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Le RACCHETTE da TENNIS dei nostri sogni – (Anni 70/80)

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    Le RACCHETTE da TENNIS dei nostri sogni – (Anni 70/80)


    fonte; http://curiosando708090.altervista.org/

    ivan-lendl-691x1024

    Il tennis è uno sport che vede opposti due giocatori (incontro singolare) o quattro (due contro due, incontro di doppio).

    I giocatori utilizzano una racchetta al fine di colpire una palla. In passato le racchette avevano un telaio in legno, successivamente in leghe leggere, ora in grafite pura o mista akevlar, fibra di vetro, tungsteno o basalto, con una corda monofilamento o multifilamentocongiunta in diversi punti in modo da formare una rete.

    Evoluzione della racchetta


    Questo sport ha subìto comunque una completa rivoluzione con l’utilizzo delle racchette di grafite, inizialmente furono adottate quelle in leghe di metallo, ma davano molte vibrazioni dopo ogni colpo. Rispetto alle racchette di legno, che furono utilizzate fino agli anni ottanta, le nuove, per via della loro straordinaria leggerezza e del piatto corde molto più uniforme, sono risultate essere un discreto vantaggio per i tennisti meno dotati tecnicamente perché le nuove racchette perdonano più facilmente anche impatti con la palla non perfetti e soprattutto quelli dotati di più potenza a causa della leggerezza.

    Si è quindi passati da uno sport che aveva sempre visto prevalere giocatori di grande tecnica ma non di grande agonismo, con eccezioni di rilievo come Björn Borg, a un altro in cui il servizio diventava un colpo decisivo e in cui il gioco di rete veniva penalizzato a causa della facilità e dell’estrema potenza espressa nei colpi di rimbalzo da fondo.

    Dalla fine degli anni ottanta il fattore fisico iniziò a contare pesantemente e per questo tra i giocatori più vincenti degli ultimi vent’anni troviamo moltissimi difensori o attaccanti da fondo campo come Ivan Lendl, Mats Wilander, Jim Courier, Andre Agassi con le notevoli eccezioni rappresentate da quei campioni capaci di sommare una straordinaria tecnica a una altrettanto straordinaria potenza comePete Sampras e l’attuale Roger Federer.

    Di seguito carrellata delle racchette più famose in voga negli anni 70 e 80….e buon divertimento!

    Wilson T2000

    Racchetta-wilson-t2000

    Questa racchetta, che fu resa celeberrima da Jimmi Connors e dalle sue vittorie non venne utilizzata da molti altri giocatori dell’epoca. Era fatta di metallo in lega leggera, con un “ovale” quasi rotondo e ridottissimo. Le corde non entravano nel telaio come nelle normali racchette, ma erano sospese a delle asole nella parte interna del telaio stesso. Questo particolare sistema che faceva impazzire anche i più esperti incordatori, conferiva al piatto corde una elasticità e un “effetto fionda” fuori dal comune. Flessuosissima e molto leggera, permetteva colpi piatti di grande potenza, ma non era certamente una racchetta per tutti, con un ovale così ridotto occorreva avere un “timing” eccezionale per riuscire a colpire benela palla. Uscita di produzione, Connors pur di continuare ad utilizzarla ne fece cercare rimanenze di telai nei magazzini di mezzo pianeta. Se ne separò soltanto quando le scorte si esaurirono.

    Dunlop Maxply Fort

    Racchetta-dunlop_maxply_fort

    Fu la racchetta più longeva della storia del tennis, rimase in produzione dal dopoguerra fino a tutti gli anni 70 e sconfinò addirittura negli anni 80 con la vittoria di McEnroe a Wimbledon 81. Fu utilizzata da tantissimi campioni primi fra tutti McEnroe e Laver, ma anche Dibbs, Nastase, Okker, Taroczi, Roche, Hoad, Emerson e Drobny. Non era certo una racchetta facile, aveva un baricentro spostato verso la testa con un’ottima propensione alla spinta. Giocando con quest’attrezzo non molto maneggevole e leggero, non ci si poteva certo allontanare molto dai canoni del tennis classico ed era di rigore l’incordatura di budello naturale. Il suo prezzo del 1980 era di circa 40.000 lire.

    Bancroft Professional

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    Gran bell’attrezzo, una racchetta di rara bellezza e di grande versatilità. Paolo Bertolucci ne fece per anni la sua arma, anche Bjorn Borg negli stati uniti utilizzava una modello assai simile a questo che ovviamente portava il suo nome. Bancroft era un’azienda di primo piano per la produzione di attrezzi da tennis, con l’avvento dei materiali sintetici non seppe reggere il passo delle grandi case americane.

    Head Vilas

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    Era una racchetta di legno a cuore aperto. Non dico che fosse l’unica ma i modelli con questa caratteristica si contavano certamente sulle dita di una mano. Un po’ per questa ragione, un po’ per l’ aspetto accativante e anche per il prezzo elevato, era considerata una “chicca”. Ma subito dopo averla impugnata e dopo aver scambiato un po’ ogni entusiasmo era destinato a svanire. Ci si rendeva conto di avere in mano niente altro che una mazza anche se dallo stile assai raffinato. Se non si aveva un braccio come Guiliermo Vilas, si poteva già cominciare a meditare sull’acquisto di una nuova racchetta. Undici strati di legno sull’ovale e nove strati sul fusto le conferivano un bilanciamento in testa e una rigidità non molto elevata. Il suo prezzo nel 1980 si aggirava sulle 120 mila lire che ne faceva uno degli attrezzi più costosi.

    Maxima Torneo

    Racchette-maxima-torneo

    La Maxima era una casa produttrice di racchette molto nota in Italia. Non ha quasi mai prodotto telai prettamente agonistici e mai ha sponsorizzato grandi nomi del tennis mondiale ad eccezione di un Barazzutti sul finire di carriera. Nonostante ciò queste racchette erano diffusissime soprattutto tra i non agonosti con attrezzi che sconfinando a volte nella fascia dei giocattoli avevano un prezzo assai accessibile. La “Torneo Graphite” la “Torneode luxe” erano i modelli di punta di una vasta gamma di racchette dalla rigidità molto bassa,dal peso contenuto e dalla buona manovrabilità. La Maxima perse completamente la sua discreta fetta di mercato in seguito all’avvento dei materiali aerospaziali.

    Rossignol F200 Carbon

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    Questa racchetta utilizzata da Mats Wilander risultò poi diffusissima in tutti gli anni 80 sia tra i professionisti che tra gli amatori. La utilizzavano soprattutto moltissimi arrotini, ma anche altri tipi di giocatori. Non molto rigida e neanche tanto potente, era invece un attrezzo abbastanza facile e assai versatile. Aveva la caratteristica del “ponte inverso integrato” che rendendo tutte le corde della stessa lunghezza aveva lo scopo di aumentare la tolleranza sui colpi decentrati. I materiali con cui era costruita erano grafite e fibra di vetro. Il prezzo di vendita a metà degli anni ’80 era di circa 175 mila lire.

    Jack Kramer Pro Staff

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    Molto bella stilisticamente, era caratterizzata dal fusto bianco con le due losanghe marroni che la resero inconfondibile. Le sue caratteristiche erano analoghe a quelle della Dunlop Maxply Fort. Fu utilizzata da John McEnroe nella prima parte della sua carriera. Era un telaio assai poco economico, il suo prezzo era di circa 120 mila lire nei primi anni 80.

    Donnay Borg Pro

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    Questo telaio che fu reso mitico dallo svedese, aveva la caratteristica di avere un grip in cuoio molto allungato per agevolare l’impugnatura bimane, era in effetti una racchetta costruita su misura per BjornBorg. Fu anche una delle prime racchette ad essere costituita oltre che di legno, anche da alcuni strati di grafite che le conferivano maggiore rigidità rispetto a tutte le altre racchette tradizionali dell’epoca. Doveva essere certamente una racchetta molto robusta, per riuscire sopportare tensioni di 40 chilogrammi con le quali era solito giocare Bjorn Borg. Tra i telai di legno era certamente tra i più costosi, il suo prezzo si aggirava intorno alle centoventimila lire nel 1980.

    Wip Panatta Autograph

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    Racchetta di un’elasticità inusuale e dal bilanciamento neutro non era certamente un attrezzo potente, ma forniva un’ottima sensibilità e permetteva di sentire ottimamente la palla nelle giocate di tocco. Non ebbe mai molti consensi, solo in Italia conobbe una certa notorietà perché utilizzata da Adriano Panatta. Costava nel 1980 intorno alle 40.000 lire e aveva quindi il pregio di essere uno dei telai agonistici tra i meno costosi.

    Dunlop Max 200 G

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    Questa fu una delle racchette più diffuse negli anni 80 a qualsiasi livello soprattutto perché la resero mitica con le loro vittorie prima John McEnroe e poi SteffiGraf. Era un telaio massiccio, composto da grafite e nylon. Non molto rigido, era invece abbastanza pesante e bilanciato in testa e quindi molto potente, fu insomma la degna erede della Maxply Fort. Furono diversi i giocatori sponsorizzati da altre marche ad utilizzare una max 200 G commuffata da altra racchetta. Il suo prezzo a metà degli ’80 era di circa 140 mila lire.

    Adidas gtx pro

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    Era una vera e propria mazza dal telaio massiccio e rigidissimo costituito in grafite e una buona percentuale di kevlar. Forse non ebbe una grande diffusione proprio perché era una racchetta molto impegnativa in un periodo in cui esistevano sul mercato tantissimi attrezzi assai più giocabili. Dall’ovale assai ridotto e pesante anche troppo, fu una delle racchette dotate di maggior potenza che si possano ricordare. Ivan Lendl le restò fedele anche nel periodo in cui tutti cominciarono ad utilizzare ovali sovradimensionati. Molto spesso era una Adidas gtx commuffata anche la Mizuno che il ceko utilizzò negli ultimi anni della sua carriera. Costava circa centottanta mila lire a metà degli anni 80.

    Prince Graphite

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    Questo celebre telaio diffusissimo oramai da tanti anni, venne fabbricato dalla Prince a partire dal 1980. Gli appassionati di tennis italiani la conobbero in occasione della semifinale di Davis 1980 Italia-Australia, quando Paul McNamee la utilizzò contro Adriano Panatta. Tra l’ilarità generale venne definita in mille modi dispregiativi : un padellone per friggere il pesce, un bilancino per pescare, e ancora una racchetta per i brocchi che non riescono colpire la palla al centro dell’ovale. Sarebbe invece divenuta una delle racchette più longeve e diffuse di sempre. Dotata di un telaio assai rigido interamente in grafite, e’ sicuramente anche oggi uno degli attrezzi più versatili in circolazione. Dopo alcuni tentennamenti iniziali tutti tipi di giocatori cominciarono ad utilizzarla, arrotini, picchiatori, attaccanti, giocatori di tocco e tutti si dovettero ricredere sui pregi di quel “padellone”. La sua diffusione tra gli amatori venne inizialmente frenata dal costo quasi proibitivo per allora, nel 1980 costava circa mezzo milione di lire. Fu ribattezzata in seguito “Graphite 1″ per distinguerla da un nuovo modello semiprofile ad essa assai simile.

    Wilson Pro Staff Original

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    E’ conosciuta come l’arma di Pete Sampras, ma tantissimi prima di lui l’hanno utilizzata. Questa racchetta oggi conosciutissima fece la sua apparizione nel circuito nel 1984 portata inizialmente alla notorietà da Chris Evert. Composta da grafite e kevlar e quindi assai rigida, e’ anche dotata di grande controllo, ma non è certo una racchetta molto giocabile se confrontata con quasi tutti i telai odierni. E’ inoltre una delle poche racchette formato mid-size ancora presenti sul mercato.

    Snawert Ergonom

    Racchetta-Snawert-Ergonom

    Una vera e propria stranezza dei primi anni ottanta che merita di essere ricordata. La”racchetta ergonomica” doveva essere impugnata con l’ovale orientato verso l’alto come in figura. La caratteristica dell’ovale orientato doveva favorire la posizione corretta nel colpire la palla, poiché l’impatto avveniva sulla parte lunga dell’incordatura e non sulla corta. Sempre secondo la Snawert il giocatore non era più costretto a piegare tantissimo le gambe e a “spaccarsi” il polso per tenere alta la testa della racchetta al fine di colpire correttamente. Ma non ebbe un grande seguito, nel giro di un paio d’anni finì nel dimenticatoio. Il suo prezzo si aggirava intorno alle 250.000 lire.

    Racchetta-Head-Arthur-Ashe



    Edited by Lussy60 - 25/9/2012, 14:32
     
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    MAXIMA La racchetta “Italiana” – (1936/1992)

    Maxima-torneo

    La storia della ditta più importante mai avuta in Italia viene raccontata da Riccardo Pietra, figlio del fondatore e oggi amministratore delegato della Babolat. Pier Giovanni Pietra era un buon tennista nei favolosi anni dei Moschettieri francesi e di Suzanne Lenglen. Nel 1929, stava per appendere la racchetta al chiodo quando venne contattato dalla Dunlop che cercava propagandisti per le proprie palline. L’idea piacque al giovane Pietra che con questa scusa trovava l’occasione per restare nell’ambiente del tennis. Trovò un collaboratore in un altro “prima”, Giorgio Stanley Prouse, un neozelandese venuto in Italia a studiare canto ed assieme cominciarono a commercializzare i prodotti Dunlop, compresa la famosa Maxply. Le cose andarono benissimo finchè arrivarono nel 1936 le Sanzioni col conseguente blocco delle importazioni. Pietra e Prouse fanno un semplicissimo ragionamento: visto che non possiamo importare le racchette, proviamo a costruirle noi in Italia. Ecco la scintilla da cui nasce la Maxima. Ecco quanto ci dice Riccardo Pietra:

    “Maxima viene fondata a Milano nel 1936 da Pier Giovanni Pietra e Giorgio Stanley Prouse entrambi appassionati giocatori di tennis, classificati Prima Categoria. A causa delle sanzioni decretate dalla Società delle Nazioni, non potendo più importare sul mercato italiano le racchette di produzione inglese, decidono di lanciare una racchetta tutta italiana, con il nome Maxima. Il primo e principale produttore delle racchette Maxima è la Sirt di Bordighera, fondata agli inizi del secolo, che proprio a causa delle sanzioni non può più esportare la sua produzione in Inghilterra e in altri paesi. Nasce così la famosa Maxima Torneo che diventa immediatamente leader di mercato e resta la racchetta più venduta e più apprezzata in Italia fino agli anni ’80. Altri modelli prodotti da Maxima prima della guerra sono le Excelsa, Indomita, Imperia, Intrepida, Invicta, Superba, Suprema, Juventus, Junior, dal nome di chiara impronta romana ed imperiale, come usava durante il ventennio.

    Tutti i grandi campioni italiani, da Giorgio De Stefani a Gianni Cucelli ed i fratelli del Bello, da Nicola Pietrangeli e Beppe Merlo ad Adriano Panatta, Lea Pericoli, Barazzutti e Bertolucci, hanno giocato con Maxima.

    Maxima-Cerruti-e-Barazzutti

    Subito dopo la guerra, con la riapertura dei mercati internazionali, Maxima diventa l’importatore e distributore di Babolat e Dunlop. Alla Maxima Torneo si affiancano nuovi modelli: negli anni ’70 inizia la produzione di racchette placcate in fibra di vetro, nel 1975 viene presentata la prima racchetta completamente sintetica in fibra di vetro e resina epossidica: la Synthesis.

    A fine anno ’70, nel periodo del boom del tennis, in Italia venivano vendute da Maxima:

    - 90.000 racchette Maxima Torneo
    - 107.000 racchette Maxima di altri modelli
    - 72.000 racchette Dunlop

    E’ di questo periodo lo slogan: “un tennista su tre gioca con Maxima”. Inoltre venivano esportate 45.000 racchette coi marchi Maxima e Sirt.

    Nel 1980 appare la Torneo Grafite con inserti in grafite, poi i primi “racchettoni” in fibra di vetro e grafite, quali Maxer Mid e la linea Evolution. Nel 1986 Maxima presenta due racchette disegnate da Giugiaro: la Logic e la Classic. Nel 1989 la linea Profiline, poi le Vantage e le Balance.

    Maxima-Torneo-Grafite1

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    Nel 1992, dopo quasi mezzo secolo di collaborazione, i soci della Maxima acquistano una partecipazione nella società francese Babolat, leader mondiale nel settore delle corde per tennis e delle macchine per incordare. Subito viene presa la decisione di produrre racchette con il marchio Babolat, che vengono presentate prima in Francia e successivamente su altri mercati. Nel 1995 Babolat rileva il marchio Maxima e fonda la filiale italiana. Nel frattempo le racchette Babolat conquistano i mercati di tutto il mondo ed in Italia sostituiscono gradualmente le racchette Maxima.”

    Storia della S.I.R.T.

    L’influenza della benemerita borghesia inglese in villeggiatura a Bordighera probabilmente fece decollare in Italia quella che forse fu la prima fabbrica italiana di racchette, la S.I.R.T., diciamo “forse” per mancanza di certezze assolute. Alla fine dell’Ottocento la salubre cittadina ligure era frequentata da una flta colonia di turisti inglesi, quasi tutti di estrazione militare, che traslocando dalle nebbie londinesi, aveva eletto come domicilio la zona costiera della Riviera dei Fiori. Bordighera era famosa per l’industria del mobile artistico e dell’arredamento in genere e gli inglesi, tutti con buona disponibilità di sterline e amanti del bello, non esitavano ad accaparrarsi i pezzi più pregiati per abbellire gli interni delle proprie ville. Queste ville, per la maggior parte circondate da parchi e giardini, disponevano in alcuni casi di un “court”, teatro appassionati match tennistici. Al capitano C. W. Murray, stufo di dover organizzare per corrispondenza a Londra i “ferri del mestiere”, venne in mente, un giorno, di far costruire sul posto l’occorrente per giocare a tennis e si rivolse alla rinomata ditta di Bordighera Nada & Billour affinché, oltre ai mobili, si dedicasse, almeno in parte, alla realizzazione di racchette.

    SIRT-Bordighera

    Nel giro di pochi anni, le racchette “Made in Bordighera”, con tanto di marchio inglese , conquistarono gli appassionati di tennis per le loro eccellenti caratteristiche.

    La S.I.R.T. (Società Italiana Racchette Tennis), dunque, ebbe una partenza comune a quasi tutte le fabbriche italiane e forse del mondo di quei tempi: essa aveva acquisito l’esperienza necessaria nella lavorazione del legno. I fratelli Giovanni e Federico Billour, figli di uno dei fondatori della ditta, ebbero il fiuto del businnes e dopo la fine della Prima Guerra Mondiale si attrezzarono alla grande e cambiarono l’attività sociale dedicandosi esclusivamente alla fabbrica di racchette.

    La S.I.R.T. andò subito a gonfie vele a tal punto da conquistare una buona fetta di mercato estero verso il quale era destinata la maggior parte della produzione. Ecco perché le racchette dirette al mercato italiano erano poche e di quelle poche non è rimasto quasi nulla nelle mani dei collezionisti soprattutto di quelle costruite nei primi due decenni.

    Se dunque la ditta andava benissimo, ci pensò il regime a rovinare la festa con le famose sanzioni del 1936 che vietavano sia le esportazioni che le importazioni. Fu la svolta storica. Da una parte la SIRT che non poteva più esportare all’estero, da un’altra parte una neonata piccola società formata da due bravi tennisti, P. Giovanni Pietra e G. Stanley Prouse, che non poteva più importare in Italia le palline e le racchette Dunlop di cui era rappresentante. Furono queste le basi della nascita di una joint-venture destinata a raggiungere grandi risultati con la creazione del marchio “Maxima”. La SIRT cominciò a produrre racchette per la nuova società e la collaborazione tra le due aziende diventò sempre più compartecipe fino ad arrivare al 1971 quando la società di Bordighera, trasformata in società per azioni, cedette il 50 % dell’azienda alla Maxima che nel frattempo era diventata un piccolo impero. Le cifre ci dicono che al momento della fusione delle due ditte erano state prodotte e vendute 90.000 Maxima Torneo e 107.000 racchette di altri modelli.

    Non bisogna dimenticare che la SIRT ebbe in passato un campo di produzione assai vasto per conto terzi sia per l’Italia che per l’estero. Erano molte le ditte straniere che le affidavano la costruzione di alcuni modelli, ma anche parecchie ditte italiane hanno attinto alla fabbrica di Bordighera, fra queste “Tennisa”, “P.Z.”, “Regina Sport”, “Simonis”, “Tallero” etc.

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    Dopo la crisi del legno la SIRT rimase presente nel mercato fino alla fine degli anni ’80, con modelli che utilizzavano i materiali di moda al momento come fibra di vetro, carbon, ceramica, grafite etc. Dopo quegli anni si esaurì il ciclo vitale. Successivamente il marchio fu ceduto alla catena di negozi articoli sportivi VIP di Bordighera. Il titolare Franco Randone lanciò nel mercato una collezione di racchette prodotte a Taiwan fra le quali si distinse il modello superleggero “Piuma”. Dopo questa esperienza, che tuttavia portò a una vendita complessiva di circa 10.000 racchette, il marchio SIRT uscì dal mercato, congelato in attesa di tempi migliori. Per quanto riguarda il collezionismo, devo aggiungere che le racchette sono degne di attenzione per forma, materiali e design, pur non includendo nell’intera vastissima produzione modelli che si possano considerare straordinari. Il massimo della qualità si può trovare nei modelli Nova Sirt, Flyng Deer e Sirtwood tanto per citarne alcuni. Le valutazioni sono assolutamente a buon mercato poiché la grande produzione non ha mai creato modelli rari o introvabili.

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    Maxima-racchetta

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    Maxima-Nicola-Bertolucci



     
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    La racchetta: il guantone del tennista

    "Il tennis è pugilato, è uno sport violento, uno contro l’altro, è boxe senza contatto". Aveva ragione Andre Agassi, i colpi arrivano e li senti eccome. Solo che hai bisogno di un prolungamento del braccio, di uno strumento vivo che si chiama racchetta per ricevere e colpire, scegliere la traiettoria, la potenza e la velocità da dare alla pallina, al colpo. Un attrezzo del mestiere concettualmente semplice: c’è un telaio, a cui è fissato un piatto corde incrociate, e un’impugnatura. Tutto qui. Eppure la racchetta, nella sua evoluzione tecnologica di quasi 150 anni, non solo è stata determinante per la prestazione e la componente psicologica del tennista, ma è stata capace di ridefinire lo stile del tennis.
    Le racchette da tennis nel tempo
    La natura ha dato a questo sport quello che ha potuto per circa un secolo. Le racchette in legno hanno segnato un’epoca che va dal 1874 alla fine degli anni Settanta, con il passaggio definitivo alla forma ovale agli inizi del Novecento. Certo, in così tanti anni i metodi di assemblaggio videro un miglioramento, ma la tecnica costruttiva rimase pressoché invariata: un telaio costruito attraverso la stratificazione di sei, sette listelli di legno (principalmente frassino) di diversa qualità ed elasticità, compressi e incollati insieme che rendevano unica ogni racchetta. Le corde erano in budello naturale, il rivestimento dell’impugnatura in cuoio che dopo un paio di settimane di gioco si scuriva a contatto con il sudore nella zona della stretta della mano.

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    Una racchetta sulle altre invase il mercato divenendo popolare sia tra i professionisti (Laver, Nastase, Panatta, Stolle, Hoad) sia tra gli amatori. La Dunlop Maxply Fort, con quelle sottili fasce rosse (o bianche) sulla parte finale dell’impugnatura divenne un’icona che John McEnroe portò sui campi anche nei primi anni Ottanta. Ma era la versione in cui, insieme al legno, venivano inserite delle lamine di grafite. I materiali stavano per cambiare, il tennis stava per cambiare carattere.
    Dalle matite al tennis: la rivoluzione è con la grafite
    Uno dei primi a uscire dalla falegnameria fu René Lacoste, grande tennista francese, fondatore del brand di moda ispirato a questo sport. Il Coccodrillo, così lo chiamavano con inconsapevole lungimiranza i compagni di squadra, nel 1965 realizzò un telaio in alluminio, leggero e con una buona capacità di distribuzione delle masse. Ma il vero colpo di genio arrivò una decina d’anni dopo grazie a Howard Head, che già stava innovando lo sci con la sua Head Ski Company. L’imprenditore iniziò a costruire racchette con strati di resine sintetiche e nel 79 acquisì il brevetto della Black Ace, la prima racchetta con il cento per cento di grafite, lanciata dalla taiwanese Kunnan Lo. Una rivoluzione per leggerezza, precisione, versatilità, che permetteva di colpire una pallina a 150 orari.

    racchetta-tennis-2

    Da quel momento in poi nacquero veri e propri dipartimenti di ricerca e sviluppo, si iniziò a sperimentare vari materiali come la fibra di vetro, l’astroceramica, il kevlar, il carbonio, il boron, aramide. Fino a quelli di ultima generazione come noryl, vectran, quartzel, dyneema etc... Mentre l’esperienza in altre industrie ha contribuito nel tempo a innovare il tennis, come accade per esempio con la Pro Kennex e la collaborazione con l’ingegnere aerospaziale Howard Sommer: l’inserimento sul telaio di capsule con microsfere che si caricano di energia cinetica permettono di eliminare le vibrazioni nel manico. Tecnologie quindi che non apportano solo maggiori prestazioni ma anche più comfort di gioco, minor affaticamento del braccio e ridotta possibilità incappare in infortuni.
    Quando la tecnologia cambia lo sport

    Racchette più evolute hanno rimodellato stile, caratteristiche e preparazione fisica del tennista. Nell'era del legno la componente tattica, la strategia geometrica, il bel gioco che caratterizzava e categorizzava la firma di un campione erano aspetti più marcati. Perché lo strumento permetteva velocità inferiori e una dinamica di scambio più varia, portando facilmente a dividere i giocatori tra attaccanti del serve & volley e quelli più propensi a una difesa con margini di errore limitati che puntavano tutto su un pallonetto o un passante. E i colpi, in generale, erano piatti o contemplavano una rotazione all'indietro visto che le racchette non facilitavano risposte in top spin.


    Dagli anni Ottanta fino a oggi e, probabilmente ancora di più in futuro, si gioca un altro tennis e la responsabile è proprio la racchetta. I nuovi materiali compositi hanno fatto sì che il punto ottimale d’impatto della pallina (sweet spot) si sia ampliato dal centro a tutto il piatto corde. Cioè, è possibile colpire con una velocità molto elevata da qualsiasi zona della racchetta. Che cosa significa? Che nel tennis contemporaneo le differenze tecniche tra giocatori sono molto sottili. Che ormai sono pochi quelli che portano avanti l’approccio servizio e volée. Che spesso tutto si gioca sulla battuta, un tiro micidiale da 250 orari che riduce la possibilità di risposte tali da strutturare un game come accadeva 40 anni fa.
    È la racchetta che fa il tennista?
    C’è quindi la racchetta sul banco degli imputati, che non necessariamente sta rendendo il tennis meno avvincente, anche se c’è chi invoca una modifica del regolamento da parte della Federazione. Le racchette di oggi consentono colpi potenti da qualsiasi posizione, risposte altrettanto forti a un servizio micidiale, guizzi a sorpresa che prima erano inimmaginabili. Di sicuro però portano in campo giocatori con caratteristiche che sono più allineate tra di loro: grande fisicità, resistenza nel reggere lunghi scambi, abilità nel giocare su qualsiasi superficie. Più regolaristi da fondo campo che fantasisti di vecchia data.


    Un’evoluzione, quindi, anche nell’uomo. Prendiamo per esempio Pete Sampras, paragonadolo al sistema operativo di un computer è un upgrade di McEnroe, da cui riprende le capacità di andare a rete ma con un servizio più potente, un tennista fortissimo sui campi veloci come cemento o erba.

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    Roger Federer? Migliora il gioco di Sampras e acquisisce lo scambio prepotente dal fondo. E andiamo avanti con Rafael Nadal, con cui ci allontaniamo quasi del tutto dal serve & volley arretrando sulla linea di bordo campo insieme alla sua fisicità e alla tenuta nel botta e risposta di grande potenza.
    Ma siamo proprio certi che sia la racchetta a disegnare il tennista? Di sicuro, gli atleti si adeguano a uno sport che cambia, lo interpretano anche con lo strumento che stringono tra le mani. Eppure, questo sport non sarà mai condizionato del tutto dall'evoluzione tecnologica. E forse, dovremmo tenere a mente quello che diceva John McEnroe: "Ogni match meriterebbe di essere pensato allo stesso modo di un pittore davanti a una tela ancora candida. Quantomeno, questo è il tennis che piacerebbe a me".
    Top 10: le racchette che hanno fatto la storia
    Una classifica delle racchette più importanti della storia del tennis? Qualcuno storcerà il naso, perché ognuno ha la sua, con cui ha giocato, vinto quando non riusciva a chiudere un game. Ma queste entrano di diritto nell’albo d’oro per innovazione, vittorie e popolarità.

    È la mamma delle racchette, almeno di quelle in legno. Di sicuro una delle più longeve: introdotta sul mercato nel 1931 divenne una scelta quasi obbligata per generazioni di professionisti (Rod Laver con le sue personalizzazioni) e di appassionati.

    La T2000, nel 1967, segna il primo grande successo commerciale per una racchetta non in legno. Billie Jean King e Clarck Gaebner vinsero con questa Wilson gli Us National dello stesso anno. Ma è con Jimmy Connors e le sue vittorie a Wimbledon nel 74 e nell’82 che questo modello entra nel mito. Unito al fatto che, terminata la produzione, Connors (disperato) cercò qualcuno che riuscisse a produrre ancora la T2000.
    Head Prince Pro
    Peso inferiore e piatto più grande rispetto alle racchette in legno che stavano uscendo di scena. Nel 78, con la Prince Pro la diciottenne Pam Shriver sconfisse la Navratilova agli Us Open e dette battaglia a Chris Evert. Racchetta apprezzatissima dagli amatori perché riuscivano ad imprimere maggiore potenza nei colpi.

    Segna per Dunlop la fase di passaggio dall’alluminio alla grafite nel 1980, una delle prime con questo materiale. Furono Steffi Graf e John McEnroe a mostrare le potenzialità nelle competizioni internazionali, convincendo l’azienda a spingersi nella produzione in fibra di carbonio e in nylon alla ricerca di ancor più leggerezza.
    Prince Graphite 100
    Dentro questo telaio c’è la tendenza, quanto a materiali e dimensioni degli anni Novanta che bigger is better, seguendo la scelta fatta da Dunlop con la Slazenger’s Max Predator, la prima big size del periodo. La Prince Graphite 100 nelle mani di Michael Chang consentiva una grande efficacia nel servizio, a rete e a fondocampo.

    racchetta-tennis-1

    Yonex R-22
    Il brand giapponese aveva già un modello in catalogo negli anni Settanta, ma è con l’arrivo della grafite e questa versione allargata della sezione trasversale (isometrica, la prima nel suo genere) che vede il successo nel decennio successivo. Era tra le mani di Martina Navratilova nel 1984, quando trionfava al Roland Garros, a Wimbledon e agli Us Open.
    Wilson Pro Staff
    Telai da 85 e95 pollici e grafite intrecciata al Kevlar su tutta la testa della racchetta. Una combinazione che restituiva quello che tutti chiamavano feeling Pro Staff. A renderla ancora più famosa pensarono Pete Sampras, Stefan Edberg, Jim Courier, Jimmy Connors, Steffi Graf e Roger Federer.
    Head Radical
    Sviluppata per massimizzare lo stile di un campione come Andre Agassi. Il tennista americano ricompensò il brand vincendo sette dei suoi otto Slam con la Radical. Fece il suo ingresso sui campi nel 93, divenendo la racchetta più venduta tra il 1999 e il 2004.
    Babolat Pure Drive
    Il marchio che nel 1875 mise per primo le corde sulle racchette, tirò fuori la Pure Drive con cui Andy Roddick vinse gli Us Open nel 2003. Fu il rilancio di un marchio che proseguirà la sua presenza sul mercato con ulteriori innovazioni di ultima generazione.
    Babolat Play
    La prima connected racket è stata sviluppata e messa sul mercato da Babolat. Una racchetta con sensori inseriti nel manico che registrano potenza, rotazione dei colpi, top spin, punto d’impatto della pallina e altre statistiche restituendo una panoramica di gioco tramite app. Approvata dalla Federazione, la Play è utilizzata da molti campioni.

    FONTE:https://www.technogym.com/
     
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