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Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi Opera

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    Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi
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    Un ballo in maschera. Melodramma in tre atti. Libretto di Antonio Somma, tratto dal libretto Gustave III di A. E. Scribe, musica di Giuseppe Verdi. Prima rappresentazione: Roma, Teatro Apollo, 17 febbraio 1859.
    Era stato il Teatro San Carlo di Napoli a richiedere nel 1857 la nuova opera per la quale Verdi si rifece, non senza qualche perplessità, al Gustavo III di Scribe musicato da Auber nel 1833, da cui già Cammarano e Mercadante avevano tratto alcuni anni prima Il reggente (Torino, 1843). Antonio Somma fu incaricato del libretto che, con il titolo La vendetta in domino, incontrò numerosi ostacoli da parte della censura napoletana. Fu così che cambiando il luogo della vicenda, che divenne Boston anziché la corte di Svezia e degradando il re protagonista a governatore di quella città nel XVII sec., l’opera fu data al Teatro Apollo di Roma il 17 febbraio 1859. Mai come in questo caso la censura si sbagliava, essendo tale lavoro per nulla interessato a motivi di tipo politico o sociale, ma piuttosto assolutamente incentrato sul tema dell’amore impossibile tra Riccardo (tenore), Conte di Warwich e Governatore di Boston e Amelia (soprano), moglie del suo migliore amico e segretario Renato (baritono). Il classico triangolo del melodramma è qui arricchito da un’ambientazione variegata tipica del grand-opéra, punteggiata da personaggi di varia natura che si inseriscono in un’atmosfera frivola e mondana in cui si muovono un paggio dalla voce femminile, Oscar, erede del Cherubino mozartiano, i poco credibili e paurosi congiurati, Samuel e Tom, nemici di Riccardo, tratteggiati da Verdi in maniera ridevole attraverso un tema fugato dei bassi, una zingara divinatrice, Ulrica, presentata autoironicamente dall’autore quasi quale parodia delle streghe del Macbeth, l’elemento popolare incarnato dal marinaio Silvano. La struttura dell’opera presenta infatti un’ambientazione collettiva nel primo e nel terzo atto che incorniciano l’atto centrale in cui risaltano i protagonisti. L’interesse di Verdi, sulla scia del precedente Rigoletto, andava drammaturgicamente nella direzione di una shakespeariana commistione di comico e tragico, ma qui in una prospettiva di chiaroscuro che si colora in tanti momenti di umorismo e dove risulta mirabile la mano leggera con cui il musicista tratta l’orchestrazione estremamente raffinata nel realizzare una sorta di ambiguità della musica di grande fascino. È infatti un ritmo di danza che nel ballo mascherato del terzo atto, fa da sfondo all’irruzione della tragedia nella cornice di brillante mondanità, attraverso l’uccisione di Riccardo da parte di Renato, proprio quando l’amico aveva nobilmente deciso di rinunciare all’amore di Amelia. Su tutto domina la passione d’amore tra i due personaggi protagonisti non tanto scandagliati psicologicamente ma in quanto pervasi da un sentimento che si esprime massimamente nella musica. Notevole il duetto del secondo atto convenzionalmente concluso in una cabaletta (“Oh, qual soave brivido”) mai come in questo caso drammaturgicamente pertinente quale culmine liberatorio di un dibattuto e sofferto cedimento alla passione amorosa, affidato a “quell’urto di due linee melodiche, una delle quali lambisce, circuisce ed incalza l’altra, fino a una progressiva e totale compenetrazione” (M. Mila).

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