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parafrasi e poesie di-Giacomo Leopardi

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  1. lussy601
     
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    La vita solitaria di Giacomo Leopardi.


    Introduzione alla poesia "La vita solitaria".

    Leopardi scrisse il canto "La vita solitaria", che chiuse l'esperienza dei primi idilli, tra l'estate e l'autunno del 1821. Lo spunto iniziale del canto, presumibilmente, indica che Leopardi scrisse la poesia ricordando un suo soggiorno nella casa di campagna di famiglia nella tenuta di San Leopardo, presso Recanati. Molti passi dello Zibaldone del 1821 si rifanno al tema della "vita solitaria" che era presente da tempo nella mente di Leopardi come si evince dai molti altri riferimenti letterari, insiti nel canto. Molti versi, infatti, fanno riferimento ad opere letterarie di Monti, di Pindemonte, di Parini e di Foscolo e riprendono, anche, versi di Odae adespotae che Leopardi aveva tradotto nel 1816. Iltema, inoltre, esprime il contrasto tra la vita della campagna e la vita delle città. Ma io, Biagio Carrubba, credo, che Leopardi abbia voluto esprimere il suo amore per una natura ritenuta ancora, soprattutto benigna. Questo sentimento di amore verso la natura cambierà radicalmente nel 1824. Nel canto la natura è soprattutto benigna, anche se in certi versi Leopardi già comincia a fare vedere la natura come madre matrigna ed indifferente verso gli uomini; dal 1824 in poi, nelle opere di Leopardi, scomparirà completamente il volto benigno della natura e rimarrà solo il volto maligno di essa.

    La Vita solitaria è composta da 107 versi e fu pubblicata per la prima volta nel "Nuovo Ricoglitore" del 1826.
    La mattutina pioggia, allor che l'ale
    Battendo esulta nella chiusa stanza
    La gallinella, ed al balcon s'affaccia
    L'abitator de' campi, e il Sol che nasce
    I suoi tremuli rai fra le cadenti 5
    Stille saetta, alla capanna mia
    Dolcemente picchiando, mi risveglia;
    E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo
    Degli augelli susurro, e l'aura fresca,
    E le ridenti piagge benedico: 10
    Poiché voi, cittadine infauste mura,
    Vidi e conobbi assai, là dove segue
    Odio al dolor compagno; e doloroso
    Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
    Benché scarsa pietà pur mi dimostra 15
    Natura in questi lochi, un giorno oh quanto
    Verso me più cortese! E tu pur volgi
    Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
    Le sciagure e gli affanni, alla reina
    Felicità servi, o natura. In cielo, 20
    In terra amico agl'infelici alcuno
    E rifugio non resta altro che il ferro.
    Talor m'assido in solitaria parte,
    Sovra un rialto, al margine d'un lago
    Di taciturne piante incoronato. 25
    Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
    La sua tranquilla imago il Sol dipinge,
    Ed erba o foglia non si crolla al vento,
    E non onda incresparsi, e non cicala
    Strider, né batter penna augello in ramo, 30
    Né farfalla ronzar, né voce o moto
    Da presso né da lunge odi né vedi.
    Tien quelle rive altissima quiete;
    Ond'io quasi me stesso e il mondo obblio
    Sedendo immoto; e già mi par che sciolte 35
    Giaccian le membra mie, né spirto o senso
    Più le commova, e lor quiete antica
    Co' silenzi del loco si confonda.

    Amore, amore, assai lungi volasti
    Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno, 40
    Anzi rovente. Con sua fredda mano
    Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
    Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo
    Che mi scendesti in seno. Era quel dolce
    E irrevocabil tempo, allor che s'apre 45
    Al guardo giovanil questa infelice
    Scena del mondo, e gli sorride in vista
    Di paradiso. Al garzoncello il core
    Di vergine speranza e di desio
    Balza nel petto; e già s'accinge all'opra 50
    Di questa vita come a danza o gioco
    Il misero mortal. Ma non sì tosto,
    Amor, di te m'accorsi, e il viver mio
    Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
    Non altro convenia che il pianger sempre. 55
    Pur se talvolta per le piagge apriche,
    Su la tacita aurora o quando al sole
    Brillano i tetti e i poggi e le campagne,
    Scontro di vaga donzelletta il viso;
    O qualor nella placida quiete 60
    D'estiva notte, il vagabondo passo
    Di rincontro alle ville soffermando,
    L'erma terra contemplo, e di fanciulla
    Che all'opre di sua man la notte aggiunge
    Odo sonar nelle romite stanze 65
    L'arguto canto; a palpitar si move
    Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna
    Tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estrano
    Ogni moto soave al petto mio.

    O cara luna, al cui tranquillo raggio 70
    Danzan le lepri nelle selve; e duolsi
    Alla mattina il cacciator, che trova
    L'orme intricate e false, e dai covili
    Error vario lo svia; salve, o benigna
    Delle notti reina. Infesto scende 75
    Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro
    A deserti edifici, in su l'acciaro
    Del pallido ladron ch'a teso orecchio
    Il fragor delle rote e de' cavalli
    Da lungi osserva o il calpestio de' piedi 80
    Su la tacita via; poscia improvviso
    Col suon dell'armi e con la rauca voce
    E col funereo ceffo il core agghiaccia
    Al passegger, cui semivivo e nudo
    Lascia in breve tra' sassi. Infesto occorre 85
    Per le contrade cittadine il bianco
    Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi
    Va radendo le mura e la secreta
    Ombra seguendo, e resta, e si spaura
    Delle ardenti lucerne e degli aperti 90
    Balconi. Infesto alle malvage menti,
    A me sempre benigno il tuo cospetto
    Sarà per queste piagge, ove non altro
    Che lieti colli e spaziosi campi
    M'apri alla vista. Ed ancor io soleva, 95
    Bench'innocente io fossi, il tuo vezzoso
    Raggio accusar negli abitati lochi,
    Quand'ei m'offriva al guardo umano, e quando
    Scopriva umani aspetti al guardo mio.
    Or sempre loderollo, o ch'io ti miri 100
    Veleggiar tra le nubi, o che serena
    Dominatrice dell'etereo campo,
    Questa flebil riguardi umana sede.
    Me spesso rivedrai solingo e muto
    Errar pe' boschi e per le verdi rive, 105
    O seder sovra l'erbe, assai contento
    Se core e lena a sospirar m'avanza.


    ( Parafrasi tratta dal blog Aspirante Poeta )

    La mattutina pioggia mi risveglia, mentre la gallinella saltella nel pollaio sbattendo le ali, mentre il contadino s’affaccia al balcone, mentre il sole, che sorge, fa passare i suoi deboli raggi fra le gocce della pioggia che cade sopra la mia capanna; ed io mi alzo e saluto con gioia le piccole nuvole, il primo cinguettio degli uccelli, le aperte campagne e l’aria fresca; poiché io vidi e conobbi voi, disgraziate mura cittadine, là dove l’odio è inseparabile al dolore; ed io vivo addolorato e morirò in tal modo, deh subito! Benchè ora la natura mi mostra nessuna o poca pietà in questi luoghi, un tempo essa fu molto generosa con me! E tu, o Natura, non guardi i miseri; tu, disprezzando gli affanni e le sciagure, sei asservita solo alla felicità. Sia in cielo che in terra nessuno è amico degli infelici, e, a loro, non rimane nessun altro rifugio che il suicidio.

    Alcune volte mi siedo in un luogo solitario, sopra un’altura, al margine di un lago, circondato da piante silenziose. Qui, quando il meriggio si dispiega nel cielo, il sole riflette la sua tranquilla immagine sul lago, né erba né foglia si muovono al vento e quando non si ode, né da vicino né da lontano, voce né movimento, né si vede onda muoversi e nè si sente cicala stridere, né uccello battere le ali sui rami, né farfalla sussurrare, allora una profondissima quiete domina sulle rive; tanto che io, stando seduto immobile, dimentico quasi me stesso e il mondo; e già mi pare che il mio corpo si liberi dalla mia anima e mi pare che, né spirito né sensazioni riescano più ad animarlo e mi pare che la stasi prolungata del mio corpo si assimili al silenzio del luogo.

    Amore, amore, sei volato via lontano dal mio cuore, che un giorno fu caldo, anzi rovente. La sciagura lo ha stretto con la sua fredda mano ed esso si è tramutato in ghiaccio nel pieno della mia gioventù. Ricordo il tempo che tu, amore, mi scendesti nel cuore. Era quel dolce ed indimenticabile tempo, quando questo infelice spettacolo del mondo si apre alla vista del giovane e gli appare in forma di paradiso. Allora il cuore palpita nel petto al ragazzo che è pieno di speranze ancora intatte, non deluse; e il misero mortale già si prepara al lavoro di questa vita come fosse danza o gioco. Ma non appena mi accorsi di te, o amore, ecco che già la sfortuna aveva spezzato il mio vivere, cosicché non altro restò ai miei occhi, se non il piangere sempre. Se qualche volta mi trovo per le campagne assolate, o durante la silenziosa aurora, o quando i tetti, le colline e le campagne brillano al sole, incontro lo sguardo di una bella fanciulla; o quando nella tranquilla quiete di una serata estiva contemplo la terra solitaria, soffermandomi davanti alle ville e sento il sonoro canto di una fanciulla che lavora nelle solitarie stanze e aggiunge con le sue mani nuovo lavoro al lavoro del giorno, allora questo mio cuore insensibile ritorna a palpitare; ma, ahi, torna subito al duro torpore, poiché ogni sentimento soave è diventato estraneo al mio cuore.

    O cara luna, le lepri danzano al tuo tranquillo raggio; e, alla mattina, il cacciatore si lamenta perché trova le orme false e sparpagliate che lo sviano dalle tane; salve, o benigna regina delle notti. Il tuo raggio scende nocivo fra gli alberi e fra le valli o dentro case abbandonate o sulla lama del pallido ladrone, il quale, con le orecchie tese, ascolta il rumore delle ruote, il calpestio dei cavalli o il fruscio dei passi sul silenzioso sentiero; poi all’improvviso con il suono delle armi, con la voce rauca e con il volto truce e minaccioso egli gela il cuore del passeggero, e in un battere d’occhio lo lascia semivivo e nudo. La tua bianca luce scende nelle vie cittadine ed è sfavorevole all’amante adultero, che, rasentando le mura delle case e seguendo le ombre degli edifici, s’arresta e ha paura delle lucenti lucerne e delle finestre aperte. (Il tuo raggio) Scende nemico a tutte le menti malvagie. Invece, per me, la tua vista sarà sempre benevola perché mi illumina non altro che lieti colli ed ampi campi. Benché io fossi innocente, io solevo accusare il tuo bel raggio, quando nei luoghi abitati mi esponeva allo sguardo degli altri, o quando scopriva gli altri al mio sguardo. Ora, invece, sempre lo loderò, quando, o luna, ti vedrò passare tra le nuvole, o quando tu, serena dominatrice del cielo stellato, contemplerai questa piangente terra umana. Tu vedrai me, spesso muto e solitario errare nei boschi o per le verdi rive, o mi vedrai sedere sopra le erbe, e mi vedrai assai contento, se mi rimarrà tanta forza nel cuore per sospirare, per sperare e per vivere.





     
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