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Il mito di "Orfeo ed Euridice" di Ovidio e di Virgilio

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    Il mito di "Orfeo ed Euridice" di Ovidio e di Virgilio

    Confronto tra il mito di “Orfeo ed Euridice” di Virgilio e quello di Ovidio.



    Virgilio inserisce la narrazione del mito di “Orfeo ed Euridice” in un altro mito: quello di Aristeo. La morte di Euridice è stata causata da Aristeo il quale l’ha inseguita tra l’erba cercando di farla sua e, mentre la giovane correva per sfuggirgli sarebbe stata morsa da una vipera che avrebbe causato la sua morte. La morte della giovane avviene dopo che i due sono sposati da tempo. Ovidio, invece, attribuisce al lettore la precedente conoscenza del mito e ne analizza soltanto alcuni particolari. La narrazione di Ovidio ha inizio con il matrimonio dei due innamorati sui quali grava un triste presagio. In quest’ultimo autore la morte di Euridice avviene subito dopo le nozze: tale scelta dell’autore sottolinea la drammaticità della vicenza.

    Virgilio utilizza i versi alessandrini mentre Ovidio sfoggia la sua tecnica retorica soprattutto nel discorso di Orfeo alle divinità dell’Ade.

    Virgilio smentisce il mito della poesia invincibile, infatti Orfeo perderà per sempre la sua sposa: Virgilio si serve del mito per dimostrare la sua contrapposizione alla poesia elegiaca che si basa sul lamento d’amore.

    In Ovidio Euridice è rassegnata al suo destino e non rimprovera il marito poiché il suo unico rimprovero dovrebbe esser quello di esser troppo amata mentre in Virgilio la fanciulla sembra colpevolizzare Orfeo perché, essendosi voltato, ha causato la sua morte definitiva e senza ritorno.

    Entrambi i miti sono ambientati nell’Ade, il regno dei morti.

    Nell’opera di Virgilio sono citati il Cocito, fiume dell’Ade e lo stige, lago ghiacciato mentre nelle Metamorfosi non compaiono descrizioni di luoghi. Un personaggio che viene nominato in entrambi i testi è Issione, re dei Lapiti che aveva stretto a se un’immagina di Giunone. Da tale, innocente gesto nacque un centauro. Issione fu punito da Giove: doveva restare legato ad una ruota che girava in eterno.
     
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