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Lussy60.
Carducci, Giosué - Traversando la Maremma toscana
Testo, commento e analisi breve del sonetto Traversando la Maremma toscana, tratto dalla raccolta Rime nuove
Traversando la Maremma toscana
Dolce paese, onde portai conforme
l'abito fiero e lo sdegnoso canto
e il petto ov'odio e amor mai non s'addorme.
pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto.
Ben riconosco in te le usate forme
con gli occhi incerti tra 'l sorriso e il pianto.
e in quelle seguo de' miei sogni l'orme
erranti dietro il giovanile incanto.
Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano:
e sempre corsi, e mai non giunsi il fine:
e dimani cadrò. Ma di lontano
pace dicono al cuor le tue collina
con le nebbie sfumanti e il verde piano
ridente ne le piogge mattutine.
Commento
Il dolce e severo paesaggio della Maremma, ritrovato dopo molti anni di assenza, suscita nel poeta profonde emozioni.
I luoghi in cui trascorse gli anni felici dell`infanzia e dell`adolescenza risvegliano in lui i sogni, le speranze e gli amori giovanili; con la dolcezza del ricordo lo assale l`amarezza del presente: i sogni non sono realizzati e L`unica certezza sembra essere la morte. Ma la bellezza rasserenante della Maremma, le collina sfumate dalla nebbia e la verde pianura, calmano la sua angoscia e il poeta ritrova la pace. Dal punto di vista metrico il componimento e` un sonetto; le quartine hanno rima ABAB, ABAB, le terzine CDC, DCD.Parafrasi
Oh mia dolce maremma, terra da cui presi molto del mio carattere fiero e della mia poesia libera e forte, e della mia anima dove amore e odio non si placano mai, finalmente ti rivedo e il mio cuore sobbalza nel petto.
In te riconosco bene le forme del tuo paesaggio a me note, mentre i miei occhi sono incerti e non sanno se sorridere o piangere, e mi ritornano in mente tutti i miei bei sogni giovanili.
Oh, quello che amai, quello che sognai fu inutile; ed io feci di tutto per realizzare le mie aspettative ma non ci riuscii, e presto morirò. Ma il mio cuore è in pace, ora che vedo le tue colline, con le loro nebbie leggere, e il verde dell'erba luminosa per la pioggia mattutina.Carducci, Giosuè - S.Martino
La nebbia a gl'irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar;
Ma per le vie del borgo
Dal ribollir de' tini
Va l'aspro odor de i vini
L'anime a rallegrar.
Gira su' ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l'uscio a rimirar
Tra le rossastre nubi
Stormi d'uccelli neri,
Com'esuli pensieri,
Nel vespero migrar.
Parafrasi
La nebbia, per gli alberi spogli dei colli, mentre piove, sale e, trainata dal vento, dipinge il mare di bianco e tra le vie del paese dai cattivi umori va l’odore di vino a tirar su i morali. Gira su rami infuocati lo spiedo cuocente, mentre il cacciatore festeggia davanti alla porta.
Al momento del tramonto, molti corvi neri, come pensieri nella sera se ne vanno.Pianto antico
Questa celebre poesia di Carducci è dedicata al figlioletto Dante, morto a soli due anni. Scritta nel 1871 è parte della raccolta Rime Nuove.
E' il dolore di un padre a sostenere questo canto funebre, che è antico come quello che l'intera umanità ha provato di fronte alla morte. un padre rassegnato a dover lasciare dietro di sè il frutto del proprio amore e che si ritrova solo, alle prese con una vita divenuta improvvisamente inutile e arida, del tutto simile alla morte. Il regno della morte è privo di calore e di luce, gli affetti sono spezzati,lo stesso avvenire è finito per sempre. Tuttavia, la lirica inserisce il pensiero dominante della morte nell'eterno moto ciclico della natura e delle sue stagioni ed è per questo che essa deve essere accettata nel silenzio,con rassegnazione e dignità.
Centrale nella poesia è l'immagine del melograno in fiore, rinverdito nella bella stagione, che ridà vita ai suoi fiori ciclicamente. Purtroppo il piccolo Dante non tornerà più, invece, alla luce.
L'albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da' bei vermigli fiori
Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l'inutil vita
Estremo unico fior,
Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol piú ti rallegra
Né ti risveglia amor.
Note:
Ode anacreontica in quartine di settenari secondo lo schema abbc
Commento
Questa celebre poesia di Carducci è dedicata al figlioletto Dante, morto a soli due anni. E` il dolore di un padre a sostenere questo canto funebre, un padre rassegnato a dover lasciare dietro di sé il frutto del proprio amore e che si ritrova solo, alle prese con una vita divenuta improvvisamente inutile e arida,del tutto simile alla morte.
Il regno della morte è privo di calore e di luce, gli effetti sono spezzati, lo stesso avvenire è finito per sempre. Tuttavia, la lirica inserisce il pensiero dominante della morte nell'eterno moto ciclico della natura e delle sue stagioni ed è per questo che essa deve essere accattata nel silenzio, con rassegnazione e dignità.
Parafrasi:
L'albero verso il quale orientavi la tua piccola mano, il melograno dalle foglie verdi e dai fiori rossi, nel silenzioso e solitario orto, è nuovamente germogliato da poco e l'estate gli ridà nova vita
con il suo calore e la sua luce. Tu figlio di questo povero corpo, invecchiato e sciupato dal tempo, tu unico dono di questa mia vita inutile, giaci nella fredda terra di un camposanto, non potrai più vedere la luce del sole, né godere dell'amore.Carducci, Giosuè - Nevicata
Testo, commento e analisi puntuale della lirica carducciana Nevicata, esempio di poesia ancora legata alla lingua e ai temi della tradizione
Nevicata
Questa poesia, scritta nel 1889, rivela un Carducci un po' diverso da quello combattivo e vitale che la tradizione privilegiata: l'autore appare qui ripiegato su se stesso, in una meditazione sulla morte e sulla fugacità della vità, con una presenza quasi ossessiva della memoria dei cari defunti. A questo stato d'animo fa da sfondo la città coperta dalla neve.
La lirica di Carducci costituisce un esempio di poesia ancora legata alla lingua e ai metri della tradizione, ma che tuttavia recepisce una sensibilità nuova e tenta una sperimentazione formale.
Il testo
Lenta fiocca la neve pe ‘l cielo cinereo: gridi,
suoni di vita più non salgono da la città,
non d’erbaiola il grido o corrente rumore di carro,
non d’amor la canzon ilare e di gioventù.
Da la torre di piazza roche per l’aere le ore
gemon, come sospir d’un mondo lungi dal dì.
Picchiano uccelli raminghi a’ vetri appannati: gli amici
spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.
In breve, o cari, in breve – tu càlmati, indomito cuore –
giù al silenzio verrò, ne l’ombra riposerò.
Il significato
Il poeta si trova nella propria casa a Bologna, forse nello studio. Fuori nevica, una nevicata continua e lenta che viene giù da un cielo color della cenere. La neve attutisce ogni rumore e dalla città non arrivano i suoni soliti della vita quotidiana: il grido della fruttivendola e il cigolìo dei carri che passano.
Anche i rintocchi dell'orologio della torre sono smorzati dalla neve, così che sembrano sospiri provenienti da un altro mondo. L'attenzione viene quindi attirata da un rumore: gli uccelli che vanno errando alla ricerca di cibo e di un riparo picchiano al vetro e riscuotono il poeta dal torpore della meditazione; quel battere insistito è come un richiamo che le anime degli amici che non ci sono più fanno al poeta: il richiamo al destino di morte che lo attende e al quale il poeta, nonostante la vitalità del suo animo, si dice pronto.
I temi
Il tema centrale della lirica è quello del pensiero della morte, che caratterizza una parte dell'opera di Carducci; in molte sue liriche si trova la contrapposizione fra la vita e la morte, fra la luce e le tenebre, fra la vita e il sole da una parte e il freddo della morte e l'ombra dall'altra.
n questo testo sembra predominare solo il pensiero della morte, che acquista la forma simbolica, per altro dichiarata dal poeta, degli uccelli che picchiano con il becco sul vetro. Si può rintracciare però ancora un eco della vita e della gioia che essa suscita in quel grido della fruttivendola, nel carro che corre e nell'accenno all'indomito cuore. Ma questi richiami sono come smorzati e attutiti dalla neve, dalla situazione di pesante tristezza che grava sulla città e sul poeta.
E' significativo che la poesia si apra con l'immagine della neve che scende sullo sfondo di un cielo grigio e con l'idea del silenzio che si chiuda ancora con le parole silenzio e ombra, a definire il regno dei morti.
Il metro, la lingua, lo stile
La caratteristica principale di questo testo è rappresentata, dal punto di vista formale, dal tentativo sperimentale di riprodurre la metrica classica utilizzando i versi italiani. In ognuno dei versi più lunghi, quelli dispari, si rintraccia un settenario seguito da un novenario.
In seguito, nel Novecento, non si cercherà più di rivitalizzare forme metriche della tradizione, ma ci si libererà da qualunque vincolo metrico; qui Carducci attua dunque a suo modo una sperimentazione che alla fine porterà alla dissoluzione delle forme metriche tradizionale, ma che con lui resta ancora all'interno delle norme.
Rispetto alla poesia leopardiana si nota un uso del linguaggio poetico più legato alla tradizione: nell'uso delle anastrofe, nella scelta di alcuni termini. Tuttavia si fa strada la presenza del simbolo, costituito dal picchiare degli uccelli, che sarà una caratteristica della poesia dei simbolisti francesi e poi del Decadentismo.Davanti San Guido, parafrasi
Parafrasi dell'ode Davanti San Guido di Giosuè Carducci in cui il protagonista riconosce i cipressi nei luoghi in cui visse da bambino
Davanti San Guido
Corrono verso il poeta e lo guardano
i cipressi alti e schietti che da Bolgheri
vanno a San Guido in doppia fila,
sembrano come giganti giovinetti in corsa.
Lo riconobbero, e tornato ormai
gli bisbigliarono con la cima piegata dal vento -
perché non scendi dal treno? Perché non ti fermi?
La sera è fresca e tu conosci molto bene questa strada.
Oh siediti alla nostra ombra profumata di resina
dove dal mare spira un vento impetuoso:
non ti conserviamo alcun rancore per le sassate
che tu ci lanciavi una volta: oh infondo non facevano male!
Portiamo ancora sui nostri rami i nidi degli usignoli:
perché fuggi così in fretta?
I passeri intrecciano voli in cielo alla sera
Intorno a noi. Oh fermati qui!
Bei cipresseti , cipresseti miei ,
fedeli amici della mia infanzia,
oh con quale gioia resterei con voi -
il poeta guardandoli così rispondeva - oh con quale piacere!
Ma, cipresseti miei, lasciatemi andare:
ora non è più il tempo della mia infanzia né della mia giovinezza.
Se voi poteste sapere! … non faccio per dire,
ma oggi sono diventato un uomo celebre.
Conosco e so tradurre il greco e il latino,
continuo a scrivere, sono colto e sono celebre;
non sono più, cipresseti miei, un ragazzo vivace,
e non tiro più sassate alle piante.
E specialmente alle piante. Un mormorio
ondeggiò dalle cime dei cipressi,
e il Sole che stava tramontando sorridente
brillò in mezzo al verde cupo della vegetazione.
Capii allora che i cipressi e il Sole
provavano un sentimento di pietà verso di me
e improvvisamente il mormorio delle piante si trasformò in parole:
Lo sappiamo bene: tu sei un pover uomo.
Lo sappiamo bene, è il vento che ce lo disse
perché lui porta con sé i sospiri degli uomini,
come dentro il tuo cuore eterne lotte
divampano e che tu non sai né puoi placare.
Alle querce e a noi qui tu puoi raccontare
la tua pena personale e il dolore degli uomini.
Guarda com’ è calmo e azzurro il mare
E come gli sorride il Sole che stava tramontando.
E com’ è pieno di voli questo tramonto,
e com’ è gioioso il canto dei passeri!
Di notte canteranno gli usignoli:
rimani, e i cattivi pensieri non seguire; (…)
Ed io - lontano oltre l’ Appennino, mi aspetta
la Titti – risposi; lasciatemi andare.
La Titti è come una passeretta,
ma non si veste di penne.
E mangia solo bacche di cipresso;
né io sono un imitatore di Manzoni
che riesce ad ottenere stipendi per vivere bene.
Addio, cipressi! Addio, dolce mio riparo!
Cosa vuoi che diciamo dunque nel cimitero
dove sta sepolta la tua nonna?
E i cipressi fuggivano e parevano un corteo funebre
che va via in fretta brontolando.
Dalla cima della collina allora, dal cimitero,
giù per il verde viale dei cipressi,
alta, maestosa, vestita di nero
mi parve di rivedere nonna Lucia … (…)
O nonna, o nonna! Quanto bella eri
quando ero ancora bambino! Raccontamela ancora,
raccontala a questo uomo saggio la fiaba
della fanciulla che cerca il suo amore perduto!
Sette paia di scarpe ho consumato
molto robuste per ritrovarti:
sette verghe di ferro ho consumato
per appoggiarmi nel percorso voluto dal destino:
sette fiasche di lacrime ho riempito,
sette lunghi anni di lacrime amare:
tu dormi e alle mie grida disperate
e al canto del gallo tu non vuoi svegliarti.
Deh, com’ è bella, o nonna, e com’ è vera
ancora la storia! Proprio così.
E quello che cercai tutti i giorni
in tanti e tanti anni inutilmente, è forse qui,
sotto questi cipressi, dove non spero,
dove non penso di riposarmi più:
forse, nonna, è nel vostro cimitero
tra questi alti cipressi solitario lassù.
Sbuffando fuggiva la locomotiva
mentre io così piangevo dentro il mio cuore;
e una bella schiera di puledri
correva, nitrendo lieta, dietro al treno.
Ma un asino grigio, rosicchiando un cardo
dal colore rosso e turchino, non si scomodò:
di tutto quel chiasso egli non degnò di uno sguardo
e a brucar l’erba seguitò serio e lento..