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parafrasi e poesie di-Giacomo Leopardi

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  1. Lussy60
     
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    Commento L'infinito di Leopardi


    La struttura

    Quest’idillio è diviso in due parti perfettamente simmetriche che durano circa 7 versi e mezzo; la prima parte descrive il paesaggio mentre la seconda parte è più riflessiva.
    In questa poesia è presente l’uso degli endecasillabi sciolti, vale a dire una serie indefinita di endecasillabi non rimati, però, nonostante ci sia assenza di rima la poesia è teatro di un gioco ritmico, la sua rigida, infatti, struttura viene rotta dagli enjambement.
    Quest’ultimi, inoltre, rallentano lo scorrere delle immagini suscitate dai versi facendo risalire più in fretta il tema di fondo del componimento.
    Le scelte lessicali di Leopardi si avvalgono dell’uso di parole vaghe, indefinite, che lasciano al lettore la possibilità di interpretare la poesia secondo il proprio stato d’animo, inoltre queste parole “annebbiate” danno un senso più lieve e poetico e rendono molto meglio l’idea d’infinito.
    Nella parte conclusiva dell’opera l’abbandono all’infinito è reso attraverso l’uso di metafore che hanno come termine di paragone il mare, nella sua profondità e mutevolezza, nella sua apparenza superficiale.

    Spiegazione

    Il Leopardi nella prima parte descrive un paesaggio familiare che illustra delle immagini a lui care come il colle che si erige solitario. La siepe è per lui un ostacolo alla vista materiale, ma un incentivo per attivare la sua immaginazione che si amplia verso sterminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete, che rappresentano un po’ le tre dimensioni, piano, altezza e profondità, di uno spazio infinito. Questa profondissima quiete però non è intesa come silenzio, ma come immobilità, la stessa immobilità che accompagnata al silenzio riesce a spaventare il cuore del poeta tanto è infinita la sua grandezza.
    L’autore è riportato alla realtà dal rumore del vento che muove le fronde delle piante intorno a lui, questo rumore gli ricorda le voci dell’epoca presente in cui vive, mentre quell’infinito silenzio è il portavoce delle epoche passate. L’infinito e l’eterno sono rispettivamente riferite allo spazio e al tempo, eterno sia nel passato sia nel futuro, ma non nel presente perché esso è solo un attimo, questi due elementi uniti assieme riescono a formare la sintesi dell’Immensità, dove il pensiero del Leopardi va a picco, poiché non ce la fa a racchiudere in sé questa grandezza, ma nonostante questo perdersi in questa immensità, in queste riflessioni è gradevole.

    Interpretazione

    La capacità dell’uomo di far sorgere in se un’immaginazione del vago e dell’indefinito, in un luogo della semplice vista delle cose, è dolce e piacevole, ed è tipica dei fanciulli e degli uomini dell’età antica.
    Questa sensazione sta all’origine delle illusioni.
    Si tratta della sensazione - esperienza di un “oltre” rispetto alla semplice vista delle cose: ma un oltre che non esiste, che è solo prodotto dell’immaginazione umana, anche se l’uomo desidera perdersi in esso, lo trova una cosa dolce.
    In quest’idillio è aperta una via verso la dolcezza di queste sensazioni: ma esse rimangono semplicemente costatate e narrate dal poeta, non vengono interpretate dando al lettore la possibilità di naufragare nell’immensità che solitamente il pensiero umano può solo sfiorare.

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    Più che mai in questa breve composizione comunica il profondo senso di solitudine piena di dolore calmo e raccolto. Fa da sfondo all’esperienza della sua anima il paesaggio che è parte di un ambiente paesano e famigliare. La sofferenza del Leopardi acquista una risonanza cosmica, come se nella sua tristezza si esprimesse la voce dolente degli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi.

    La natura eterna appare serena ed impassibile di fronte al pianto e alla rassegnata malinconia dei mortali. Il luogo della riflessione del poeta è il monte Tabor di Recanati ma nella lirica appare lontano dalla realtà, ci troviamo nel mondo della fantasia, il luogo appartato ci suggerisce, però, la solitudine de poeta ed il suo isolamento.

    La siepe rappresenta l’impedimento, la forza che pone dei limiti invalicabili alla conoscenza dell’uomo, ma è gradita perché gli desta per contrasto, l’immagine dell’infinito spaziale e temporale, gli permette di spaziare con la fantasia. Si costruisce col pensiero spazi interminabili, che si estendono al di là dalla siepe e li riempie di un silenzio infinitamente superiore ad ogni umano silenzio.

    La fantasia ha dato libero spazio al sentimento ha potuto creare una pace ed una immobilità divine, approdo sognato e distacco dall’agitato ed irrequieto mondo umano. L’animo del Leopardi dell’essere finito, supera i limiti sella sua individualità e si sperde, smarrito, in quell’infinita vertiginosa vastità, che cancella ogni traccia della propria piccolezza. Il vento che passa fra le foglie e le fa stormire rappresenta un lieve sussurro se paragonato all’immaginato sovrumano silenzio.

    Rappresenta la storia degli uomini sullo sfondo del tempo infinito. Le età ormai scomparse (le morte stagioni) sono state un momentaneo bisbigliare di foglie mosse dal vento e di loro non è rimasta alcuna traccia. Avverrà così anche per l’epoca presente viva oggi per un attimo prima di smarrirsi e scomparire nell’immensità del tempo. Questo smarrirsi nell’immensità dell’infinito è come un naufragare in un mare aperto, soltanto in questo modo l’animo del poeta trova la sua quiete in questo immergersi nell’infinito.

    Commento

    La poesia è una fuga fantastica, e la fuga fantastica è un'esperienza sensistica, oggetto della realtà sensibile che fa scattare la fuga. L'incipit ci proietta in questa relatà concreta (il colle e la siepe); il "questo" è un elemento deittico che rafforza il realismo. Colle e siepe sono cari perché impediscono la vista, spingendo ad immaginare; c'è quindi un rapporto causa-effetto tra "caro" ed "esclude" (è "caro" perché "esclude").

    L'uomo, non vedendo con gli occhi, è invitato a vedere con la mente. C'è continuità semantica tra "interminati" e "sovrumani", in clausola di versi, e tra "spazi" e "silenzi", in incipit. "Interminati", "sovrumani" e "profondissimi" ben suggeriscono l'infinità di spazio in cui si muove la fantasia per il significato che hanno che per la loro lunghezza (4-5 sillabe).

    Tale è la grandezza degli spazi che il cuore sobbalza: "per poco il cor non si spaura"; dà sensazione di smarrimento. Mente e cuore, abituati a vivere nel finito, quasi si smarriscono nell'infinito. Il v. 8 lega perfettamente le 2 sequenze: il continuum è reso a livello formale su tutti i piani, c'è un movimento lirico assolutamente unitario.

    Il punto fermo a metà del verso divide perfettamente i due momenti, uniti da "E". Prima c'è un momento visivo, poi uditivo. Si crea una corrispondenza assolutamente perfetta tra le due parti della poesia e tra le 2 fasi dell'esperienza: "questo colle", "questa siepe", "queste piante", "questa voce". Lo "stormir" del vento è un suono vago e lontano, indefinito, sussurrato. "Questo" delinea il tangibile; "quello" il remoto. I numerosi enjambement trascrivono il continuum, tracciano una linea continua dall'inizio alla fine del canto. Nel polisindeto c'è l'opposizione finito-infinito, presente-passato. Significa il susseguirsi incalzante dei movimenti interiori. Il naufragio, lo smarrimento, è "dolce", termine che rimanda al "caro" del v. 1. L'esperienza di questo canto dà all'uomo l'illusione del piacere infinito cui esso aspira. E' una poesia consolativa: consola l'uomo, in quanto non potrà mai raggiungere il piacere infinito.

    La poesia è un'illusione indispensabile per quest'uomo dolente. La poesia del "caro immaginar" nasce dal più lucido razionalismo, e per questo è strettamente legato all' "arido vero". La prima fase dell'esperienza, l'entrata nell'infinito, provoca paura, mentre la seconda dà un senso di infinita beatitudine. "Questa immensità" mostra proprio come l'uomo sia entrato nell'infinito. Questa esperienza estatico-mistica non è un percorso, come in Dante, alla ricerca dela verità, ma per fuggire la verità.





    Parafrasi "Ultimo Canto Di Saffo", di Giacomo Leopardi


    Oh placida notte e trasparente raggio della tramontante luna; e tu stella di venere che annunci il giorno fra la silenziosa selva da sopra la rupe; voi foste ai miei occhi dilettose e care sembianze, fino a quando non vissi le furie dell’amore e il mio spietato destino; il dolce spettacolo della natura non rallegra gli animi infelici. Una felicità inconsueta ravviva noi (animi infelici), quando l’onda dei venti turbina nell’aria limpida, e quando il tuono, tuonando sopra di noi, squarcia l’aria tenebrosa del cielo. A noi piace stare tra le nebbie e ci piace andare per le colline e per le profonde valli, a noi piace vedere la disordinata fuga delle greggi impaurite, a noi piace sentire il fragore e il movimento dell’onda di un fiume in piena presso la pericolosa sponda.

    Il tuo manto è bello, o divino cielo, e tu, o terra rugiadosa, sei bella. Ahi gli Dei e la sorte crudele non fecero partecipare in alcun modo alla povera Saffo di così tanta infinita bellezza. Io, addetta ai tuoi supremi regni, come una vile e fastidiosa ospite, e come un’amante disprezzata, o natura, rivolgo invano e supplichevole il mio cuore e i miei occhi alle tue belle e graziate forme. Il soleggiato luogo e il mattutino albore non mi sorride; né il canto dei colorati uccelli né il mormorio dei faggi mi sorride; né un luogo mi sorride dove il chiaro rivo fa scorrere le sue limpide acque e sottrae, mostrando sdegno, le sue serpeggianti acque al mio malfermo piede che nella fuga urta le profumate rive.

    Di quale colpa, di quale misfatto gravissimo mi resi colpevole prima della mia nascita, così che il cielo e la sorte mi mostrarono un volto tanto ostile? In che cosa peccai bambina, quando la vita è priva di misfatti, quando poi privata della giovinezza e del fiore della vita, così che il filo oscuro della mia vita fosse filato nel fuso dell’implacabile Parca? La tua bocca fa domande inspiegabili; una legge misteriosa muove i predestinati eventi; tutto ciò che accade nell’universo è misterioso, tranne il nostro dolore. Noi uomini siamo una specie disprezzata e nascemmo per dolerci e la ragione del nostro dolore è posta sulle ginocchia degli Dei. Oh desideri, oh speranze, della mia più verde gioventù! Giove ha dato dominio duraturo sulle genti alle forme, alle belle forme; e la virtù non appare nelle grandi imprese, né nella dotta poesia né nel canto, se posta in un corpo disadorno.

    Morirò. E dopo che il mio corpo indegno rimarrà a terra, la mia anima nuda fuggirà verso Dite, dio degli inferi, e correggerà il tremendo e crudele errore del cieco dispensatore dei casi. E tu, Faone, a cui un lungo amore e una lunga fedeltà e una inutile passione mai appagata mi tenne legata, vivi felice se mai un uomo mortale è vissuto felice sulla terra. Giove non mi ha bagnata con il suo prezioso liquore conservato nella piccola ampolla, cosi ché le illusioni e i sogni della mia fanciullezza perirono. Ogni giorno più lieto della nostra età per primo fugge. La malattia, la vecchiaia ed infine la gelida morte subentra. Ecco, adesso, solo il Tartaro mi resta, fra i tanti sognati onori e i lusinghevoli sogni della giovinezza ora troncati dalla realtà e, qui, dalla morte imminente; e la tenaria Proserpina e la buia notte e la silenziosa riva già posseggono il mio alto e raro ingegno.
     
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