Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

La moda nel tempo....

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    Moda anni '50:


    cristina_aguileira_candyman


    Da un po' di tempo a questa parte, la musica, la televisione e sopratutto la moda, sembrano portare avanti, con insistenza, il revival degli anni '50.

    Dalle dive del pop come Christina Aguilera e Beyonce, che nei loro video si mostrano come novelle pin up, a serie televisive come Mad Men e ai designer, che in passerella, propongono abiti ispirati alle grandi attrici, icone dell'epoca, come Grace Kelly o Marylin Monroe.

    Beyonce1

    Questo è sicuramente dovuto anche alla moda del vintage, che ha riportato in auge stili di vestiario che, fino a poco tempo fa, sembravano essere assolutamente demodè, riscoprendo un modo di vestire più elegante e raffinato anche nella vita di tutti i giorni.

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    Quindi largo a vestiti a ruota, gonne a palloncino e tubini dal vitino di vespa, accessoriati con mini borse gioiello, decoltè dal tacco vertiginoso e plateau, rossetto rosso sulle labbra e capelli raccolti in chignon o banane, per essere chic.

    victoria-beckham


    prada

    Fortunatamente, con gli anni '50 sono tornate di moda anche le linee morbide, non solo degli abiti, ma anche nei fisici.
    Così basta soffrire davanti alla copertine patinate delle riviste perchè non si porta la taglia 0 e ben vengano le curve al posto giusto e un po' di ciccetta qua e la, con il revival dei favolosi anni '50, non si celebra solo il ritorno ad una certa raffinatezza, ma anche quello della donna vera.



    Edited by Lussy60 - 2/2/2012, 14:38
     
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    La Moda Anni 60


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    Gli anni sessanta sono un periodo di grande rivoluzione dei costumi in tutto il mondo occidentale.
    Dagli Stati Uniti all'Olanda le GIOVANI GENERAZIONI rifiutano totalmente i modelli esistenti e cercano forme nuove che rompano con il passato. Le nuove forme che vennero introdotte furono il movimento HIPPIES, il movimento Modernista (più comunemente definito MOD) e, contrapposto a quest’ultimo, il fenomeno ROCKERS (i cui componenti erano i Teddy Boys); ma molti altri STILI si erano diffusi in quel periodo. E' un fenomeno di massa che contamina ogni settore della vita quotidiana: dai rapporti fra i sessi, alla concezione del lavoro e del tempo libero. Alla base di questi fenomeni possiamo individuare una tendenza generale: la contestazione. All'origine della rabbia giovanile e del violento scontro generazionale stava la contestazione del sistema borghese capitalistico, l'ansia per un futuro su cui pesava il pericolo di una guerra atomica. Essi accusavano la loro società di appiattire l'uomo, dequalificare l'intellettuale e mercificare tutto, anche l'arte e il pensiero.



    Lo stile Mod


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    Lo stile mod nasce sul finire degli anni Cinquanta a Londra, quando giovani ragazzi e ragazze cominciarono a usare questo termine per descrivere la loro scena. La parola è una abbreviazione di modernists, ovvero i fan del modern jazz, che nei primi anni Cinquanta avevano sviluppato uno stile nel vestire sobrio, raramente sgargiante e fortemente elegante fino all'ultimo dettaglio, ispirato all'Ivy League look, ovvero al modo di vestire nelle più prestigiose università americane: camicie bottom-down, giacche tre bottoni con reveres stretti, pantaloni senza pences, cravattini fini, mocassini o brogues. I mods presero ispirazione da questo look e ci misero del loro prendendo influenze da tutto ciò che arrivava di nuovo dal continente Europeo (soprattutto dall'Italia e dalla Francia, in quel periodo all'avanguardia nella moda): polo, maglie, scarpe, scooters, tagli di capelli erano tutti mezzi per creare il cosiddetto "total look", ovvero un'immagine nel complesso coerente ed elegante, del tutto distinta dal modo di vestire della massa omologata, ma non per questo sgargiante o di cattivo gusto. Il tentativo di differenziarsi dagli altri era continuo e come conseguenza, il look dei mods era in continua evoluzione. Seguendo il paradigma "Adopt, Adapt, Improve" ("Adotta, Adatta, Migliora") i mods prendevano spunto dai diversi input che la società consumistica del periodo, in pieno boom, gli offriva e li facevano propri reinterpretandoli in modo personale senza mai essere troppo influenzati da mode effimere, ma al contrario creandole. I capi d'abbigliamento cambiavano in maniera vertigionosa, mantenendo comunque sempre un ottica minimalista: indumenti funzionali all'uso (ad esempio il parka usato esclusivamente per proteggersi dall' intemperie nel viaggiare in scooter) e colori poco sgargianti. Cosa era "in" un giorno, poteva essere "out" la settimana successiva.

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    La filosofia mod era proprio questo: prendere il meglio che la società offriva, non per seguire passivamente una moda, ma per puntare alla continua ricerca di una perfezione estetica e comportamentale individuale. Il fenomeno mod nacque subito come stile elitario; solo coloro che avevano la costanza e la voglia di mantenere uno stile impeccabile erano accettati nel ristretto mondo underground dei mods, costituito da un circuito di locali dove si ascoltava un certo tipo di musica non ancora commerciale: jazz, soul, R&B e ska jamaicano sconosciuto ai più. Non era una questione di chi aveva più soldi, ma di chi maggiormente possedeva doti come originalità, gusto e inventiva.
    Il fenomeno mod fu trasversale alla società londinese, tradizionalmente molto chiusa tra le diverse classi sociali. Essendo una questione di stile, esponenti della working class non avevano niente da invidiare ai loro corrispettivi dell' upper class ed il rispetto degli altri mods si acquisiva indipendentemente dal proprio conto in banca. La musica era un aspetto fondamentale per ogni mod e solo chi aveva la voglia e il gusto di ricercare la musica più oscura era degno di far parte dei questa setta.
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    Quando verso il 1964 i media scoprirono questo fenomeno sotterraneo, il fenomeno perse molte delle sue caratteristiche fondamentali, soprattutto la sua qualità di fenomeno elitario. Tantissimi adolescenti cominciarono a definirsi mod, ma la massa determinò la conseguente morte di questo fenomeno. I mods divennero un fenomeno nazionale con programmi televisivi (Ready, Steady, Go!), gruppi musicali mod (Who, Small Faces, Action) e soprattutto con gli scontri nelle località marittime contro i rockers, considerati da questi giovani mods diversi e troppo lontani da quell'ideale di stile (estetico e comportamentale) a cui loro tendevano. Con i mods divenuti un fenomeno "mediatico" da baraccone, gli ispiratori originali dello stile smisero di appellarsi mods, e preferirono definirsi "stylists", per differenziarsi dai ragazzini che avevano inflazionato la parola "mod". Verso il 1966, gli unici rimasti a portare avanti la bandiera dello stile mod, oltre a questa elite di "stylists" in incognito, era una nuova generazione di giovani che nell'underground delle periferie delle varie città inglesi si costituirono in gang di quartiere e si definirono "hard mods". Il loro look era molto più spartano dei mods originali e molto più casual e da strada (a parte le serate dove ci si impegnava a mantenere alti gli standard di eleganza e stile). La musica prediletta era quella jamaicana e quella soul, mentre veniva vista con fastidio la musica fatta da gruppi (soprattutto inglesi) che ancora si definivano mods, ma che sia dal punto di vista estetico (vestiti sempre più sgargianti e colorati, capelli sempre più lunghi) che comportamentale (uso di droghe pesanti, atteggiamento sempre più trasandato) si erano allontanati dallo spirito originario del movimento mod e che in seguito diedero vita al fenomeno hippy.
    Il fenomeno mod ebbe una fase di rinascita sul finire degli anni Settanta, quando un revival scaturito dall'uscita del film Quadrophenia e da gruppi punk che erano stati influenzati dall'esperienza mod (Jam, Secret Affair, Purple Hearts) diedero il via ad un fenomeno di massa che durò l'arco di due stagioni. Gran parte dei revivalisti erano a digiuno delle vere origini dello stile mod e presto abbandonarono il tutto, per seguire qualche nuova moda. Questo revival ebbe comunque l'effetto di ridare impulso ad una nuova generazione di mods, che erano rimasti (nonostante venissero derisi dalla stampa come fenomeno anacronistico) anche dopo lo sgonfiarsi della moda. Decimati in numero, i mods negli anni Ottanta tentarono di ricreare la vera essenza dello spirito mod delle origini e diedero vita ad un circuito mod sotterraneo, autogestito e lontano dai riflettori, che bene o male è sopravvissuto ai giorni nostri diffondendosi anche al di fuori dell'Inghilterra.



    Rockers e Mods: due realtà parallele


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    L'atto di nascita dei Teddy boys può essere fatto risalire al 1953.
    Fu in quell'anno, infatti, che l'esistenza dei teds divenne nota al grande pubblico, in occasione di un tragico fatto di cronaca avvenuto nell'area di Clepham Common, Londra: in una rissa tra una banda di teds e un gruppo di ragazzi, scoppiata quando uno dei teddy fu insultato, un giovane rimase ucciso.
    L'episodio sancì l'inizio in Gran Bretagna di una vera e propria ondata di "moral panic": autorità, stampa e opinione pubblica indicarono unanimi nei Teddy boys il simbolo e al tempo stesso il capro espiatorio della decadenza dell'Inghilterra, nonché l'incarnazione di quella nuova devianza e "delinquenza" giovanile che esplodeva contemporaneamente nelle metropoli di molti paesi.
    Nella ricostruzione della nascita del "folk devil ted”, alias un giovane teppista periferico dai gusti americaneggianti, dagli abiti vistosi, di foggia edoardiana, e dagli atteggiamenti "rough working class", appare evidente l'interazione tra atteggiamenti teppistici giovanili e comunicazione massmediale: quell'evento mortale del 1953, da cui prende spunto l'allarme sulla delinquenza giovanile, rappresenta infatti soltanto uno dei tanti episodi, in questo caso dagli esiti particolarmente tragici, della violenza che continuo' a segnare i rapporti di vaste fasce giovanili delle classi subalterne.
    Anche prima della "emergenza teds" si erano infatti continuati a registrare i consueti e numerosi allarmi riguardo a "street violence, robbery attacks, blitz kids and cosh boys"; e le stesse caratteristiche comportamentali dei teds (l'aggressività, il senso del territorio, gli atteggiamenti virileggianti) si manifestavano apertamente, al di là di ogni contaminazione massmediale, come una continuazione dello stile di vita degli hooligans vittoriani ed edoardiani più che come il frutto del processo di "americanizzazione" della società e del clima di permissivismo a cui le forze conservatrici imputavano il fenomeno.
    Al di là delle valenze più prettamente stilistiche e simboliche, lo stile ted sembra insomma voler ricalcare le caratteristiche storiche dell'approccio del sottoproletariato giovanile alle attività legate al tempo libero: le cronache allarmate del 1954 stigmatizzano le risse del sabato sera tra bande avverse, le violenze e le rapine, quelle stesse forme di vandalismo contro i vagoni ferroviari già registrate nel XIX secolo durante le trasferte calcistiche e non dei Victorian boys; e, come nel caso dei primi hooligans, tacciano i teds di "non britannicità".
    Pur se principalmente mirato verso forme di divertimento quali la musica rock'n'roll, l'abbigliamento e il ballo, lo stile ted è invece pienamente partecipe dei tradizionali comportamenti giovanili Lumpen, tra cui spicca il rito della partita del sabato pomeriggio.

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    La gioventù Americana ed Europea nel secondo dopoguerra


    Il secondo conflitto mondiale piegò il Regno unito.
    Le risorse erano allo stremo, le città in rovina, la forza lavoro disoccupata.
    Mentre negli Stati Uniti la realtà giovanile non aveva visto nulla della guerra e godeva del prospero sviluppo economico e della piena fiducia nel sogno americano, quella inglese si trovò in una condizione profondamente differente.
    I giovani americani attivi nei consumi erano perlopiù studenti della middle class, ricchi e senza remore, quelli Europei si distinsero principalmente in due categorie: quelli appartenenti agli strati abbienti, culturalmente educati e tradizionalisti; e quelli lavoratori, cresciuti nelle strade e nei sobborghi.
    I primi, spesso frustrati e frastornati dalla modernità, ammiccarono alla trasgressione, ma di fatto furono vincolati dalla scarsezza di denaro, in quanto pur facendo parte di famiglie agiate, i genitori non vedevano di buon occhio lo stile di vita da loro intrapreso e non elargivano loro, quindi denaro. Mentre i secondi, non avendo tali limiti e avendo un lavoro con cui sostenersi, abbracciarono più consistentemente il consumo moderno.
    Quest'ultimi, grazie alla disponibilità di un salario consistente, che si accompagnò al boom economico (attivato grazie al piano Marshall), si emanciparono in senso filo-americano: poterono cioè permettersi uno stile di vita simile a quello dei coetanei d'oltre oceano.
    Dunque, la sottocultura giovanile inglese degli anni '50 non fu tanto associata ad un'adolescenza scandita dalla vita scolastica, quanto agli immutabili ritmi settimanali del sabato sera e del lunedì mattina.
    Era prevalentemente cultura della classe operaia, di giovani che lasciavano la scuola a quindici anni per andare a lavorare.
    È in quest'ottica che va collocata la possibilità di costruire uno stile generazionale cosa che, in precedenza, era impedito dalla mancanza di strumenti economici e culturali .
    Nel dopoguerra le paghe degli operai si quintuplicarono.
    Questo voleva dire che, se il mondo degli adulti si indirizzava sempre più verso acquisti domestici (tv, elettrodomestici, auto), che le economie di scala rendevano progressivamente più accessibili, quello dei giovani lavoratori si destinò ad un consumo di diverso genere (abbigliamento, divertimenti,ecc.).
    Perciò, in un paese che decideva, attraverso un esame sostenuto a 11 anni, chi poteva accedere alle scuole superiori, essere giovani, esclusi dall'istruzione, ma con la possibilità di poter lavorare e spendere, acquisì una dimensione nuova.
    Verso i tardi anni cinquanta e primi sessanta, molti figli del baby-boom erano diventati teenager e si preparavano al R'n'R, erano quasi tutti figli della working class e fu naturale per loro unirsi in gangs.

    C'erano disoccupazione e grandi speranze, le rivalità tra bande contrapposte costituivano i riflessi materiali di una contraddittoria realtà: da una parte più denaro da spendere in famiglia e tempo libero, dall'altra disoccupazione e degrado della vita suburbana.
    Questo, in definitiva, lo scenario economico-sociale che caratterizza fortemente lo scostamento culturale tra il movimento britannico e quello americano nella pur comune matrice ideologico-generazionale del Rock'n'Roll.
    E qui, a nostro avviso, nasce il misunderstanding che tuttora in culture "acquisite" e tendenti all'esterofilia come quella italiana, genera i "conflitti" tra le varie "anime" del Rock'n'Roll (Rockers, Hep Cats, Rockabillies, Psycobillies....) tra chi vive idealmente la patinata rappresentazione iconografica di una provincia americana paciosa e rassicurante fatta di belle macchine, feste di fine corso alle high school e quant'altro (cfr. films come "Grease") e chi, viceversa, sente tuttora fortemente l' "hard life" di una gioventù cresciuta tra le rovine e le tensioni sociali delle degradate periferie urbane europee (meglio rappresentato da cult-movie come "Leather boys").
    Questa struttura sociale fu l'"impalcatura materiale" sulla quale il R'n'R espresse con i testi, e con il ritmo, l'idea di una cultura alternativa a quella ufficiale fatta di vestiti, films, ballo e, soprattutto, divertimento.

    Piccola sintesi degli stili prevalenti:

    Mods:



    Movimento giovanile di breve durata nato in Inghilterra sul finire degli anni '50 come reazione ai rockers (o teddy boys).
    La spinta contro il sistema si affievolisce progressivamente fino ad adeguarsi allo status quo- che permette di acquistare dischi e una Vespa o una Lambretta da decorare con fanali e specchietti- lavorando e risparmiando. Le icone sono i Beatles, il programma televisivo "Ready, Steady, Go!". Lo stile si caratterizza per pettinatura a caschetto (bob) con scriminatura nel mezzo per entrambi i sessi; calzoni pied-de-poule a vita bassa, stivaletti con tacco o desert-boots Clarks, giacche in velluto stampato, gilets laminati, camicie rosa a quadretti con colletto tondo per i ragazzi; twin-set, gonne lunghe sotto il ginocchio, pochissimo trucco, calzettoni e scarpe senza tacco per le ragazze. Nel '79 l'Europa conosce una recrudescenza del fenomeno col nome di 'New Mod', reazione al movimento punk stimolata dalla complicità del film "Quadrophenia" di Frank Roddam.

    Yè-Yè:



    movimento giovanile e moda degli anni '60, segnati dall'esplosione dei fenomeni massivi nel consumo di moda. I giovani possono scegliere in negozi a loro rivolti, quindi si assiste ad un declino dell'haute couture mentre l'abbigliamento maschile opta per colori più accesi rispetto agli anni precedenti, seguendo lo stile dei Beatles, leaders incontrastati del campo musicale e del costume di quel decennio.L'onomatopea tenta di riassumere lo stile d'abbigliamento di quel periodo caratterizzato da un trionfo di stampati d'ispirazione optical e di minigonne, le tinte più apprezzate sono quelle tenui di Biba (pseudonimo della stilista Barbara Hulanicki).


    Surfers:



    movimento giovanile e moda spontanea, dotato di una mitologia propria di eroi e racconti, nonché di riti di iniziazione. All'inizio degli anni '60 si diffonde tra gli adolescenti californiani, quasi a compendiare l'edonismo dell'epoca con feste sulla spiaggia con ragazze e corse in auto. Lo stile d'abbigliamento subisce un'evoluzione dal preppy look attraverso la contaminazione dello stile hawaiano verso un look sempre più rilassato, nel quale prevalgono calzoni ampi, felpe con o senza cappuccio, magliette dai colori vivaci e dalla grafica abbagliante. Esistono una versione montana (snowboarding) e una urbana (skating), nate come succedanei del surf in assenza di onde, ma poi evolutesi in linguaggi autonomi, divenendo propulsive anche per l'innovazione delle tecniche surfistiche e dello stile d'abbigliamento.


    Hippies:


    movimento culturale nato intorno agli anni 1966-67 a San Francisco nel quartiere bohèmien di Height Ashbury, dove si origina il primo nucleo dei Figli dei fiori. L'espressione è di etimologia incerta, forse derivante da hip (libero, nel vento) poiché il simbolo del fiore viene scelto per evocare innocenza e libertà. Il fenomeno h. intraprende una progressiva politicizzazione sul finire degli anni '60 , legandosi al movimento di contestazione contro la guerra in Vietnam, mentre nel decennio successivo va sviluppando l'idea di dare vita ad una società parallela a quella borghese, nella quale si possa vivere senza tabù, assecondando ispirazioni e desideri propri e attuando un comportamento totalmente libero anche nella sfera sessuale. Lo stile h. si contrappone al modello borghese ed è costituito dall'essenzialità: jeans, tuniche in cotone naturale, gonne e pantaloni a vita bassa (hipsters), sandali, assenza di trucco e capelli lunghi. Negli anni '80 la filosofia h. riaffiora e dà vita alla corrente New Age, che diviene tendenza moda nel decennio seguente, presentandosi come una interpretazione epurata dagli intenti politici, la quale rivendica soltanto libertà di porsi, vestirsi ed esibirsi.


    Rockers:



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    nome di una tribù giovanile degli anni '50, associabile più a uno stile di vita che a un movimento di moda. Le origini si hanno nel '47, quando un gruppo di teppisti di Holister (California) effettuando scorribande su moto di grossa cilindrata, spesso arriva a distruggere i locali pubblici. L'abbigliamento tipico si compone di giubbotto di cuoio borchiato, stivali- sporchi da esibire sui tavoli- con jeans macchiati e sdruciti, serramanico e fazzoletto al collo da alzare sul viso, assemblati per esprimere il senso di sfida. Nello stesso periodo si sviluppano i movimenti dei 'Blouson noir' in Francia, degli 'Halbstarken' in Germania e dei 'Teddy Boys' in Inghilterra, tutti accomunati dall'icona di Marlon Brando in 'The Wild One'. Negli anni '60 si scontrano con i Mods invadendo i centri urbani, ma soccombono sul finire del decennio, pur rimanendo ispirazione per lo spirito di rivolta che attecchirà nei movimenti punk degli anni '70 ed heavy metal negli anni '80.







    Figli dei Fiori e il loro tipico abbigliamento



    I capelli, che a quel tempo sembravano scandalosi quando coprivano le orecchie e la fronte, diventarono sempre più lunghi. Ai primi stivaletti, maglia a righe e pantaloni attillati di derivazione dall'abbigliamento per il tempo libero americano, subentrò la più sfrenata libertà di accostamenti di colori, materiali e stili. Personaggi carismatici come Mick Jagger o Brian Jones, il leggendario chitarrista dei Rolling Stones ,considerato l'uomo più elegante del mondo rock, ostentano jabots, velluti, lamé, pellicce, calzamaglie, stivali alla moschettiera, vestiti in tessuto da tappezzeria e da biancheria intima, accompagnati da collane, orecchini e un trucco sempre più smaccato.
    Dal Settecento l'uomo non presentava più un'immagine di sé altrettanto vistosa e sessualmente provocatoria, in quanto arrivò quasi a mettere in ombra quell immagine femminile.
    Per tenere il passo, la donna dovette giocare le stesse carte: trucco molto marcato, capelli lunghi e cotonati, pantaloni attillati, golf e magliette aderentissime, stivali sopra il ginocchio, calze a rete e in fine la rivoluzionaria minigonna tagliata appena al di sotto dell'inguine.
    La moda si concentrò principalmente sui giovani.. Londra era la città che maggiormente interpretava questa richiesta giovanile
    La minigonna diventò la protagonista assoluta della moda di quell’epoca. Il suo ingresso fu dato dalla stilista di successo Mary Quant.
    Al posto di calze e reggicalze comparirono i primi collants colorati, mentre la biancheria intima cominciò a ridursi sempre di più al minimo.
    La donna proposta sulle passerelle era la classica ragazza dalle caratteristiche adolescenziali: la famosa Twiggy, ragazza pelle e ossa.
    I motivi fantasia che si ritrovarono sui mini-abiti, furono dati dall’influenza della pop-art. Furono utilizzati anche nuovi materiali come il vinile lucente, con effetto bagnato e tessuti acrilici e poliesteri di facile manutenzione. Il colore tornò finalmente ad esplodere!
    I capelli venivano portati lunghi, sciolti e lisci. Furono diffusissimi i jeans: la moda diventò sempre più unisex.
    Il prét – a porter godette del suo momento più esilarante, mentre andarono sempre più scomparendo le sartorie vecchio stile e i capi estremamente costosi.
    Furono anni in cui ci si aprì al pluralismo degli stili e all’espressione della propria personalità. Così accadde anche nella moda.
    La moda non venne più dalle alte sartorie, ma dalla strada!
    L’etnico dominò su tutto: gli hippies furono i primi ad indossare bandane, giacche di camoscio e collane di perline, inducendo e sostenendo sempre dio più il rifiuto del consumismo.
    Il glamour si affiancò all’etnico, e cosi nacque la moda Vintage
    Gli shorts: Nei Sessanta si chiamavano 'Hot Pants' perché i calzoncini erano effettivamente corti e si fermavano all'altezza delle natiche. In realtà oggi le versioni supercorte sono una rarità e più spesso arrivano a metà coscia.


    Hippies








    Qualcosa stava accadendo. Qualcosa di strano, di incerto, di allarmante, di vivo. Qualcosa che minacciava molte sane tradizioni di questo Paese, che reclamava il diritto di dare alla nazione la sua ultima possibilità di salvezza. I soggetti attivi di questo «qualcosa» furono chiamati hippies, happeners, flowers, children, beatniks, ecc.
    Il fenomeno stava dilagando in tutto il mondo come una scossa che sconvolgeva non solo le città ma anche i villaggi più remoti. Il libro citato era una raccolta di interviste ed articoli pubblicati sulla stampa cosiddetta «sotterranea» che era poi la voce ufficiale di questi ambienti hippies, per mezzo della quale trattavano i loro «problemi» che erano un miscuglio tra guerra, pace e religione, dalla politica alla droga, dall'amore e sesso alla scuola, ecc. ecc.
    Nel recensire il libro («Il Tempo», 12 - 9 - 1969) Enrico Falqui scrisse: « Zozzerie? E' triste, per non dire grave, che le cose considerate tali fino ad ieri per la grande maggioranza, lo fossero ancora e a mala pena, per una minoranza sempre più esigua e sparuta». Ed aggiunse inoltre «Lasciarsi sfuggire un giudizio simile sia pure per cose che lo esigono di stretto dovere, si rischia di essere disprezzati come dei poveri benpensanti tra pavidi ed ipocriti». Infatti, bastava dissentire su certe manifestazioni o mostrare di non disprezzare tanto il modo di fare certe cose tradizionali che vi spifferavano sotto il muso la qualifica «matusa», «passatista», «tradizionalista», «conservatore», «antiprogressista» e «cafone».
    Nello scorrere il libro si apprendeva che, secondo gli hippies, la droga faceva bene, che la Chiesa doveva morire, perché senza la morte non poteva esistere la resurrezione, ed altre cose che la pubblica decenza vietava di scrivere sui giornali e che riguardavano l'amore e altro, anche se fino a pochi anni fa si aveva un altro concetto di percepire e apprezzare questo sentimento.
    Una lettrice di una rivista americana, sulla quale la grande attrice Marlene Dietrich curava una rubrica, formulò la seguente domanda, abbastanza semplice ma abbastanza imbarazzante:
    «Che cosa è l'amore»? Marlene Dietrich rispose così: Se non lo avete conosciuto non lo capireste se ve lo spiegassi. Se l'avete conosciuto non avete bisogno di me per una definizione ... Comunque l'amore è una cosa su cui non dovreste cercare di riflettere. Come la Fede, è una cosa nobile, grande e lontana oltre la portata del nostro ragionare sul perché e sul percome».
    Inopportuni rimescolamenti di queste cose alle volte ordinate anche dall'alto, avevano provocato un "terremoto" nelle menti meno preparate, che, scambiando la fede con il ragionamento e l'amore col sesso, avevano materializzato l'uomo e la donna, e, se a questo si aggiungeva l'errata interpretazione della libertà, ne veniva fuori un guazzabuglio tale e, senza gli opportuni chiarimenti e provvedimenti, si sarebbero avviati velocemente presso il baratro della depravazione totale con tutte le conseguenze disastrose per l'Umanità intera.
    La contestazione, i dibattiti, il ragionamento non servivano, e non sarebbero serviti mai a far credere o a far amare.
    Capelloni e chitarre elettriche non sarebbero riusciti a far elevare la mente a Dio. Né le «innovazioni» avrebbero avuto la virtù di cambiare il mondo in meglio, quando si volevano apportare a tutti i costi, rinnegando in toto qualsiasi cosa passata.
    Il presente esiste in quanto è esistito il passato ed esisterà il futuro e, non sarà migliore del presente.
    Agli hippies arrabbiati, agli «innovatori» e vedremo che però non hanno «innovato» un bel niente.
    Si profila all'orizzonte un ritorno non sappiamo quanto gradito e profumato. Dopo l’enorme diffusione del tabacco da fumo, le donne fra breve metteranno fuori le «tabacchere» perché torna di moda

    La vita Hippies:



    Una delle innovazioni presenti nella vita degli hippies fu, appunto come dicevamo prima, la droga che secondo loro faceva bene, il fumo e un movimento che iniziò più tardi fu il nudismo
    il quale stava facendo passi da giganti. Inoltre dai giornali era avanzata la richiesta di un sacerdote di celebrare la Messa per un gruppo rispettabile di fedeli, naturalmente nudi, in un campo apposito ed apprendiamo altresì che il sacerdote avrebbe dovuto «vestire» gli stessi indumenti che indossavano i fedeli. Inutile dire che la messa al campo non fu mai celebrata per l'atteggiamento «passatista» e «retrogrado» del vescovo di Aquisgrana il quale con una mentalità piuttosto «antica» sosteneva che per la Messa, il sacerdote doveva indossare ... almeno il camice e la pianeta. Da più parti si erano levate vibrate proteste, per questo attentato alla ... libertà. Se c'era stato il veto del vescovo vuol dire che prima c'era stata l'accondiscendenza del sacerdote?
    In Africa, invece, continente sottosviluppato o in via di sviluppo e precisamente nella Repubblica del Malawi il Presidente dello Stato aveva dichiarato la così chiamata guerra alle minigonne.
    Le ragazze avevano risposto picche al Presidente il quale per stroncare definitivamente il malcostume vietava la vendita dei vezzosi e minuscoli indumenti e, qualunque ragazza, in minigonna o calzoni, colta alla presenza del Presidente, veniva immediatamente deportata.
    Passiamo ora alle «innovazioni» urbanistiche e constatiamo che malgrado tutto, qualche cosa di buono, secondo loro, era tornato: lampioni a gas, infatti in alcune vie di Roma, prima, e di Genova poi, demolirono gli impianti di illuminazione elettrica ed al posto delle fredde e allucinanti lampade fluorescenti, rimisero i vecchi e romantici fanali a gas che armonizzarono con l'architettura della loro epoca.
    Il movimento hippies stava rimodernando tutto lo stile di vita che secondo loro andava bene, mettendo sul mercato anche canzoni che sarebbero dovute essere irreperibili sul mercato perché sequestrate. Un esempio riportato è il titolo della canzone: Je t’aime moi non plus (L’autore non viene citato).


    L'abbigliamento e la moda negli anni del boom economico




    Un settore toccato da radicali trasformazioni è quello relativo all’abbigliamento. Il primo fenomeno apprezzabile da questo punto di vista è lo spostamento dall’interno (la cura dell’abbigliamento intimo, del corredo) all’esterno: la cura dell’abito che sempre più viene visto come status simbolo e non come lusso moralmente deprecabile esibito dalle classi superiori. Questo fatto produce la proletarizzazione dell’abito (vestiti in serie) con la perdita delle connotazioni di prestigio ad esso connesse e con la scomparsa della divisione classista degli stili che si accontenta di differenziazioni più sottili che non riguardano più la foggia ma la qualità e gli accessori. Tale trasformazione, a sua volta, induce un’accelerazione dei cicli della moda che, se prima della guerra duravano anche diversi anni, ora si trasformano in modo rapido con un alternarsi di modelli destinati a una breve durata: la manifestazione dello status riguarda pertanto la velocità di assorbimento del nuovo stile. A questo fenomeno si aggiunge la scomparsa della rigidità che determinava la selezione dell’abbigliamento in base all’occasione (mattino, pomeriggio, sera, festa, domenica ecc.). Essa, a sua volta è legata alla nascita dell’abbigliamento casual la cui affermazione determina il consolidamento, sul mercato, dei capi di produzione industriale, il che porterà poi all’affermazione, sempre come esigenza di status, di griffe e marche. Il casual costituisce la fusione tra abbigliamento normale e abbigliamento sportivo che si viene a creare a partire tanto dall’allargamento della fascia di tempo libero da destinare allo svago ed alla vacanza quanto dalla differenziazione tra abbigliamento adulto e abbigliamento giovane, con incursioni sempre più ampie degli utenti del primo negli stili del secondo.

    In sintesi la trasformazione più evidente è il valore non più tanto di status quanto identitario della selezione degli abiti cui si aggiungono le complesse esigenze di un’industria che deve necessariamente sollecitare desideri e creare legami tra l'apparire e l’immaginario individuale e collettivo se non vuole perdere i suoi livelli produttivi. Sparisce comunque, almeno per le classi medie, l’uso del vestito “buono” di sartoria, destinato a durare nel tempo e ad essere utilizzato in tutte le "grandi" occasioni.

    Dal punto di vista dell'estetica lineare, negli anni '60 andò di moda soprattutto la linea trapezio, che venne presentata nel 1958 dal giovane Yves Saint Laurent, ancora responsabile artistico della casa Dior: vestiti a forma di sacco che ignoravano il punto vita o cappotti stretti in alto e svasati verso il basso, spesso lunghi fino al ginocchio.
    I vestiti a sacco erano stati molto popolari già negli anni '20, ma allora erano molto più eleganti e signorili: lunghi almeno fini al ginocchio, avevano a volte una gonna applicata molto in basso ed erano spesso lavorati con stoffe delicate, pizzi e sete e realizzati in colori tenui. In confronto, i vestiti a sacco degli anni '60 sembrarono abiti per bambini; non avevano praticamente nessun dettaglio decorativo o tagli raffinati, ma erano quasi sempre confezionati con tessuti rigidi (sintetici), con un taglio diritto o leggermente svasato. Il loro effetto derivava dai motivi grafici o da fantasie floreali molto colorate; inoltre, erano molto più corti dei vestiti degli anni '20 e in generale ebbero abbastanza successo.

    Di eleganza tradizionale o signorile non se ne poteva proprio parlare, ma questo appunto era lo scopo voluto. I nuovi vestiti e cappotti dovevano innanzitutto sembrare giovanili e poco convenzionali, divertenti e irrispettosi. L'età reale di chi li indossava non aveva alcuna importanza.

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    LA MINIGONNA


    Gli anni'60 furono soprattutto gli anni della minigonna.
    La sua apparizione (1965), che rispondeva al crescente bisogno delle adolescenti e delle giovani di esprimersi liberamente, fece scalpore: le gambe non erano mai state così in vista! La mini fu subito considerata indecente e molti erano sdegnati: per esempio, secondo Coco Chanel il ginocchio era la parte meno attraente della donna, che pertanto sarebbe stato meglio tenere nascosta. Nonostante le critiche, negli anni '60 le sottane delle donne di qualsiasi età diventarono man mano sempre più corte, fino ad arrivare in certi casi a coprire a malapena gli slip. Alla realizzazione della mini estrema contribuì in modo non indifferente l'invenzione della calzamaglia senza cuciture.
    L'inventore della minigonna è discusso: Mary Quant o Courrèges? Entrambi, infatti, presentarono, pressoché contemporaneamente, modelli con gonne molto corte.
    Le minigonne di Courrèges avevano linee spigolose e futuristiche ed erano pensate per essere indossate su pantaloni attillati o con stivali a metà polpaccio.
    La Quant propose scamiciati a vita lunga, con cinture all'altezza dei fianchi, gonne pieghettate o svasate che si fermavano appena sopra il ginocchio e sembravano molto più corte di quanto fossero realmente. La sua mini diventò immediatamente un must.

    mini



    IL TRANSPARENT LOOK



    La voga delle minigonne e della vita scoperta presto si diffuse sfociando in una moda delle trasparenze, che nell'era delle materie plastiche si concretizzò in nuovi modelli in plastica o in tessuto di fibre sintetiche.
    Yves Saint Laurent, nell'inverno del 1968, presentò un abito da sera lungo fino a terra, di mussola nera trasparente, con delle applicazioni di piume di struzzo sui fianchi che arrivavano fino a metà coscia e che doveva essere portato con nient'altro che un serpente d'oro come cintura.
    Courrèges, nei tardi anni '60, creò vestiti in organza, nei cui punti più intimi erano applicati dei fiori o delle forme geometriche.
    La versione più portabile di questo trend era sicuramente la linea di camicie trasparenti con rifiniture in volant sulle maniche o sulla scollatura; in commercio ne esistevano diverse varianti.
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    Come i pantaloni a zampa d'elefante, l'abbigliamento etnico o in PVC, anche la moda trasparente fa parte del versatile repertorio degli anni '60, dal quale i designer hanno continuato ad attingere fino agli anni '90.

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    MINIGONNA – La sua storia – (Dagli anni 60)

    Minigonna-ragazza-inglese-1971



    La minigonna, generalmente detta mini, è un tipo di gonna con l’orlo inferiore che arriva molto sopra le ginocchia (lunghezza variabile a seconda dei modelli, nei primi 10/15 cm o più sopra la linea delle ginocchia, successivamente anche più corti), mostrando quindi parte della coscia. Può essere aderente (eventualmente con spacco centrale o laterale) o meno ed è realizzata in vari tessuti (jeans, similpelle, cotone, PVC, ecc.). Il termine mini è stato poi applicato anche ai vestiti che scoprono le gambe come le minigonne, nati nello stesso periodo, definiti mini-abiti, anche se spesso i media usano termini come “donna/ragazza in minigonna” per entrambi i tipi di abbigliamento.

    Generalmente la sua ideazione viene indicata come opera della stilista britannica Mary Quant (ma la vera origine è dibattuta e contesa da altri stilisti) e divenne popolare dagli anni sessanta, per cui da molti è stata considerata uno dei simboli della Swinging London. Durante i suoi decenni di esistenza è stata più volte dichiarata morta sia da critici di moda che da diversi stilisti ma, seppur con diverse variazioni nella sua diffusione, il capo è rimasto in uso in molti paesi del mondo ininterrottamente dal mo Origine e la prima diffusione

    L’origine della minigonna è generalmente accreditata nel 1963 (o in altre fonti nel 1965) per opera della stilista britannica Mary Quant, che fu ispirata dall’automobile Mini e che a partire dalla fine degli anni cinquanta aveva iniziato a proporre abiti sempre più corti. Il nome inglese del nuovo capo di abbigliamento era mini-skirt.

    La paternità non è però condivisa da tutti i critici e storici della moda: in Francia per esempio il designer francese André Courrèges è spesso citato come inventore della mini-jupe (aveva presentato degli abiti che terminavano sopra il ginocchio a partire dalla sua collezione del 1964), mentre altri autori (come la giornalista Marit Allen, firma in quegli anni dell’edizione britannica di Vogue), citano lo stilista e costumista John Bates (suoi alcuni degli abiti di Diana Rigg nella serie The Avengers). Lo stilista austriaco natualizzato californiano Rudi Gernreich (già noto per aver presentato negli Stati Uniti nel 1964 un costume da bagno pensato per il topless) viene presentato dalla stampa della seconda metà degli anni sessanta come uno degli anticipatori che, con i suoi modelli, hanno alzato sensibilmente sopra il ginocchio l’orlo delle gonne vendute nel mercato statunitense. La nascita della minigonna, seppur non come abito da indossare normalmente, è attribuita anche a Helen Rose, che produsse alcune gonne molto corte per i costumi di scena (in parte ispirati alle tuniche romane) dell’attrice Anne Francis nel film di fantascienza Il pianeta proibito (Forbidden Planet), girato nel 1956, quasi un decennio circa prima della nascita ufficiale dell’indumento.

    Minigonna-sposa-1968
    Sposa in minigonna ad Auckland, nel 1968. La diffusione della “mini” influenzò anche indumenti generalmente più casti, come gli abiti da sposa, i tailleur con gonna o il tubino.

    Questi dibattiti per la paternità non sono comunque anomali, è da ricordare infatti, come già detto, che simili capi di vestiario erano effettivamente già stati impiegati in precedenza, per esempio per le divise delle sportive o per gli abiti da spiaggia lanciati nei primi anni ’60 che terminavano alcuni centimetri sopra le ginocchia, ed era comunque da diversi decenni che gli abiti e le gonne stavano divenendo sempre più corti. La stessa Mary Quant affermerà che:

    Se le primissime minigonne presentate da Mary Quant, per essere definite tali, dovevano aver in lunghezza che le facesse arrivare a due pollici sopra il ginocchio (circa 5,1 cm), nell’arco di un anno erano generalmente considerate tali quelle che arrivavano a scoprire almeno quattro pollici sopra il ginocchio (circa 10,2 cm). La lunghezza diminuì ancora, ma non in maniera uniforme: se per la moda londinese di fine anni sessanta poteva essere accettabile una gonna che arrivava a ben 7/8 pollici (circa 17,8/20,3 cm) sopra il ginocchio, nello stesso periodo a New York la lunghezza tipo non scopriva più di 3/4 pollici (circa 7,6/10,2 cm). Le dimensioni della minigonna in Inghilterra furono anche al centro di un caso di “evasione fiscale”: il sistema di tassazione di allora prevedeva un’imposta indiretta sull’acquisto solo per gli abiti per adulti, considerando tali quelli di lunghezza superiore ai 24 pollici (circa 61 cm), esentandone quelli per bambini; le minigonne, pur essendo abiti per ragazze e donne adulte, con le loro lunghezze variabili tra i 13 e i 20 pollici (circa 33 e 50,8 cm), risultavano nella fascia non tassata.

    Minigonna-Mary-Quant

    Minigonna-Andre-Courreges

    Il periodo di forte rinnovamento sociale che portava ad una ricerca di discontinuità con il passato tra i più giovani, la facilità di produzione (e l’economicità nei modelli più semplici) di questo capo di vestiario, garantirono un forte interesse da parte dei media, degli stilisti ed esperti di moda, che a loro volta contribuirono ad aumentarne la diffusione sia nell’abbigliamento quotidiano che nella moda più elitaria. Il già citato André Courrèges incluse per esempio una minigonna, meno aderente e portata con stivaletti (i Go-go boots), per la sua collezione Mod della primavera estate del 1965, introducendola quindi nella cosiddetta alta moda, mentre tra i primi stilisti a vestire nelle sfilate le modelle con delle minigonne vi fu il suo connazionale Pierre Cardin.

    Non tutti gli stilisti però apprezzarono la gonna, che ricevette diverse critiche: per esempio Chanel, nonostante il suo contributo dato alla rivoluzione dello stile femminile che farà da apripista a questo capo di vestiario, la considerava indecente, citando il parere di Christian Dior (morto alcuni anni prima) che riteneva il ginocchio la parte pià brutta del corpo.

    Nel 1966 Mary Quant ricevette il titolo di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico per via dell’improtanza che la minigonna (e in generale lo stile londinese) aveva assunto nel mondo della moda.

    Nel 1967 l’artista argentino Gustavo Del Rio nella sua Performance di Body Art realizzata a Buenos Aires, “La Obra soy yo”, crea la Minigonna Mascolina.

    Minigonna-Andre-Courreges

    Minigomma-Katty_Line_e_Adriano_Celentano
    La cantante francese Katty Line in minigonna nel 1969, insieme al cantante italiano Adriano Celentano. Minigonne particolarmente corte, portate in scena e nelle manifestazioni dal vivo (come il Cantagiro 1970), caratterizzarono la breve carriera della cantante.

    L’uso della “mini”, che scopriva le gambe, ha reso in questo periodo sempre meno diffuso l’impiego di calze e giarrettiere, a cui venivano preferiti i collant (introdotti sul mercato alla fine degli anni ’50) o, più recentemente, i fuseaux e i leggings. Mary Quant citò proprio la presenza di collant e simili, che rappresentavano un ulteriore copertura per le parti intime femminili, in una sua difesa della minigonna contro le legislazioni che volevano vietarla:

    L’accorciamento delle gonne si produsse fin dall’inizio anche in quello di altri capi, come i più tradizionali abiti da donna, facendo nascere i mini-abiti, che di fatto univano magliette e maglioni al concetto di minigonna, anche questi spesso indossati con i collant.

    In parte per massimizzare una sorta di spirito di ribellione, dovuto al poter mostrare liberamente ciò che era considerato scandaloso e volgare (erano gli anni dei movimenti sessantottini), in parte per i dettami di alcuni stilisti che puntavano molto all’effetto pubblicitario di questi scandali, le minigonne in breve si accorciarono drasticamente, fino ad arrivare in alcuni modelli a soli pochi centimetri dalla biancheria intima che copriva i genitali, divenendo anche un simbolo della conquistata libertà sessuale femminile. All’uso sempre più frequente di minigonne e miniabiti si associò, per un breve periodo, anche l’abbandono del reggiseno, che spesso veniva bruciato dalle femministe come segno di protesta e di supporto ad una nuova idea della donna, non legata all’immagine precedente di cui i capi di vestiario tradizionale (abiti lunghi e reggiseno) erano un simbolo.

    Mini-Abito-anni-70
    La diffusione della minigonna (e in generale delle mode legate alla Swinning London), partita dai paesi europei del blocco occidentale, da lì passata (seppur non immediatamente) negli Stati Uniti (e dopo alcuni anni in quest’area più o meno tacitamente accettata), non ebbe la stessa facilità di diffusione altrove: in Cina per esempio, dove si era nel pieno della Rivoluzione Culturale, venne considerata uno dei simboli della “depravazione” dell’occidente capitalista, mentre in Australia le gonne rimasero sotto al ginocchio per buona parte degli anni ’60. Anche in diverse nazioni dell’Africa la minigonna venne vista come un simbolo della decadenza del mondo occidentale che avrebbe corrotto i costumi locali. Per quello che riguarda l’Italia, la minigonna inizia a diffondersi nel 1966, ma rimane per diverso tempo un indumento mal visto dall’opinione pubblica, indossato nel chiuso dei locali da ballo, e si registrarono anche casi di ragazze che vennero denunciate, quando la gonna indossata in pubblico era considerata troppo corta. Ci fu anche chi denunciava la minigonna come un passo indietro nella lotta per la parità dei diritti delle donne, essendo un qualcosa che le rendeva solo un oggetto di attrazione sessuale: simili tesi vennero per esempio abbracciate da Nicola Adelfi su La Stampa già nel luglio del 1967, insieme alla previsione di un prossimo forte declino nell’uso dell’indumento e del suo successivo (ma a posteriori mai verificato) “tramonto“. In Francia, sempre nel 1967, anno in cui la moda nazionale riteneva la minigonna corta al massimo fino a 16 cm sopra le ginocchia, la polizia accusò esplicitamente le minigonne di favorire gli atti di violenza sulle donne, stimati in aumento, mentre il ministro dell’istruzione francese Alain Peyrefitte chiese il ritorno dell’uniforme scolastica con gonna lunga, suscitando forti polemiche e contrarietà anche da parte di diversi presidi.

    Fortemente critica nei confronti del nuovo capo di abbigliamento fu la Santa Sede, in quanto era ritenuto un abito “degradante” nei confronti della donna. Nel giro di pochi anni dalla sua introduzione le autorità vaticane, ufficialmente anche per evitare distrazioni da parte dei fedeli, resero più rigida l’applicazione delle già esistenti norme di ingresso e vietarono di fatto alle donne con la gonna al di sopra del ginocchio l’accesso a diversi edifici della città, tra cui la Basilica di San Pietro e i Musei Vaticani (tra le persone respinte, nell’agosto del 1969, vi fu anche la principessa del Belgio, Paola Ruffo di Calabria).

    A cercare di contrastare la diffusione delle minigonne non vennero usate solo questioni di morale pubblica per lo scandalo che questa poteva provocare, anche diversi medici iniziarono ad indicare nel nuovo indumento la possibile causa di reumatismi e futuri problemi circolatori.

    Gli anni ’70

    Minigonna-1970
    Ragazze al Rhodes College di Memphis (Tennessee, USA) nel 1973. Durante gli anni ’70 alla minigonna si affiancarono i pantaloncini corti (short, hot pants e simili), spesso di lunghezza inferiore a quella delle stesse minigonne, come quelli indossati dalla ragazza sulla sinistra.

    Con l’arrivo della metà degli anni settanta questa tendenza iniziò però ad invertirsi. Il giornalista britannico Christopher Booker, nel suo libro The Seventies: portrait of a decade (1980), motivò queste modifiche al capo di abbigliamento sia in base al fatto che ormai non era possibile accorciarlo ulteriormente

    Altro motivo l’impressione di essere oggetti plasticosi o “‘dolly birds’” che rischiavano di suscitare le ragazze vestite in minigonna e soprabito Mackintosh di PVC (l’accoppiata dettata dalla moda del periodo).

    Un altro motivo che spinse all’allungamento della gonna furono le proteste del movimento femminista: se in un primo tempo le gonne e la possibilità di vestirsi in maniera sexy (oltre a poter vivere più liberamente le proprie esperienze sessuali) erano sembrate delle novità da indicare come un’evoluzione positiva nella condizione delle donne, col tempo questo abbigliamento rischiava (nell’ottica di alcuni gruppi femministi) di farle considerare solo come degli oggetti sessuali. In quegli anni iniziavano peraltro ad essere poste sotto accusa anche diverse campagne pubblicitarie, che puntavano sulla minigonna per evidenziare l’avvenenza delle modelle, richiamando così l’attenzione su prodotti che non avevano nulla a che fare né con l’abbigliamento, né con l’universo femminile. In pochi anni la minigonna era quindi passata da simbolo delle nuove libertà e della conquistata indipendenza (anche economica) delle donne, indossata a volte in modo volontariamente eccessivo come forma di provocazione, a capo di vestiario da boicottare perché legato alla figura della donna-oggetto.

    minigonna-pubblicita-anni-70

    In questo periodo, con l’eclissarsi della minigonna, si diffonde la moda degli short (letteralmente “corto“), spesso di jeans, come quelli indossati dall’attrice Catherine Bach nella serie televisiva Hazzard (1979-1985), che divennero noti proprio come Jeans Daisy-Duke (dal nome del suo personaggio) e degli hot pants (anche questi ultimi vedono tra i loro inventori la stilista Mary Quant): entrambi scoprivano le gambe come, se non più, delle minigonne, ma risultavano più pratici in quanto permettevano una maggiore libertà di movimento, oltre a proteggere e coprire maggiormente la zona intima.

    Nonostante questo cambio di rotta, la minigonna non sparì mai del tutto, né dalla vita comune, né nel mondo dello spettacolo e della moda. La minigonna (seppur a volta sotto forma di uniforme o costume), proprio per il suo essere comunque un simbolo dell’abbigliamento femminile giovane del tempo, influenzò anche il look delle protagoniste femminili dei nascenti anime robotici (per esempio le opere di Gō Nagai o Yoshiyuki Tomino) e i majokko (ma questi ultimi si diffusero maggiormente nel decennio successivo), fornendo spesso la scusa per inserire nelle storie gag o scenette contenenti ammiccamenti sexy.

    Gli anni ’80

    Con l’avanzare gli anni ottanta la minigonna tornò di moda, seppur con tempistiche e diffusione diversa tra l’Europa e il Nord America, e si diversificò in modelli molto differenti (per tipo di tessuto, taglio, ecc.), pur non raggiungendo mai né una forma così corta, né la diffusione che aveva raggiunto nel suo primo decennio di vita. Tra i modelli che si affermarono vi sono il Rah-rah skirt, non aderente e con una base larga, in grado di coprire meglio le gambe in posizione seduta, ispirato a quello tipico delle cheerleader statunitensi (che a partire dalla fine degli anni ’60 avevano fatto di questo tipo di minigonna una parte integrante delle loro uniformi), e il puffball skirt (nota anche come bubble skirt). Oltre al ritorno della minigonna questo decennio segnò anche il ritorno delle calze, munite di autoreggenti, che come i collant vennero proposte dagli stilisti in vari modelli e materiali, da quelle trasparenti, a quelle colorate, passando per quelle a rete.

    Tra il 1984 to 1986 la stilista britannica Vivienne Westwood, che al tempo lavorava in Italia, lanciò un nuovo tipo di minigonna chiamato mini-crini, composta dalla fusione di un tutù da ballo con una struttura rigida derivata dalle crioline usate nell’epoca Vittoriana, ma il suo successo rimase confinato quasi esclusivamente al mondo della moda e dello spettacolo.

    Durante questo decennio la minigonna, nelle sue varie incarnazioni, iniziò ad essere indossata anche da personaggi pubblici non appartenenti al mondo dello spettacolo, come la principessa Diana, oltre a continuare ad essere impiegata da cantanti ed attrici, che a volte ne fecero una delle loro caratteristiche più identificabili (come il duo pop britannico Pepsi & Shirlie o la cantante Deborah Harry del gruppo statunitense Blondie).

    Dagli anni ’90 alla fine del XX secolo


    Con l’arrivo degli anni novanta e dei primi anni del 2000, telefilm e serie televisive di origine statunitense, ma di grande successo mondiale e con un target variegato come Friends (1994-2004), Caroline in the City (1995-1999), Sex and the City (1998-2004), Melrose Place (1992-1999) o Ally McBeal (1997-2002) riportarono alla ribalta questo tipo di indumento, indossato spesso in scena dalle attrici protagoniste. Una famosa sequenza del film Basic Instinct (realizzato nell’anno 1992, in cui la protagonista Sharon Stone in realtà indossava un corto tubino), ripetutamente ripresa e/o parodiata da altre pellicole e produzioni televisive, ha diffuso tra il grande pubblico l’idea della minigonna portata senza calze e senza intimo, tematica legata sia all’esibizionismo che al voyeurismo fotografico dell’upskirt (da up “insù” e skirt “gonna“, ovvero il guardare verso l’alto da sotto una gonna), oltre a rilanciare fortemente nell’immaginario collettivo le gambe come zona del corpo femminile usata nella seduzione.

    Sex-and-the-city

    Alba-Parietti

    In Italia, soprattutto tra le più giovani, ebbe forte influenza l’abbigliamento delle ragazze di Non è la RAI (1991-1995), programma criticato spesso proprio per i costumi di scena, ritenuti eccessivamente ammiccanti per le protagoniste per larga parte ancora adolescenti. Lo stesso regista ed autore, Gianni Boncompagni, aveva precedentemente realizzato alcune edizioni del programma settimanale Domenica In, dove le numerose ragazze in studio indossavano tutte “divise” uguali, rigorosamente comprensive di minigonna. Vero simbolo televisivo della “minigonna italiana” di questo decennio sarà però la più matura Alba Parietti, le cui gambe, messe abilmente in mostra dai costumisti, dagli scenografi e dalla regia di Galagol (Telemontecarlo 1990/91, 1991/92 e 1995/96) e Domenica In (Rai Uno, 1992/93), tramite abiti e gonne cotrissimi ed alti sgabelli, divennero una delle “caratteristiche” più dibattute di questi programmi.

    In Giappone nascono mode, come lo stile Kogal o il Gothic Lolita, che prevedono l’uso di minigonne di vario tipo, alcune delle quali derivate dall’uniforme scolastica giapponese o dalle gonne “gotiche” portate insieme ad una specie di crinolina.

    Per quello che riguarda il mondo della moda la gonna è stata sempre presente, seppur con variazioni nella sua lunghezza e nella frequenza della sua presenza nelle linee di vestiario presentate nelle varie collezioni annuali. A metà degli anni ’90 alcuni stilisti (tra cui Valentino) ed alcuni critici di moda, in controtendenza rispetto ai modelli che stavano proponendo la televisione e il cinema, avevano annunciato l’abbandono della minigonna, considerata ormai un indumento del passato, ma già pochi anni dopo questa è tornata prepotentemente sulle passerelle

    mento della sua creazione ad oggi.

    Gli anni 2000

    Nella seconda metà della prima decade degli anni 2000 i pantaloni a vita bassa hanno in parte scalzato la minigonna e gli hot pants dal podio dell’”abito più provocante”, oltre ad attirare su di loro lo stesso tipo di critiche, relative alla supposta volgarità, che negli anni ’60 e ’70 venivano indirizzate alle mini. Nell’abbigliamento di tutti i giorni le minigonne continuano tuttavia ad essere usate diffusamente, anche nei mesi invernali, dove sono sovente abbinate a pantaloni aderenti come i leggings, i fuseaux o collant pesanti. La principale differenza, rispetto ai decenni precedenti, è l’abitudine tra le donne di indossare l’indumento anche sopra i 30 anni, cancellando quindi l’immagine che lo voleva capo di abbigliamento destinato solo alle ragazze più giovani. Con il nuovo secolo le mode provenienti dall’oriente che prevedono l’uso di gonne sopra il ginocchio, come il già citato Gothic Lolita, iniziano a diffondersi anche in occidente, ma in modo marginale, pur divenendo molto note tra i giovani grazie ai protagonisti di anime e manga che vestono seguendo quegli stili. Nel 2005 in Gran Bretagna la catena di grandi magazzini Harvey Nichols effettuò un sondaggio tra i suoi clienti per individuare il capo di vestiario più amato: la minigonna ottenne il primo posto.

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    BIKINI e TANGA – (Origini)

    Bikini-raquel-welch-





    Il bikini è un tipo di costume da bagno femminile in due pezzi che lascia la pancia scoperta. Il nome deriva dall’atollo di Bikini, sede di esperimenti atomici, anche in virtù dello scalpore che creò nella società la sua comparsa.

    Il pezzo superiore copre il seno ed una parte del busto o della schiena; ha una forma simile ad un reggiseno ed ha generalmente una o due bretelle di sostegno. Il pezzo inferiore è uno slip, forma simile ad una mutanda, che copre il pube e una parte più o meno ampia dei glutei

    Storia antica


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    Donna in bikini, dai mosaici romani di Villa del Casale, a Piazza Armerina

    Costumi a due pezzi erano indossati già nell’antichità, come risulta dal ritrovamento di urne, affreschi e mosaici di epoca greca e romana (i più antichi risalgono addirittura al 1400 a.C.).

    Origini moderne


    Micheline_Bernardini_primo-bikini-1946

    Micheline_Bernardini-posa-in-Bikini

    Il bikini moderno è stato inventato dal sarto francese Louis Réard a Parigi nel 1946 (introdotto ufficialmente il 5 luglio). Il nome richiama l’atollo di Bikini nelle Isole Marshall, nel quale negli stessi anni gli Stati Uniti conducevano test nucleari: Reard riteneva che l’introduzione del nuovo tipo di costume avrebbe avuto effetti esplosivi e dirompenti.

    Il modello di Reard rifiniva il lavoro di Jacques Heim che, due mesi prima, aveva introdotto l’Atome (così chiamato a causa delle sue dimensioni ridotte), pubblicizzato come il costume da bagno più piccolo al mondo. Reard rese l’ Atome ancora più piccolo, ma non riuscì inizialmente a trovare una modella che osasse indossarlo. Finì quindi per ingaggiare come modella Micheline Bernardini, spogliarellista del Casino de Paris.

    Bikini nella cultura moderna

    Ci vollero quindici anni perché il bikini fosse accettato negli Stati Uniti. Nel 1951 i bikini furono proibiti al concorso per Miss Mondo. Nel 1958, il bikini di Brigitte Bardot nel film E Dio creò la donna creò un mercato per il costume negli USA, e nel 1960 la canzone di Brian Hyland “Itsy Bitsy Teenie Weenie Yellow Polka Dot Bikini” diede l’avvio a una corsa all’acquisto del bikini. Infine il bikini divenne popolare, e nel 1963 il film Beach Party, con Annette Funicello (enfaticamente non in bikini, dietro espressa richiesta di Walt Disney) e Frankie Avalon fu il primo di una serie di film che resero il costume un’icona della cultura pop.

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    Bikini-Raquel-Welch-1966

    Coloro che conoscono la storia dell’atollo di Bikini – in particolare coloro che si oppongono alla proliferazione nucleare – potrebbero trovare l’etimologia del nome “bikini” per un indumento inappropriata. La sua lettura come “esplosivo” in effetti riduce la rilevanza di una seria crisi umanitaria, che ancora influenza la politica delle Isole Marshall, a un mero simbolo della cultura popolare. Il termine due pezzi è talvolta considerato più appropriato.

    Evoluzione del bikini

    In epoca recente, il termine monokini è stato utilizzato con riferimento ad abbigliamento da bagno topless femminile; laddove il bikini ha due pezzi, il monokini è costituito dal solo pezzo inferiore. Dove il monokini è comunemente utilizzato, spesso con un motto di spirito si definisce bikini a un abbigliamento composto di due elementi: un monokini e un cappello. Il termine monokini è stato coniato da Rudi Gernreich.

    Un tankini è un costume da bagno che consta di un top maggiormente coprente di quello di un comune bikini (tank top) e di un pezzo inferiore da bikini. Uno string bikini è una versione alternative, meno coprente, in cui i pezzi inferiore e superiore si riducono a triangoli di tessuto tenuti insieme da lacci.

    La parte inferiore del bikini si è ulteriormente ridotta negli anni settanta con l’introduzione del tanga brasiliano, la cui parte posteriore è così ridotta da scomparire tra le natiche. In generale, in epoca recente i bikini sono diventati più ridotti. Questo trend cominciò con il pezzo superiore; ridotto quest’ultimo al punto da coprire a malapena il seno, l’attenzione degli stilisti si rivolse al pezzo inferiore.

    Trikini

    Trikini-Jennifer-Lopez
    Un bikini abbinato a uno short, top o pareo è detto trikini, il termine è stato coniato nel 1967.

    Tanga

    Un tanga è una mutandina simile allo slip, ma molto più sgambata, tanto da consistere sui fianchi solo in un sottile nastro o un cordoncino. Viene spesso confuso con il perizoma, altro tipo di mutandina che può essere sgambata o meno (e in questo differisce dal tanga, che lo è sempre), ma nella sua parte posteriore è tanto stretta da consistere in una sottilissima striscia di tessuto.

    Tanga

    Origine ed evoluzione

    Il nome tanga deriva da quello di un ornamento tipico della cultura detta di Marajó (Brasile settentrionale) che viene ancora utilizzato da alcuni gruppi abitanti alla foce del Rio delle Amazzoni. Il tanga è costituito, nella parte anteriore, da una placchetta di ceramica a forma triangolare tenuta sospesa da una cordicella passante per due fori praticati lungo la base; il fianco dell’indumento, pertanto, è costituito unicamente da detta cordicella.

    Una leggenda vuole che la grande popolarità dell’indumento derivi da una ragazza brasiliana di origini italiane, Rose di Primo, che avrebbe tagliuzzato il suo costume per farsi notare a una festa nella spiaggia di Ipanema, a Rio de Janeiro, nel 1972. Il clamore ottenuto dall’esibizione della ragazza avrebbe avviato la diffusione del succinto indumento sulle spiagge del Brasile.

    Come capo di biancheria intima, il tanga è stato storicamente in voga in particolare nei periodi in cui lo sono stati gli indumenti a vita bassa (gonne e pantaloni), in quanto occupando naturalmente meno spazio in altezza di uno slip, una volta indossato è meno facile da scorgere oltre il bordo superiore degli stessi.

    È molto diffuso soprattutto come parte di costumi da bagno due pezzi, in quanto grazie alla sua essenzialità riduce al minimo la parte di addome, schiena e fianchi coperti, consentendo un’abbronzatura molto estesa anche se non integrale.

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    Arriva la moda del futuro
    La moda che verrà


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    Milano Moda Donna chiama e lo stile risponde. Pellicce eco colorate oppure dark lady che indossano tessuti aderentissimi come fossero una seconda pelle. Fantasie rock e borchie secondo Frankie Morello, più mite il richiamo al selvaggio dello stile Iceberg. Casta e pura, con gonne appena sopra il ginocchio, è la donna Laura Biagiotti. Tutte le tendenze della moda del futuro sfilano sulle passerelle milanesi. Ecco per voi il meglio delle tendenze dettate dalle maison!
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    Giorgio Armani, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Giorgio Armani, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Giorgio Armani, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Laura Biagiotti, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Laura Biagiotti, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Emporio Armani, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Sobrie e castigate
    Giorgio Armani, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Laura Biagiotti, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Laura Biagiotti, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Blumarine, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Max Mara, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Angelo Marani, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Roccobarocco, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Dsquared2, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Blugirl, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Frankie Morello, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Blugirl, collezione autunno inverno 2012 2013
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    C'N'C' Costume National, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Frankie Morello, collezione autunno inverno 2012 2013
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    Frankie Morello, collezione autunno inverno 2012 2013


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    Jo No Fui, collezione autunno inverno 2012 2013


     
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    Il jeans compie 140 anni
    Sono ben 140 le candeline spente quest'anno dallo storico tessuto, registrato per la prima volta da Levi's. Ebay lo festeggia con una sezione ad hoc e una stylist d'eccezione: la Pina

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    Sono passati ben 140 anni da quando Levi's per primo depositò il brevetto per la produzione del denim, da allora lo storico tessuto non ha mai smesso di avere sucesso; capo principe del casualwear il suo successo si è esteso ben oltre i confini dei look informali.
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    Farrah Fawcett, 1977
    Per festeggiare l'aninversaio del leggendario cinque tasche eBay ha deciso di dedicare al denim la sua pagina moda che, dal 13 febbraio e per un mese, richiamerà nel design la "tela di Genova". Oltre alle scelte della stylst Monica Sirani avrete l'opportunità di curiosare tra le scelte denim di un'altra stylist d'eccezione: la Pina di Radio Deejay che ha selezionato capi jeans spaziando tra cappelli, abiti, pantaloni e addirittura pupazzi.
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    James Dean, 1955
    Questi capi saranno battuti all'asta, a partire dal 21 febbraio e per una settimana, e il ricavato andrà al Cesvi, organizzazione di volontariato no profit.
    (20/02/2013 00:00)

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    Marilyn Monroe e Keith Andes, 1952

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    Madonna, 1993

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    Elvis Presley


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    Linda Evans

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    Kate Moss, campagna Calvin Klein 1993

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    Jennifer Beals

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    Quvenzhane Wallis

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    Look da Mille Miglia
    86 anni di storia... anche glamour. In attesa della 31/esima rievocazione della «corsa più bella del mondo», ecco una panoramica sui look che hanno accompagnato le auto d'epoca dagli anni '30 a oggi
    di Consuelo Michetti


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    La storica corsa bresciana d'auto d'epoca, la cui prima edizione risale al marzo 1927, si avvicina alla sua 31/esima rievocazione: dal 16 maggio 375 auto selezionate, si muoveranno da Brescia per arrivare a Roma il giorno dopo.

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    Audrey Hepburn - Anni '50
    Il bagaglio della Mille Miglia è ricco di emozioni, glamour, ricordi e gusto retrò. Anche la moda si è evoluta di pari passo con le auto e a rappresentare questa evoluzione ci sono state alcune tra le donne più eleganti di tutti i tempi. Da Vilma Banky con il suo look da
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    Jayne Mansfield - Anni '50
    mademoiselle di sul finire degli anni '20, all'eleganza ora femminile ora androgina dei completi di Marlene Dietrich tra il 1930 e il 1964.

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    Rita Hayworth - 1941
    Negli anni '40 la moda maschile contamina, senza tabù, le linee dei completi del gentil sesso, ma se c'è chi sceglie camicia e pantaloni dal gusto androgino, vedi Rita Hayworth, c'è anche chi, pur con semplicità, non può fare a meno di classe e raffinatezza, vedi Audrey Hepburn.
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    Anita Ekberg - 1955

    Un'eleganza portata avanti anche da Genevieve Page che la declina in cappello, guanti e cappotto.

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    Marlene Dietrich - 1933

    Poi ci sono gli anni '50 con l'iperfemminilità di donne come Jayne Mansfield, dal fisico pin-up e un guardaroba che ama il bianco, la vita alta e le gonne a ruota.
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    Dolores Hart - 1963
    Il decennio successivo vede la dolcezza dei look dissolversi gradualmente, in favore di linee via via più dure, tra il casual e il maschile, vedi Dolores Hart, Brigitte Bardot e Monica Vitti.
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    Brigitte Bardot - 1962
    Con gli anni '70 le gonne, sempre più corte, manifestano la voglia di scoprire le gambe che conquisterà anche la moda degli '80, con la femminilità sbarazzina di Julie Walters.

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    Rita Hayworth - 1940
    Con l'arrivo del ventunesimo secolo il gusto retrò si perde un po' e arrivano capi più sfacciati e sportivi, al passo con le nuove auto.

    (14/05/2013 00:00)


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    Marlene Dietrich - 1964



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    Monica Vitti e Jean Sorel - 1967

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    Steve McQueen e Jacqueline Bisset - 1968

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    Genevieve Page - 1968

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    John Phillip Law e Marisa Mell - 1968

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    Christie Brinkley - 1983

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    Julie Walters - 1985

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    Sophie Mapau - 1990

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    Uma Thurman - 1998

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    Amerie - 2003

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    Megan Fox - 2007

     
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    ANNI ’80 IERI E OGGI NELLA MODA E NEL CINEMA: TUTTE LE “USCITE”


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    La moda negli anni ’80: cosa andava di moda ieri che oggi ci sembra ridicolo e cosa torna ciclicamente proprio in questa stagione? In uscita al cinema anche un film per i nostalgici.
    La moda negli anni ’80 era eccesso, colore, affermazione della donna che lavora con successo. Madonna a rappresentare il decennio con il suo look solo apparentemente poco curato: collant strappati, t-shirt extra large, giacche di pelle cortissime, maxi gioielli e trucco esagerato.
    Le giacche femminili con le maxi spalle sono, forse, proprio l’emblema del nuovo ruolo che la donna rappresentava: spalle larghe come quelle dell’uomo, a testimoniare la nuova posizione di potere guadagnata. Spalle larghe per provocare e ostentare il successo raggiunto (non a caso il motto di Armani e Versace a quei tempo era proprio “Dress for Success”).
    MODA NEGLI ANNI 80: COSA TORNA NEL PRESENTE?
    Ma cosa andava di moda ieri che oggi ci sembra ridicolo e cosa, invece, torna ciclicamente proprio in questa stagione?moda-anni_80


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    SCALDAMUSCOLI da indossare sopra la scarpa con il tacco: al momento ancora banditi.
    FASCE NEI CAPELLI (cotonatissimi): meglio i turbanti o le maxi head band di quest’estate – leggi a tal proposito il mio articolo su Glamour su turbanti & co.
    GIUBBOTTI IMBOTTITI DA PANINARO versus i piumini 100 grammi di oggi.
    LE SCARPE DA GINNASTICA SUPERGA: ce l’abbiamo anche oggi, ma in macramè.
    LE JELLY SHOES: anche quelle tornate in auge, anche se fatichiamo ancora un po’ a digerirle.
    GLI OCCHIALI DA SOLE AVIATORE E WAYFARER O I RAYBAN A GOCCIA con montatura sottile argentata o dorata: tutti, tornano tutti anche più di quanto vorremmo.
    I LEGGINGS CON LA STAFFA: sì, ma abbiamo (ancora) abolito la staffa.
    I FUSEAUX COLORATI IN LYCRA: indossati in quel periodo anche dagli uomini, ma nella vita di tutti i giorni, oggi (per fortuna) si utilizzando solo per sport.
    I GUANTI SENZA DITA: i punk non hanno mai smesso di portarli. Gli altri sì.
    LA PERMANENTE AI CAPELLI: oggi si evita di stressare così tanto i capelli.
    LA VISIERA: per giocare a tennis, vero?
    IL MARSUPIO: per fortuna è ancora “pace all’anima sua”. O quasi: lo scorso anno Chanel (come Louis Vuitton e Moschino) hanno riprovato ad omaggiarlo.
    LE TUTE DI NYLON dai colori improbabili e dalle trame eccessive: esistono ancora? Naaaa.
    I PANTALONI A VITA ALTA: per la gioia di chi deve nascondere qualche difetto evitando che tutto starbordi da vite bassissime, sono tornati!
    LE GIACCHE CON MAXI SPALLE: attenzione, pare tornino di moda quest’inverno le spalle “bombate”.
    TRUCCO COLORATISSIMO: c’è sempre spazio per il colore. Questa, per esempio, pare sia l’estate delle labbra oro (dice Prada).
    T-SHIRT BIANCHE EXTRA-LARGE con maxi stampe da abbinare ai leggings (alla Flashdance insomma): avvistata ieri amica blogger proprio con lo stesso look.
    BIJOUX MAXI TUTTI INSIEME SENZA SENSO: tutto è permesso anche oggi, purché sia bello e raffinato, anche se maxi.
    Chi ha vissuto nel pieno la moda negli anni 80 (io solo gli strascichi, ma lo stile me lo ricordo benissimo), potrà fare un tuffo nel passato riascoltando le canzoni che hanno accompagnato un’intera generazione e rivivendo i look che oggi ci sembrano improbabili, al cinema!
    Il 16 giugno 2016 esce nelle sale cinematografiche il nuovo film distribuito da Notorius Pictures Tutti vogliono qualcosa. Il film, ambientato proprio negli anni ’80, racconta la storia di Jake Bradford da quando prende in affitto una casa con con i suoi compagni della squadra di baseball universitaria. Diretto da Richard Linklater, racconta la crescita del protagonista, descrivendo le varie esperienze che ne segnano il passaggio all’età adulta: il tutto passando attraverso situazioni divertenti, storie d’amore e scene esilaranti.

    Fa davvero strano rivedere il look degli uomini sporty (non) chic. Le donna, invece, sembrano sempre belle: io dico viva i jeans a vita alta e… buona visione a tutti i nostalgici di quegli anni!

    FONTE:https://www.lestanzedellamoda.com

     
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