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Machiavelli, Niccolò - Il Principe

Saggio breve sul capitolo 18 de "Il Principe" che parla del problema della "fides" e del dualismo leggi-forza

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    Machiavelli, Niccolò - Il Principe
    Saggio breve sul capitolo 18 de "Il Principe" che parla del problema della "fides" e del dualismo leggi-forza


    Nel capitolo XVIII del Principe, Machiavelli parla del problema della "fides" per il principe. La premessa è che principi "che della fede hanno tenuto poco conto" si sono rivelati più abili di principi leali, e spiega queste affermazioni con andamento dilemmatico, distinguendo due modi di governare: "l'uno con le leggi, l'altro con la forza"; di qui, attraverso le celebri metafore del centauro e della volpe e del leone, chiarisce le affermazioni precedenti. Quest'andamento dilemmatico, che procede per parallelismi e per antitesi, è l'attuazione di un procedimento razionale induttivo, che parte dal basso, dall'osservazione della realtà effettuale, e non per deduzione da un mondo ideale.

    Questo contrasto tra ideale ed effettuale è presente in tutta l'opera del Machiavelli, che si contrappone apertamente alla scuola neoplatonica di Marsilio Ficino; poiché il principe deve avere a che fare con il governo reale e non con una realtà perfetta e ideale, l'arte della politica deve avere origine dalle istituzioni umane e non deve avere una città ideale. Infatti, mentre la forma di governo ideale è la repubblica, in Italia, a causa del frazionamento e della debolezza politica e militare, la forma migliore attuabile è il principato.

    In questo capitolo la diferenza tra ideale ed effettuale riguarda le natura umana: idealmente l'uomo dovrebbe essere buono, e quindi l'uso della forza da parte del principe sarebbe inutile e moralmente scorretto; "ma perché sono tristi" la forza va utilizzata. "Forza", in questo caso, vuol dire "scorrettezza" e quindi anche non osservare la parola data: "tu eterna non l'hai da osservare a loro". L'esempio addotto da Machiavelli è il papa Alessandro VI Borgia, padre del duca Valentino, che "non pensò mai che ad ingannare uomini" e per questo rimase al potere. Questa separazione tra ideale ed effettuale e la sua concezione antropologica negativa implicano che dalle leggi ideali della morale non possa discendere il comportamento politico, che si adegua alla realtà effettuale.

    Il principe deve, a seconda delle situazioni, applicare le leggi (sia quelle civili che quelle morali, come, ad esempio, il mantenere la parola data) o imporsi con la forza, azione moralmente scorretta ma politicamente utile. Etica e politica vengono per la prima volta totalmente scisse: l'etica riguarda il singolo uomo ed è la tensione ad un comportamento ideale, la politica riguarda il principe e tende al raggiungimento del bene del popolo e della conservazione del proprio potere sulla realtà effettuale. È bene precisare che Machiavelli non è amorale, né la morale è subordinata alla politica: sono cose diverse che operano in campi diversi. Per il principe, ad esempio, è più conveniente "parere pietoso, fedele, umano, intero, religioso" che esserlo, poiché in questo modo appare "buono" al popolo ma contemporaneamente è svincolato da questa categoria dalla morale, che gli potrebbero essere d'impaccio in certe circostanze. Come, ad esempio, cita, senza nominarlo, il re di Spagna Ferdinando il Cattolico, che "non predica mai altro che pace e fede, e dell'una e dell'altra è inimicissimo". Il dualismo leggi-forza è spiegato attraverso la metafora del centauro: siccome le leggi sono proprie dell'uomo e le forza delle bestie, il principe deve essere educato come Achille fu educato dal centauro Chirone, metà uomo e metà bestia, cioè deve saper usare sia la parte umana (cioè le leggi), sia la parte bestiale, (cioè la forza), "e l'una senza l'altra non è durabile". La figura del centauro, viva anche nella situazione a lui contemporanea, è ripresa dalla mitologia classica mediata attraverso le Metamorfosi di Ovidio. Seguendo il procedimento dilemmatico, Machiavelli distingue due tipi di azioni "bestiali", entrambe proprie del principe: le azioni tipiche del leone, tese a spaventare gli avversari con la forza bruta, e quella tipica della volpe, tesa a "tessere intrighi" con l'astuzia. Il principe deve saperle usare a seconda delle situazioni: da tutto ciò segue che la dote più importante per un principe deve essere la duttilità. La figura del leone, da sempre simbolo di potenza fisica e di forza bruta, proviene da Dante (Inferno; canto I), dove rappresenta la superbia, che si rifaceva a sua volta ai bestiarii medievali e alla tradizione classica (le Metamorfosi di Ovidio e le Favole di Fedro). La volpe ha la stessa origine classica, e fu mediata dai bestiari e dal francese "Roman de Renart".

    Lo stile utilizzato è, come in tutto il Principe, semplice e pragmatico; sopravvivono alcuni latinismi (tamen, etiam) e alcuni costrutti (come i participi) che tendono a ricostruire la brevitas del periodo cesariano; particolarmente in questo capitolo Machiavelli adopera un tono spesso sentenzioso e lapidario. I costrutti sono essenzialmente paratattici. Questo linguaggio "vuoto di ornamenti" è il primo vero esempio italiano di una prosa scientifica moderna.

    fonte:skuola.net

     
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