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Appunti di Storia Contemporanea- Dal Congresso di Vienna ai Giorni Nostri

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    Appunti di Storia Contemporanea- Dal Congresso di Vienna ai Giorni Nostri





    Il congresso di Vienna
    Il congresso di Vienna ebbe inizio nel novembre 1814. Lo scopo del congresso era quello di ristabilire l’ordine e la pace in Europa: ebbe così inizio l’epoca della Restaurazione. Tutti i principi della rivoluzione dovevano essere negati, al posto della sovranità popolare si auspicava il ritorno dei vecchi sovrani e all’idea di progresso doveva sostituirsi il rispetto della tradizione.

    La nuova Italia
    L’Italia rimase divisa in molti stati: il Regno di Sardegna, ritornato ai Savoia; il Regno Lombardo-Veneto sotto controllo dell’Impero d’Austria; lo Stato della chiesa; il Regno delle due Sicilie, che riuniva tutta l’Italia meridionale, sotto Ferdinando I di Borbone.

    La Santa Alleanza
    Dopo aver ristabilito la pace in Europa venne costituita - proposta dallo zar di Russia Alessandro I - la Santa Alleanza, un patto fondato sul principio d’intervento. Della Santa Alleanza facevano parte tutti i sovrani che avevano sconfitto Napoleone.

    Liberali, democratici e patrioti
    Le conclusioni del Congresso di Vienna lasciarono molti scontenti. In tutti gli altri paesi al di fuori di Inghilterra e Francia si formarono movimenti di protesta ispirati agli ideali di libertà, di uguaglianza e di fratellanza e di pari passo cresceva l’idea di nazione. A sostenere questi principi erano i liberali, i democratici e i patrioti. I liberali erano disposti a collaborare con la monarchia ma chiedevano una costituzione e un parlamento. I democratici lottavano per l’uguaglianza politica e volevano la repubblica. I Patrioti auspicavano l’indipendenza nazionale.

    Le società segrete
    In questo periodo non era possibile svolgere attività politiche alla luce del sole e per questo motivo le forze di opposizione furono costrette a organizzarsi in società segrete. In Italia, precisamente nel Regno di Napoli, nacque la Carboneria, ispirata agli ideali di libertà, democrazia e patria. Negli anni Venti l’Europa fu toccata da un’ondata rivoluzionaria, ma tutti questi moti rivoluzionari furono duramente repressi in poco tempo: la Santa Alleanza risultò dunque efficace a stroncare l’opposizione all’ordine costituito. I moti rivoluzionari ripresero negli anni Trenta, moti ispirati dalla Carboneria che, come era successo in passato, non trovarono l’appoggio della popolazione. Anche questa volta furono repressi duramente e il principale organizzatore, Ciro Menotti, finì impiccato. Questi moti fallirono per almeno quattro motivi: 1) la partecipazione fu scarsa 2) non erano ben organizzati 3) gli obiettivi erano abbastanza confusi e 4) non erano riusciti ad ottenere l’appoggio della popolazione.

    Il risorgimento
    Questi fallimenti diedero l’avvio al dibattito risorgimentale, cioè al dibattito sul modo per ottenere l’unità del paese. Tutti erano d’accordo sulla necessità di liberare l’Italia dagli stranieri, ma come raggiungere questo obiettivo? E l’Italia doveva essere una repubblica o una Monarchia? E doveva essere uno stato federale o non? Queste domande diedero luogo a diverse tendenze: la tendenza repubblicana, quella federalista e quella monarchica

    1-Tendenza repubblicana: Mazzini e Garibaldi (democrazia)

    2-Tendenza federalista: Cattaneo e Gioberti – Federalismo: tendenza politica favorevole alla federazione di più stati.

    3-Tendenza monarchica: Cavour che credeva che l’Unità d’Italia sarebbe stata possibile solamente sotto la guida dei Savoia.

    1846-1848 Il biennio delle riforme
    Carlo Alberto, divenuto sovrano del regno di Sardegna, nel 1831 si adoperò per riformare il paese. Tra il 1846 e il 1848 vennero introdotti importanti riforme in tutti gli stati italiani al di fuori del Regno delle due Sicilie. Per questo motivo a Palermo, nel 1848, ci fu un’insurrezione. Per placare il popolo, Carlo Alberto II, fu costretto a concedere la rivoluzione. Le costituzioni concesse dai sovrani, quindi non elette dal popolo, dopo pochi mesi vennero abolite, con l’eccezione di quella emanata da Carlo Alberto, chiamata Statuto Albertino.

    La crisi economica

    Nel 1846, per la prima volta, il mondo conobbe una crisi da sovrapproduzione e ben presto le città furono invase da una massa di disoccupati.

    Le rivoluzioni del 1848 in Italia
    Nel marzo del 1848 Venezia insorse e costrinse gli Austriaci a lasciare la città. Nello stesso mese insorse anche Milano. Guidava la rivolta il federalista Carlo Cattaneo. Per cinque giorni – le cinque giornate di Milano – i combattimenti infuriarono per le strade. Gli austriaci furono costretti ad abbandonare la città e si ritirarono nel quadrilatero. Intanto era richiesto l’intervento piemontese in favore della rivoluzione milanese sia da esponenti monarchici come Cavour che da esponenti repubblicani come Mazzini. Contrario era Cattaneo, che vedeva il Piemonte come un regno sottosviluppato. Sempre in quel marzo Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria, per allargare i propri possedimenti, anche se non era insensibile all’idea dell’unità nazionale. Era così iniziata la prima guerra d’indipendenza. L’entusiasmo attraversò l’Italia e truppe in aiuto di Carlo Alberto arrivarono dal Regno di Napoli, dalla Toscana e dallo Stato Pontificio. Ma dopo qualche tempo si fece avanti il sospetto che il Regno di Carlo Alberto si rafforzasse troppo e tutti i sovrani si tirarono indietro. Gli austriaci, allora, riorganizzarono il loro esercito e, guidati dal generale Radetzky, sferrarono nel luglio del 1848 un attacco decisivo che costrinse Carlo Alberto all’armistizio. Il ritiro delle truppe piemontesi non comportò la cessazione delle insurrezioni nel resto d’Italia e nel marzo del 1849 Carlo Alberto pensò che la situazione fosse favorevole per la ripresa della guerra contro l’Austria. Anche questa volta fallì nell’impresa e deluso, la sera stessa della sconfitta, rinunciò al trono in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Egli trattò un nuovo armistizio e il 9 agosto firmò un trattato di pace. Terminava così la prima guerra di’indipendenza.

    La politica interna di Cavour
    Dopo la bruciante sconfitta il Regno di Sardegna seppe risollevarsi rapidamente. A guidare questo sviluppo fu Camillo Benso Conte di Cavour, dal 1852 Presidente del Consiglio. Secondo lui solo il Regno di Sardegna era in grado di realizzare l’unità d’Italia. Una delle sue idee fondamentali era la separazione della Chiesa dallo Stato: libera chiesa in libero stato era il suo motto. Cavour fece del Piemonte la regione più progredita d’Italia, con il libero commercio, i trattati commerciali con l’Inghilterra, la rete ferroviaria e i canali di irrigazione. Tutta l’Italia riponevano sempre più speranza nel Piemonte, mentre i tentativi mazziniani – Carlo Pisacane (mazziniano) con i suoi 300 fu attaccato a Sapri dalle guardie borboniche e si tolse la vita - fallivano uno dopo l’altro. Nel 1857 venne fondata a Torino la Società Nazionale Italiana, associazione legata ai piani di Cavour, ma che riuscì a reclutare tra i suoi membri anche democratici e repubblicani come Garibaldi.

    La politica estera di Cavour
    Nel 1853 scoppiò la guerra di Crimea: Francia, Inghilterra e Turchia avevano l’obiettivo di fermare l’espansione dei Russi verso il Mar Nero. Cavour decise di intervenire, inviando delle truppe. I russi si arresero nel 1855 e il Piemonte potette sedersi al tavolo dei vincitori. Cavour ebbe così la possibilità di far diventare, al Congresso di pace tenutosi a Parigi, una questione europea il problema dell’unità d’Italia. Dopo questo congresso tra Napoleone III e Cavour si creò un’intesa e nel 1858 strinsero degli accordi segreti che prevedevano l’intervento di Napoleone III se l’Austria avesse dichiarato guerra al Regno di Sardegna e che l’Italia sarebbe rimasta divisa in quattro stati. Bisognava ora provocare l’Austria. Cavour inviò reparti dell’esercito lungo i confini con la Lombardia ai quali si aggiunsero anche truppe guidate da Garibaldi. L’Austria emise un ultimatum con cui chiedeva che le truppe fossero allontanate dai confini. Il 29 aprile 1859 ebbe inizio la seconda guerra d’indipendenza. Le truppe franco-piemontesi ottennero rapidi vittorie. In altre regioni italiani le popolazioni insorsero e città come Firenze e Bologna chiesero l’annessione al regno di Sardegna. A questo punto Napoleone III ebbe paura che la situazione gli sfuggisse di mano e senza consultare Cavour nel luglio di quello stesso anno firmò a Villafranca un armistizio che poneva fine alla guerra. Le trattative si conclusero con l’annessione al Regno di Sardegna della Lombardia e dell’Italia centrale; il Veneto restava agli austriaci.

    La spedizione dei Mille
    Intanto al sud vi erano segni di un crescente malcontento popolare e alcuni democratici, come Crispi, che aspettavano il momento opportuno per far scoppiare un insurrezione, convinsero Garibaldi a organizzare una spedizione militare in Sicilia. La notte tra il 5 e il 6 maggio 1869, i “mille” guidati da Garibaldi partirono da Quarto, nei pressi di Genova e raggiunsero Marsala l’11 maggio. I garibaldini, appoggiati da migliaia di cittadini, in breve tempo si impadronirono di quasi tutta l’isola. Il 7 settembre entrarono a Napoli e dopo lunghe battaglie ne uscirono ancora una volta vincitori. Cavour, inizialmente contrario alla spedizione, si convinse di un intervento diretto da parte del Regno di Sardegna perché c’era il pericolo che Garibaldi accettasse l’invito mazziniano di proclamare nel sud la repubblica o che i francesi intervenissero a difesa del Papa se Garibaldi avesse deciso di puntare su Roma. Il 26 ottobre 1860 Vittorio emanuele II incontrò Garibaldi a Teano, presso Caserta. A Garibaldi non rimase che consegnare al re i territori da lui conquistati e ritirarsi a Caprera. Il 17 marzo 1861 il parlamento di Torino proclamò il Regno d’Italia, con a capo Vittorio Emanuele II.

    La destra storica 1861-1876
    Proclamato il Regno d’Italia occorreva subito affrontare gli enormi problemi che affliggevano il paese. Tre quarti della popolazione era analfabeta, la rete ferroviaria era poco sviluppata e ciò impediva un buon commercio. Vi era inoltre il problema del completamento dell’unità: il Veneto, il Lazio, il Trentino e il Friuli erano ancora esclusi dal Regno d’Italia. Il primo raggruppamento politico che governò l’Italia viene indicato con il termine di Destra storica e fu al potere dal 1861 al 1876. Questo raggruppamento politico era formato dagli eredi di Cavour, uomini liberali sfavorevoli alle idee democratiche. Tra i più illustri esponenti c’erano Urbano Rattazzi e Quintino Sella. Nel dibattito risorgimentale molti uomini, come Cattaneo, avevano in mente uno stato federale. Ma queste scelte parvero pericolose alla Destra storica perché l’unità era appena stata raggiunta e poteva entrare in crisi. Era quindi preferibile uno Stato centralista. Venne esteso a tutto il Regno lo Statuto Albertino e sembrò quasi che il regno d’Italia fosse un allargamento del vecchio Regno di Sardegna. Per questa ragione la Destra storica venne accusata di piemontesismo. L’Italia venne divisa in province e venne introdotta un’unica moneta, la lira. A tutto il paese fu estesa la leva obbligatoria con la durata di sei anni. Anche l’istruzione venne estesa in tutta l’Italia, grazie alla legge Casati, che dichiarava l’obbligo di frequentare la squola elementare, che divenne gratuita e quindi istituì le scuole pubbliche. Al momento dell’unità il debito pubblico era di una cifra preoccupante. Per porvi rimedio, la Destra storica decise la vendita di molte terre del demanio, cioè che appartengono allo stato. Furono inoltre aumentate le tasse e istituite di nuove: la più odiata fu la tassa sul macinato, che colpiva soprattutto i più poveri. Le proteste furono innumerevoli, ma la destra non si piegò. Alla fine questa scelta fu premiata e nel 1875 venne raggiunto il pareggio del bilancio. La questione meridionale aveva molte cause: il territorio era meno fertile di quello padano, il sud era privo di quella borghesia capace di sviluppare l’industria e il commercio. Con l’Unità d’Italia le condizioni per le popolazioni meridionali erano peggiorate: tasse più alte, obbligo di leva. All’indomani dell’unificazione il sud fu percorso da un’ondata di ribellione e delinquenza. Questo fenomeno è passato alla storia con il nome di brigantaggio.

    La terza guerra d’indipendenza
    Il Veneto, il Lazio, il Trentino e il Friuli erano ancora esclusi dal Regno d’Italia. In quegli anni la Prussia, che aspirava a diventare la principale potenza del mondo germanico, entrò in contrasto con l’Austria. Nel 1866 l’Italia stipulò un trattato con la Prussia che prevedeva la guerra contro l’Austria e l’Italia in cambio avrebbe ottenuto il Veneto. Nel giugno del 1886 la Prussia attaccò l’Austria e l’Italia subito si schierò a suo fianco. Iniziava la terza guerra d’indipendenza. L’Itali subì pesanti sconfitte, ma nonostante questo, grazie alla vittoria della Prussia, l’esito della guerra fu positivo. Solo Garibaldi mantenne alto l’onore italiano con la vittoria contro gli austriaci a Bezzecca e quando, venne firmata la pace, ricevette l’ordine di fermarsi egli, malvolentieri, rispose con un celebre telegramma: obbedisco. L’Italia ottenne il Veneto, mentre il Trentino e Trieste restavano agli austriaci.

    La Chiesa contro lo Stato italiano
    Papa Pio IX, turbato dalle perdite delle Marche e dell’Umbria, fece pubblicare il Sillabo (elenco) degli errori del nostro tempo dove condannava tutte le idee del risorgimento: la libertà di pensiero, di stampa, la separazione tra Chiesa e stato. Tra liberali e cattolici in divario si ingrandì. Tra i primi crebbe il numero degli anticlericali, mentre i cattolici liberali si trovarono spiazzati e isolati.

    La questione romana
    Molto sentita era la questione romana, cioè il problema che riguardava l’annessione di Roma e dello Stato pontificio all’Italia. Napoleone III si era impegnato a difendere la sede papale e il governo italiano doveva adeguarsi al volere del suo principale alleato. Con la Convenzione di Settembre del 1864, stipulata con la Francia, l’Italia rinunciava a ogni pretesa su Roma. Ma l’idea di Roma come capitale era sostenuta da molti e tra questi spiccava in nome illustre di Garibaldi. Il suo motto era O Roma o morte! Ma più volte i garibaldini furono bloccati dall’esercito italiano e da quello francese. Quando nel 1870 scoppiò la guerra franco-prussiana, e la vittoria tedesca portò al crollo dell’impero di Napoleone III, il governo italiano si sentì libero di agire. Il 20 settembre 1870 i bersaglieri italiani entrarono a Roma e la occuparono. L’anno successivo fu proclamata capitale d’Italia. Quello stesso anno sorse la legge delle guarentigie (garanzie) che regolava i rapporti tra Stato e Chiesa: al Vaticano veniva riconosciuta l’extraterritorialità. Il papa, che rifiutava di riconoscere lo stato italiano, si dichiarò prigioniero in Vaticano e vietò ai cattolici di partecipare all’attività politica nazionale e di andare a votare.

    La sinistra storica 1876-1896
    Nel 1876 la Destra storica “cadde” e la sostituì al governo la Sinistra storica. Facevano parte di questo raggruppamento politico uomini liberali aperti alle idee democratiche: gli eredi di Mazzini e Garibaldi. Depretis fu il primo presidente del consiglio. Egli intendeva allargare il suffragio elettorale, eliminare la piaga dell’analfabetismo, diminuire le tasse, introdurre il protezionismo per difendere le industrie nazionali aumentando le tariffe doganali. La tassa sul macinato venne prima diminuita e poi abolita nel 1884. Nel 1877 venne emanata la legge Coppino che riorganizzava l’istruzione elementare. Nel 1882 il diritto di voto venne allargato a tutti i cittadini maschi maggiorenni (21 anni) o che pagavano 20 lire di tasse o che avevano frequentato la seconda elementare. Per poter contare su una maggioranza più larga, Depretis si rivolse ai deputati della destra dicendo, in concreto, che se qualcuno vuole trasformarsi, passando dalla destra alla sinistra, che male c’è? L’obiettivo di Depretis, che poteva anche essere giusto, finì con il favorire la corruzione. Venne infatti abolita ogni distinzione tra maggioranza e opposizione e molti deputati presero a votare in base alla loro convenienza. Questo fenomeno prese il nome di trasformismo.

    La politica estera
    Nel 1881 la Francia occupò la Tunisia e l’Italia, che da tempo voleva farne una propria colonia, nel 1882, per protesta, decise di allearsi con l’Austria e la Germania, la grande nemica della Francia. Nacque la Triplice Alleanza. L’alleanza con l’Austria, nemica storica dell’Italia che occupava ancora Trento e Trieste, non venne accolta favorevolmente dagli italiani. Numerose furono le proteste: un triestino tentò addirittura di uccidere l’imperatore austriaco. Tuttavia l’alleanza con la Germania fu molto positiva per l’economia italiana: infatti giunsero in Italia molti capitali tedeschi. Nel 1882 iniziò la conquista dell’Eritrea, una regione dominata dall’Abissinia. Nel 1887, a Dogali, l’esercito italiano fu massacrato da 7000 abissini. Questo massacro non fermò la politica colonialista del governo nonostante le proteste dell’opinione pubblica. Molti ritenevano fondamentale la formazione di un proprio impero coloniale, sia perché era possibile procurare al paese le materie prime (ferro, rame) e sia perché si poteva dare agli immigrati una terra in cui ricostruire una nuova esistenza.

    Il governo Crispi
    Nel 1887 Depretis morì e divenne presidente del consiglio Crispi. Egli volle fare dell’Italia uno stato forte capace di intervenire con decisione su ogni questione, sia interna che internazionale. Durante il suo governo non mancarono scelte coraggiose, come il Codice Zanardelli, che abolì la pena di morte e consentì la libertà di sciopero. Nello stesso tempo il codice conferiva alla polizia poteri più ampi e in questo modo furono repressi quei moti popolari che Crispi riteneva pericolosi (ricordiamo il caso dei Fasci siciliani). Crispi aumentò le tariffe doganali, che se da una parte protessero il triangolo industriale (Torino, Milano e Genova) dall’altra danneggiarono il sud del paese: infatti i paesi europei aumentarono a loro volta le tariffe sui prodotti italiani. L’Italia esportava soprattutto prodotti mediterranei e il danno per l’agricoltura, e in particolare per il sud, fu enorme. Il governo Crispi puntò a estendere il dominio su tutta l’Eritrea, la Somalia e l’Abissinia: regioni poverissime ma che la propaganda esaltava come terre facilmente conquistabili, fertili e ricche di materie prime. Nel marzo del 1896 16000 soldati italiani si scontrarono nei pressi di Adua con 70000 abissini: La sconfitta italiana fu totale. Di fronte a questo disastro Crispi rassegnò le proprie dimissioni.

    La crisi di fine secolo

    Il fallimento dell’impresa coloniale di Crispi aprì una lunga crisi politica. Al governo lo successe il marchese Di Rudinì. Nel paese crescevano sempre di più le difficoltà economiche e per i socialisti rivoluzionari e gli anarchici era la dimostrazione che il capitalismo aveva fallito. Il prezzo del pane aumentò notevolmente e numerose manifestazioni di protesta scoppiarono in tutt’Italia (La protesta dello stomaco). La più grave agitazione scoppiò a Milano nel 1889 dove il generale Bava Beccaris ordinò ai suoi uomini di sparare alla folla: fu una carneficina. Umberto I decorò il gesto di Beccaris. Nel luglio del 1900, l’anarchico Gaetano Bresci, per vendicare le vittime, uccise il re. La situazione era sempre più drammatica. Il nuovo re Vittorio Emanuele III, non perdendo la calma, nel 1901 chiamò alla guida del governo Zanardelli, che aveva già avuto modo di dimostrare doti di moderazione e di equilibrio. Lo affiancava come ministro degli Interni Giovanni Giolitti. Era l’inizio dell’età giolittiana.

    L’età giolittiana

    Nel 1903 Giolitti divenne presidente del consiglio. L’età giolittiana coincise con il decollo della rivoluzione industriale. I progressi più evidenti si registrarono soprattutto nel triangolo industriale. Il meridione non ebbe invece alcuna rivoluzione industriale. Quindi Giolitti aveva di fronte un’Italia divisa in due: al nord c’era la rivoluzione industriale mentre il sud era povero e arretrato e legato in molti casi al fenomeno del clientelismo: Giolitti si comportò di conseguenza. Infatti il suo modo di fare politica venne chiamato del doppio volto: un volto aperto e democratico nell’affrontare i problemi del nord e un volto senza scrupoli e corrotto nello sfruttare i problemi del sud. Nel sud, facendo ricorso ai rappresentanti del governo, controllò e manipolò addirittura le elezioni politiche falsificando i risultati elettorali. Giunse talvolta a servirsi della malavita per intimidire gli avversari: per questo motivo gli venne rivolto l’appellativo di ministro della malavita dallo storico Gaetano Salvemini, poi condannato. La principale riforma dell’età giolittiana fu la legge del 1912 che prevedeva il suffragio universale maschile (quello universale verrà conquistato nel 1946). Rispetto al passato ora c’era una nuova sinistra non più liberale ma socialista e c’erano i cattolici, ancora impossibilitati nel partecipare alla vita politica, ma sempre più organizzati. Giolitti, liberale, cercò di inserire sia i socialisti che i cattolici nella vita politica italiana. Nel mondo cattolico vi era sempre più fermento: erano sorti i sindacati cattolici e le cooperative bianche ed era sorta l’azione cattolica. Con il Patto Gentiloni del 1913, stipulato con l’unione elettorale cattolica preseduta dal conte Gentiloni, Giolitti riuscì a far eleggere al parlamento più di 300 deputati liberali, molti dei quali cattolici. Intanto il movimento socialista si era diffuso in Italia da tempo. Nel 1892 venne fondato il Partito dei Lavoratori Italiani, poi chiamato Partito Socialista Italiano nel 1895. Al suo interno si formarono due tendenze: quella riformista e l’altra massimalista. I riformisti erano guidati da Filippo Turati, i massimalisti da un giovane Benito Mussolini. Giolitti cercò l’appoggio dei riformisti, così da rafforzare la democrazia italiana e invitò Turati a far parte del governo. Ma Turati non se la sentì di accettare per era troppo forte all’interno del PSI l’opposizione dei massimalisti. Giolitti ritenne opportuno riprendere la politica coloniale e il suo obiettivo era colonizzare la Libia, dominata allora dalla Turchia. Nel 1911 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia. La Libia organizzò una forte resistenza e l’Italia reagì inviando in 100000 uomini. Vennero occupare 12 isole greche sottomesse ai turchi. Queste isole formarono il dominio italiano del Dodecaneso. Nel 1912 venne firmata la pace con i Turchi, ma i problemi con i libici non cessarono. I costi economici e le perdite umane furono alte e anche in questo caso l’Italia non fece un buon affare. Al momento la Libia era uno scatolone di sabbia, come venne definita e i giacimenti petroliferi saranno scoperti solo dopo la seconda guerra mondiale. La guerra in Libia indebolì il governo: molti criticavano Gioiti e l’economia ritornò di nuovo in crisi. Giolitti diede le dimissioni per sfuggire agli attacchi degli oppositori e indicò al re come suo successore Antonio Salandra, che però non segui l’esempio di Giolitti nei confronti delle manifestazioni popolari. Nel 1924, in Romagna e nelle Marche, scoppiarono dei disordini che presero il nome di settimana rossa, perché guidati dai socialisti. A reprimerli Salandra inviò l’esercito. La situazione interna stava precipitando come era successo alla fine del secolo precedente, ma soprattutto stava precipitando la situazione internazionale che precipiterà nella prima guerra mondiale. Giolitti si opporrà all’intervento dell’Italia, ma inutilmente. L’età Giolittiana era veramente finita.

    La Prima Guerra Mondiale
    Triplice Alleanza: Germania-Austria-Italia

    Triplice Intesa: Francia-Gran Bretagna-Russia

    28 Giungo 1914: a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando venne ucciso da un nazionalista Serbo. L’Austria (appoggiata dalla Germania) dichiarò guerra alla Serbia (sostenuta dalla Russia) il 28 Luglio 1914. All’Austria e alla Germania si unirono la Turchia e la Bulgaria, mentre l’Italia si dichiarò neutrale. Erano neutralisti i socialisti, i cattolici e i Liberali guidati da Giolitti. Erano interventisti i nazionalisti (D’Annunzio), i democratici, alcuni socialisti (Mussolini) e i grandi gruppi industriali. Il 26 aprile 1915 l’Italia firma in segreto il Patto di Londra con Francia e Inghilterra e un mese dopo entra in guerra a fianco dell’Intesa. Nel maggio del 1916 l’Austria organizzò la Spedizione punitiva: l’Italia era traditrice e dove va essere punita. L’esercito italiano respinse l’offensiva e lanciò un contrattacco conquistando Gorizia. In quello stesso mese la Germania affrontò la marina inglese nella Battaglia dello Jutland e affondarono il transatlantico Lusitania causando la morte di 124 cittadini statunitensi. Gli Stati Uniti entrarono nel conflitto al fianco dell’Intesa il 6 aprile 1917. Nel 1917 scoppiò la rivoluzione in Russia che uscì dalla guerra. L’Austria spostò allora le sue truppe sul fronte italiano e sfondò le linee italiane a Caporetto il 24 ottobre 1917. Nella primavera del 1918, Francia e Inghilterra respinsero l’offensiva tedesca (Seconda battaglia della Marna) e la situazione interna della Germania precipitò. L’Italia anche passò alla controffensiva e, contro gli austriaci, ottenne la decisiva vittoria di Vittorio Veneto: l’Austria chiese l’armistizio. L’11 novembre, con l’ultimo armistizio della Germania, si chiudeva la Grande Guerra, con 10 milioni di morti.

    La rivoluzione russa
    Nel 1898 nasce il Partito Operaio Socialdemocratico Russo, diviso in due blocchi:

    Bolscevichi – Massimalisti, Rivoluzionari – capeggiati da Lenin

    Menscevichi – Riformisti – guidati da Martow

    9 gennaio 1905: in 140000 sfilano davanti al Palazzo d’Inverno, sede dello Zar e l’esercito spara sui manifestanti causando migliaia di morti. Questa giornata è ricordata come la domenica di sangue. La situazione precipitò con la prima guerra mondiale e nel febbraio del 1917 l’esercito si schierò dalla parte dei manifestanti (Rivoluzione di febbraio) e lo zar Nicola II rinunciò al potere. Nell’aprile del 1917 Lenin tornò dall’Esilio e con le famose Tesi d’Aprile indicò al suo partito i tre obiettivi: Tutto il potere ai Soviet, Pace (Fare uscire la Russia dalla Guerra) e Le terre ai contadini. Il governo provvisorio, impotente nel risolvere i problemi della guerra, fece aumentare i consensi a Lenin e alle sue Tesi. I Bolscevichi organizzarono le Guardie Rosse e il 25 ottobre 1917 (Rivoluzione d’Ottobre) i rivoluzionari conquistarono il governo. Lenin subito avviò le trattative di Brest-Litovsk con cui la Russia uscì dalla prima guerra mondiale. Nel 1922 nacque l’URSS, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Il NEP (1921) era il piano della Nuova Politica Economica. Grazie a questo piano il paese uscì dalla carestia. Alla morte di Lenin, 1922, i contendenti alla sua successione furono due: Trosky e Stalin. Lo scontro tra i due fu duro e si risolse nel 1925 a favore di Stalin. Trosky fu mandato in esilio in Messico e nel 1940 venne assassinato per ordine di Stalin. Stalin per prima cosa avviò un nuovo progetto economico che prevedeva una seria di Piani Quinquinnali. La popolazione subì molte perdite in nome dello sviluppo industriale, ma i risultati economici furono straordinari e l’URSS divenne la seconda potenza mondiale. Stalin decise di eliminare i kulaki, i medi proprietari terreni, perché era necessario estendere il controllo dello stato sulle campagne. Migliaia di kulaki, ribellatisi a Stalin, furono uccisi o deportati nei campi di lavoro forzato in Siberia. Il potere Stalin lo aveva ottenuto tramite una serie di epurazioni o purghe: gli oppositori venivano uccisi o mandati nei gulag, campi di lavoro forzati. Fu introdotto il culto della persona di Stalin.

    Il primo dopoguerra
    I trattati di pace furono firmati nei pressi di Parigi tra il 1919 e il 1920. Wilson, il presidente americano, stese 14 punti finalizzati a garantire un’epoca di pace tra i paesi europei in cui dava molta importanza all’autodeterminazione: ogni nazione doveva raggiungere un’indipendenza politica e scegliere la propria forma di governo. La Germania venne riconosciuta responsabile della guerra e fu sottoposta a condizioni durissime dai trattati di pace mentre i francesi chiedevano che alla Germania fossero imposte più sanzioni. L’Italia ricevette dall’Austria il Trentino, la Venezia Giulia e Trieste ma chiedeva anche i territori accordati col Patto di Londra, accordi che tuttavia avrebbero violato il principio di autodeterminazione. Per questo motivo si parlò di Vittoria Mutilata (espressione coniata da D’Annunzio) e gli alleati furono giudicati come traditori. Iniziava a emergere il ruolo mondiale degli Stati Uniti. Questi trattati di pace in realtà provocarono molte tensioni tra gli stati europei. Su proposta di Wilson nel 1920 nacque la Società delle Nazioni, il cui scopo era quello di risolvere i contrasti fra gli stati attraverso la diplomazia. L’organizzazione fallì sia per il rifiuto del senato americano di farne parte sia per la mancanza di una forza militare. Tra il 1913 e il 1924 una terribile epidemia, la Spagnola, provocò una grave crisi demografica. Le idee socialiste, grazie alla rivoluzione russa, ne uscirono rafforzate e tra gli operai si diffusero le idee comuniste, che spaventarono i borghesi che passarono da posizioni liberali a posizioni di estrema destra che proponevano l’uso della forze per mantenere l’ordine. Cominciava la sfiducia nella democrazia, accentuata dalla crisi economica. Nel 1919 nacque l’Internazionale Comunista – comintern – voluta da Lenin, che doveva guidare i partiti rivoluzionari.

    Il fascismo in Italia
    Il biennio rosso – Si parlò dunque di Vittoria Mutilata. I nazionalisti non volevano rinunciare alla Dalmazia e alla città di Fiume. Nel settembre del 1919 D’Annunzio, alla guida di un gruppo di legionari, occupò Fiume e ne proclamò l’annessione all’Italia. Il governo italiano dette prova d’incertezza e non fece nulla e si rafforzò quindi l’idea che i liberali, che guidavano il paese dall’unificazione, non fossero in grado di affrontare la nuova situazione. Intanto in tutta Italia si diffondevano scioperi e proteste, che si concentrarono soprattutto tra il 1919 e il 1920, detto, in riferimento al rosso delle bandiere socialiste, Biennio rosso. In questo periodo nacquero i sindacati CGIL (socialista) e CIL (cattolica). In contrapposizione nacque il sindacato dei padroni: la Confindustria. Gli operai volevano aumenti salariali e dichiararono lo sciopero bianco (si entrava in fabbrica senza lavorare) e gli industriali minacciarono la Serrata. Gli operai reagirono con l’occupazione, a volte armata, delle fabbriche. Giolitti, in quel periodo ritornato alla guida del governo, riuscì a mettere d’accordo padroni e operai e le agitazioni cessarono.

    Mussolini e il Fascismo
    Nel 1919 Mussolini fondò il Movimento dei Fasci di Combattimento. Il programma del movimento era molto confuso ma dominava la decisa avversione per il socialismo. Mussolini sostenne che le iniziative sindacali andavano fermate con la forza e organizzò delle squadre d’azione, le cosiddette squadracce fasciste, che repressero violentemente le proteste. I proprietari terrieri e gli industriali appoggiarono Mussolini, che ottenne anche il consenso del ceto medio che temeva una rivoluzione comunista. Giolitti, anch’egli propenso a contrastare le forse sindacali, consentì che i fascisti si presentassero alle elezioni del 1921 ed entrarono in parlamento con 35 seggi. Il 24 ottobre 1922 Mussolini concentrò a Napoli miglia di Camice Nere, decise a marciare su Roma per prendere il potere. Il capo del governo, Facta, chiese a Vittorio Emanuele III di fermare Mussolini con l’esercito, ma quest’ultimo incaricò a Mussolini di formare il governo. Nei primi due anni del governo di Mussolini (1922-1924) furono rispettate le leggi e questa fase del fascismo è detta legalitaria. Le elezioni del 1924 si svolsero in un clima di violenze e di irregolarità e il socialista Matteotti, alla Camera, denunciò queste irregolarità. Dopo dieci giorni venne rapito e ucciso dagli squadristi fascisti. Il re tacque. Nel 1925 il fascismo diventa definitivamente una dittatura e si trasforma in uno Stato Totalitario. Quest’ultimo riconosce un solo partito e vieta ogni forma d’opposizione, repressa violentemente dalla polizia. In questo stesso anno vengono realizzate le leggi fascistissime, chiamate così perché diedero pieni poteri a Mussolini. Le lezioni comunali vennero eliminate e il posto del sindaco venne occupato da un podestà nominato dal governo. Nel 1929 furono firmati i Patti Lateranensi tra Mussolini e il Cardinal Gasparri. Con questi patti l’Italia riconobbe la sovranità della chiesa sulla Città del Vaticano, il cattolicesimo come sola religione. In cambio il vaticano riconobbe il regno d’Italia e la sua capitale, Roma. La politica estera del regime fascista fu nazionalista, perché aggressiva nei confronti delle altre nazioni europee, e colonialista. Il primo obiettivo fu l’Etiopia. Inghilterra e Francia che non potevano accettare l’invasione fecero applicare delle sanzioni e in Italia venne vietata l’esportazione delle materie prime necessarie all’industria bellica. La conquista dell’Etiopia fu un grande successo politico ma non economico, il consenso per il regime fascista aumentò considerevolmente. Francia e Inghilterra riconobbero l’Impero Italiano e ritirarono le sanzioni (1936). La Germania appoggiò la conquista coloniale italiana e nel 1936 nacque l’Asse Berlino-Roma. In seguito, nel 1938, anche in Italia furono introdotte le leggi razziali contro gli ebrei. Ma in Italia non esisteva una tradizione antisemita e queste leggi indebolirono il consenso degli italiani verso il fascismo. Nel 1939 i due dittatori firmarono il Patto d’Acciaio, con il quale le due nazioni si impegnavano a collaborare nel caso di una guerra: Mussolini mise il destino dell’Italia nelle mani di Hitler.

    Il nazismo in Germania
    Alla fine della guerra in Germania esplose una rivolta e l’imperatore fuggì in Olanda. Il 9 novembre 1918 nacque la Repubblica di Waimar ed Ebert venne eletto Presidente. La tensione, dovuta dalle continue privazioni alla quale la Germania era stata costretta, era altissima e in questo clima la destra nazionalistica tentò ripetutamente di prendere il potere nel 1920 e nel 1923, fallendo in entrambi i casi. Il consenso ai partiti di estrema destra, però, continuava a crescere. La grande crisi del ‘29 fece crollare la Repubblica di Waimar. I socialisti e i nazisti si rafforzarono. Nel 1932 il paese era sull’orlo di una guerra civile, i disoccupati erano sei milioni e le squadre d’azione dei nazisti si scontravano in continuazione coi comunisti. Gli industriali e l’esercito, come era successo in Italia con i fascisti, appoggiarono i nazisti, perché vedevano in Hitler colui che solo avrebbe potuto salvare la Germania. Hidenburg – il presidente che successe a Ebert – nel gennaio 1932 affidò a Hitler l’incarico di formare il nuovo governo, diventando così cancelliere. Alla morte di Hidenburg, 1934, Hitler divenne il capo dello stato: nasceva il Fhurer. In politica estera la prima iniziativa di Hitler fu quella di cacciare la Germania dalla Società delle Nazioni e, subito dopo, cominciò l’espansionismo tedesco. Nel 38 la Germania occupò l’Austria e l’anno successivo la Boemia e la Moravia. Contemporaneamente rivendicò il Corridoio Polacco. Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna preferirono tollerare Hitler piuttosto che rischiare una nuova guerra, ma quando si resero conto che la loro arrendevolezza favoriva le pretese smisurate di Hitler strinsero un’alleanza con la Polonia, la prossima vittima dell’espansionismo tedesco. Se essa fosse stata invasa, Francia e Gran Bretagna avrebbero dichiarato guerra alla Germania. Il ’39 venne stipulato il Patto Molotov-Ribbentrop con la quale Hitler e Stalin si accordarono per la spartizione della Polonia. Con l’appoggio russo Hitler era pronto a invadere la Polonia, convinto che Francia e Gran Bretagna non avrebbero avuto il coraggio di una guerra, ma questa volta si sbagliava.

    La Seconda Guerra Mondiale
    I 1 settembre 1939 la Germania invase la Polonia. Il 3 settembre Francia e Gran Bretagna le dichiararono guerra. Iniziava la seconda guerra mondiale. Nella primavera del 1940 la Germania attaccò la Norvegia, la Danimarca, il Belgio e la Francia che a giugno si arrese. Il generale De Gaulle, fuggito a Londra, costituì un governo francese in esilio. L’Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940 contro Gran Bretagna e Francia, che definì l’iniziativa italiana una pugnalata alla schiena, dal momento che stava crollando. L’Italia era del tutto impreparata a questa guerra perché disponeva di armamenti limitati ed arretrati. Il tentativo di strappare Malta agli inglesi fallì e l’attacco contro i possedimenti inglesi dell’Africa settentrionale e il tentativo di invasione della Grecia furono possibili solamente grazie all’aiuto dei tedeschi. Con la sconfitta della Francia restava solo la Gran Bretagna di Churchill, che respinse le proposte di pace avanzate da Hitler. Quest’ultimo, allora, decise di invadere la Gran Bretagna distruggendo dapprima l’aviazione inglese (battaglia d’Inghilterra, agosto-settembre 1940). La Germania subì pesanti perdite e il 17 settembre Hitler rinunciò al progetto di invadere la Gran Bretagna. Dopo la parentesi del Patto Molotov-Ribbentrop Hitler decise di ritornare al suo programma iniziale: la conquista dello spazio vitale ai danni dell’URSS e nel giugno 1941 iniziò l’invasione che, seguendo il Piano Barbarossa, prevedeva il rapido annientamento di ogni resistenza sovietica, ma i sovietici riuscirono a resistere. Il 7 dicembre 1941, senza neanche dichiarare la guerra, il Giappone attaccò e distrusse quasi metà delle flotta degli Stati Uniti nel porto di Pearl Harbor. Il giorno dopo USA e Gran Bretagna dichiarava guerra al Giappone, subito sostenuto da Italia e Germania. La guerra ora era veramente estesa a tutto il mondo e per questo motivo venne chiamata anche Guerra Totale. Tra il 42 e il 43, USA e Gran Bretagna ottennero importanti vittorie. Il 2 febbraio 1943, dopo che l’Armata Rossa aveva bloccato un attacco tedesco, con la battaglia di Stalingrado i Sovietici sconfissero i Nazifascisti. Dopo la vittoria in Africa gli Alleati, forti del controllo del mediterraneo, il 10 luglio 1943, sbarcarono in Sicilia e venivano accolti dalla popolazione come dei liberatori. Il 25 luglio 1943 il gran Consiglio del Fascismo votò la sfiducia a Mussolini e lo stesso giorno il re affidò l’incarico di formare un nuovo governo a Badoglio. L’8 settembre 1943 fu firmato l’armistizio con gli Alleati. Il giorno successivo il re e Badoglio fuggirono a Brindisi lasciando il paese allo sbando. I tedeschi il 12 settembre liberarono Mussolini e Hitler gli consentì di fondare la Repubblica Sociale Italiana con sede a Salò. L’Italia risultò divisa in due: il centro-nord governato da Mussolini e il sud dove sopravviveva il regno d’Italia con l’appoggio degli alleati. In Europa il 6 giugno 1944 ci fu lo Sbarco in Normandia dove un milione di soldati attaccarono i tedeschi che infine si arresero. Il 19 agosto Parigi insorse e De Gaulle fece il suo ingresso nella città. Nel 1945 i Russi riuscirono ad invadere la Germania che ormai appariva segnata. Infatti il 30 Aprile Hitler si tolse la vita. La resa del Giappone avvenne dopo che due bombe atomiche furono lanciate dagli americani. Il 2 settembre 1945 il Giappone si arrese e si chiudeva con 50 milioni di morti la seconda guerra mondiale.

    L’Italia di Salò e la Resistenza
    Dopo l’armistizio i tedeschi occuparono l’Italia e catturarono migliaia di militari disorientati e sbandati (Cefalonia e Corfù). Con la Repubblica di Salò alcuni si schierarono con Mussolini, mentre altri scelsero di combatterlo: presero le armi e divennero partigiani. Anche in Italia iniziò la Resistenza (inaugurata proprio dai soldati di Cefalonia). I protagonisti della resistenza avevano in comune l’antifascismo ma politicamente erano molto diversi tra di loro e ci fu un dibattito sulla sorte della monarchia: i liberali e i cattolici volevano un’Italia monarchica, mentre comunisti, socialisti e democratici chiedevano la nascita di una Repubblica. La questione fu risolta quando Togliatti in un discorso tenuto a Salerno (Svolta di Salerno) disse che la scelta tra monarchia e repubblica poteva attendere e che ora bisognava unire tutte le forze antifasciste, monarchiche o no, per liberare l’Italia dai nazisti. Nel 1943 nacque il CLN in cui aderirono tutte queste forze politiche antifasciste e che coordinò l’azione dei partigiani. Ai sabotaggi e alle azioni di disturbo partigiane i tedeschi rispondevano con feroci rappresaglie contro i civili. I capi della resistenza furono Ferruccio Parri, Longo e Cadorna. Si parlò anche di resistenza passiva che coinvolse le masse facendo maturare nella maggioranza degli italiani ideali di democrazia. La capitale del regno d’Italia seguì l’avanzata degli alleati e fu prima Brindisi, poi Salerno e infine Roma. La resistenza si sviluppò, quindi, più al Nord che al Sud dove comunque non mancarono giornate gloriose come le Quattro giornate di Napoli. Milano e Genova scacciarono i tedeschi il 25 aprile 1945. Il 27 aprile Mussolini venne catturato e il 28 venne fucilato su ordine del CLN con la sua compagna. I loro corpi vennero esposti a Milano, a Piazzale Loreto dove un anno prima erano stati fucilati 15 antifascisti.
     
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