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Principali poesie di Giovanni Pascoli, con parafrasi e commento

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  1. Lussy60
     
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    Pascoli, Giovanni, X Agosto analisi
    Parafrasi e commento dettagliato, comprendente anche l'analisi testuale nella parte finale, della poesia "X Agosto" di Giovanni Pascoli (1855-1912) tratta dalla raccolta "Myricae".

    Parafrasi
    I. San Lorenzo, io lo so perché tante stelle
    II. S’incendiano e cadono nell’aria tranquilla,
    III. perché un pianto, un dolore così grande
    IV. brilla nella volta celeste.

    V. Una rondine ritornava al suo nido:
    VI. l’uccisero: cadde tra le spine;
    VII. nel becco aveva un insetto:
    VIII. il cibo per i suoi piccoli.

    IX. Ora giace a terra, con le ali aperte come fosse in croce,
    X. con il becco aperto rivolto verso il cielo vasto e lontano;
    XI. e il suo nido viene oscurato dall’ombra, i piccoli attendono il ritorno della madre
    XII. e pigolano sempre più piano.

    XIII. Come la rondine, anche un uomo tornava alla sua casa:
    XIV. l’uccisero: chiese perdono per i peccati commessi
    XV. e restò con gli occhi aperti, sbarrati dal terrore:
    XVI. portava in dono alle figlie due bambole.

    XVII. Ora là, nella casa solitaria e vuota,
    XVIII. i figli lo aspettano invano
    XIX. poiché egli giace immobile e stupito,
    XX. rivolgendo le bambole al cielo lontano.

    XXI. E tu, oh Cielo vasto e divino,
    XXII. dal mondo ultraterreno, sereno,
    XXIII. inondi la Terra, questo insignificante frammento oscuro dell’universo dominato dal Male,
    XXIV. di un pianto, una pioggia di stelle.

    Commento

    La poesia “X agosto” è tratta dalla raccolta “Myricae” di Giovanni Pascoli (1855-1912). Come indicato dal titolo della raccolta, che significa “tamerici”, una pianta molto comune, gli argomenti trattati sono umili e modesti.

    La parte iniziale della poesia, infatti, sembra quasi una favola, il racconto della morte di una rondine, che Pascoli paragona al suo dolore personale per la perdita del padre e, nell’ultima strofa, al dolore dell’intera umanità. Il titolo, “X agosto”, è la data della morte del padre del poeta, ucciso per motivi poco chiari il 10 agosto 1867, un giorno molto doloroso che Pascoli non scorderà mai. Il 10 agosto è il giorno di San Lorenzo, in cui le stelle cadenti, che rappresenterebbero le lacrime del santo, sono particolarmente numerose. Partendo da questa semplice credenza, il poeta ha collegato la morte del padre al “pianto di stelle” che proprio nello stesso giorno si riversa sulla Terra.
    Nella prima strofa Pascoli espone questa sua considerazione, rivolgendosi direttamente al santo. Le successive quattro strofe sono analoghe e presentano prima la morte della rondine e poi quella di un uomo, che può essere sicuramente considerato il padre del poeta. L’immagine della rondine, secondo me, è molto significativa: essa procura il cibo ai piccoli, che non possono sopravvivere da soli, così come i figli hanno bisogno del padre. La morte della rondine è resa più drammatica dal fatto che l’animale giace con le ali aperte, come fosse in croce, a simboleggiare l’ingiustizia della sua uccisione e la sua innocenza. Un altro verso che mi ha colpito particolarmente è quello in cui viene descritto il nido, nascosto dall’ombra a significare un inquietante presagio, l’inevitabile ed imminente morte dei piccoli che, come se avessero capito il loro destino, pigolano sempre più piano, rassegnati. E’ questa secondo me l’immagine che trasmette meglio i sentimenti del poeta di fronte all’uccisione del padre: impotenza, solitudine e un’angosciante insicurezza, mancanza di protezione. Nella quarta e nella quinta strofa, invece, viene descritta in modo analogo la morte del padre, identificato in un uomo che stava tornando a casa, al suo “nido”, portando due bambole in dono alle figlie. Quando viene ucciso, chiede perdono per i peccati commessi e rivolge le bambole al cielo, quasi invocando pietà per un uomo che deve prendersi cura dei proprio figli, così come la rondine rivolge al cielo il becco aperto contenente il cibo per i piccoli, ma il cielo in quel momento era troppo lontano per ascoltare le preghiere di un uomo innocente. Nell’ultima strofa Pascoli paragona il suo dolore individuale a quello del mondo intero, riprendendo il discorso presentato all’inizio. Contrappone la serenità divina, spesso passiva verso i problemi umani, alla malvagità e all’ingiustizia che regnano sulla Terra.
    Le parole chiave di questa poesia sono il nido e l’attesa inutile dei rondinini e dei figli. Quando l’autore presenta la vicenda della rondine usa il termine “tetto”, mentre per riferirsi all’uomo si serve della parola “nido”. Apparentemente sembrerebbe più corretto invertire i due termini, ma in effetti “tetto” è più adatto alla rondine sia per la posizione del suo nido, spesso collocato sotto i tetti, sia perché è qualcosa di strettamente materiale e non intimo come un “nido”, che in questo caso rappresenta l’affetto e la protezione garantiti da una famiglia. Allo stesso modo il verme è legato alla sopravvivenza dei piccoli, mentre le bambole rappresentano l’astratto, l’affetto di un padre verso le figlie.

    Lo scopo di questa poesia, secondo me, è denunciare il dolore dell’umanità verso le ingiustizie impunite, come nel caso specifico di Pascoli, l’uccisione del padre. Trasmette l’impotenza, la rassegnazione e la desolazione di persone che non possono fare nulla per cambiare il corso degli eventi e devono scontrarsi con la realtà dura e ingiusta. A mio parere questi sentimenti sono sinceri e reali e chiunque, suo malgrado, un giorno potrebbe provarli.
    La poesia è una sestina, formata cioè da sei strofe composte ciascuna da quattro versi endecasillabi in rima alternata, a parte qualche verso novenario o decasillabo. Sono presenti molti enjambement, quasi ad ogni verso, che donano alla poesia continuità e scorrevolezza.

    Pascoli utilizza anche numerose sinalefi, soprattutto tra la terza e la quinta strofa e altrettante figure retoriche. Le principali sono la similitudine (“come in croce”), che paragona le ali aperte ad una croce, simbolo di innocenza ma anche di morte. Nella stessa strofa è presente anche una metonimia: nel verso “che pigola sempre più piano”, il soggetto reale non è il nido, ma i piccoli al suo interno. Forse Pascoli ha preferito attribuire quest’azione al nido per rendere l’idea di un gruppo ristretto e unito. Viene utilizzata anche una sinestesia (“restò negli aperti occhi un grido”) per descrivere l’espressione impaurita e sconvolta dell’uomo morente.

    Nell’ultima strofa l’autore utilizza una personificazione (“e tu, oh Cielo, inondi...”) riferendosi probabilmente alla divinità idealmente collocata nel cielo. Sono presenti delle consonanze, soprattutto della lettera “r”, forse per sottolineare la durezza delle quattro strofe centrali, e della lettera “l”. L’autore inserisce anche delle anafore (“ora, ora – aspettano, aspettano – l’uccisero, l’uccisero”). Pascoli utilizza un lessico semplice e comprensibile ed un registro non eccessivamente elevato. La poesia ha un ritmo cadenzato e cantilenante, che accompagna le analogie tra la morte della rondine e quella del padre del poeta.



    L'assiuolo
    Analisi della poesia l'Assiuolo di Giovanni Pascoli, composta di 3 strofe di 7 novenari (ABABCDC), il ritornello onomatopeico “chiù” rimante con il sesto verso di ogni strofa

    Spiegazione
    Il paesaggio de “L’assiuolo” è uno dei più intensi e suggestivi di tutta la produzione pasco liana.
    Le immagini si susseguono prive di ordine logico, come rivelazioni improvvise via via più profonde. Il vero filo conduttore è il verso dell’assiuolo, un piccolo rapace notturno, simile alla civetta, che va ripetendo il suo verso lamentoso: in quella voce sembra concentrarsi tutta la tristezza dell’universo, tutto il dolore, dell’esistenza nel suo fatale destino di morte.

    Dov’era la luna? ché il cielo
    notava in un’alba di perla,
    ed ergersi il mandorlo e il melo
    parevano a meglio vederla.
    Venivano soffi di lampi
    da un nero di nubi laggiù;
    veniva una voce dai campi:
    chiù...
    Le stelle lucevano rare
    tra mezzo alla nebbia di latte:
    sentivo il cullare del mare,
    sentivo un fru fru tra le fratte;
    sentivo nel cuore un sussulto,
    com’eco d’un grido che fu.
    Sonava lontano il singulto:
    chiù...
    Su tutte le lucide vette
    tremava un sospiro di vento:
    squassavano le cavallette
    finissimi sistri d’argento
    (tintinni a invisibili porte
    che forse non s’aprono più?...);
    e c’era quel pianto di morte...
    chiù...

    Spiegazione
    La lirica è composta di 3 strofe di 7 novenari (ABABCDC), il ritornello onomatopeico “chiù” rimante con il sesto verso di ogni strofa.
    Ché: (dov’era la luna) dal momento che…
    Notava: nuotava, era immerso.
    Di perla: perlacea, di un chiarore opalescente.
    Ergesi…vederla: gli alberi del mandorlo e del melo parevano ergersi in alto cercare di scorgerla.
    Soffi di lampi: lampi silenziosi per la lontananza, evanescenti come un soffio.
    Nebbia di latte: denso vapore bianco.
    Il cullare del mare: il rumore delle onde, sempre uguale e dolce come il movimento di una culla.
    Un fru fru: un fruscio indistinto.
    Fratte: cespugli.
    Sussulto: trasalimento per un’improvvisa emozione.
    Com’ero…che fu: come il lontano ricordo di un grido di dolore perduto nella profondità del tempo, antico quanto la vita, poiché di per sé essa comporta il dolore e la morte.
    Singulto: singhiozzo soffocato.
    Le lucide vette: le cime degli alberi, illuminate dalla luna.
    Squassavano…d’argento: le cavallette, scuotendo le loro ali, producevano un suono acuto e metallico.
    Tintinni…più: un tintinnare che sembrava battere a porte invisibili, le quali forse non si apriranno mai: le porte dell’ignoto, dell’immortalità un tempo garantita dal culto di Iside.

     
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