Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

parafrasi e poesie..riassunti di..((G.PARINI)

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    Giuseppe Parini


    La vita

    Giuseppe Parino (che preferì più tardi modificare il proprio cognome in Parini) nacque nel 1729 a Bosisio, in Brianza, da una famiglia di modeste condizioni. Per tutta la vita fu costretto a combattere contro le difficoltà economiche e suoi primi passi negli studi furono segnati proprio da questo grave problema e da un doloroso handicap fisico che lo seguirà per tutta la vita: rimase zoppo ad una gamba a causa dell’artrite. Una prozia ricca lo accolse nel 1738 a Milano e lo mantenne agli studi presso il collegio dei Barnabiti. Qualche anno dopo, nel 1741, alla sua morte gli lasciò una piccola rendita purché diventasse sacerdote. La sua fu dunque una vocazione obbligata dalle difficoltà economiche e dal profondo amore per gli studi che, pur con grandi sforzi, era riuscito a portare a termine. Eppure restò coerente e fedele per tutta la vita ai voti pronunciati.

    Nel 1752 pubblica una raccolta di versi, Alcune poesie di Ripano Eupilino, che ottiene un buon successo nell’ambiente milanese. Ciò gli consentì di accedere all’Accademia dei Trasformati e quindi di entrare in contatto con gli ambienti più colti dell’intellettualità lombarda. I Trasformati erano fautori di una conciliazione tra le esigenze di una cultura moderna, civilmente impegnata, e la tradizione classica. Parini incontrò così un ambiente culturale che rispondeva perfettamente ai suoi orientamenti ideologici e letterari, e ai lavori dell’Accademia collaborò assiduamente con componimenti poetici e contributi saggistici. Nel 1754 per potersi mantenere, fu costretto ad integrare la piccola rendita impiegandosi come precettore presso i duchi Serbelloni, dove rimase fino al 1762. Fu questo l’osservatorio privilegiato dal quale poté conoscere la vita nobiliare, soprattutto nei suoi aspetti più fatui; da questa conoscenza diretta prese avvio l’opera critica di un certo tipo di nobiltà. Proprio per protesta verso il comportamento sprezzante e inutilmente crudele dei nobili, il poeta si allontanò dalla famiglia Serbelloni; l’episodio venne ripreso in altra forma nel Giorno, la sua opera maggiore, e riguarda i maltrattamenti che aveva dovuto subire una fanciulla, figlia di un musicista, da parte della duchessa. Sempre su questo tema scrive nel 1757 il Dialogo sopra la nobiltà, una satira sulle degenerate abitudini di questa classe sociale che mette in rilievo il ruolo educativo del poeta. L’opera è ambientata in una tomba dove sono seppelliti insieme un nobile e un popolano, che discutono sull’uguaglianza degli uomini prima e dopo la morte. Dal 1762 divenne precettore di Carlo Imbonati conservando l’incarico fino al 1768. Nel frattempo aveva pubblicato due poemetti satirici contro la nobiltà oziosa e improduttiva, il Mattino (1763) e il Mezzogiorno (1765) che gli conferirono fama e notorietà, tale da vedersi affidare, nel 1768 dal governatore della Lombardia, il conte Firmian, la direzione della “Gazzetta di Milano” e, nel 1769, ricevere la nomina di professore di eloquenza all’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 1780 l’impero austriaco passa da Maria Teresa a Giuseppe II che in nome di un’astratta furia razionalistica, sconvolse tutta una serie di istituzioni, imponendo direttive autoritarie sulla cultura. Il poeta, ferito e deluso nelle sue più profonde convinzioni, si ripiegò su se stesso e si allontanò dall’attività intellettuale militante. Scoppiata la rivoluzione francese nel 1789, in un primo tempo, come altri intellettuali riformatori, la vide con favore e speranza, come realizzazione dei principi illuministici di libertà ed uguaglianza, ma poi, dopo gli eccessi autoritari e sanguinari del Terrore, assunse posizioni sempre più negative. Con l’ingresso dei Francesi a Milano nel 1796 fu chiamato a far parte della Municipalità in una commissione che si occupava della religione e dell’istruzione pubblica. Ben presto però sorse un dissidio tra la commissione e l’indirizzo generale della Municipalità, e Parini fu allontanato. Il poeta allora, ormai vecchio e di precaria salute, si ritirò in un isolamento sdegnoso. Quando nel 1789 gli Austriaci tornarono a Milano, scatenando la repressione contro chi si era compromesso con il governo rivoluzionario, Parini per il suo prestigio fu rispettato. Morì pochi mesi dopo e poche ore prima della morte scrisse un sonetto, Predaro i Filistei l’Arca di Dio, in cui, con immagini bibliche, lodava Dio di aver restituito Milano all’Austria, ma ammonendo anche i vincitori a non compiere anch’essi come i Francesi prima di loro, nuove rapine e nuovi scempi.

    Struttura del Giorno

    Il Giorno è l’opera più importante di Parini, alla quale lavorò per circa 40 anni senza peraltro riuscire a portarla a compimento. E’ un poema in endecasillabi sciolti che mira a rappresentare satiricamente l’aristocrazia del tempo.

    Inizialmente il progetto del poeta era quello di un’unica opera divisa in tre sezioni, appunto il Mattino, il Mezzogiorno e la Sera. Successivamente l’autore modificò tale progetto dividendo l’opera in quattro parti: il Mattino, il Mezzogiorno (poi ribattezzato Meriggio), il Vespro e la Notte. Il poema aveva per argomento la descrizione, in ordine cronologico, della giornata di un giovane nobile milanese di quei tempi, fatta in prima persona dal suo istitutore. L’autore, dunque, si presenta in veste di “precettor d’amabil rito”, ossia maestro della moda. La principale attività del giovin signore, descritta quasi come un’impresa eroica, consiste dunque nell’obbedire ai capricci della moda, compito del precettore è quello di guidare il nobile in questa ardua e faticosa impresa, al fine di farlo figurare meglio nella vacua società di cui fa parte.

    Non dunque dal filo narrativo deriva l’indubbia complessità dell’opera, bensì dalla sovrapposizione di due modelli letterari diversi, quello didascalico e quello satirico. Il primo aspetto consiste nel fatto che viene narrata una storia-non storia, una giornata cioè totalmente vuota di accadimenti, riempita soltanto di occupazioni fisse, che scandiscono formalmente le ore, e da personaggi stereotipati che le popolano. La satira, invece, nasce dall’utilizzo della figura retorica dell’ironia, da quel modo cioè di dire ciò che si pensa affermando il contrario.

    Nel Mattino il nobile viene colto nel momento in cui si corica, all’alba, dopo una notte trascorsa a teatro o al tavolo da gioco; vengono quindi descritti il suo risveglio a mattina inoltrata, la colazione, la lunga e laboriosa toeletta. Alla fine il giovin signore è pronto per uscire e recarsi a trovare la sua dama. Uno dei motivi centrali della rappresentazione pariniana è infatti il fenomeno del cicisbeismo, per cui ogni donna sposata aveva diritto ad un cavalier servente, che l’accompagnasse costantemente al posto del marito, una sorta di adulterio socialmente legittimato.

    Nel Mezzogiorno il giovin signore viene seguito in visita alla dama, pranzano insieme e nel pomeriggio si recano al corso, cioè al passaggio delle carrozze, dove si ritrova tutta la nobiltà cittadina.

    L’impianto didascalico è più sensibile nella prima parte e sfuma nella seconda, alla tavola della dama, dove compaiono altre figure e l’andamento si fa più descrittivo. Tale struttura didascalico-descrittiva non è che un pretesto per veicolare la satira dell’aristocrazia. Infatti tutto il discorso del precettore è impostato in chiave ironica e si fonda sull’antifrasi (affermare il contrario di ciò che si vuole fare intendere). Il precettore finge di accettare il punto di vista, i gusti e i giudizi aristocratici ma lo fa tramite celebrazioni in termini iperbolici di vite futili e vuote, descrivendoli come veri e propri “semidei terreni”, esaltando gesti banali come fossero sublimi. In realtà la vera essenza di quel mondo, vacua e insulsa, traspare dietro tale ironica enfasi celebrativa e alle spalle della figura del precettore si delinea chiaramente quella del poeta, con il suo atteggiamento di ferma, sdegnata condanna.

    La critica pariniana si avvale anche di altri strumenti, come ad esempio di un particolare trattamento del tempo e dello spazio. Innanzitutto non viene scelta una giornata particolare, che si segnali per qualche accadimento di rilievo, degno di essere ricordato, ma una giornata tipo, uguale a infinite altre, sufficiente per dare il senso di una vita vuota e banale. Inoltre il tempo in cui si collocano gli eventi è molto breve ma alla lettura si ha l’impressione di un tempo lunghissimo; tale effetto è creato dall’indugio che dilata a dismisura il tempo reale, in cui si ripetono meccanicamente gesti e parole. La noia, dunque, è uno dei temi centrali dell’opera. Stesso effetto si ottiene con lo spazio, ristretto, chiuso, in cui si ha l’impressione di una chiusura asfittica e insieme al tempo rende l’idea di un mondo morto, privo di energia vitale.

    La vergine cuccia: la tenera cagnolina della dama di cui il "Giovin Signore" è cicisbèo. Questa cagnetta conta di più delle persone al servizio del palazzo nobiliare. L'episodio è uno dei momenti poetici più significativi, alti e commossi del "Giorno". Dapprima l'episodio è narrato nel modo in cui apparve alla dama, poi subentra, con tono sempre più fermo, il poeta con la sua ironia che ben presto trapassa, in un crescendo poetico sempre più intenso, nel sarcasmo, nello sdegno e nella indignazione morale: è questo il momento culminante della tensione morale e ugualitaria del "Giorno". L'episodio è introdotto durante il banchetto della dama dal vegetariano che superficialmente della cultura illuministica accoglie solo la pietà per gli animali e non quella per "i bisogni e le piaghe" degli uomini. La commiserazione del vegetariano per le povere bestie, vittime dell'ingordigia umana, desta così nella dama il ricordo della sua tenera cagnolina, la quale, colpita dal piede "sacrilego" del servo, che essa aveva morsicato con i suoi candidi dentini d'avorio, fu severamente vendicata dalla sua padrona che cacciò “l'empio servo", il quale, non trovò più casa nobiliare che lo assumesse, e fu così costretto, con la moglie e i figli, a chiedere per la strada l'elemosina.












    La vergine cuccia

    Parafrasi


    Così il vegetariano parla, o signore; e intanto sorge, a causa delle sue parole piene di sentimento, una dolce lacrima dagli occhi della tua dama, simile alle goccioline tremolanti e luccicanti che in primavera stillano dai tralci della vite eccitati al loro interno dal tepido soffio dei venti primaverili, portatori di fecondità. Ora le viene in mente quel giorno, ah terribile giorno! Quando la sua bella cagnolina allevata dalle Grazie, giocando come fanno i cuccioli, morse con il dente bianco il piede del servo: ed egli, impertinente, con un calcio la lanciò: e quella rotolò per tre volte; tre volte scosse gli scompigliati peli e da le deboli narici soffiò la polvere irritante. Poi lamentandosi: sembrava dicesse “aiuto, aiuto”; e da le volte dorate l’ Eco rispose all’invocazione d’aiuto rimandando di stanza in stanza il grido della cagnetta: dai locali posti a livello più basso tutti i servi tristi salirono e dalle stanze padronali dei piani nobili le damigelle pallide e tremanti si precipitarono. Accorsero tutti; il volto della tua dama fu spruzzato di profumi e alla fine rinvenne: l’ira e il dolore l’agitavano ancora; lanciò sguardi fulminanti al servo, e con voce dolce chiamò per tre volte la sua cagnetta: e questa le corse al suo seno; a modo suo le sembrava chiedere vendetta: e tu vendetta avesti vergine cagnolina allevata dalle grazie. L’empio servo tremò; con lo sguardo basso ascoltò la sua condanna. A lui non servirono i meriti accumulati in vent’anni di onorato servizio, a lui non servì la scrupolosità dimostrata nell’eseguire incarichi riservati: in vano lui supplico e promise; lui se ne andò spogliato della livrea che un tempo lo rendeva rispettabile agli occhi del popolino. In vano sperò di poter lavorare per un altro padrone, perché le dame, impietosite per la cagnetta, non nascosero il loro odio per il responsabile di così crudele delitto. Il poveraccio rimase per la strada, con i figli pallidi e affamati e con a fianco la moglie, tentando inutilmente di impietosire i passanti: e tu vergine cagnolina, placato, come gli antichi idoli, dal sacrificio di vittime umane, ti potesti gloriare della compiuta vendetta.


    Parafrasi de “Il risveglio del giovin signore” Parini


    1-7
    giovin signore, sia che a te il sangue purissimo e divino arrivi attraverso una lunga serie di reni magnanemi, sia che gli onori acquistati e le ricchezze unite in terra e in mare dall’avaro padre in pochi lustri correggano il difetto del sangue ascolta me maestro di amabile stile di vita

    8-15
    ora ti insegnerò come passare questi giorni di vita noiosi e lenti, che una così lunga noia ti accompagnano. Da me apprenderai quali dovranno essere le tue preoccupazioni al mattino, mezzogiorno sere, sempre se tra i tuoi ozi ti resta l’ozio di ascoltar le mie parole.

    16-32
    In passato hai visitato in Francia ed il Inghilterra i templi consacrati a venere ed a mercurio e porti ancora impressi i segni del tuo impegno, ora è tempo di riposarti. Invano al vita militare ti chiama, perché è veramente folle quello che si guadagna al rischio della vita e naturalmente tu aborri il sangue. Non ti sono meno gli studi della dea Minerva ti resero troppo avverso ad esse le aule scolastiche piene di pianto dove le arti e le scienze migliori sono trasformate in mostri e fantasmi fanno echeggiare nei soffitti i lamenti dei giovani. Ora per prima cosa ascolta quali piacevoli occupazioni il mattino debba guidare a te gradevolmente.

    32-52
    il mattino sorge in compagnia dell’alba prima del sole che poi appare grande sull’orizzonte e rende lieti gli animali e le piante i campi e le acque. Allora il laborioso contadino si alza dal caro letto che la moglie con i figli l’avevano intiepidito durante la notte; poi portando sul collo i sacri attrezzi che Cerere e pale avevano inventato per primi, va nel campo con il bue che gli cammina lentamente davanti, e dal piccolo sentiero scuote i rami dalla rugiada che come gemme riflettono i nascenti raggi del sole.Allora si alza il fabbro e riapre al rumorosa officina e ritorna alle opere non terminate il giorno precedente, sia se lavora a rendere sicuri i forzieri all’inquieto ricco fornendogli una chiave complessa e di meccanismi di ferro, si se vuole incidere gioielli e vasi d’argento e d’oro per ornamento di spose e mense.

    53-60
    ma che? Tu inorridisci e drizzi i capelli come un istrice a sentire le mie parole, a giovin signore non è questo il tuo mattino. Tu non ti sei seduto ad una povera mensa mentre il sole tramontava e ieri non sei andato a dormire in un letto disfatto alla luce incerta del crepuscolo, come è condannato a fare l’umile popolo

    61-64
    giove con voi benevolo concesse altro destino a voi nobili figli dei a voi radunata di semi dei terreni, e a me aspetta guidarvi lungo una strada diversa con accorgimenti e leggi diverse.

    65-76
    tu hai prolungato la notte di più rispetto al popolo tra i convitti e il teatro dell’opera e il gioco d’azzardo e in fine stanco di stare in una carrozza d’oro tu battesti in lontananza la quieta ria notturna con il rumore di calde ruote e con il calpestio dei cavalli velocissimi e illuminasti intorno a te le tenebre con le fiaccole cosi come Plutone fece rimbombare il territorio siciliano dal’uno all’altro mare con il carro a cui davanti splendevano fiaccole delle furie con capelli di serpente

    77-89
    in questo modo stanotte sei tornato al palazzo ma qui ti andava per nuovi impegni la mensa con stuzzichini e vini inebriati dei colli francesi, toscani, spagnoli ungheresi, a cui bacco concesse una corona di vere edera e le disse prendi posto come regina della mensa. In fine il sonno ti assestò con le proprie mani le morbide coltri, intorno al quale una vola adagiato il servo abbassò i tendaggi di seta e a te chiuse gli occhi dolcemente che il gallo è solito aprigli agli altri.

    90-100
    è perciò giusto che Morfeo dio del sonno non ti disturbi dal sonno profondo, i sensi stanchi prima che il giorno tenti di entrate attraverso le finestre e prima che i raggi del sole il tuo capo segnino deve aver inizio qui la tua giornata, e da questo momento che devo iniziare il mio compito, devo insegnarti i ed impartirti attraverso la poesia le imprese.

    101-107
    dopo che i valletti hanno udito lo squillo dei campanelli scossi dalla tua mano, accorsero pronti a spalancare le imposte e hanno fatto in modo che il sole non ti colpisse direttamente gli occhi dandoti fastidio

    108-124
    alzato e appoggiato su un cuscino passi la mano sugli occhi per levarti i segni del sonno e formando con le labbra un piccolo arco gradevole da vedersi e sbadigliando silenziosamente. O se ti vedesse in un atteggiamento cosi raffinato il duro capitano quando in situazione militare lancia un grido che lacera le orecchie, per mezzo del quale ordina alla squadre dei movimenti; se ti vedesse il capitano proverebbe una vergogna più grande di quella di minerva quando vide riflesse le sue guance gonfie mentre suonava il flauto

    125-143
    ma io vedo gia rientrare il tuo servitore e chiede a te quale sia la bevanda che preferisci ere nella tua tazza preziosa; tazze e bevande sono prodotti orientali scegli quello che desideri di più, se ti è gradito offrire allo stomaco dolci ed riscaldanti bevande che cosi il calore vi ardi regolato e ti aiuti a digerire scegli la cioccolate che te ne fanno dono gli abitanti del guatemala e dei carabi che hanno i capelli circondati di penne secondo l’uso barbarico.Ma se ti appesantisce la fastidiosa e cattiva digestione o cresce tropo grasso attorno alle tue parti del corpo bevi ila bevanda simile al nettare nella quale tostato fuma e brucia il seme giunto da te da Aleppo e da monache è orgogliosa essendo sempre affollata da mille navi

    144-157
    certamente fu necessario che una stato uscisse dai territori antichi e con navi tempestose fra tempeste e navi sconosciute e fra eventi straordinari mai visti prima timori rischi e privazioni. Superasse in confini del mondo conosciuto ancora inviolati. E fu veramente giusti che Pizzarro e cortes sparsero sangue e che con le armi gettarono giù dal trono i re messicani e gli incas affinché giunsero a noi le prelibatezza al tuo palato.

    158-168
    non voglia il velo però che nel momento in cui sorseggi la bevanda un servo indiscreto ti annuci improvvisamente il sarto maleducato che non soddisfatto di aver condiviso con te i drappi ti chieda di pagarti, succederebbe che quella bevanda diventi acida ed indigesta nel tuo stomaco e ti farebbe ruttare in modo plebeo per tutto il giorno.
     
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    Qual è la poetica, ovvero il pensiero di giuseppe parini? e come si struttura un commento?

    Il Parini avvertì sempre il valore e il ruolo della poesia nella costruzione di una equilibra società, secondo i suoi ideali a un tempo classici e moderatamente illuministici. Nel “Discorso sopra la poesia” (1761) si definisce la prima sintesi organica di questa duplice ascendenza culturale, fra umanesimo antico e sensismo settecentesco.
    Il Parini afferma che la poesia è “l’arte di imitare o di dipingere in versi le cose in modo che sien mossi gli effetti di chi legge od ascolta, acciochè ne nasca diletto”
    L’uomo ama vivere “lietamente”, eccitando “ciò che il diletta”: la poesia crea “un vero, reale e fisico diletto”, eccitando in noi “passioni artificiali”, le quali ci distolgono soprattutto dall’insopportabile noia.
    La poesia deve essere fondata sul vero che per il Parini è senz’altro anche utile; l’uomo deve cercare la felicità ma servendosi della ragione moderatrice, che frena la degenerazione del piacere orientandolo verso la virtù.
    Diversamente dal Vieri e dal Beccaria, Parini ritiene che il rinnovamento della letteratura non possa avvenire a scapito del rigore della lingua e dello stile.
    Negli ultimi anni della sua esistenza il Parini venne sviluppando coerentemente, senza rotture o involuzioni, la propria poetica verso forme e modi della sensibilità e dell’estetica del neoclassicismo, canonizzati nelle ben note formule winckelmanniane della “nobile semplicità” e della “quieta grandezza”.




     Respinge le posizioni antireligiose ed edonistiche di pensatori come Voltaire e Rousseau; E’ ostile ad ogni forma di fanatismo religioso tuttavia crede profondamente nella religione come freno alle passioni umane e come principio di ordianta convivenza civile.
     Accoglie con favore i principi egualitari: crede nell’uguaglianza originale e naturale di tutti gli uomini e nella necessità di riconoscere ad ogni individuo una pari dignità umana.
     Crede nell’umanitarismo come amore nell’umanità in quanto tale (il dovere fondamentale di ogni uomo è la solidarietà per i suoi simili).
     Condanna la nobiltà (Dialogo sopra la nobiltà):
    1) sul piano economico poiché sperpera le ricchezze invece di adoperarsi ad accrescere la ricchezza comune;
    2) sul piano intellettuale poiché i nobili non dedicano il loro ozio a coltivare studi;
    3) sul piano civile poiché non si curano di ricoprire cariche e magistrature che siano utili al bene pubblico.
    Non è ostile alla nobiltà in se ma solo alla sua degenerazione e propone una forma di rieducazione per riportarla ad assumere il ruolo sociale che un tempo possedeva.
     È un moderato riformista



    PARINI E GLI INTELLETTUALI DEL CAFFÈ



    INTELLETTUALI DEL CAFFÈ PARINI
    -hanno la tendenza a considerare tutti gli uomini cittadini di una stessa patria (cosmopolitismo)



     Respingevano il classicismo tradizionale a favore di una letteratura asservita all’utile

     Culto della scienza: la letteratura ha il fine di divulgare le nuove dottrine

     Ritenevano che solo lo sviluppo del commercio e dell’industria potesse garantire il progresso
     Non condivideva il cosmopolitismo (aveva il timore che la purezza della lingua italiana venisse compromessa dall’introduzione dei francesismi)

     Era rigorosamente fedele alla dignità formale della letteratura classica

     È ostile ad una riduzione totale della letteratura per soli fini pratici

     Vedeva nell’agricoltura l’origine della ricchezza delle nazionie della moralità pubblica in quanto fonte di una vita semplice




    LE ODI

    L’ode è un componimento lirico della poesia classica e moderna , di vario argomento, sempre però tenendo un tono alto e ispirato.
    È simile alla canzonetta per quanto riguarda la forma metrica (versi brevi, settenari).

    Le odi del Parini si possono classificare in tre gruppi:
    1. (1756-1769) comprende i testi maggiormente legati alla battaglia illuministica:
    La vita rustica= visione idillica della campagna come sede di una vita quieta e serena accompagnata da una visione nuova del lavoro del contadino come attività produttiva e socialmente utile.
    La salubrità dell’aria= visione della campagna come mondo laborioso e sano in contrapposizione al mondo cittadino malsano e corrotto dall’avidità del lucro (problema ecologico).
    Impostura= il poeta si scaglia contro ogni forma di ipocrisia e di finzione.
    Educazione= viene affrontato il problema dell’istruzione intesa soprattutto come rieducazione dei ceti nobili. L’idea di formazione presenta concetti illuministici come: l’idea che la vera nobiltà non è quella della nascita ma quella interiore dell’individuo; la ragione deve regolare e guidare i sensi; la fiducia che il mondo possa essere cambiato.
    L’innesto del vaiuolo= esalta la scienza moderna.
    Bisogno= afferma che sono il bisogno e la miseria a determinare la maggior parte dei delitti, e quindi occorre non tanto punirli, quanto prevenirli ( Cesare Baccaria “dei delitti e delle pene”).
    L’evirazione= Parini si scalgia contro il costume di evirare i giovani cantori per mantenere le loro voci di soprano.

    Per conciliare argomenti di attualità con la dignità formale che doveva competere alla poesia, Parini attua LA POETICA DEL SENSISMO (Locke-tutta la vita spirituale dell’uomo ha origine dalle sensazioni fisiche attraverso cui egli entra in contatto con la realtà esterna: il piacere deriva dai sensi). Rimane tuttavia in lui il legame alla tradizione classica per quanto riguarda: PERIFRASI, SINNEDDOCHI, PERSONIFICAZIONI, INVERSIONI E ENJAMBEMENTS.

    2. (1777) La laurea= celebra una giovane che si era laureata in legge.

    3. (1783-1795) odi ispirate ad un composto ed armonico classicismo:
    La recita dei versi= il poeta si scaglia contro l’uso di leggere versi a mensa, tra la disattenzione generale.
    La caduta
    Il pericolo, il dono, il messaggio= sono odi galanti dove sono presentate immagini della bellezza femminile.
    A silva, o del vestire la ghigliottina= esprime lo sdegno del poeta per la ferocia della rivoluzione francese e il suo timore che si diffonda la corruzione tra le donne, che devono essere le custodi dei più alti valori morali.
    Alla musa= è una definizione della poesia (deve nascere da un animo sereno e con forti idealità).

     
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    parafrasi "il bisogno" Parini

    Oh tiranno signore
    De' miseri mortali,
    Oh male, oh persuasore
    Orribile di mali:
    Bisogno, e che non spezza
    Tua indomita fierezza!

    oh tiranno e signore dei miseri mortali, oh male o persuasore, orribile di male: il bisogno non spezza il tuo essere indomitamente fiero.

    Di valli adamantini
    Cinge i cor la virtude;
    Ma tu gli urti e rovini:
    E tutto a te si schiude.

    la virtù circonda il cuore di valli adamantine, ma tu ci sbatti contro e cadi e tutto si ripiega verso di te

    Entri, e i nobili affetti
    O strozzi od assoggetti.

    quando arrivi assoggetti gli affetti più nobili o li interrompi o li assoggetti

    Oltre corri, e fremente
    Strappi Ragion dal soglio;
    E il regno de la mente
    Occupi pien d'orgoglio,
    E ti poni a sedere
    Tiranno del pensiere.

    Progedi oltre correndo e fremendo, strappi la ragione e occupi di orgoglio lo spazio della mente e ti siedi come tiranno dei pensieri

    Con le folgori in mano
    La legge alto minaccia;

    Con in mano le folgori minacci dall'alto la legge

    Ma il periglio lontano
    Non scolora la faccia
    Di chi senza soccorso
    Ha il tuo peso sul dorso.

    Ma con il periglio lontano, non si sbianca il volto di chi senza aiuto porta il tuo peso sulla schiena

    Al misero mortale
    Ogni lume s'ammorza:
    Vèr la scesa del male
    Tu lo strascini a forza:
    Ei di sé stesso in bando
    Va giú precipitando.

    Al misero uomo, ogni intuizione si smorza, la discesa del male tu la trascini a forza: e pieno di se stesso cade precipatando

    Ahi l'infelice allora
    I comun patti rompe;
    Ogni confine ignora;
    Ne' beni altrui prorompe;
    Mangia i rapiti pani
    Con sanguinose mani.

    Ahi, allora l'infelice rompe i patti comuni e ignora ogni limite, ne i prorrompe i beni altrio, mangia i pani rubati con mani sanguinose

    Ma quali odo lamenti
    E stridor di catene;
    E ingegnosi stromenti
    Veggo d'atroci pene

    Ma quali lamenti sento e sento stridere le catene e gli strumenti dell'ingegno vedo di pene atroci

    Là per quegli antri oscuri
    Cinti d'orridi muri?

    La per i luoghi oscuri cinti di orribili mura?

    Colà Temide armata
    Tien giudizi funesti
    Su la turba affannata
    Che tu persuadesti
    A romper gli altrui dritti,
    O padre di delitti.

    Lì l'armata Temide riene duri giudizi su quella affannata turba che tu hai persuaso a infrangere i diritti degi altri o padre dei delitti

     
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