò la sua sposa e si calò dal balcone, affondando fra i cespugli. Dovette affrettarsi a scomparire, perché se dopo l'alba le guardie del principe lo avessero scoperto ancora a Verona, sarebbe stata la morte per lui. Passarono i giorni. Giulietta consumava i suoi in tristezza e solitudine, in attesa della promessa finale. Una mattina le si avvicinò il padre, Messer Capuleti e le volle parlare.


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    "Figlia mia, ormai sei giunta in età di sposarti, ed io ho scelto per te la persona giusta; il conte Paride, un degno gentiluomo pieno di qualità". Giulietta all'udire quelle parole, impallidì, poi trovò la forza di obiettare:" Ma padre mio, la nostra famiglia é ancora in lutto per la morte di Tebaldo, non vi sembra indecoroso celebrare una cerimonia nuziale quando sono state appena concluse le cerimonie funebri?" Ma Messer Capuleti fu irremovibile. "No, non lo trovo affatto indecoroso ed é mia volontà che questo matrimonio si faccia al più presto. Se rifiuti non ti considererò più mia figlia!" rispose. Giulietta disperata, chiese consiglio alla nutrice ed insieme esaminarono ogni possibilità e alla fine giunsero alla conclusione che l'unica persona in grado di dare aiuto era Fra Lorenzo. Quella stessa mattina, Giulietta uscì di casa, accompagnata dalla nutrice, e si recò al monastero. Non appena Fra Lorenzo la vide intuì il motivo della visita, perché in città si parlava dell'imminente matrimonio della giovane figlia dei Capuleti col conte Paride. "Figliola cara, so in quale situazione ti trovi ed immagino il perché sei venuta fin qui" le disse. "Si Fra Lorenzo, senza il vostro aiuto sono perduta" esclamò piangendo Giulietta. "Sei disposta a tutto per uscire da questa situazione?" chiese Fra Lorenzo. "A tutto, piuttosto che contrarre un secondo matrimonio, vorrei essere sepolta viva!" disse Giulietta stringendo a sé il frate. Fra Lorenzo, allora frugò in un cofano e prese una fiala di vetro che lasciava trasparire un liquido scuro e disse: "Ecco, questa ti servirà..." così Fra Lorenzo le spiego tutto. Adesso Giulietta sarebbe tornata a casa assumendo un'aria lieta ed avrebbe comunicato a suo padre di aver cambiato idea e avrebbe acconsentito alle nozze con il conte Paride. "Lo farai Giulietta?" "Lo farò se siete voi ad ordinarmelo." disse la fanciulla. La notte precedente alla cerimonia, berrai il contenuto della fiala; é un filtro potente che avrà l'effetto di farti apparire per quarantadue ore, fredda e inanimata, come morta, mentre sarai solo addormentata. E morta ti crederanno i tuoi genitori e Paride. Secondo la tradizione, verrai portata in una bara scoperta fino al sepolcro di famiglia." Giulietta ascoltava ed annuiva. Ora cominciava a comprendere il progetto del buon frate e sperava. "Se veramente ti senti di affrontare questa terribile prova, ti garantisco che dopo ti risveglierai come da un sogno ed io nel frattempo avrò avvertito Romeo a Mantova. Lui verrà a Verona, di notte in gran segreto ed io stesso lo guiderò al tuo sepolcro. Poi insieme fuggirete e tornerete a Mantova." Giulietta strinse forte la fiala, tanto era l'amore per Romeo, che nulla poteva ostacolarla. Implorò la benedizione del frate e con la nutrice al fianco se ne tornò a casa. Subito si recò da suo padre e gli disse che era convinta al matrimonio col conte Paride nel giorno stabilito. Quelle nozze dovevano essere splendide e principesche e c'erano infiniti preparativi da fare per renderle tali. Giunse la sera, la vigilia del matrimonio, il momento fissato per bere il contenuto della fiala e, Giulietta ebbe dubbi e paure. E se Fra Lorenzo non avesse ben dosato il filtro? Se lei si fosse risvegliata prima dell'arrivo di Romeo, nel buio sepolcro... rischiava di impazzire per l'orrore. Alla fine, per amore del suo adorato sposo, bevve il liquido e si sdraiò sul letto. Immediatamente perse conoscenza. Quando, il mattino il conte Paride giunse a palazzo Capuleti, lo aspettò un'amarissima sorpresa. Davanti al corpo immobile di Giulietta, Messere e Madonna Capuleti piangevano tutte le loro lacrime per la morte della loro unica figlia. Il banco di nozze si trasformò in un banchetto funebre, i fiori che avrebbero dovuto essere sparsi lungo il cammino degli sposi, furono deposti sulla bara e tutta Verona pianse la dolce Giulietta. Dopo una breve sosta in chiesa, il corpo della fanciulla venne deposto nel sepolcro di famiglia.


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    Le cattive notizie corsero in fretta e Romeo seppe dell'amata prima che giungesse il messaggero con la lettera inviata da Fra Lorenzo per avvertirlo che quella morte non era reale ma apparente. Romeo rimase come fulminato, dapprima incredulo, poi travolto dalla disperazione. Ora l'unica cosa che gli restava da fare era rivedere per l'ultima volta l'amata nella tomba, e poi seguirne il destino. Subito corse a comprare un veleno potentissimo, poi salì a cavallo, pronto a partire. Galoppò per ore ed ore incurante della fatica e col dolore che gli stringeva il cuore in una morsa.Allo scoccare della mezzanotte giunse a Verona e raggiunse il cimitero dove sorgeva la cappella funebre della famiglia Capuleti. Smontò da cavallo, quando nel buio della notte risuonò una voce: "Vile Montecchi che fai qui?" Era il conte Paride che si trovava lì a piangere colei che avrebbe dovuto essere la sua sposa. Paride, naturalmente ignorava tutto delle nozze segrete tra Romeo e Giulietta e pensava che il giovane Montecchi volesse violare il sepolcro per un atto di oltraggio alla famiglia rivale. Romeo al buio non riconobbe la voce di Paride, ma sentì il rumore della sua spada.Lo stridere delle lame scalfì il silenzio della notte con un lamento soffocato, il conte Paride cadde a terra, trafitto da un colpo in pieno petto. Quando, al lume della torcia, Romeo scoprì l'identità di colui che aveva ucciso, promise a sé stesso di dargli onorata sepoltura accanto alla donna che ambedue avevano amato. Con una spranga, penetrò nella cappella e vi trascinò il corpo di Paride. Giulietta era composta in una bara bianca ed appariva bella, rosea in viso, che per un attimo Romeo pensò che dormisse.Ma fu una vana speranza, Giulietta giaceva lì, morta e a lui non restava che seguirne la sorte. Senza più esitare, baciò per l'ultima volta la sua sposa e bevve il veleno che in un attimo stroncò la sua vita. Nel frattempo Fra Lorenzo riceveva dal messaggero inviato a Mantova la notizia che non era stato possibile consegnare la sua lettera al destinatario, assente. Subito pensò, e colto da uno strano presentimento si diresse subito al cimitero. Quando vi giunse, notò con sorpresa che la cappella era aperta, e avvicinandosi, vide delle macchie di sangue e rabbrividì, sgomento. Lo spettacolo che lo aspettava all'interno era terribile ed agghiacciante: accanto alla tomba di Giulietta, giaceva il corpo senza vita di Romeo e più lontano quello di Paride. In quell'istante Giulietta aprì gli occhi e si guardò attorno e vedendo il frate accanto a sé si ricordò tutto. "E Romeo?" chiese. "Fuggi via da qui" disse il frate.

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    "Qualcosa di più grande di noi ha sconvolto i nostri piani. Fuggi Giulietta e seguimi!" disse dileguandosi. Rimasta sola, Giulietta vide Romeo riverso sul pavimento con la fiala di veleno ancora fra le mani. Giulietta fu talmente sconvolta che prese il pugnale di Romeo e, dopo aver sfiorato le labbra ancora calde del suo amore, se lo conficcò nel cuore. Intanto il principe di Verona e le guardie del suo seguito che avevano appreso entrarono nel sepolcro e, subito si fermarono ed arretrarono. Giulietta e Romeo giacevano l'una accanto all'altro, morti ambedue. Sui loro volti non c'erano segni di sofferenza, anzi sembrava che sorridessero, ed ora erano uniti per sempre. Mai più e niente al mondo , gli avrebbe più potuti separare.
     
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    Una bianca figura si affacciò al balcone fiorito: era Giulietta Capuleti, la figlia di uno dei più ricchi e potenti cittadini di Verona. Non riusciva a dormire, la bella e giovanissima Giulietta, perché per la prima volta il suo cuore spasimava d'amore.
     
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    ROMÉO ET JULIETTE





    opera in cinque atti di Jules Barbier e Michel Carré
    dalla tragedia Romeo and Juliet di William Shakespeare
    musica di Charles Gounod

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    L'opera è introdotta da un'ampia ouverture-prologue nella quale il Coro narra in sintesi il soggetto della tragedia, compiangendo i due sventurati giovani amanti.

    Atto primo
    A palazzo Capuleti è in corso una sfarzosa festa in maschera. Tra gli invitati vi sono Tebaldo, cugino di Giulietta, rampolla di casa Capuleti, e il nipote del duca di Verona, Paride, cui la giovinetta è destinata in sposa. Il ballo è interrotto dall'entrata in scena del padrone di casa che presenta l'incantevole figlia ai propri ospiti, riscuotendo la loro immediata ammirazione. Alla festa arriva un nuovo gruppo di giovani, tutti in maschera: fra loro vi sono, in incognito, Romeo, rampollo dei Montecchi, acerrimi rivali dei Capuleti, e il suo amico Mercuzio. Romeo, angustiato da strani presentimenti, è incerto se rimanere, ma Mercuzio lo consola attribuendo il suo stato agli influssi menzogneri di Mab, la regina dei sogni. Appare Giulietta e Romeo se ne innamora perdutamente. La ragazza nel frattempo sta confidando alla nutrice Gertude di non sentirsi pronta al matrimonio, di voler vivere spensieratamente ancora per un po' e di temere le sofferenze d'amore. Rimasta sola Giulietta, Romeo riesce ad avvicinarla e a dichiararle il proprio amore, suscitando in lei un'emozione profonda. Sopraggiunge Tebaldo che, riconoscendo Romeo dalla voce, ne svela l'identità. Giulietta scopre così che l'ignoto giovane appartiene alla famiglia nemica, e si allontana turbata. Tebaldo e i suoi pari stanno per aggredire Romeo, ma interviene Capuleti: la festa deve continuare, "lascia in pace questo giovane uomo, voglio ignorare qual nome egli porti"; Romeo si allontana, portato via da Mercuzio.

    Atto secondo
    È notte. Abbandonati i propri compagni, Romeo si introduce furtivamente nel giardino dei Capuleti. Contemplando la finestra della camera di Giulietta, invita la giovane ad affacciarsi, lodandone la bellezza. Giulietta appare al balcone e fra i due è subito un effluvio di parole d'amore appassionate. Ad un tratto il loro incontro è interrotto dall'arrivo di Gregorio e altri servitori che sospettano la presenza di un intruso. A cacciare il gruppo pensa Gertrude, e i due giovani possono riprendere il loro dialogo amoroso finché la nutrice non richiama Giulietta in camera. Romeo si allontana augurando una dolce buonanotte all'amata.

    Atto terzo
    Giulietta, accompagnata da Gertrude e Romeo, sono da padre Lorenzo affinché questi li unisca in matrimonio. Toccato dal loro amore e sperando che la loro unione possa rappacificare le due famiglie da troppo tempo nemiche, il religioso accetta. Terminata la cerimonia, Giulietta si allontana in attesa di rivedere Romeo più tardi.
    Nei pressi di palazzo Capuleti, il paggio di Romeo, Stefano, in cerca del proprio padrone, sta canticchiando un motivetto scherzoso su una tortorella che presto fuggirà, per amore, dal nido. Udendolo, Gregorio vi coglie un'allusione a Giulietta e, furibondo, in compagnia di altri valletti sfida Stefano a duello. Accorrono Mercuzio e Tebaldo, che si schierano l'uno col paggio, l'altro con Gregorio. Sopraggiunge Romeo che invano cerca di ristabilire la pace. Il suo intervento resta inascoltato, anzi, Tebaldo dapprima lo accusa di viltà e poi uccide Mercuzio. La morte dell'amico scatena la reazione di Romeo che si avventa su Tebaldo trafiggendolo a morte.
    Il duca di Verona, entrato in scena sul finire della contesa, stigmatizza l'odio fra le due famiglie rivali e condanna Romeo all'esilio intimandogli di lasciare la città entro l'alba.

    Atto quarto
    È notte. Romeo è nella stanza di Giulietta per trascorrere con lei la notte prima della partenza. Al canto dell'allodola i due giovani devono lasciarsi; per Romeo è l'ora di abbandonare Verona. Rimasta sola, Giulietta riceve la visita di Capuleti che, accompagnato da padre Lorenzo, annuncia alla figlia le imminenti nozze con Paride. Uscito Capuleti, padre Lorenzo convince Giulietta a seguire un suo piano: la giovane dovrà bere una pozione che le provocherà una morte apparente, unico modo per sottrarsi al matrimonio. Al risveglio potrà fuggire con Romeo che, nel frattempo, lui stesso provvederà ad avvertire dello stratagemma. Giulietta accetta, ingerisce la pozione e quando la cerimonia nuziale ha inizio cade a terra esanime tra lo sgomento generale.
    Nel frattempo padre Lorenzo apprende da un confratello che il suo messaggio per Romeo non è giunto a destinazione.

    Atto quinto
    Ignaro dunque di tutto, Romeo, avuta notizia della morte di Giulietta, si reca nella cripta dei Capuleti e, alla vista del corpo dell'amata, disperato le dà un ultimo bacio e si avvelena. In quel mentre Giulietta si ridesta. I due innamorati fanno appena in tempo ad abbracciarsi un'ultima volta, Romeo muore e Giulietta, vedendo il flacone vuoto, intuisce l'accaduto e si uccide trafiggendosi col pugnale dell'amato.


    Romeo in calzamaglia? No, grazie.
    Note di regia di Andrea Cigni


    Il lavoro nasce dall'ascolto. Ascolto della musica e ascolto del testo. La musica mi ha suggerito un colore: il blu intenso, il testo mi ha suggerito il contesto: un luogo a-temporale e il più possibile vicino a noi. E così è iniziato il lavoro.
    A mio avviso pensare a una storia lontanissima nel tempo e favolistica non fa bene a Roméo et Juliette. I temi narrati, le storie portate in scena, le passioni, l'odio, i contrasti, l'amore, non possono trovare collocazione in uno spazio e in un tempo che non riconosciamo come nostro. Devono essere vicini, tangibili, verificabili e dunque espressi in modo vero. Non riesco ad affezionarmi ad un Romeo in calzamaglia e piumetta in testa e non riesco a pensare ad una Giulietta imbellettata in un vestitino cinquecentesco affacciata da un balconcino di cartapesta con una lunga treccia bionda. Forse neanche Shakespeare ha mai pensato questo quando ha scritto la storia. Mi riesce più facile vedere due ragazzi che potrei incontrare ovunque, due storie che si incrociano, due destini che cercano di unirsi tra le difficoltà di due famiglie che non si stimano, di due fazioni che si oppongono con forza alla nascita di un bene superiore tra due persone.
    Ovviamente la musica non chiede stravolgimenti imbarazzanti, basta poco, basta seguirla e assecondarla. Nel movimento, nelle curve, nelle sinuosità, nei ritmi. La pulizia di una scena neutra che sia a servizio della recitazione dei cantanti è il luogo in cui tutto si svolge. L'agone drammatico del teatro.
    Dunque una stanza, del colore che la musica mi ha suggerito, con le caratteristiche di neutralità e pulizia che lo spazio deve avere. Un dentro che si apre all'esterno, un fuori che introduce ad un interno. La sala di casa Capuleti, ma anche il giardino con il balcone di Giulietta, la camera da letto dove si consuma la prima notte d'amore tra i due, la cripta dove lei viene sepolta e dove assieme a Romeo troverà la morte. È sempre lo stesso spazio, che si muove, si modifica con la luce e col buio, con le aperture e le chiusure, lasciando campo ai veri protagonisti dell'opera: musica e canto che creano dei percorsi visivi e auditivi.
    In quest'ottica la recitazione degli interpreti deve essere vera, non enfatica, espressiva, teatrale, drammaticamente corretta e il canto deve guidare in modo chiaro i sentimenti, le sensazioni, il racconto. Non serve altro per conoscere e amare questa storia che narra il tema universale e senza tempo dell'amore. Basta portarla il più vicino possibile a noi, per cercare delle affinità, per affezionarsi ai protagonisti e vivere con loro quello che loro stanno realmente vivendo.


    Amori e peripezie di Romeo e Giulietta
    di Daniele Spini


    Verona - Londra - Parigi - Firenze - Roma - Parigi - Lipsia...
    Fra i tanti eroi dell'arte che il Romanticismo europeo innalzò a oggetto di culto, William Shakespeare fu probabilmente il più amato: tradotto un po' in tutte le lingue e portato sulle scene dai maggiori attori di ogni paese. Inevitabile che le maggiori culture musicali dell'Ottocento si rivolgessero ai suoi drammi più popolari per ricavarne libretti d'opera, o ispirarvi composizioni d'altro genere, secondo la tendenza a dilatare il suono in teatro, anche se puramente immaginario, che fu caratteristica delle correnti più estreme e sulfuree dell'età romantica. L'Italia non mancò all'appuntamento, e non arrivò certo in ritardo: già del 1816, in una Napoli ancora legata agli ideali antichi del belcanto e dell'opera seria, Gioachino Rossini metteva in musica Otello, su libretto del marchese Francesco Berio di Salsa, impegnandovi ben sei voci di tenore, fra le quali quella del protagonista.
    Altrettanto inevitabile che finisse in musica il testo che meglio di ogni altro narrava il tema prediletto del melodramma di ogni paese, l'amore infelice, la vicenda struggente e straziante di due cuori separati da un condizionamento precedente ed estraneo al loro sentimento, e - almeno nei termini di una possibile realizzazione terrena - più forte di loro: Romeo e Giulietta.
    Fra le non poche incarnazioni musicali della storia dei due innamorati di Verona, una delle prime in ordine di tempo parlava anch'essa italiano, e fu musicata nel 1825 dal marchigiano Nicola Vaccaj su un libretto di Felice Romani, il classicista ligure cui toccò scrivere i versi per i maggiori capolavori del nostro primo romanticismo operistico, e in particolare per quelli di Vincenzo Bellini. Il quale a distanza di quattro anni e mezzo affrontò a sua volta l'argomento, musicando in tempi molto ristretti giusto lo stesso libretto usato da Vaccaj per Giulietta e Romeo, sottoposto agli adattamenti necessari a cominciare dal titolo, che spostava l'attenzione dai protagonisti al contesto familiare: I Capuleti e i Montecchi, rappresentati per la prima volta a Venezia nel 1830.
    Poco dopo, lo choc di un giovanissimo ascoltatore francese davanti alla musica italiana e a Shakespeare interveniva a innescare indirettamente un altro importantissimo capitolo nella storia musicale di Romeo and Juliet. Nella controversa ma intensissima storia dei rapporti fra la cultura musicale italiana e quella francese Rossini, come si sa, ebbe un posto di primo piano, dopo che si andò a insediare a Parigi come una sorta di re dell'opera di entrambi i paesi. Per presentare le opere del suo periodo napoletano in una città nella quale il senso della nazionalità era non meno forte delle barriere fra i generi, senza doverle tradurre e dilatare in Tragédies Lyriques come sarebbe stato necessario per poterle dare all'Opéra, Rossini disponeva di una sede ideale, il Théâtre Italien. Qui nel gennaio del 1831 ebbe la ventura di assistere a una rappresentazione dell'Otello un ragazzino di dodici anni e mezzo, Charles Gounod. Allievo del Lycée Charlemagne, aveva già dimostrato vivo interesse per la musica, più ancora che per la pittura, arte praticata da suo padre: ma lo choc di quello spettacolo risultò decisivo. Sia stato merito di Shakespeare (per quanto della sua immagine poteva affacciarsi al liceale nel libretto italiano del marchese Berio), o della musica di Rossini, o del firmamento di stelle del canto capitanato da Maria Malibran, Giovanni Battista Rubini, Antonio Tamburini e Luigi Lablache, il giovanissimo Charles quella sera tornò a casa, raccontò poi, "in rotta totale con la vita reale, e completamente installato in quel sogno dell'ideale che era divenuto la mia atmosfera e la mia idea fissa". La decisione era presa: sarebbe stato compositore, e avrebbe scritto un Otello. La seconda di queste opzioni non ebbe seguito: ma la prima, come si sa, ne ebbe eccome.
    In quello stesso anno giungeva in Italia, ribollente di entusiasmi e furori musicali e non, il ventisettenne Hector Berlioz, vincitore dell'ambitissimo Grand Prix de Rome, che fruttava ai giovani artisti che lo conquistassero un soggiorno di tre anni a Villa Medici. Capitato a Firenze nel febbraio del 1831, lo Shakespeare in salsa musicale italiana provocò un bello choc anche a lui, di segno uguale e contrario, ma altrettanto fecondo, e con conseguenze ben più dirette per quel che riguarda la storia francese di Romeo e Giulietta in musica. Vedendo in cartellone alla Pergola I Capuleti e i Montecchi il giovane fanatico di Shakespeare si affrettò a comprare il biglietto, sperando di vivere emozioni degne dell'argomento a lui caro. Il finale gliene concesse qualcuna: ma Romeo affidato a un contralto, il libretto "misero" (anche perché privo delle situazioni più spettacolari e delle componenti comiche e fantastiche), per colpa delle "meschine abitudini" dei teatri italiani, lo indignarono contro il "petit polisson nommé Bellini", suggerendogli auspici addirittura funesti contro quel "monello": "e l'ombra di Shakespeare non è venuta a sterminare questo mirmidone!... Oh, i morti non tornano".
    Un terzo choc, ma in terra tedesca, e precisamente a Lipsia, lo visse nel 1834 Richard Wagner, quando a ventun anni vide e sentì Wilhelmine Schröder- Devrient, il grande soprano che avrebbe poi tenuto a battesimo i suoi primi capolavori, giusto nei Capuleti di Bellini: esperienza che contribuì in misura determinante alla sua decisione di essere compositore, e compositore per il teatro. Non avrebbe mai scritto un Romeo e Giulietta: ma più tardi, almeno in parte, avrebbe saputo far suo anche quell'argomento.
    Non passò molto tempo, e Berlioz si premurò di far le vendette del Bardo, così profanato dagli italiani, creando il primo grande trapianto in Francia e in francese di un suo dramma, e scegliendo giusto Romeo and Juliet. All'insegna di una cultura ricercata e di una visione artistica originale e arditamente ideale nacque Roméo et Juliette, "symphonie dramatique" - in cui il testo era letto per dir così a distanza, e sintetizzato nelle "paroles" di Émile Deschamps, ma sostanzialmente evocato dal solo suono strumentale, in un teatro senza scene e personaggi (perlomeno senza che ai due protagonisti desse vita la voce umana, tantomeno con i ruoli en travesti e le cabalette di un'Italia ai suoi occhi artisticamente troglodita) - eseguita al Conservatorio di Parigi il 24 novembre 1839, sotto la direzione di Berlioz stesso.
    Pochi giorni prima della prima, a una delle prove fu presente Charles Gounod. Ventun anni e mezzo, studente fra i più brillanti del Conservatorio e grande ammiratore di Berlioz, aveva appena vinto a sua volta il Prix de Rome, e stava giusto preparando le valigie. L'impressione fu enorme. Pochi giorni dopo Gounod andò a trovare Berlioz, e lo fece rimanere di stucco suonandogli a memoria la frase di Frate Lorenzo "Jurez tous par l'auguste symbole!".
    Forse proprio quell'emozione lega insieme le due maggiori traduzioni musicali di Romeo and Juliet: entrambe francesi, e destinate a rimanerne rispettivamente la più illustre, giacché a questo aspirava la sinfonia di Berlioz, e la più fortunata, anche perché sviluppata da Gounod nei termini più tranquilli di un'opera lirica in piena regola.
    Ai primi di dicembre Gounod partì per andare a godersi le sue operose vacanze romane sotto l'ala protettrice di Dominique Ingres, il grande pittore che amabilmente tiranneggiava i pensionnaires di Villa Medici. E là, poco più di un anno più tardi, ecco Gounod cimentarsi nel suo primo tentativo operistico. È un'opera italiana, su un libretto in italiano: lo stesso Romeo e Giulietta di Felice Romani che tanto aveva scandalizzato Berlioz. Ma smise presto, e di questa impresa datata 1841 ci resta soltanto qualche foglio di abbozzi.

    Parigi, i suoi teatri, Saint-Raphaël...
    Tornato in patria, Gounod si avviò verso l'età adulta conquistandosi passo dopo passo, nonostante le crisi a volte gravissime che periodicamente venivano a tormentare il suo spirito, spingendolo a trovar conforto nella religione, un posto di primissimo piano tra gli operisti francesi. Ecco quindi fra il 1850 e il 1864 susseguirsi sulle scene parigine ben otto dei dodici titoli nei quali si sarebbe concretato il suo lascito in questo campo: dapprima all'Opéra, poi anche all'Opéra-Comique, ma soprattutto, dal 1857 in poi, in un nuovo spazio destinato a favorire decisamente l'evoluzione del teatro musicale francese, e in particolare di quello di Gounod: il Théâtre Lyrique, fondato nel 1851 e a lungo diretto da uno degli impresari più geniali e innovativi di allora, Léon Carvalho. Opéra e Opéra-Comique vincolavano librettisti e compositori al rispetto di abitudini talmente ferree da esser divenute leggi vere e proprie, anche a tutela del carattere rigorosamente nazionale della produzione: soggetto storico, grandi dimensioni, gran numero di personaggi e cospicuo impiego del coro, impianto spettacolare poderoso con ampio ricorso alla scenotecnica, ampi episodi danzati e via così per l'una; per la seconda, argomenti giocosi e leggeri con lieto fine scontato, scrittura brillante e disinvolta delle parti vocali, e dialoghi parlati anziché recitativi in musica. Il Théâtre Lyrique invece si apriva a una maggior internazionalità e soprattutto, lasciava un po' più liberi gli autori, favorendo quindi anche una moderata sperimentazione. Fu la culla del genere che poi si è voluto identificare come "Opéra-Lyrique": sempre francese, e non soltanto per l'impiego della lingua nazionale: per esempio quando nel 1865 Giuseppe Verdi volle portarci il Macbeth dovette aggiungerci i ballabili, come se fosse un Grand-Opéra; mentre era normale che chi toccava un soggetto più lieve ricorresse ai parlati, come in un Opéra-Comique vero e proprio, come sempre per fare un esempio, capitò a Gounod quando nel 1859 vi presentò la prima versione di uno dei suoi massimi capolavori, Faust (anche in questo accostamento a una fonte letteraria quanto mai illustre era già stato preceduto da Berlioz, e sempre in termini non operistici, con le giovanili Huit scènes de Faust e poi con La damnation de Faust, "légende dramatique" eseguita senza troppo successo nel 1846). Passando da un teatro all'altro, e di conseguenza da un genere all'altro, Faust si conquistò uno status di opera vera e propria con l'inserzione dei recitativi invece dei parlati, fino ad accogliere i ballabili per approdare sulle scene dell'Opéra, e peraltro perderli in alte occasioni: una storia complessa, che oggi ci lascia con molte incertezze ogni volta che si debba scegliere un assetto testuale rispettabile per una partitura comunque popolarissima in barba alla filologia. Né a questo destino sfuggì anche l'altro grande successo di Gounod: Roméo et Juliette, scritto appunto per Carvalho e per il Théâtre Lyrique.
    La scelta definitiva del soggetto per quella che sarebbe rimasta come la nona (e quart'ultima) opera di Charles Gounod risale al 1865. Da principio era stato in lizza con un altro, una commedia di Eugène Scribe ed Ernest Legouvé, Les contes de la reine de Navarre: ma "con l'amore non si scherza", scrisse Gounod a Legouvé, evocando la scena del balcone: "Giulietta mi ha teso il famoso filo con il quale voleva 'pescare' Romeo".
    Per Roméo et Juliette Gounod tornò a collaborare la sperimentata coppia di librettisti (nel teatro francese di un tempo i poeti lavoravano sempre in due, come si diceva una volta delle suore e dei carabinieri), che gli aveva fornito, fra gli altri, il testo di Faust: Jules Barbier e Michel Carré, evidentemente specializzati (altra abitudine largamente presente nella Francia dell'Ottocento) nella riduzione operistica di grandi monumenti della letteratura, visto che misero nel loro carniere due Shakespeare e due Goethe, equamente spartiti fra Gounod e Ambroise Thomas, per il quale avevano cucinato un Hamlet e una Mignon, oltre a un Dante Alighieri, Françoise de Rimini, sempre per Thomas, e anche E.T.A. Hoffmann, con il dramma Les contes d'Hoffmann, da cui poi il solo Barbier trasse il libretto per il capolavoro di Jacques Offenbach. I due agirono con estrema efficienza e saggezza, e confezionarono un libretto assai ben costruito, che ricalca l'articolazione in cinque atti del play di Shakespeare, mantenendo anche un prologo introduttivo, e in linea di massima distribuisce il racconto lungo la successione degli atti in maniera più o meno analoga all'originale. Diversissima invece l'ambientazione: se Shakespeare cambia scena più di venti volte, passando continuamente da spazi aperti a luoghi chiusi, addirittura portando Romeo a Mantova al principio del quinto atto, Barbier e Carré, avendo a che fare con consuetudini ben diverse da quelle del teatro di prosa inglese di fine Cinquecento, e soprattutto con strutture sceniche assai meno duttili e agili, si assicurano una sostanziale continuità, concentrano l'azione in soli sette quadri (legandone due insieme con un cambiamento a vista, nel quarto atto), e per ottener ciò dovettero inevitabilmente collocare qualche episodio in una situazione differente da quella scelta da Shakespeare, e modificare la successione di alcune scene in modo da accorpare in un solo quadro gli eventi ambientati o ambientabili in un medesimo luogo. Altro intervento pressoché indispensabile quando si passi dai tempi serrati della prosa a quelli tanto più distesi della parola cantata, l'amputazione di episodi non fondamentali e la riduzione del numero dei personaggi (spariscono, per esempio, papà Montecchi e le due madri): compensata, però, almeno in parte, dalla presenza massiccia del coro e dall'introduzione della figuretta di Stéphano.
    Una buona parte della composizione nacque nella primavera del 1866 in Costa Azzurra, nella villa detta "L'oustalet dou capelan", la locanda del cappellano, a Saint-Raphaël, ove Gounod era fuggito, via dalla pazza folla, in cerca di quiete per i suoi poveri nervi; il resto fu scritto nella villa di Saint-Cloud che fu la sua residenza principale. Al principio del 1867 la partitura era completa e pronta per l'esecuzione.

    In musica

    In un primo tempo Gounod concepì Roméo et Juliette con i dialoghi parlati, nello stile dell'Opéra-Comique, segno che tante vecchie abitudini erano dure a morire persino su una scena aperta al nuovo come il Théâtre Lyrique. Ma cambiò idea abbastanza presto (Faust aveva già ricevuto i recitativi, del resto), e ne onorò il carattere di opera dal forte contenuto sentimentale e dalla dimensione cosmopolita (e anche più facilmente esportabile) con una partitura musicata da cima a fondo, come quelle di Verdi o di Wagner. Assegnò una netta prevalenza agli aspetti più propriamente lirici, come attesta la presenza di ben quattro duetti dei protagonisti, forse un record (pochi anni prima Verdi con La forza del destino aveva toccato l'eccesso opposto: un'opera in quattro atti, in cui tenore e soprano si incontrano soltanto nella prima e nell'ultima scena dell'opera, e un duetto d'amore vero e proprio non ce l'hanno nemmeno. Mentre sempre a breve distanza di anni Richard Wagner aveva fatto del duetto, anzi di una sorta di iperduetto d'amore, il tronco centrale dell'atto di mezzo di un dramma musicale che secondo il sincretismo che gli era tipico, oltre che al ciclo medievale evocato dal titolo, Tristan und Isolde, in molte cose si rifaceva al mito di Romeo e Giulietta: pagando un tributo musicale non indifferente allo stesso Roméo et Juliette di Berlioz che tanto era piaciuto a Gounod ragazzo, evidente nella clamorosa somiglianza fra il grande motivo cantabile della Scène d'amour e quello del Liebestod di Isotta). Muti o impersonati dal suono strumentale in Berlioz, in Gounod Romeo e Giulietta hanno, come ragion comanda, la voci di un tenore - tenore lirico, decisamente - e di un soprano, abbastanza chiaramente inteso nel solco di una tradizione di leggerezza e agilità quale anche con quest'opera si andava precisando nella cultura musicale francese. Quattro dei cinque atti di Gounod consentono un incontro e quindi un dialogo a questi due amabili protagonisti (protagonisti assoluti: non c'è vilain o figura sacerdotal-paterna che riesca a distogliere la nostra attenzione dalla loro storia d'amore, certo più pietosa d'ogni altra, come ci ricorda il Principe nelle ultime parole del dramma di Shakespeare, ma anche più d'ogni altra capace di farsi simbolo stesso del sentimento che è "sol dell'anima", se dobbiamo credere a un altro e ben più immorale Duca melodrammatico). Manca un duetto vero e proprio nel terzo: nel quale però si trovano a intrecciare lo stesso le loro voci, unendole a quella di un terzo incomodo per una volta graditissimo, visto che si tratta di Frate Lorenzo che li sta unendo in un matrimonio forse non in piena regola, ma abbastanza valido da spingerli nell'atto successivo al più ampio e intenso dei quattro duetti, al risveglio di una "nuit d'Hymenée, douce nuit d'amour" vissuta, come si conviene, lontano dai nostri occhi e dunque anche dalle nostre orecchie, in una parte del terzo atto che non sarebbe stato possibile né utile scrivere e musicare. Tanto dispiego di lirismo è ulteriormente corroborato da quasi tutti gli altri interventi dei due innamorati, e in particolar modo dalle loro uscite solistiche: fra le quali si impongono come momento di straordinaria espansione canora la bellissima "cavatine" di Roméo nel secondo atto ("Ah! Lève-toi, soleil!") e, come culmine di espressione drammatica, la grande aria di Juliette "Amour, ranime mon courage" nel quarto. In complesso, le vicende musicali dei due protagonisti seguono abbastanza da vicino lo stesso itinerario stilistico di tutto il resto dell'opera, che si sposta via via da situazioni serene e giocose a espansioni aperte del sentimento, e da queste a un'impostazione sempre più irrecuperabilmente tragica. Ecco dunque, dopo una sorta di "avvertimento agli spettatori" quanto mai efficace affidata a una sintetica e rapida "Ouverture-Prologue", prevalere nel primo atto gli aspetti brillanti: la festa dei Capuleti, lo scatto fantastico di Mercutio nell'evocazione della Regina Mab, ma anche un primo incontro fra i due mantenuto nei limiti di una aggraziatissima conversazione nel "Madrigale a due voci" "Ange adorable". Nel secondo atto vediamo invece farsi strada l'aspetto più propriamente sentimentale: l'aria di Roméo, appunto, ma anche il secondo duetto, che poi è il primo vero duetto d'amore. Nel terzo svoltiamo verso una drammaturgia più serrata: con il matrimonio segreto prima, e soprattutto nel secondo quadro. Che si apre su un effimero ma teatralmente formidabile ritorno al brillante, con la vivacissima canzonetta di Stéphano (ruolo travestito, affidato a un soprano leggero, riconducibile alla tipica categoria francese del "Fugarono", che distanziandosi da Shakespeare innesca la rabbia dei Capuleti, sostituendosi alle beffe di Mercuzio; ma si chiude con la duplice effusione di sangue nei duelli del finale, detto appunto "Final des duels"). Nel quarto vengono a stringersi indissolubilmente amore (finalmente e gloriosamente consumato) e morte (già manifesta per Mercutio e Thybalt: una vittima per parte, nella faida interminabile di Montecchi e Capuleti, e forse intravista come destino ultimo per gli stessi Juliette e Roméo): si fonderanno definitivamente nel quinto atto, così come nella musica di Gounod vi si fondono, in una miscela non più scindibile, tragedia e lirismo.
    Quanto sopra è, anzitutto e ovviamente, nel libretto, e prima ancora (ancor più ovviamente) in Shakespeare. Ma su un terreno così ben predisposto la musica di Gounod (un Gounod quasi cinquantenne, forte di otto importanti esperienze teatrali, fra le quali un capolavoro assoluto come il Faust) viene a distendersi non come un semplice valore aggiunto, ma al contrario come elemento indispensabile per la effettiva realizzazione in termini melodrammatici di quello che altrimenti resterebbe un canovaccio funzionale, lavorato da Barbier e Carré con eccezionale abilità e professionalità (anche nella stesura dei versi, molto studiata e ricercata sotto il profilo lessicale e ritmico). Gounod non era il Berlioz visionario degli anni Trenta, e non ambiva a confrontarsi con Shakespeare facendo teatro con il muto suono dell'orchestra e sintetizzando l'azione in quadri più emotivi che non narrativi: e con tutto l'amore che poteva avere avuto da ragazzo per il Roméo et Juliette del collega più anziano, non gli sarebbe mai saltato in mente di creare un teatro immaginario come quello della "sinfonia drammatica" che tanto l'aveva affascinato nel 1839 (può non essere inutile ricordare che a esaltarlo non era stata la poesia surreale, arditissima, quasi novecentesca, del suono puro che precorre la scena presso le tombe di Capuleti, ma una frase di Frate Lorenzo, in quel finale quasi normalmente melodrammatico di cui Berlioz non aveva saputo fare a meno). Come già da ragazzo quando si era messo a musicare il libretto di Romani, egli voleva fare un'opera, un'opera in piena regola, capace di gareggiare con quelle di Thomas, o di Verdi, venuto come s'è visto ad affacciarsi anche al Théâtre Lyrique, e giusto in quel torno di tempo in procinto di aggredire per la terza volta l'Opéra, con il grandioso Don Carlos. Ma non era neanche Verdi, né gli assomigliava: perlomeno non al Verdi sperimentale e a volte estremo di quegli anni di mezzo. Tantomeno assomigliava a Wagner, né ambiva al dramma musicale. Né intendeva porsi altro problema se non quello, in realtà tutt'altro che secondario, di creare un capolavoro sempiterno destinato a farsi amare da milioni e milioni di persone, in ogni parte del pianeta. Melos caldo e generoso, spesso di presa immediata e di immediata memorizzazione da parte dell'ascoltatore, gonfio di sentimento e specialmente suggestivo quando si trova a esprimere il dolore, ma sorvegliato anche nei momenti di maggior tensione espressiva; strumentazione sapiente, come si conviene a un compositore di cultura internazionale e aggiornato, morbida o elegante o incisiva a seconda di quanto suggerisca e richieda la situazione scenica; armonia semplice (lungi ogni sospetto di wagnerismo), ma estremamente raffinata, attenta a bilanciare perfettamente ricchezza e chiarezza: questi i connotati sonori, e le carte perennemente vincenti, di un'opera al tempo stesso commovente (e commovente fino a farsi straziante, via via che il destino dei due amanti si avvita su se stesso, schiacciandoli), ma anche lieve e scorrevole come un romanzo, o forse anche come una favola, in cui vicende aspre e cruente riescono a farsi incorniciare da momenti di autentico virtuosismo (non soltanto canoro), all'insegna di una insopprimibile esigenza di equilibrio.

    La prima, e poi...
    Si andò in scena il 27 aprile 1867. Nei ruoli principali Caroline Miolan-Carvalho (moglie dell'impresario del Théâtre Lyrique) e Pierre-Jules Michote. Fu un trionfo, la consacrazione definitiva della gloria e della popolarità di Charles Gounod: che la pagò con ulteriori crisi nervose e spirituali. Tornò nella sua amata Roma, poi si fermò per tre anni in Inghilterra, ospite, e forse anche un po' prigioniero, dei coniugi Weldon, e soprattutto di lei, una cantante venuta a sostituire almeno come fonte di conforto una moglie sempre più distante da lui. In questo periodo, e in sua assenza, Roméo et Juliette, che già stava felicemente percorrendo i teatri di tutta Europa, fu ripreso all'Opéra-Comique. Dell'esecuzione, e delle modifiche da apportare alla partitura un po' per ripensamenti di Gounod e un po' per adattarla alle consuetudini del teatro, si occupò Georges Bizet: questa nuova versione, alleggerita di alcuni pezzi fra i più spettacolari o drammatici e quindi resa più digeribile a un pubblico evidentemente troppo frivolo (lo avrebbe imparato a sue spese lo stesso Bizet due anni dopo, presentandovi disastrosamente la sua ben altrimenti cruda e rovente Carmen) fu rappresentata nel 1873. Nel 1888, quando Gounod era da tempo rientrato in Francia e nel seno della famiglia, ci fu una terza edizione di Roméo et Juliette: stavolta l'attendeva la scena tragica e massima, l'Opéra. La partitura recuperò quindi i pezzi d'insieme espunti all'Opéra-Comique, ma perse la grande aria di Juliette al iv atto, forse perché a gonfiarlo oltre i limiti della prudenza interveniva l'inevitabile divertissement danzato, che Gounod vi inserì in ossequio alle tradizioni del teatro ma che non è mai entrato davvero a far parte della partitura che si esegue normalmente. Alla quale, forse, prima o poi sarebbe il caso che si ponesse mano in termini filologici, con un'edizione critica che faccia ordine fra le diverse stesure e offra all'esecuzione la scelta fra assetti diversi ma ciascuno coerente e unitario. Ma non certo perché ne abbia bisogno un pubblico che da un secolo e mezzo ama quest'opera di un amore gentile e tenace, senza porsi gli scrupoli dei quali invece la storia, forse per giustificare in termini oggettivi proprio l'amore degli ascoltatori, sembra oggi non poter più fare a meno.
     
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    Giulietta e Romeo




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    Il mito di Giulietta e Romeo è sicuramente una delle più belle opere di William Shakespeare e le vicende da lui narrate, sono divenute talmente famose da tramutare, nell''immaginifico popolare, la leggenda in realtà.

    Tant 'é che a Verona, dove il dramma d''amore si svolse, "esiste" la casa di Giulietta, con tanto di balcone e perfino la sua tomba.

    La storia inizia quando Romeo Montecchi partecipa, sotto mentite spoglie, ad una festa in casa di Giulietta Capuleti. Il ragazzo è costretto a travestirsi per non essere riconosciuto, in quanto da tempo, esiste un aspra lite fra la sua famiglia e quella della ragazza.

    Neanche a dirlo, i due si innamorano e quella sera stessa Romeo dichiara il proprio a Giulietta dicendole : "Sei il caro amore del cuore mio" mentre questa è affacciata al famoso balcone.

    Il sentimento è a tal punto travolgente che il giorno seguente i due vengono segretamente uniti in matrimonio da frate Lorenzo. Ma i problemi sono dietro l'angolo ...

    Romeo incontra Tebaldo, cugino di Giulietta e fra i due scoppia una violenta lite dove, Marcuzio, amico di Romeo cerca d 'intervenire , ma viene ucciso da Tebaldo. A quel punto Romeo, accecato dall 'ira, vendica la morte del suo amico uccidendo a sua volta il rivale. Per questa ragione è costretto a fuggire a Mantova.

    Nel frattempo, i genitori di Giulietta, non sapendo del suo matrimonio con Romeo, intendono farla sposare al conte Paride. Giulietta, disperata, corre da padre Lorenzo il quale le da un potente sonnifero in modo che tutti la credano morta e , nello stesso tempo, manda una missiva a Romeo per avvisarlo dello stratagemma. Purtroppo il ragazzo non riceverà mai quella lettera.

    Venuto a conoscenza della "morte" della sua amata, corre a Verona e nei pressi della tomba di Giulietta incontra Paride. I due altercano e giunti a vie di fatto ,Romeo uccide in un duello, il promesso sposo della ragazza. Poi, assume un potente veleno e si lascia morire sul sarcofago della sua amata.

    Come sappiamo Giulietta non è morta, ma soltanto addormentata e quando finalmente si risveglia, vedendo il corpo esanime del suo Romeo, comprende l 'accaduto, afferra il pugnale di lui e con questo si uccide.

    Il sacrificio dei due giovani però non è stato vano, infatti, le due famiglie, profondamente colpite dalla tristissima vicenda, riconoscendo i loro errori, pongono finalmente termine alle loro dispute, nel segno e nel nome dei due sfortunati ragazzi.


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    Giulietta e Romeo
    Lo spettacolo teatrale di Riccardo Cocciante

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    Giulietta e Romeo è un'opera popolare (per espressa dichiarazione dell'autore della musica non deve essere considerato un musical) con musiche di Riccardo Cocciante e testi di Pasquale Panella, tratto dal Romeo e Giulietta di William Shakespeare. La regia dello spettacolo è di Sergio Carrubba della Danny Rose di Parigi.



    Trama:



    L'opera popolare racconta la storia di due giovani veronesi, Giulietta e Romeo, il cui amore è fortemente contrastato da due famiglie, i Capuleti e i Montecchi. I due giovani vivranno intensamente il loro amore, che però alla fine si trasformerà in un dolore atroce.

    Differenze rispetto all'opera di Shakespeare;

    * Mercuzio ha un ruolo fondamentale essendo un personaggio quasi onnisciente. Canta l'ouverture e guida l'incontro fra Romeo e Giulietta durante la festa a Casa Capuleti.
    * Giulietta muore di crepacuore e non attraverso il pugnale come accade invece nella tragedia scritta da Shakespeare.
    * Padre Capuleti è spesso in scena e rappresenta con Padre Montecchi l'odio fra le due famiglie. I personaggi delle madri non esistono.
    * Tebaldo rasenta spesso la follia.





     
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    Il Romeo e Giulietta ritrovato di Serena Sinigaglia



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    La solita eterna domanda: perché tornare a proporre un classico dei classici come “Amleto”, “Antigone” o, in questo caso, “Romeo e Giulietta”?
    In un periodo critico (tanto nel senso buono che in quello cattivo) il sistema teatrale sembra morbosamente attratto, al contempo, da presente e passato. Se da un lato è vivo il rischio di immobilizzare i propri sforzi, di pietrificare il lavoro stesso, si apre anche l'opportunità di trasformare questa tendenza in un positivo assunto, una conferma di eternità che riesce a rincuorare, come intingendo il pennino della ricerca nel calamaio della tradizione. È il caso del “Romeo e Giulietta” della compagnia Atir, fondata e diretta da Serena Sinigaglia, che torna a calcare lo stesso palco su cui quindici anni fa aveva debuttato.
    Il Valle di Roma la ospita infatti a chiudere la stagione di "Monografie di Scena". Una conclusione che sancisce anche l'addio della gestione di questo teatro da parte del defunto Eti, risalente al lontano 1955, e che oggi lascia un altro spazio immerso in un futuro incerto.

    Lo spettacolo della Sinigaglia comincia nel foyer, dove Montecchi e Capuleti, in calzamaglia, conchiglia e bastone da pellegrini, invitano ad entrare gli spettatori – in gran parte scolaresche –, li accompagnano ai posti, con loro s'intrattengono commentando le chiacchiere pre-spettacolo.

    La scena di apertura si svolge a luci di sala accese, gli stessi attori interpreteranno diversi personaggi (coi protagonisti anagraficamente fuori parte), e tra palco e platea ci sarà una distanza solo sommaria, una linea di convenzione, nessun muro messo lì a separare due mondi. Tutti presupposti perfettamente elisabettiani, che rimandano a un'epoca in cui il teatro era l'unico intrattenimento (oltre alle impiccagioni) che contemplasse la partecipazione di tutta la comunità. Un codice di rappresentazione ancora ben lungi dal considerare una distinzione tra commercialità e sperimentazione.

    Gli attori formano una vera e propria compagnia, lo racconta l'agilità con cui si muovono in scena. Una scena che è spazio d'azione scarno e aperto a ogni acrobazia, sia fisica che verbale. A incorniciarla, un sistema essenziale ma ingegnoso: due funi fisse a mezz'aria corrono da proscenio a fondo creando una fondamentale prospettiva; teli appesi come panni ad asciugare separano gli ambienti, nascondono quel che c'è da nascondere e mostrano il dovuto; un lenzuolo bianco si fa fondale mobile, che corre sulle funi sventolando come bandiera, dando l'idea della pagina scritta che si volta su una nuova scena e offrendosi come schermo per fari e ombre. Quattro tavoli di legno bastano a costruire e distruggere i vari ambienti, e le musiche (classiche e moderne) cercano qua e là l'effetto, ma con intenzioni più ironiche che ammiccanti. Le stesse che, caratterizzando bene la lettura del testo, ne conservano l'urgenza. Anche laddove, per quanto chiara l'intenzione di rappresentare l'amore dei due innanzitutto come apprendistato sessuale - in qualche modo dionisiaco, alcuni toni e doppi sensi (soprattutto nel ruolo del satiriaco Mercuzio) alla lunga rischino di ripetersi.

    Questo “Romeo e Giulietta” brilla di vitalità, tenacia, simpatia e grande abbandono a quella che è l'arte teatrale più pura: azione, abilità acrobatica e mimica, risate sincere, pause necessarie ma mai forzate, intensità di sguardo e una copiosa vena filologica che, se è adatta alle scuole, è una lezione di atteggiamento anche per chi pensa di sapere con precisione dove stia di casa il teatro.
    La compagnia reagisce alle scelte di regia di Sinigaglia con grande prontezza, le fa proprie, s'intuisce il lungo sedimento di un'orchestrazione che lascia molto alla vitalità della materia attoriale.

    Con questo spettacolo, nel 1996, nasceva l'Atir; e la “lacrimevole commedia” dei due giovani amanti alla scoperta dei primi sentimenti, in un mondo che li soffoca con le proprie stesse logiche di vanità e odio, era il modo migliore di manifestare una passione.
    Passione, di questa parola vivono i grandi classici, testi e concetti che sopravvivono al mutare dei costumi senza perdere la capacità di raccontare il contemporaneo.

    In questa operazione corale Sinigaglia e i suoi attori ci ricordano che fare teatro è fare innanzitutto politica, perché si ha la possibilità esclusiva di prendere possesso di un evento in quanto forma di fruizione irripetibile, occasione di immediatezza in cui la comunità si ritrova per riflettere insieme. Ed è incredibile come a volte l'enorme potenza di questa opportunità passi inosservata.

    ROMEO E GIULIETTA
    di William Shakespeare
    su traduzione di Salvatore Quasimodo
    con: Marco Brinzi, Mattia Fabris, Stefano Orlandi, Carlo Orlando, Fabrizio Pagella, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Chiara Stoppa, Sandra Zoccolan
    scene: Maria Spazzi
    costumi: Federica Ponissi
    luci: Alessandro Verazzi
    attrezzeria: Maria Paola Di Francesco
    maestro d’armi: Adolfo Fantoni
    regia: Serena Sinigaglia
    produzione: Compagnia ATIR
    durata: 2h 40'
    applausi del pubblico: 2' 10''

     
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    Parte il Casting Cantanti del musical Giulietta e Romeo live 3D


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    La selezione si terrà il 24 e 25 giugno alla DA.RE.C Academy di Roma. Intanto al Teatro Augusteo di Napoli produzione e cast al lavoro per le prime prove di motion capture in 3D.

    NAPOLI. Giornate frenetiche per gli autori ed il cast del musical “Giulietta e Romeo live 3D”, prima opera teatrale che sarà visibile dal pubblico con gli occhialini a lenti polarizzate, in quanto avrà scenografie proiettate in HD con tecnologia 3D e personaggi virtuali che interagiranno sul palco con ballerini e cantanti in carne ed ossa.

    La settimana è infatti iniziata con le prime prove di motion capture al Teatro Augusteo di Napoli per poi proseguire con l’attesa pubblicazione del bando per il “Casting Cantanti”. Ma andiamo con ordine. A Napoli, la produzione di Musical Emotion ed il regista Claudio Insegno hanno cominciato a lavorare sulla registrazione di alcuni movimenti in 3D che dovranno svolgere gli attori virtuali, ruolo che la produzione ha riservato a special guest di fama nazionale ed internazionale. Un lungo lavoro tecnico che sarà realizzato in questi mesi dallo specialista Fabio D’Addario, già impegnato nella creazione delle scenografie tridimensionali dell’opera.

    Alle prove dell’Augusteo, con Insegno e D’Addario, era quindi presente gran parte del cast e della produzione di “Giulietta e Romeo live 3D”, l’autore Massimo Smith, gli attori e cantanti Giorgio Adamo, Rita Pilato, Samantha Discolpa e Domenico Prezioso, il tour manager Leonardo Carabellese, il responsabile artisti Sergio Di Liello, il responsabile di scena Alessandro Esposito, il responsabile della comunicazione e dell’ufficio stampa nazionale Giuliano Iacolare, e lo staff tecnico di “Spotzone comunicazione e marketing” che si occupa dell’immagine e della promozione del musical. Nel corso delle sessione di lunedì sono state effettuate quindi anche delle prove di canto sulle note delle splendide musiche create da Bruno Coli, autore delle musiche, e orchestrate da Giuseppe Di Gioia, direttore musicale.

    Le attività della produzione sono continuate a ritmo serrato in questi giorni con la pubblicazione del bando per il “Casting Cantanti” di “Giulietta e Romeo live 3D”, programmato per il prossimo 24 e 25 giugno alla DA.RE.C. Academy, l’accademia del musical di Roma, dove i partecipanti dovranno sostenere una prova di canto ed una prova di recitazione che sarà valutata dalla commissione composta dal regista Claudio Insegno, Vittorio Matteucci, i delegati della produzione e gli autori. La domanda di partecipazione è scaricabile dal sito web del musical all’indirizzo www.giuliettaeromeolive.it e dalla pagina Facebook dell’opera “Giulietta e Romeo”.

    Inserita il 30 - 05 - 11

     
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    4_giulietta-12349476

    romeoegiulietta22

    romeo e giulietta scena del balcone



    calderon_juliet

    giulietta: o romeo,romeo,perchè sei tu romeo? rinnega tuo padre
    e rifiuta il tuo stesso nome.ovvero ,se proprio non lo vuoi fare,
    giurami soltanto che mi ami,ed io smetterò di essere una capuleti.

    romeo:devo continuare ad ascoltarla oppure rispondere a ciò che dice?

    giulietta: è solamente il tuo nome ad essermi ostile :tu saresti sempre
    lo stesso anche se non fossi un montecchi.che cosa vuol dire la parola
    montecchi? non è una mano,o un braccio o un viso,ne un'altra parte
    che appariene ad un essere umano.oh,sii qualche altro nome!
    quello che noi chiamiamo col nome di rosa,anche chiamato con un nome
    diverso ,conserverebbe ugualmente il suo dolce profumo . allo stesso
    modo romeo,se portasse un'altro nome ,avrebbe sempre quella rara
    perfezione che possiede anche senza quel nome. rinuncia quindi al tuo
    nome,romeo,ed in cambio di quello ,che tuttavia non è una parte di te,
    accogli tutta me stessa.

    romeo: ti prendo in parola.d'ra in avanti non sarò più romeo.

    giulietta: chi sei ti,così nascosto dalla notte,
    inciampi nei miei pensieri più nascosti?

    romeo1

    romeo:nin so dirti chi sono,adoperando un nome. perchè il mio nome,
    o diletta santa,è odioso a me stesso,perchè e nemico a te.
    e nondimeno strapperei il foglio dove lo trovassi scritto.
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    analisi ,trama e storia del romeo e giulietta


    la giulietta di calderon

    giulietta:le mie orecchie non hanno ancora udito un centinaio di parole
    pronunciate dalla tua lingua ,e nondimeno riconosco la tua voce : non sei
    forse tu romeo,nonchè uno dei montecchi?

    romeo:non sono ne l'uno ne l'altro,fanciulla,se a te questo dispiace.

    giulietta: e come sei giunto fino a quì?dai,dimmi come e perchè.le mura
    del cortile sono irte e difficili da scalare,e quest luogo,considerando chi
    sei tu,potrebbe significare la morte se qualcuno della mia famiglia ti scoprisse.

    romeo:ho scavalcato le mura sulle ali dell'amore,poichè non esiste ostacolo
    fatto di pietra che possa arrestare il passo dell'amore,e tutto ciò che amore
    può fare ,trova subito il coraggio di tentarlo: per questi motivi i tuoi
    familiari non possono fermarmi.

    giulietta: se ti vedranno ti uccideranno.

    romeo :ahimè,che si nascondono più insidie nel tuo sguardo che non in venti
    delle loro spade .a me basta che mi guardi con dolcezza e sarò
    immune alla loro inimicizia.

    giulietta:non vorrei per tutto il mondo che ti scoprisero quì.

    romeo:ho il mantello della notte per nascondermi ai loro occhi.se tu mi ami
    non mi importa che essi mi scoprano.meglio perdere la vita per mezzo del
    loro odio ,che sopravvivere senza poter godere del tuo amore.

    giulietta: e chi ha saputo guidarti fino a quì?

    romeoegiuliettalascenadelbalcone

    è stato amore,che per primo ha mosso i miei passi,prestandomi il suo
    consiglio ,ed i ogli ho prestato gli occhi. non sono un buon pilota:
    ciò nonostante,anche se fossi tanto lontana quanto la riva abbandonata
    dove lavano marosi del più remoto dei mari,non esiterei a mettermi in
    viaggio,per un carico così prezioso.

    giulietta: tu sai che sul mi ovolto vi è la maschera della notte,
    altrimenti un verginale rossore colorerebbe le mie guancie ,a causa
    di quello che mi hai sentito dire stanotte.e molto volentieri mi
    piacerebbe rinnegare tutto ciò che ho detto. ma basta con le forme e
    i convenevoli.mi ami? so già che risponderai si,e che io crederò a ciò
    che tu dirai. ma se lo giuri ,potresti poi dimostrarti sleale .
    dicono che giove sorrida dei giuramenti degli amanti.o ,nobile romeo,
    se davvero mi ami ,dillo apertamente,e se credi che io mi lasci
    conquistare troppo facilmente ,arriccierò la fronte e sarò cattiva,e
    mi negherò,cosicchè tu abbia ragione di corteggiarmi:altrimenti ,non
    saprei negarti niente per tutto l'oro del mondo. o bel montecchi ,io
    sono davvero troppo innamorata,e ti potresti interpretare questo
    comportamento come frivolo.ma abbi fede in me,mio buon signore,ed io
    saprò dimostrarmi anche più leali di coloro che sanno offire in modo
    migliore la loro modestia.

    romeo:madamigella,per quella sacra luna che inargenta le cime di
    quegli alberi ,giuro...

    giulietta: oh,non giurare sulla luna,l'incostante luna che si trasforma
    ogni mese nella sua sfera,per paura che anche il tuo amore si dimostri,
    come la stessa luna,mutevole.

    romeo:e allora su cosa dovrei giurare?

    giulietta: non giurare per niente. e se proprio devi giurare ,giura
    sulla tua persona benedetta,che è il dio della mia idolatria:e non
    potrò fare a meno di crederti.

    giulietta11

    romeo: se il caro amore del cuor mio...

    giulietta: non giurare,di grazia.anche se la tutta la mia felicià è
    riposta in te,non riesco a provare nessuna felicità nel patto d'amore
    appena stipulato.troppo precipitato ,troppo frettoloso e irriflessivo,
    e troppo mi somiglia il lampo che muore prima che si abbia il tempo
    di dire : lampeggia. buona notte dolce amore mio!...il dolce riposo
    e la pace entrino nel tuo cuore .allo stesso modi di quelli che
    che confortano il mio seno.

    romeo: mi vuoi dunque lasciare così mal soddisfatto?

    giulietta: e qual soddisfazione potresti avere tu,stanotte?

    romeo: lo scambio del voto fedele del tuo amore insieme al mio.

    gulietta: ti ho già dato il mio prima ancora che fossi tu a chiederlo:
    eppure mi piacerebbe che il momento di dartelo non fosse già passato.

    romeo:vorresti forle riprendertelo? e perchè amore mio?

    giulietta: solo per peter essere prodiga ,e dartelo di nuovo.eppure
    altro non desidero se non ciò che già possiedo: la mia generosità è
    davvero senza limiti,come il mare,e come il mare il mio amore è profondo.
    e più te ne do più ne ho per me,perchè entrambi sono infiniti.
    sento una voce,dal dentro,addi amore mio.vengo subito,mia buona balia.
    o mi ocaro montecchi,sii fedele a me.resta ancora un poco .torno subito.

    romeo: o notte beata! temo che ,perchè siamo di notte,tutto questo non si
    riveli soltanto un sogno,troppo dolce e lusinghiero per essere fatto di
    sostanza reale.

    giulietta: tre parole,diletto romeo,ed un'ultima buona notte.se davvero
    il tuo amore è sincero e la tua intenzione è di sposarmi,fammelo sapere domani
    per mezzo di qualcuno che darò disposizione che ti raggiunga,cosìcchè potrò
    sapere dove e come il matrimonio verrà celebrato: e deporrò ai tuoi piedi
    tutte le mie fortune ,e ti seguirò come il mio signore per il mondo intero.

    romeoegiulietta22

    balia: madamigella!

    giulietta: arrivo subito...ma se le tue intenzione ,tuttavia,non fossero belle,
    io ti supplico ...

    balia: madamigella...

    giulietta: sono subito da te...cessa della tua corte,e lasciamio sola con il mio
    dolore.domani manderò qualcuno.

    romeo:e così possa salvarsi l'anima mia!
    giulietta: mille volte buona notte!

    romeo: mala notte mille volte,invece,ora che la tua luce mi viene a mancare.
    l'amore corre verso l'amore con la gioia tipica degli scolaretti che fuggono
    dai loro libri,e all'incontro l'amore si separa da amore con la stessa
    delusione che hanno coloro che vanno a scuola.

    giulietta:o romeo,oh! potessi avere la voce di un falconiere ,per richiamare
    a me questo volatile! ...

    romeo: è l'anima mia che invoca il mio nome .quale dolce suono argenteo non
    modula durante la notte la lingua degli amanti,soave musica all'orecchio che
    ascolta!

    giulietta: romeo!

    romeo:diletta?

    giulietta: a che ora vuoi che ,domattina,il mio messaggero venga a te?

    romeo? alle nove.

    giulietta: non ti farò aspettare.è come se fino ad allora debbano passare venti
    anni. mi è passato di mente il motivo per cui ti ho richiamato.

    romeo: lascia che io rimanga fino a quando non saprai ricordarla.

    giulietta: ma io vorrei dimenticarla di nuovo ,giacchè tu resti ,come mi sovvenga
    quanto ami la tua compagnia.


    romeoegiulietta33

    romeo: ed io seguiterò a restare quì per costringerti a non ricordare più nulla.

    giulietta: è quasi giorno .vorrei che fossi già partito;
    ma allo stesso modo vorrei saperti non più lontano di quell'uccellino
    a cui una bimba capricciosa permette di saltellare un poco fuori dalla
    sua mano,come un povero prigioniero trattenuto dalle ritorte ,e con un
    filo di seta lo riporta a sè con un piccolo strattone,tanta è la gelosia
    che mette nell'amare la sua libertà.

    romeo:vorrei essere io quell'uccellino.!

    giulietta:anche io vorrei che tu lo fossi,diletto: eppure,per il troppo
    amarti,finirei con l'ucciderti.buona notte,buona notte!il separarsi è un
    dolore così dolce,che ti darei la buona notte fino a domani mattina.!

    romeo: che il suo elegga la sua dimora negli occhi tuoi,
    e scenda la pace nel tuo cuore!
    ah,se potessi essere io il sonno e la pace per poter riposare tanto
    dolcemente ! da quì andrò alla cella del mio confessore a chiedere
    il suo aiuto,e a raccontargli la cara vicenda che mi è capitata.


     
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    Amore corre verso amore, così come gli scolari lasciano i loro libri, per contro, amore lascia amore con volto corrucciato con cui gli scolari vanno a scuola.

    -- William Shakespeare

     
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