Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

Figure retoriche-Astolfo sulla luna

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    Figure retoriche-Astolfo sulla luna


    ASTOLFO SULLA LUNA
    Tutta la sfera varcano del fuoco,
    ed indi vanno al regno de la luna.
    Veggon per la più parte esser quel loco
    come un acciar che non ha macchia alcuna;
    e lo trovano uguale, o minor poco
    di ciò ch’in questo globo si raguna,
    in questo ultimo globo de la terra,
    mettendo il mar che la circonda e serra.

    Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:
    che quel paese appresso era sì grande,
    il quale a un picciol tondo rassimiglia
    a noi che lo miriam da queste bande;
    e ch’aguzzar conviengli ambe le ciglia,
    s’indi la terra e ’l mar ch’intorno spande,
    discerner vuol; che non avendo luce,
    l’imagin lor poco alta si conduce.

    Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
    sono là su, che non son qui tra noi;
    altri piani, altre valli, altre montagne,
    c’han le cittadi, hanno i castelli suoi,
    con case de le quai mai le più magne
    non vide il paladin prima né poi:
    e vi sono ample e solitarie selve,
    ove le ninfe ognor cacciano belve.

    Non stette il duca a ricercar il tutto;
    che là non era asceso a quello effetto.
    Da l’apostolo santo fu condutto
    in un vallon fra due montagne istretto,
    ove mirabilmente era ridutto
    ciò che si perde o per nostro diffetto,
    o per colpa di tempo o di Fortuna:
    ciò che si perde qui, là si raguna.

    Non pur di regni o di ricchezze parlo,
    in che la ruota instabile lavora;
    ma di quel ch’in poter di tor, di darlo
    non ha Fortuna, intender voglio ancora.
    Molta fama è là su, che, come tarlo,
    il tempo al lungo andar qua giù divora:
    là su infiniti prieghi e voti stanno,
    che da noi peccatori a Dio si fanno.

    Le lacrime e i sospiri degli amanti,
    l’inutil tempo che si perde a giuoco,
    e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,
    vani disegni che non han mai loco,
    i vani desideri sono tanti,
    che la più parte ingombran di quel loco:
    ciò che in somma qua giù perdesti mai,
    là su salendo ritrovar potrai.

    Passando il paladin per quelle biche,
    or di questo or di quel chiede alla guida.
    Vide un monte di tumide vesiche,
    che dentro parea aver tumulti e grida;
    e seppe ch’eran le corone antiche
    e degli Assiri e de la terra lida,
    e de’ Persi e de’ Greci, che già furo
    incliti, ed or n’è quasi il nome oscuro.

    Ami d’oro e d’argento appresso vede
    in una massa, ch’erano quei doni
    che si fan con speranza di mercede
    ai re, agli avari principi, ai patroni.
    Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,
    ed ode che son tutte adulazioni.
    Di cicale scoppiate imagine hanno
    versi ch’in laude dei signor si fanno.

    78 Di nodi d’oro e di gemmati ceppi
    vede c’han forma i mal seguiti amori.
    V’eran d’aquile artigli; e che fur, seppi,
    l’autorità ch’ai suoi danno i signori.
    I mantici ch’intorno han pieni i greppi,
    sono i fumi dei principi e i favori
    che danno un tempo ai ganimedi suoi,
    che se ne van col fior degli anni poi.

    Ruine di cittadi e di castella
    stavan con gran tesor quivi sozzopra.
    Domanda, e sa che son trattati, e quella
    congiura che sì mal par che si cuopra.
    Vide serpi con faccia di donzella,
    di monetieri e di ladroni l’opra:
    poi vide bocce rotte di più sorti,
    ch’era il servir de le misere corti.

    Di versate minestre una gran massa
    vede, e domanda al suo dottor ch’importe.
    - L’elemosina è (dice) che si lassa
    alcun, che fatta sia dopo la morte. -
    Di vari fiori ad un gran monte passa,
    ch’ebbe già buono odore, or putia forte.
    Questo era il dono (se però dir lece)
    che Costantino al buon Silvestro fece.

    Vide gran copia di panie con visco,
    ch’erano, o donne, le bellezze vostre.
    Lungo sarà, se tutte in verso ordisco
    le cose che gli fur quivi dimostre;
    che dopo mille e mille io non finisco,
    e vi son tutte l’occurrenze nostre:
    sol la pazzia non v’è poca né assai;
    che sta qua giù, né se ne parte mai.

    82 Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,
    ch’egli già avea perduti, si converse;
    che se non era interprete con lui,
    non discernea le forme lor diverse.
    Poi giunse a quel che par sì averlo a nui,
    che mai per esso a Dio voti non ferse;
    io dico il senno: e n’era quivi un monte,
    solo assai più che l’altre cose conte.

    Era come un liquor suttile e molle,
    atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
    e si vedea raccolto in varie ampolle,
    qual più, qual men capace, atte a quell’uso.
    Quella è maggior di tutte, in che del folle
    signor d’Anglante era il gran senno infuso;
    e fu da l’altre conosciuta, quando
    avea scritto di fuor: Senno d’Orlando.

    E così tutte l’altre avean scritto anco
    il nome di color di chi fu il senno.
    Del suo gran parte vide il duca franco;
    ma molto più maravigliar lo fenno
    molti ch’egli credea che dramma manco
    non dovessero averne, e quivi dénno
    chiara notizia che ne tenean poco;
    che molta quantità n’era in quel loco.

    Altri in amar lo perde, altri in onori,
    altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
    altri ne le speranze de’ signori,
    altri dietro alle magiche sciocchezze;
    altri in gemme, altri in opre di pittori,
    ed altri in altro che più d’altro aprezze.
    Di sofisti e d’astrologhi raccolto,
    e di poeti ancor ve n’era molto.

    Astolfo tolse il suo; che gliel concesse
    lo scrittor de l’oscura Apocalisse.
    L’ampolla in ch’era al naso sol si messe,
    e par che quello al luogo suo ne gisse:
    e che Turpin da indi in qua confesse
    ch’Astolfo lungo tempo saggio visse;
    ma ch’uno error che fece poi, fu quello
    ch’un’altra volta gli levò il cervello.

    La più capace e piena ampolla, ov’era
    il senno che solea far savio il conte,
    Astolfo tolle; e non è sì leggiera,
    come stimò, con l’altre essendo a monte.
    Prima che ’l paladin da quella sfera
    piena di luce alle più basse smonte,
    menato fu da l’apostolo santo
    in un palagio ov’era un fiume a canto.


    FIGURE RETORICHE!

    ASTOLFO SULLA LUNA
    Tutta la sfera varcano del fuoco, ANASTROFE
    ed indi vanno al regno de la luna.
    Veggon per la più parte esser quel loco
    come un acciar che non ha macchia alcuna; SIMILITUDINE
    e lo trovano uguale, o minor poco ENJAMBEMENT
    di ciò ch’in questo globo si raguna,
    in questo ultimo globo de la terra,
    mettendo il mar che la circonda e serra.

    Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:
    che quel paese appresso era sì grande,
    il quale a un picciol tondo rassimiglia
    a noi che lo miriam da queste bande;
    e ch’aguzzar conviengli ambe le ciglia, METONIMIA (ciglia per vista)
    s’indi la terra e ’l mar ch’intorno spande,
    discerner vuol; che non avendo luce,
    l’imagin lor poco alta si conduce.

    Altri fiumi, altri laghi, altre campagne ANAFORA
    sono là su, che non son qui tra noi;
    altri piani, altre valli, altre montagne, ANAFORA
    c’han le cittadi, hanno i castelli suoi,
    con case de le quai mai le più magne
    non vide il paladin prima né poi: IPERBOLE
    e vi sono ample e solitarie selve,
    ove le ninfe ognor cacciano belve.

    Non stette il duca a ricercar il tutto;
    che là non era asceso a quello effetto.
    Da l’apostolo santo fu condutto PERIFRASI (apostolo santo)
    in un vallon fra due montagne istretto,
    ove mirabilmente era ridutto enjambenet
    ciò che si perde o per nostro diffetto,
    o per colpa di tempo o di Fortuna:
    ciò che si perde qui, là si raguna.

    Non pur di regni o di ricchezze parlo,
    in che la ruota instabile lavora;
    ma di quel ch’in poter di tor, di darlo ENJAMBENT
    non ha Fortuna, intender voglio ancora.
    Molta fama è là su, che, come tarlo,
    il tempo al lungo andar qua giù divora:
    là su infiniti prieghi e voti stanno,
    che da noi peccatori a Dio si fanno.

    Le lacrime e i sospiri degli amanti, ENUMERAZIONE
    l’inutil tempo che si perde a giuoco,
    e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,
    vani disegni che non han mai loco,
    i vani desideri sono tanti,
    che la più parte ingombran di quel loco:
    ciò che in somma qua giù perdesti mai,
    là su salendo ritrovar potrai.

    Passando il paladin per quelle biche,
    or di questo or di quel chiede alla guida.
    Vide un monte di tumide vesiche,
    che dentro parea aver tumulti e grida;
    e seppe ch’eran le corone antiche ANAFORA IN e
    e degli Assiri e de la terra lida,
    e de’ Persi e de’ Greci, che già furo
    incliti, ed or n’è quasi il nome oscuro.

    Ami d’oro e d’argento appresso vede ENJAMBEMENT
    in una massa, ch’erano quei doni
    che si fan con speranza di mercede
    ai re, agli avari principi, ai patroni. ENUMERAZIONE
    Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,
    ed ode che son tutte adulazioni.
    Di cicale scoppiate imagine hanno
    versi ch’in laude dei signor si fanno.

    78 Di nodi d’oro e di gemmati ceppi ENJAMBEMENT
    vede c’han forma i mal seguiti amori.
    V’eran d’aquile artigli; e che fur, seppi,
    l’autorità ch’ai suoi danno i signori.
    I mantici ch’intorno han pieni i greppi,
    sono i fumi dei principi e i favori ENJAMBEMENT
    che danno un tempo ai ganimedi suoi,
    che se ne van col fior degli anni poi. PERIFRASI

    Ruine di cittadi e di castella
    stavan con gran tesor quivi sozzopra.
    Domanda, e sa che son trattati, e quella ENJAMBENT
    congiura che sì mal par che si cuopra.
    Vide serpi con faccia di donzella,
    di monetieri e di ladroni l’opra:
    poi vide bocce rotte di più sorti,
    ch’era il servir de le misere corti.

    Di versate minestre una gran massa ENJAMBENT
    vede, e domanda al suo dottor ch’importe.
    - L’elemosina è (dice) che si lassa
    alcun, che fatta sia dopo la morte. -
    Di vari fiori ad un gran monte passa,
    ch’ebbe già buono odore, or putia forte.
    Questo era il dono (se però dir lece)
    che Costantino al buon Silvestro fece. PERIFRASI

    Vide gran copia di panie con visco,
    ch’erano, o donne, le bellezze vostre.
    Lungo sarà, se tutte in verso ordisco
    le cose che gli fur quivi dimostre;
    che dopo mille e mille io non finisco, IPERBOLE
    e vi son tutte l’occurrenze nostre:
    sol la pazzia non v’è poca né assai;
    che sta qua giù, né se ne parte mai.

    82 Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,
    ch’egli già avea perduti, si converse;
    che se non era interprete con lui,
    non discernea le forme lor diverse.
    Poi giunse a quel che par sì averlo a nui,
    che mai per esso a Dio voti non ferse;
    io dico il senno: e n’era quivi un monte,
    solo assai più che l’altre cose conte.

    Era come un liquor suttile e molle, SIMILTUDINE
    atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
    e si vedea raccolto in varie ampolle,
    qual più, qual men capace, atte a quell’uso.
    Quella è maggior di tutte, in che del folle ENJAMEBENT
    signor d’Anglante era il gran senno infuso; PERIFRASI (signor d'aglante per Orlando)
    e fu da l’altre conosciuta, quando
    avea scritto di fuor: Senno d’Orlando.

    E così tutte l’altre avean scritto anco
    il nome di color di chi fu il senno.
    Del suo gran parte vide il duca franco;
    ma molto più maravigliar lo fenno ENJAMBENET
    molti ch’egli credea che dramma manco ENJAMEBENT
    non dovessero averne, e quivi dénno ENJAMBEMENT
    chiara notizia che ne tenean poco;
    che molta quantità n’era in quel loco.

    Altri in amar lo perde, altri in onori, ANAFORA CON altri ED ENUMERAZIONE
    altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
    altri ne le speranze de’ signori,
    altri dietro alle magiche sciocchezze;
    altri in gemme, altri in opre di pittori,
    ed altri in altro che più d’altro aprezze.
    Di sofisti e d’astrologhi raccolto,
    e di poeti ancor ve n’era molto.

    Astolfo tolse il suo; che gliel concesse
    lo scrittor de l’oscura Apocalisse. PERIFRASI per san giovanni
    L’ampolla in ch’era al naso sol si messe,
    e par che quello al luogo suo ne gisse:
    e che Turpin da indi in qua confesse
    ch’Astolfo lungo tempo saggio visse;
    ma ch’uno error che fece poi, fu quello ENJAMBEMENT
    ch’un’altra volta gli levò il cervello.

    La più capace e piena ampolla, ov’era ENJAMBEMENT
    il senno che solea far savio il conte,
    Astolfo tolle; e non è sì leggiera,
    come stimò, con l’altre essendo a monte.
    Prima che ’l paladin da quella sfera
    piena di luce alle più basse smonte,
    menato fu da l’apostolo santo
    in un palagio ov’era un fiume a canto.

     
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  2. Brunorisass
     
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