Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

oggetti del nostro passato..

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    Gli oggetti del nostro passato: MACININO (Macina Caffè)

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    Il macinacaffè (detta anche macinino del caffè) è un piccolo elettrodomestico che serve a polverizzare i grani del caffè.

    Le prime importazioni di caffè nell’Europa del XVI secolo, implicarono l’esigenza di creare uno strumento che potesse macinarne i suoi semi, ma conservandone l’aroma originale.

    Divenne subito chiaro che i macinaspezie andavano parzialmente adattati, ma poi abbandonati perché corrosivi. Per macinare il caffè, il primo metodo conosciuto fu l’utilizzo di una malta con semi tostati.

    I primi prototipi di macinacaffè apparvero contemporaneamente in Europa e Turchia nel XVII secolo. In Turchia, i macinatori erano costituiti da un cilindro di rame o di ottone. Intagliate o decorate con pietre preziose, erano dotati di un meccanismo composto da un pozzo verticale che azionava una ghiera zigrinata, spesso con un manico pieghevole che si inseriva nella parte superiore del macinatore.

    Il paese europeo dove maggiormente si diffuse questo strumento, fu la Francia, anche se il primo vero modello di macinino fu costruito da Richard Dearmann, un fabbro inglese di Birmingham, nel 1799. Successivamente, ebbe una grande diffusione negli Stati Uniti, dove nel 1818, Increase Wilson depositò il brevetto del primo macinacaffè a muro.

    Dopo la Rivoluzione industriale, la produzione del macinacaffè non fu più attività artigianale, e nacquero diverse imprese nel settore. Su tutte, la francese Peugeot, che avviò tale produzione verso il 1842. In Italia, prima impresa costruttrice di macinini fu la piemontese Tre Spade.

    Tre Spade

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    Tre Spade è un marchio italiano di articoli e strumenti per la cucina ed attrezzi casalinghi professionali prodotti dalla FACEM S.p.A..

    Storia

    Le origini di questo marchio risalgono al 1894, quando i fratelli Giovanni Battista, Secondo, Delfino e Carlo Bertoldo di Forno Canavese (TO), dopo un periodo di formazione a Terni, tornati al loro paese, diedero vita ad un’impresa artigianale, la Fratelli Bertoldo, costruttrice di prodotti di falegnameria ed utensili da cucina.

    Con la sempre maggior diffusione del consumo del caffè, la Bertoldo si specializzò nella produzione di macinacaffè (prima in assoluto in Italia), e da lì nacque il marchio Tre Spade, con il quale vennero contrassegnati tutti i prodotti dell’azienda piemontese. Inoltre, sull’esempio della francese Peugeot, la Bertoldo avviò nel 1905 la produzione diautomobili, poi abbandonata nel 1908 a favore della produzione di materiale bellico e metallurgico.

    La ditta si espanse successivamente aprendo altre fonderie, sempre nel Canavese. Caduta in difficoltà economiche, all’inizio degli anni trenta la Fratelli Bertoldo venne rilevata dai sigg. Giuseppe Obert e Renato Rolle, che nel 1938 la rifondarono sotto la denominazione FACEM, acronimo di Fabbricazione Articoli Casalinghi E Metallurgici S.p.A..

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    Gli oggetti del nostro passato: GETTONE TELEFONICO

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    Il gettone telefonico è un disco di metallo un tempo utilizzato per il pagamento delle telefonate effettuate da telefoni pubblici.

    I primi esemplari di gettone furono coniati nel 1927 ad opera della Stipel, concessionaria del servizio di telefonia in Piemonte e Lombardia, in occasione della Fiera Campionaria di Milano. Erano in alpacca (lega di rame, nichel e zinco) o inbronzo, e potevano essere utilizzati solo dai telefoni posti all’interno della Fiera. Nel 1945 la TETI realizzò il primo gettone a tre scanalature, che poteva essere utilizzato in qualunque tipo di telefono pubblico.

    Gettone-stipel-1927


    Nel 1959 nacquero i gettoni usati fino al31 dicembre 2001 quando potevano ancora essere cambiati nei negozi 187 al valore di 9 gettoni = 1 scheda telefonica, anche se non venivano più coniati già dal 1980. Le quattro cifre presenti sotto la dicitura gettone telefonico indicavano l’anno e il mese di conio (le quattro cifre del gettone in figura sono 7901 e indicano che è stato coniato nel gennaio 1979).

    Gettone_teti-1945

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    Il valore del gettone era all’inizio di 45 lire, corrispondenti allora all’importo di 3 scatti telefonici, poi dagli anni settanta di 50 lire, dal 1980 di 100 lire e dal 1984 di 200 lire, venendo adeguato alla variazione del costo e della durata dello scatto telefonico. Il gettone era inoltre sovente utilizzato come moneta, pur non avendo alcun valore ufficiale di conio statale.

    Con l’avvento dei telefoni funzionanti a monete e la diffusione degli apparecchi utilizzabili con schede telefoniche quali mezzo di pagamento per le conversazioni in punti pubblici, il gettone telefonico è divenuto fuori produzione.

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    Gli Oggetti del Nostro Passato: mangiadischi

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    Con il nome generico di Mangiadischi si intende un tipo di giradischi portatile automatico in cui il disco in vinile da leggere (in genere nel formato 45 giri) veniva introdotto attraverso una fessura nell’involucro esterno. Un meccanismo interno a molla, sollecitato dell’introduzione del disco, fissava quest’ultimo al piatto, il quale iniziava a ruotare, mentre la puntina si posava sulla superficie del supporto, dando inizio alla riproduzione.

    Formato

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    Il formato utilizzato dai “mangiadischi” era il cosiddetto “45 giri”, ovvero disco da 7 pollici (178 millimetri di diametro) e velocità di rotazione di 45 giri al minuto. Alcuni modelli avevano un selettore di velocità che consentiva di leggere anche i dischi da 7 pollici incisi a 33 ⅓ giri (“compact 33″).

    Nomi commerciali

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    Apparecchi più o meno simili erano prodotti da diverse aziende, che offrivano ciascuna uno o più modelli (talvolta comprendenti anche funzioni di radio AM/FM). Ecco i modelli più noti e venduti all’epoca:

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    Mangiadischi Charley


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    Mangiadischi Europhon Rolling

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    Mangiadischi Fonmusic Delfo

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    Mangiadischi Radiphonobox

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    Mangiadischi Fonette

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    Mangiadischi Irradiette

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    Mangiadischi MiniIrradiette


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    Mangiadischi Lansay Buggy

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    Mangiadischi Philips Mignon



     
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    Gli oggetti del nostro passato: JUKEBOX


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    Il jukebox, o juke-box, è un apparecchio da installazione pubblica che riproduce brani musicali in modo automatico in seguito all’introduzione di una moneta al suo interno e alla scelta della canzone da parte dell’ascoltatore. Letteralmente armonica (juke)e armadio (box) quindi armadio o contenitore armonico (musicale).

    Il jukebox è di solito composto da un armadio diviso orizzontalmente in due ripiani, dei quali il superiore ha solitamente una grossa lastra di plexiglas o vetro che mostra il meccanismo interno di selezione dei dischi e di giradischi, in quella inferiore trova posto il controllo delle monete, la cassaforte e il sistema elettrico/elettronico di selezione.

    Il jukebox è una macchina che insieme al flipper ha segnato la storia dell’intrattenimento pubblico nei bar, ed è anche presente in moltissimi film e telefilm (Fonzie in Happy Days lo attivava con un pugno ben assestato) ed è uno dei simboli degli anni cinquanta negli USA.

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    Funzionamento

    Il funzionamento è molto semplice: all’inserimento di una moneta valida, la macchina la deposita nella cassaforte e abilita la tastiera per la selezione dei brani. Alla selezione di una canzone, il meccanismo a margherita contenente i dischi (posto nella parte superiore) si muove finché il disco selezionato si trova sotto al braccetto meccanico che lo sposta nel piatto del giradischi. A questo punto ha inizio la riproduzione del disco, che a fine canzone verrà riposizionato nel selettore a margherita.

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    Gli oggetti del nostro passato: BICIMOTORE


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    Il bicimotore o velomotore, è un veicolo a due ruote con ciclistica identica o simile alla bicicletta, dotato di un piccolo motore ausiliario, anch’esso a volte definito con l’identico termine.



    Storia

    Le prime biciclette a motore risalgono all’età pionieristica del motociclismo, all’epoca denominate bicicletti a motore, ma conobbero una grande diffusione e popolarità in tutta Europa, nell’immediato secondo dopoguerra, allo scopo di soddisfare le esigenze di locomozione popolare, imposte dalla febbrile opera di ricostruzione, sopperendo alla carenza di mezzi finanziari e materie prime, fortemente ridotti dal conflitto mondiale.

    La necessità di fornire mezzi di locomozione personale di semplice fabbricazione, particolarmente economici nell’utilizzo e dai contenuti prezzi d’acquisto, orientò molte aziende verso la costruzione di piccoli motori ausiliari, dotati di trasmissione a rullo, da applicare alle normali biciclette. Tali propulsori venivano venduti sfusi oppure già applicati alla bicicletta.

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    Nel tentativo di offrire un prodotto comunque economico, alcune case realizzarono dei bicimotore con telaio leggermente irrobustito e specialmente conformato per ospitare convenientemente il motore e il serbatoio del carburante, sempre mantenendo, per ogni evenienza, la possibilità di essere azionati tramite i pedali.

    Dal 1946 ai primi anni sessanta, il bicimotore rappresentò l’anello di congiunzione commerciale tra la bicicletta e la motoleggera, per essere poi velocemente sostituita dal ciclomotore, che ne rappresenta ancor oggi la naturale evoluzione tecnica, o dall’utilitaria.

    Moltissime le case motociclistiche che realizzarono questo tipo di veicolo, ma i modelli di maggior successo, costruiti su licenza in vari paesi europei, furono il francese Velosolex e gli italiani “Cucciolo”, “Mosquito” e “Aquilotto”.

    Un discorso a parte va fatto per il mitico Ciao dell’ italiana Piaggio che non fu un vero e proprio bicimotore ma fu veramente l’anello di giunzione tra questi veicoli di cui parliamo nell’articolo e i successivi quali i ciclomotori come s’intendono ancor oggi.

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    Ducati Villar Cucciolo 1950

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    Bianchi Aquilotto

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    Mosquito Garelli

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    Ciao Piaggio

     
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    Gli oggetti del nostro passato: LA LUCCIOLA

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    La Lucciola (Luciola Laporte, 1833) è un genere che comprende piccoli insetti coleotteri, appartenenti alla famiglia dei Lampyridae. Comprende tre specie in Europa, di cui due sono presenti anche in Italia.

    Se esiste una cosa che più di altre mi fa pensare e ricordare l’ estati della mia infanzia...questa è proprio la lucciola. Da piccolo non c’era sera che non si andasse alla ricerca delle tante lucciole presenti in tutti i prati per poi sperarne di catturare qualche esemplare che avrebbe sicuramente fruttato qualche soldino. Non ho capito se oggigiorno questa divertente e suggestiva usanza non esiste più solo perchè la tecnologia e il progresso hanno ucciso tutte queste belle cose o semplicemente perchè nei nostri campi (pochi in verità) di lucciole non se ne vede proprio più nessuna….

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    Descrizione

    A differenza dell’altro genere presente in Italia, Lampyris, le lucciole del genere Luciola non hanno un elevato dimorfismo sessuale, ma si possono comunque riconoscere ad occhio. I maschi sono alati, con un corpo lungo e snello, e possono essere lunghi più di un centimetro. Possono volare a circa un metro da terra o di posarsi su steli. Le femmine, più rare, sono anch’esse alate, ma il corpo é più tozzo e corto e si trovano frequentemente a terra, forse sono appena nascoste dall’erba. Il pronoto, in entrambi i sessi, non ricopre totalmente il capo e può presentare una macchia rossiccia centrale. Le elitre sono marroni scuro e ricoprono tutto il corpo. Ventralmente si può osservare la parte terminale dell’addome di colore bianco, dove avviene la produzione della luce.

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    La luce emessa è dovuta all’ossidazione del substrato fotogeno luciferina ad ossiluciferina, che avviene in presenza diossigeno grazie alla catalisi operata dall’enzima luciferasi. È una luce fredda, la cui lunghezza d’onda oscilla fra i 500 ed i 650 km (nanometri). L’intensità invece varia a seconda della specie (ne esistono circa 2000). L’emissione luminosa è una funzione che si manifesta nella fase di corteggiamento precedente all’accoppiamento.

     
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    BICICLETTA GRAZIELLA – (Anni 70/80)

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    La Graziella fu una bicicletta pieghevole prodotta a partire dal 1964 dalla fabbrica Teodoro Carnielli di Vittorio Veneto. Divenne molto popolare in Italia, situandosi fra le icone del made in Italy degli anni ’60. La commercializzazione della Graziella, pubblicizzata come “la Rolls Royce di Brigitte Bardot”, contribuì in maniera decisiva a rivoluzionare la percezione comune della bicicletta, che fino agli anni ’50 era considerata solo come attrezzatura sportiva o come mezzo di trasporto “povero”, e che negli anni del boom economico divenne invece uno status symbol della nuova gioventù benestante. Era strutturata senza canna orizzontale, con cerniera centrale, piccole ruote, sella e manubrio smontabili. Nel 1971 subì un restyling in cui venne aumentato il diametro delle ruote e furono aggiunti particolari come il portapacchi in tinta.

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    rickshaw
    Il rarissimo Rickshaw Graziella scovato per noi in America dagli amici di miticagraziella.it

    La Graziella fu prodotta fino alla fine degli anni ’80. I modelli originali sono oggetto di collezionismo e modernariato.

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    Fra le versioni sportive c’è sicuramente da annoverare la “Leopard” (che fra l’altro ho anche avuto), una Graziella davvero unica che al tempo, però, aveva un prezzo quasi inaccessibile – dalle 48 mila lire alle 98 mila lire a seconda degli anni e del tipo-. Era necessario risparmiare parecchio per potersela comprare ma…poi ”l’invidia” dei compagni ripagava dei tanti sforzi. Di colore bianco/verde/giallo oppure bianco/rosso/giallo era una bici molto pesante ma accattivante. Canna doppia, cambio a tre marce a cloche, sospensioni, contachilometri, fanaleria doppia (ma, unica pecca, a pile), ruote tacchettate freni a tamburo di cui il posteriore a retropedale. Una vera figata!


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    Graziella Tandem



    Edited by Lussy60 - 20/7/2012, 15:39
     
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    Gli oggetti del nostro passato:

    DISCHI 33 E 45 GIRI IN VINILE


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    Il disco in vinile, noto anche come microsolco o semplicemente disco, è stato ufficialmente introdotto nel 1948 negli Stati Uniti come evoluzione dei precedenti dischi a 78 giri, dalle simili caratteristiche, inizialmente in gommalacca. Correntemente il termine vinile viene spesso usato per indicare in particolar modo gli LP, anche se tale utilizzo è tecnicamente improprio, visto che anche altri formati sfruttano lo stesso materiale come supporto.

    Come il suo antenato, è una piastra circolare incisa a partire dal bordo esterno, con un solco a spirale per la riproduzione di suoni. Le migliori qualità del vinile permisero di rimpicciolire i solchi e abbassare il numero di giri per minuto dei dischi dai 78 ai 33⅓ ottenendo così una maggiore durata di ascolto, che raggiunse circa 25-30 minuti per facciata nei Long-Playing (LP), con punte massime di anche 38-40 minuti per lato, specie per le opere liriche.

    Per la riproduzione sonora di un disco viene solitamente impiegato un giradischi collegato ad un amplificatore. In genere i giradischi permettono di utilizzare dischi di diverse misure e, per mezzo di un selettore, è possibile impostare la velocità di rotazione.

    Fino agli anni ottanta del Novecento, è stato il più diffuso supporto per la riproduzione audio di materiale pre-registrato ed è stato prodotto su larga scala fino ai primi anni novanta (in Italia fino al 1993).

    Caratteristiche

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    I dischi sono stati prodotti in vari formati e con varie velocità di rotazione. Le tipologie più comuni sono:

    33 Giri (Long Playing)

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    Il long playing (abbreviato anche con LP, conosciuto anche come 33 giri) è un formato di disco in vinile. La raccolta dei brani incisi sul disco prende il nome di album; vi sono anche gli album doppi (double album), composti da due dischi.

    L’LP, solitamente di forma circolare e colore nero, è composto di due facciate – indicate da un’apposita etichetta come Lato A e Lato B, ciascuna delle quali può contenere di solito 4-7 brani, in ragione della durata dei singoli pezzi incisi. Il nome “33 giri” è dato dal fatto che questi dischi vengono riprodotti a una velocità di 33 giri al minuto. La riproduzione degli LP avviene tramite il giradischi; questo apparecchio restituisce il brano musicale tramite una puntina in diamante o zaffiro inserita nella testina; la puntina trasmette per via meccanica le irregolarità del solco inciso sulla superficie del disco ad un complesso elettromagnetico che trasforma il movimento in corrente elettrica. I principali tipi di testina magnetica sono del tipo a bobina mobile (moving coil o MC) e a magnete mobile (moving magnet o MM). Nel passato venivano usate anche testine di tipo ceramico o a cristallo.

    Il procedimento tramite il quale gli LP sono incisi si basa sull’effettiva incisione, tramite punta metallica, di un disco master metallico, che a sua volta serve come stampo a fusione per la produzione in serie dei dischi in vinile. Esistono anche i cosiddetti EP (Extended play), che rappresentano una sorta di mini album con 4-7 brani.

    Talora con “Long playing” si fa riferimento ad altri supporti, contraddistinti rispettivamente dalle sigle MC (musicassetta) eCD, dal momento che nel significato generale (raccolta di brani musicali) rimane invariato, pur mutando la tecnologia di registrazione, di riproduzione e il tipo di supporto.

    A partire dalla fine degli anni ottanta il CD praticamente mise da parte gli LP facendoli diventare un prodotto di nicchia solo per collezionisti ed appassionati.

    45 Giri

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    45 giri (al minuto) è la velocità di rotazione dei dischi in vinile di formato 7 pollici e con tale nome si indicano generalmente i supporti che, fino all’avvento dei compact disc, sono stati utilizzati per la diffusione di singoli brani musicali.

    In seguito furono introdotti sul mercato dischi a 45 giri con diametri diversi (fra cui i più conosciuti sono i maxi-single con diametro 12 pollici), ma quando si parla di 45 giri ci si riferisce generalmente ai dischi con diametro 7 pollici.

    Nel 1948 il policarbonato di vinile, materiale leggero e infrangibile, soppianta la vecchia gommalacca e la Columbia Records introduce per prima negli Stati Uniti il formato 45 giri. Il formato, che necessita di una testina di lettura particolare, si diffonde anche grazie ai nuovi modelli di juke box.

    In Italia il formato 45 giri si afferma negli anni cinquanta, superando per vendite il 78 giri tra il 1957 ed il 1958 e raggiungendo il massimo della diffusione fra il 1964 e il 1970.

    Stampati generalmente da entrambi i lati, i 45 giri possono contenere due brani, ciascuno della durata massima di circa 4 minuti. In genere si incideva il brano destinato al lancio radiofonico o televisivo sulla facciata denominata lato “A”, mentre il lato “B” era spesso un semplice riempitivo. Esistono comunque molte eccezioni e dei casi particolari in cui il lato B del 45 giri ha avuto maggior successo rispetto al lato A, come ad esempio il singolo In silenzio/Piccola Katy deiPooh, in cui Piccola katy era il lato B, che ha avuto più successo del lato A; o dischi intenzionalmente incisi con due lati “A” ovvero con due singoli di uguale importanza. Un esempio fu nel 1965 Day Tripper/We Can Work It Out dei Beatles.

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    Verso la fine degli anni settanta, quando i 45 giri perdono quote di mercato a favore del long playing e delle musicassette, e non sono più quindi il principale supporto per la musica registrata, la facciata B perde parte della sua importanza. Saltuariamente, presenta solo la base musicale o una versione strumentale del brano presente sulla facciata principale.

    Dopo l’avvento dei supporti digitali, i brani singoli vennero messi in vendita su Mini CD o CD singoli che hanno avuto però una diffusione molto più limitata rispetto ai 45 giri in vinile.

    Materiale

    I dischi 78 giri erano prodotti in gommalacca, materiale caratterizzato da un’estrema fragilità e da una struttura che portava ad avere dei dischi affetti da un fruscio. Nei dischi microsolco la gommalacca è stata sostituita da un materiale termoplastico, il PVC. Da questo materiale deriva la denominazione vinile usata per indicare i dischi prodotti con questa tecnologia.

    Il colore del supporto è tipicamente nero anche se sono stati realizzati dischi in vinile colorato (soprattutto Maxi-single).

    Tecnica di produzione


    I dischi in vinile venivano stampati per mezzo di una pressa idraulica utilizzando un’immagine negativa realizzata in metallo a partire da un master principale, una sorta di primo disco ottenuto incidendovi con la massima precisione i suoni originali da supporto magnetico in sala di registrazione. Da questo si otteneva un primo negativo dal quale venivano generati degli ulteriori master utilizzati per stampare i negativi che, pressando il PVC, come si accennava prima, imprimevano al disco la sua forma definitiva. Successivamente, sulla plastica ancora calda, veniva apposta l’etichetta vera e propria.

    Riproduzione

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    Il suono su disco in vinile è riprodotto analogicamente, per la riproduzione l’informazione sonora viene letta per mezzo di una puntina, in diamante o altro materiale sintetico, posta sul solco inciso. La rotazione del disco fa sì che la puntina generi vibrazioni derivanti dall’irregolarità del solco che, per mezzo dello stilo su cui è montata, vengono portate ad un trasduttore, (fonorivelatore), il quale può essere realizzato con varie tecnologie.

    piezoelettrico
    magnete mobile
    bobina mobile
    Il sistema piezoelettrico sfrutta la caratteristica di particolari cristalli di generare elettricità quando sottoposti a sforzi meccanici. È caratterizzato da un segnale elevato e da una qualità piuttosto bassa. Era utilizzato soprattutto negli apparati portatili e in quelli di fascia economica, ormai non più in uso; anche se negli anni cinquanta esistette una produzione di notevole qualità di apparecchi che sfruttavano il sistema di lettura piezoelettrico. Questi ultimi erano spesso usati in raffinati mobili radiogiradischi di produzione tedesca, oggi non classificabili come hi-fi, tuttavia presentavano una notevole corposità sonora ed eufonia. Famosi giradischi con sistema piezoelettrico di tal genere erano gli automatici PerpetuumEbner, Elac, Dual e simili.

    I sistemi a magnete mobile e a bobina mobile tuttora usati, sfruttano il fenomeno dell’induzione elettromagnetica per generare un segnale proporzionale agli spostamenti della puntina. La differenza fra i due è legata a quale parte viene fatta muovere nei confronti dell’altra. I pick-up a magnete mobile hanno sempre avuto maggiore diffusione rispetto a quelli a bobina mobile, più complessi e di conseguenza costosi, nonché per la ragione del basso livello del segnale generato (molto più debole), che richiede un ulteriore preamplificatore.

    Il segnale generato (nell’ordine dei millivolt, nei pick-up a magnete mobile) viene amplificato per poter pilotare gli altoparlanti.

    Recentemente sono stati realizzati degli apparecchi che utilizzano un fascio laser per leggere il solco del disco in maniera analoga a quella utilizzata dai lettori dicompact disc. Questa tecnologia (estremamente costosa, vista anche la produzione estremamente scarsa) si rivolge a coloro che vogliono riprodurre i vecchi dischi in vinile senza usurarli.

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    Pro

    Il suono riprodotto in modo meccanico ed analogico produce una serie di imperfezioni e irregolarità (dette distorsioni) che rendono la musica più gradevole e interessante, al confronto con i sistemi digitali moderni, che sono si più precisi, ma ritenuti “freddi” dagli audiofili.
    Contro

    Il disco in vinile è soggetto ad usura e graffi che ne compromettono la qualità acustica e/o la funzionalità ed è anche soggetto all’azione di microscopiche muffe che ne inficiano la qualità di riproduzione: necessita pertanto di particolari periodici interventi di cura e pulizia.
    L’utilizzo è relativamente scomodo: ad ogni inizio di ascolto, per salvaguardare la massima qualità, andrebbero puliti dalla polvere sia il disco che lo stilo della testina di lettura.
    La testina di lettura, come la maggior parte dei trasduttori, è sensibile alle variazioni di temperatura e di umidità. Inoltre i parametri fisici delle parti che la compongono si modificano col tempo ed è anch’essa soggetta ad usura.
    L’errore di tangenza conduce inevitabilmente ad una notevole distorsione, soprattutto in prossimità della parte interna del disco, a meno di non utilizzare bracci tangenziali, i quali però soffrono di altri problemi data la loro complessità.
    La riproduzione di frequenze molto basse può indurre in impianti non perfettamente messi a punto, il cosiddetto feedback o effetto Larsen; se l’impianto di riproduzione entra in risonanza col suono emesso dagli altoparlanti, si genera un effetto a catena (loop) capace di generare rumori pressoché incontrollabili e spesso deleteri per i diffusori acustici.
    Il rapporto dinamico ottenibile è difficilmente superiore ai 60 dB.
    La risposta in frequenza e la qualità di riproduzione di un disco in vinile possono ridursi con l’ascolto frequente e in particolar modo se la puntina di lettura è consumata o la testina è regolata con un peso di lettura eccessivo, oppure se l’articolazione dello stilo ha perso l’originaria cedevolezza meccanica, necessaria per seguire accuratamente i solchi laddove sono incise alte frequenze.
    Attualità

    Nonostante gli audiofili fedeli al vinile costituiscano oggi una minoranza, sono tuttora presenti sul mercato etichette che offrono a catalogo 33 giri, nonché aziende costruttrici di giradischi che adottano soluzioni tecniche all’avangardia.

    Il vinile è, inoltre, ancora molto usato dai disc jockey e molte etichette, sia italiane che straniere, distribuiscono musica su vinile appositamente per dj.

    Nonostante la tanto pubblicizzata superiorità del Compact Disc, il disco in vinile viene ancora apprezzato da molti puristi della musica, a partire da quella classica, ma anche jazz, blues e rock. Tale apprezzamento può avere diverse motivazioni, tra cui:

    Politiche commerciali (Loudness war) che tendono a sottoutilizzare enormemente le possibilità del supporto digitale, comprimendo in un range dinamico di 20 dB un supporto che può tranquillamente raggiungere i 90 dB, per sopperire alle scarse prestazioni degli apparecchi riproduttori di largo consumo. Fanno eccezione, ad esempio, alcuni sampler CD della Telarc, particolarmente apprezzati per il loro range dinamico.[4]
    La maggior naturalezza resa dal supporto analogico in generale e la caratteristica del vinile di introdurre sì distorsioni, ma prevalentemente concentrate nellearmoniche di grado pari, più eufoniche all’orecchio umano, dove invece il supporto digitale (pur avendo prestazioni migliori in termini di distorsione) le concentra nel grado dispari, più dissonanti per l’ascoltatore. Un fenomeno simile è riscontrato dagli estimatori degli amplificatori a valvole ed è noto con il termine di tube sound.
    A tenere testa al vinile e in alcuni parametri a superarlo, sono anche tecniche digitali operanti con campionamenti del suono ad alte frequenze e maggior profondità in bit. A questo punto, però non si parla più di supporti di consumo, ma di prodotti orientati verso mercati più di nicchia o di produzione di master professionali in studio dove anche l’analogico offre altri tipi di supporto di qualità superiore come nastri magnetici in bobina o ”open reel”, tuttora preferiti da diversi artisti per l’incisione dei loro dischi.

    testina-su-vinile

     
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    Gli oggetti del nostro passato: Lo SCALDINO – (Fino agli anni 70)

    Scaldino-terracotta

    Lo scaldaletto o scaldino era uno strumento, un braciere, che serviva per scaldare il letto e le coperte prima di coricarsi. Consiste in un contenitore di metallo, solitamente ferro o rame, che veniva riempito di braci prese dal focolare o dal caminetto.

    Scaldaletto con coperchio

    scaldaletto

    Consiste in un recipiente tondo, molto simile ad un piccolo tegame, dotato di manico e coperchio. Il coperchio, che è bucherellato o traforato anche con intagli artistici, permette al calore di diffondersi, impedendo alle lenzuola di venire a contatto con le braci. Il manico può essere rivestito in legno o, se totalmente in metallo, è molto lungo per tenere le mani lontano dal corpo dello scaldino ed evitare di scottarsi. Vi possono essere piccoli piedini per evitare che il fondo vada a contatto diretto con il lenzuolo di sotto.

    Scaldino con la mònega o il preé

    scaldino-900x488

    Se lo scaldino era aperto, veniva messo nella mònega o preé (nomi che variano a secondo delle zone, che significano monaca e prete), attrezzo di legno, formato da due coppie di assicelle ricurve, unite agli estremi, poste lateralmente sopra e al di sotto di una “gabbia” cuboidale aperta, avente base quadra centrale ricoperta di lamiera (per evitare bruciature provocate da eventuali fuoriuscite di faville dal braciere che vi veniva posato). Teneva sollevate le coperte e permetteva al calore di diffondersi. In tal modo si riduceva il tasso di umidità di coltri e di materassi di cui erano pregne nella stagione invernale le case di campagna.

    SCALDINO-1

    Si è usato nelle case di campagna o delle famiglie meno abbienti, fino agli anni ’60, ’70 del 1900. Nelle abitazioni prive di impianto di riscaldamento, con altri accorgimenti come la boulle dell’acqua calda o il mattone riscaldato nella stufa o nel caminetto, permetteva di infilarsi in un letto piacevolmente tiepido anche in stanze che d’inverno potevano essere veramente gelide. Oggi è stato completamente soppiantato da scaldaletto elettrici, sopravvive come oggetto d’arredamento d’antiquariato.

    scaldino-letto



    Edited by Lussy60 - 20/7/2012, 15:36
     
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    Gli oggetti del nostro passato: CABINA TELEFONICA


    Cabina-telefonica-inglese

    Con cabina telefonica si intende un punto telefonico pubblico, costituito da un box prefabbricato con all’interno un apparecchio a gettoni o a schede telefoniche.

    La cabina telefonica è in origine una struttura dotata di una porta per garantire un minimo di privacy a chi la sta usando, e di una finestra, o di una serie di vetrate, per mostrare quando la cabina è in uso. Nella cabina è in alcuni casi possibile, in passato anche in Italia, trovare un elenco telefonico locale, e in alcuni spazi di grande formalità, per esempio negli alberghi, anche di carta, penna e un appoggio per sedersi.

    Una cabina telefonica pubblica, sita all’aperto, è generalmente costruita di poche parti estremamente resistenti, come l’acciaio e la plastica, per resistere alle intemperie e all’uso; al contrario, una cabina posta all’interno di un edificio, (conosciute anche come silence cabinet nel mondo anglosassone, per la presenza di porte e pareti insonorizzate) è generalmente costruita con più cura. In Italia, le cabine telefoniche sono normalmente dei box prefabbricati in materiale metallico, con ante e pareti in vetro trasparente. Spesso, soprattutto in locali chiusi quali stazioni ed aeroporti, si trovano cabine aperte in plexiglas.

    Le cabine telefoniche si diffusero in tutti i Paesi industrializzati a partire dagli anni dieci del XX secolo. A partire dagli anni settanta i telefoni pubblici furono gradualmente sostituiti in tutto il mondo dai chioschi aperti dotati di telefono, per garantire un accesso più facile ai portatori di handicap e per scoraggiare, con la relativa mancanza di privacy, chiamate troppo lunghe in aree dove le cabine sono sottoposte a un regime di altissima fruizione – come aeroporti, stazioni ferroviarie, o luoghi di grande interesse turistico.

    Soprattutto negli aeroporti, è possibile trovare alcune dotazioni speciali installate all’interno delle cabine, come una presa di rete RJ-45 per connettere un computer portatile a Internet, un telefono dotato di telefax o tastiera per inviare SMS, o un dispositivo per persone affette da sordità.

    La gran parte delle cabine telefoniche in tutto il mondo sono dotate del logo della Compagnia telefonica cui appartiene la struttura.

    Storia delle cabine telefoniche in Italia

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    L’installazione della prima cabina telefonica pubblica, risale al 10 febbraio 1952 in piazza San Babila a Milano, per iniziativa della concessionaria Stipel. La struttura era in metallo e vetro, materiali con la quale vennero realizzate anche nel corso dei decenni successivi. In precedenza i telefoni pubblici erano esclusivamente installati presso esercizi pubblici quali bar, edicole, ecc. o nei Posti Telefonici Pubblici (PTP). In Italia le cabine telefoniche hanno ospitato diversi tipi di apparecchi telefonici: dai telefoni con combinatore a disco, con selezione dei numeri analoga al modello S62 “Bigrigio” si è passati ai primi telefoni a tastiera, poi all’apparecchio Rotor in funzione dal 1987, poi nel 1998 al “Tuo”, un modello only card di colore rosso con cornetta nera ed infine al modello Digito in funzione dal 2002, tuttora presente nelle poche cabine rimaste in servizio.

    Durante gli anni settanta le cabine telefoniche, diventarono consuete nel paesaggio urbano italiano. Nel 1971, in Italia, erano installate circa 2.500 cabine, mentre alla fine del decennio, le cabine ammontavano a 33.000. Il telefono pubblico era ormai largamente diffuso per le strade.

    Nel 1976 furono utilizzate, in via sperimentale, le prime schede telefoniche prepagate, diventando negli anni a venire oggetto di collezionismo. A differenza della maggior parte delle linee di telefonia fissa, la maggior parte delle cabine telefoniche in Italia, pur avendo un numero telefonico, non sono abilitate alla ricezione e pertanto, a differenza di altri Paesi del mondo, non offrono la possibilità di ricevere chiamate. Ultimamente è possibile ricevere chiamate su cabina solo da alcuni gestori convenzionati con Telecom Italia. Per chiamare una cabina da un telefono cellulare o fisso è necessario chiamare il numero a pagamento 199 229 229. Dopo aver composto questo numero a tariffazione speciale sarà possibile chiamare la cabina desiderata.

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    Epoca moderna

    Dato il crescente utilizzo di telefonia cellulare, VoIP, e Internet, il traffico sulla rete di telefonia pubblica nel 2007 è praticamente dimezzato, avvicinandosi sempre più allo zero. Le conversazioni da un telefono pubblico hanno raggiunto nel 2007 appena 300 milioni di minuti, contro i circa 600 milioni del 2006 registrando un calo del 43%. Al contrario il traffico totale della telefonia fissa ha raggiunto i 128 miliardi di minuti.

    Si stima la rimozione quasi totale delle cabine sul territorio italiano (attualmente 103.861) entro il 2015, tuttavia nel 2011 si è registrata un’inversione di tendenza e la Telecom sta valutando la loro sostituzione con cabine di nuova generazione.

    I gettoni telefonici uscirono dalla circolazione il 31 dicembre 2001 con l’avvento dell’euro e le schede magnetiche sono diventate oggetti sempre meno utilizzati.

    Cabina-telefonica-bar-con-elenchi
    Cabina telefonica da Bar insonorizzata con elenchi


    cabina-telefonica-bar
    Tipica cabina da Bar con indicatore


    Cabina-telefonica-sip-gialla-con-indicatore
    Cabina Telefonica anni 70 Gialla


    cabina-telefonica-anni-90-00
    Cabina telefonica anni 90


    Cabina-telefonica-anni-00
    Cabina telefonica anni 00


    Telefono_pubblico_Digito_con_gettoniera
    Posto pubblico con telefono Digito anni 00


    cabina-telefonica2

     
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    Gli oggetti del nostro passato: AUTOSTOP

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    L’autostop è una forma di trasporto che consiste nel chiedere un passaggio ad altri viaggiatori, generalmente provvisti di veicoli motorizzati, come automobili o autocarri, più di rado motociclette. Nella prassi più comune, l’autostoppista sul ciglio della strada chiede alle vetture private di fermarsi e di fornire il trasporto gratuitamente. Chiedendo passaggi in successione, è inoltre possibile effettuare anche lunghi viaggi in autostop.

    I motivi che spingono le persone a viaggiare mediante autostop sono principalmente tre: necessità (mancanza di fondi o di mezzi); spirito di avventura (l’autostop consente di incontrare persone sconosciute); ambientalismo ed efficienza del trasporto.

    In Italia, l’autostop è vietato sulle strade a scorrimento veloce, come, ad esempio, le autostrade.

    Il termine autostop è internazionalmente diffuso nell’Europa continentale (Francia, Italia, Germania,Spagna, Europa orientale) dove comunque spesso si affianca al corrispondente termine in lingua locale (trampen in Germania, liften nei Paesi Bassi, liftning in Svezia). Negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in generale nei paesi di lingua inglese è invece totalmente sostituito dal termine hitchhiking.

    Breve Storia

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    Gli anni settanta rappresentano il periodo d’oro dell’autostop, soprattutto negli Stati Uniti e nell’Europa dell’Est. Questa pratica, molto diffusa tra i giovani, è divenuta meno frequente dalla seconda metà degli anni ottanta, principalmente per via di una crescita del tenore di vita (con conseguente diffusione dell’automobile di proprietà). Negli anni 90 si è quasi totalmente estinta tanto che oggi, almeno nelle strade italiane, è molto difficile trovare autostoppisti.

    Madonna-foto-tratta-dal-suo-sex-book-del-1992-realizzato-in-collaborazione-con-lo-studio-di-Steven-Meisel-900x594
    Una delle foto più celebri che ritrae un’ Autostoppista – Madonna snellissima e bellissima in una foto tratta dal suo “Sex-book” del 1992 realizzato con lo studio di Steven Meisel


     
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    Gli oggetti del nostro passato: CARTA CARBONE

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    La carta carbone è una carta rivestita su un lato con uno strato di inchiostro asciutto, di solito unito a della cera ed era utilizzata per creare una o più copie di un documento durante la scrittura dello stesso. Viene chiamata più propriamente carta copiativa, in quanto se ne distinguono vari tipi e non tutti creano copie di colore nero tipico del carbone.

    Uso

    Il foglio di carta carbone viene frapposto tra il foglio dove si intende scrivere il documento e quello dove lo si vuol copiare, con la superficie inchiostrata rivolta verso il basso, in modo da farla combaciare con la superficie del foglio destinato alla copia. Nel caso si vogliano ottenere più copie contemporaneamente si usa utilizzare per l’originale, quello che riceverà l’impressione del segno, un foglio di carta normale e per tutti gli altri, invece, dei fogli di carta velina.

    La carta carbone può essere usata sia che si intenda scrivere il documento manualmente sia che si voglia usare una macchina per scrivere; la pressione della penna o della piastrina portacaratteri del martelletto nella macchina per scrivere deposita l’inchiostro sul foglio sottostante, creando così una copia carbone del documento originale.

    La-carta-carbone

    Il trasferimento dell’inchiostro sul foglio di carta sottostante lascia una traccia del testo copiato sulla superficie inchiostrata del foglio di carta carbone utilizzato. Per questo motivo, se utilizzato per creare copie di documenti sensibili, la cui riservatezza è di massima importanza, un foglio di carta carbone andrebbe distrutto subito dopo l’operazione di copia, e questo per ovvi motivi di sicurezza.

    Nell’uso corrente però la carta copiativa veniva usata moltissime volte di seguito, praticamente fino a consumare tutto l’inchiostro disponibile. È stato calcolato che fogli delle migliori marche possono venir usati anche più di cento volte, a seconda della quantità del testo, dalla grandezza delle lettere e dalla pesantezza del tratto. Nei testi scritti a macchina la carta carbone poteva sopportare dai 30 ai 50 utilizzi.

    Storia

    La carta carbone venne inventata nel 1806 da Ralph Wedgwood intento a riscrivere l’aramaico. Secondo altre fonti, l’inventore fu, sempre nel 1806, l’italiano Pellegrino Turri.

    La carta carbone oggi

    Oggi, la carta carbone è caduta quasi in totale disuso. È stata largamente soppiantata da dispositivi elettronici come le fotocopiatrici, che permettono la copia di documenti in maniera più veloce e agevole. Inoltre, l’utilizzo di personal computer e delle stampanti negli uffici ha fatto decadere ulteriormente l’utilizzo della carta carbone.

    Le moderne tecnologie hanno eliminato anche l’impiego di carta carbone manuale da tutti gli studi professionali. La utilizzano ancora taluni artigiani e chi si diverte con il bricolage.

    lavorazione_in-carta-carbone

    carta-carbone-blu

     
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    Gli oggetti del nostro passato: PATTINO o MOSCONE in legno

    pattino-in-legno-900x604



    Il pattìno, o moscone, è un natante da diporto a remi costituito da due galleggianti paralleli detti siluri, gondole, barchette o gavoni, uniti tra loro da traverse che sostengono i sedili.

    Viene principalmente utilizzato per il salvataggio e lo svago in mare.

    Oggigiorno i pattini sono quasi esclusivamente in vetroresina mentre quelli classici in legno sono quasi del tutto scomparsi dalle nostre spiagge in qunato i pattini in legno richiedevano una indispensabile manutenzione annuale di riverniciatura, non necessaria per le imbarcazioni in vetroresina che, inoltre, risultano più leggere e maneggevoli.
    Inoltre i pattini hanno lasciato il passo ai Pedalò pertanto risulta molto difficile trovare pattini (non di salvataggio) da noleggiare per uscire al largo per un buon bagno o…per un’uscita romantica. Un’altro pezzo della nostra storia che se ne va per sempre…..

    Pattino-in-acqua-Foto-anni-50

    Utilizzo e armamento del pattino da salvataggio

    L’armamento del pattino da salvataggio va fatto immediatamente prima dell’entrata in servizio del bagnino al mattino.

    L’armamento consiste nell’equipaggiare il pattino con due remi alloggiati negli appositi scalmi.

    Sul pattino deve obbligatoriamente trovarsi un salvagente regolamentare da salvataggio di colore rosso e con sagola galleggiante di lunghezza non inferiore a metri 50.

    Inoltre deve essere equipaggiato con un “mezzo marinaio” che viene utilizzato per riportare a bordo oggetti che si trovano in mezzo al mare e che devono essere rimossi.

    Il pattino deve trovarsi sul fronte mare immediatamente sulla battigia in modo tale da poter effettuare un tempestivo salvataggio a con l’imbarcazione di servizio.

    Deve essere disposto sempre con il fronte dell’imbarcazione a monte ma al rientro da un eventuale salvataggio, deve essere rientrato con il retro dell’imbarcazione a monte in modo tale da portare il bagnante in pericolo subito in spiaggia per trasportarlo a riva

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    Pattino-con-signora-1966

    Pattino-famiglia-in-posa-1970

    Pattino-Foto-anni-50



     
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