Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

"Meriggiare pallido e assorto" di Eugenio Montale

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    Meriggiare pallido e assorto

    Meriggiare pallido e assorto
    presso un rovente muro d’orto,
    ascoltare tra i pruni e gli sterpi
    schiocchi di merli, frusci di serpi.

    Nelle crepe del suolo o su la veccia
    spiar le file di rosse formiche
    ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
    a sommo di minuscole biche.

    Osservare tra frondi il palpitare
    lontano di scaglie di mare
    m entre si levano tremuli scricchi
    di cicale dai calvi picchi.

    E andando nel sole che abbaglia
    sentire con triste meraviglia
    com’è tutta la vita e il suo travaglio
    in questo seguitare una muraglia
    che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.


    Parafrasi


    trascorrere il pomeriggio concentrato vicino un caldo muro d'orto ascoltare tra gli alberi selvatici e gli sterpi il verso dei corvi e il fruscio delle serpi.

    Attraverso le crepe del suolo o sulla veccia osservo le file di formiche rosse che ora si rompono e ora si rintrecciano sopra minuscoli mucchi.

    Osservo tra le fronde il suono del mare mentre si odono versi di cicale dai calvi picchi.

    E andando verso il sole che abbaglia sentire con triste meraviglia come per tutta la vita ci sia il rumore del lavoro in questo lungo muro che ha su se cocci di bottiglia






    Meriggiare pallido e assorto è uno dei primi componimenti di Montale, appartenente alla prima raccolta, Ossi di seppia, pubblicata nel 1925. Vi compare il motivo predominante della raccolta, quello del paesaggio arido e scarnificato. Qui è un orto battuto dal sole nelle ore più calde del giorno.

    Questa poesia è formata da quattro strofe di varia lunghezza, la prima e la terza in rima baciata (AABB), la seconda in rima alternata (CDCD), mentre nella quarta compaiono delle consonanze.

    Ad ogni strofa può essere attribuito un titolo:

    • Strofa 1 →rumori del mezzogiorno

    • Strofa 2 → osservare il suolo

    • Strofa 3 → guarda...le cicale e il mare!

    • Strofa 4 → la vita e le sue fatiche

    Già dal primo verso si nota la frequenza con la quale Montale usa le consonanti doppie, evidenti anche nelle parole in rima. Si nota anche che Montale posiziona gli aggettivi prima del nome, in modo da farne risaltare il significato.

    Il paesaggio di Montale non si apre all'uomo, ma vive in se stesso, chiuso nella propria realtà incomunicabile.

    Meriggiare pallido e assorto è la descrizione di un paesaggio arido durante un assolato pomeriggio d’estate, definito «pallido e assorto», aggettivi solitamente riferiti ad un essere umano.

    A livello visivo gli elementi descritti sono costituiti dal «rovente muro d’orto», dai «pruni e gli sterpi», dalle «crepe nel suolo», dai «calvi picchi» e dal «sole che abbaglia», a cui sono attribuiti dei sentimenti o dei concetti astratti:

    • Il muro → senso di oppressione

    • I pruni e gli sterpi, crepe nel suolo → aridità, mancanza di vita

    • Formiche → monotonia

    • Mare → infinito, libertà, vita

    Il "sole che abbaglia" (v. 13) è luce che non lascia vedere; di qui uno stupito e dolente ripiegarsi su se stessi ("sentire con triste meraviglia"), nel tentativo di ascoltare e di comprendere il "travaglio" della "vita", che resta tuttavia misterioso e indecifrabile.

    L’esistenza è un cammino lungo una "muraglia" con in cima "cocci aguzzi di bottiglia", che impediscono di oltrepassarla per comprenderne con certezza il vero significato. [/color][/size] [/color][/size][/font]



    Edited by Lussy60 - 24/3/2013, 15:46
     
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    Eugenio Montale, uno dei più importanti poeti del Novecento, esprime attraverso le sue opere le tematiche dell’uomo; tra le sue raccolte di poesie più conosciute “Ossi di seppia” nella quale si trova anche “Meriggiare”.
    In un assolato pomeriggio estivo, Montale, appassionato poeta ligure, osserva, incantato e assorto, il paesaggio tipico della sua terra che lo circonda: un muretto reso rovente dal sole, qualche albero immobile, aridi sterpi, un profilo di montagne brulle sullo sfondo e, su tutte le cose, un senso di sconsolata solitudine. Solo a tratti il paesaggio si anima di un guizzo fresco, di un ‘palpito’ lontano di mare.
    Solitudine e silenzio sono, a poco a poco animati e interrotti da file d’infaticabili formiche, dai cinguettii assonnati di uccelli e dal frinire assordante delle cicale sulle montagne spoglie.
    Osservando questa natura immobile, il poeta si accorge, con doloroso stupore, che tutta l’esistenza umana, tutte le nostre lotte sono un cammino senza fine nel sole abbagliante vicino a un muro invalicabile.
    Noi vorremmo cambiare il nostro destino, andare oltre questa muraglia, ma non possiamo, perché la sua cima è piena di pezzi taglienti di bottiglia che la rendono insormontabile.
    Quella di Montale è una poesia ‘moderna’, molto significativa, da interpretare personalmente, descrittiva e ‘filosofica’: agli scorci di paesaggio si alternano considerazioni pessimistiche sul significato della vita e sul destino dell’uomo.
    Mi ha molto colpito la descrizione del paesaggio arido e assolato, animato a tratti da un fuggevole palpito di ‘scaglie di mare’, e il linguaggio usato dal poeta: personale (‘scricchi’, ‘fruschi’, ‘calvi picchi’) e soprattutto per l’uso continuo di verbi all’infinito, con lo scopo di accrescere il senso di solitudine, di disperato vagabondare dell’uomo che non avrà mai la possibilità di cambiare la sua strada, di mutare il suo destino.

     
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    di cicale dai calvi picchi.

    E andando nel sole che abbaglia
    sentire con triste meraviglia
    com'è tutta la vita e il suo travaglio
    in questo seguitare una muraglia
    che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

    parafrasi

    Trascorrere le ore del pomeriggio pallido e assorto presso un rovente muro d’orto, ascolta tra i pruni e gli sterdi rumori secchi di merli, fruscii di serpi.
    Nelle crepe del suolo o sulla pianta rampicante, spiano le file rosse delle formiche: che ora si rompono ed ora si intrecciano a somme di minuscole biche.
    Osserva tra le fronde il palpitare lontano di scaglie di mare mentre si levano tremuli scricchi, di cicale dai calvi picchi.
    E andando nel sole che abbaglia si sente triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo dolore in questo camminare lungo una muraglia che ha in cime frammenti di bottiglia messi sui muri per impedire che vengano scavalcati.

     
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