Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

Il piacere - Gabriele d’Annunzio

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    Il piacere

    Gabriele d’Annunzio


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    AUTORE

    Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia borghese, che vive grazie alla ricca eredità dello zio Antonio D'annunzio. Compie gli studi liceali nel collegio Cicognini di Prato, distinguendosi sia per la sua condotta indisciplinata che per il suo accanimento nello studio unito ad una forte smania di primeggiare. Già negli anni di collegio, con la sua prima raccolta poetica Primo vere, pubblicata a spese del padre, ottiene un precoce successo, in seguito al quale inizia a collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, iscrittosi alla facoltà di lettere, si trasferisce a Roma, dove, senza portare a termine gli studi universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori ed avventure. In breve tempo, collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico, e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana. Dopo il successo di Canto novo e di Terra vergine (1882), nel 1883 ha grande risonanza la fuga ed il matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, unione da cui nasceranno tre figli, ma che a causa dei suoi continui tradimenti, durerà solo fino al 1890. Compone i versi dell’Intermezzo di rime ('83), la cui «inverecondia» scatena un'accesa polemica; mentre nel 1886 esce la raccolta Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, poi divisa in due parti L'Isottèo e La Chimera (1890). Ricco di risvolti autobiografici è il suo primo romanzo il piacere(1889), che si colloca al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Nel 1891 assediato dai creditori si allontana da Roma, e si trasferisce insieme all'amico pittore Francesco Paolo Michetti a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali trascorre due anni di «splendida miseria». La principessa Maria Gravina Cruyllas abbandona il marito e va a vivere con il poeta, da cui ha una figlia. Alla fine del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa delle difficoltà economiche, anche Napoli. Ritorna, con la Gravina e la figlioletta, in Abruzzo, ospite ancora del Michetti. Nel 1894 pubblica, dopo le raccolte poetiche Le elegie romane ('92) e Il poema paradisiaco ('93) e dopo i romanzi Giovanni Episcopo ('91) e L’innocente ('92), il suo nuovo romanzo Il trionfo della morte. I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche fuori d'Italia. Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo, che dominerà tutta la sua produzione successiva. Inizia una relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta successivamente nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900); e avvia una fitta produzione teatrale: Sogno d’un mattino di primavera ('97), Sogno d’un tramonto d'autunno, La città morta ('98), La Gioconda ('99), Francesca da Rimini (1901), La figlia di Jorio (1903). Nel '97 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux, abbandona la Destra e si unisce all'estrema Sinistra (in seguito non verrà più rieletto). Nel '98 mette fine al suo legame con la Gravina, da cui ha avuto un altro figlio. Si stabilisce a Settignano, nei pressi di Firenze, nella villa detta La Capponcina, dove vive lussuosamente prima assieme alla Duse, e poi con il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì. Intanto escono Le novelle della Pescara (1902) e i primi tre libri delle Laudi (1903). Il 1906 è l'anno dell'amore per la contessa Giuseppina Mancini. Nel 1910 pubblica il romanzo Forse che sì forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia. Vive allora tra Parigi e una villa nelle Lande, ad Arcachon, partecipando alla vita mondana della belle èpoque internazionale. Compone opere in francese; al «Corriere della Sera» fa pervenire le prose Le faville del maglio; scrive la tragedia lirica La Parisina, musicata da Mascagni, ed anche sceneggiature cinematografiche, come quella per il film Cabiria (1914). Nel 1912 , a celebrazione della guerra di Libia, esce il quarto libro delle Laudi. Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici, e traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente aereo viene ferito ad un occhio. A Venezia, costretto ad una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921. Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene eroe nazionale partecipando a celebri imprese, quali la beffa di Buccari e il volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione dell'Italia all'Istria e alla Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare repubblica, la «Reggenza italiana del Carnaro», che il governo Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento del fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco, trasformato poi nel museo-mausoleo del «Vittoriale degli Italiani». Qui, pressochè in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta trascorre una malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il I° marzo 1938.



    TRAMA

    Il romanzo si apre al centro dell’azione narrata: Andrea Sperelli, il protagonista, è nelle sue stanze, in attesa dell‘ex amante, la duchessa di Scerni, Elena Muti, che ha accettato il suo appuntamento dopo una lunga separazione.

    Mentre pregusta la gioia che la visita dell’amante gli procurerà, Andrea ripensa al “giorno del gran commiato”. Elena lo ha lasciato senza una spiegazione, durante una gita romantica “fuori della Porta Pia”, adducendo come unico motivo il fatto che deve partire. I gesti e le parole di entrambi dimostrano che il loro amore non è finito; essi si amano e si desiderano come nei momenti più alti del loro rapporto, eppure quella inebriante relazione deve concludersi.

    L’attesa dell’incontro si prolunga, tra paure improvvise e ansie palpitanti; ma dentro di sé Andrea è sicuro che la messinscena predisposta avrà ragione di eventuali ritrosie di Elena, che nel frattempo si è sposata con un Lord inglese.

    L’arrivo di Elena pone fine alla lunga attesa: in quei luoghi, dov’è stata felice, la donna subisce il fascino del ricordo e delle cose predisposte dall’amante; ma cerca disperatamente di resistervi. Andrea, invece, abbagliato dal suo splendore presente quanto dal ricordo di una sfrenata passione, è più che mai intenzionato a farla nuovamente sua. La commozione e l’ardore che prova gli suggeriscono parole infiammate, seppur menzognere, tali da accendere l’animo della donna, che tuttavia continua a resistergli. Tanto che, quando l’amante fa diventare più pressanti le sue avances, non esita a porre la “domanda crudele” per fermarlo: “Soffriresti tu di spartire con altri il mio corpo?”. L’incontro tra i due si chiude su questa battuta.

    A questo punto inizia il viaggio a ritroso che ha per apertura la descrizione del protagonista: il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta. Rimasto signore di una discreta fortuna in giovane età per la morte del padre, è il nobiluomo alla ricerca del grande amore, educato “al culto della Bellezza”.

    L’incontro con Elena Muti, giovane vedova, fa presagire il raggiungimento della meta. Il loro è un amore annunciato: entrambi giovani, belli, liberi da vincoli, amanti dei piaceri della vita e squisiti cultori del bello in tutte le sue forme, non possono che arrendersi, e volentieri, alle circostanze. La loro conoscenza avviene durante un ricevimento organizzato dalla cugina di Andrea, Francesca d’Ateleta.

    L’indisposizione che colpisce Elena impedisce loro di vedersi per qualche giorno, ma l’impazienza di Andrea non conosce ostacoli, così si reca direttamente a casa della donna e viene ricevuto, a differenza dei precedenti visitatori, nella camera dell’inferma. Sarà lì che si consumerà per la prima volta il loro amore.

    Tuttavia, proprio quando l’amore tra i due è al culmine e la stagione primaverile, ingentilendo le cose, sembra preludere a una nuova fase del loro rapporto giunge l’addio di Elena, improvviso e immotivato. Il colpo inatteso tramortisce Andrea, che per reazione si lancia in una serie di avventure, agevolate dalla fama ormai acquisita di conquistatore. Naturalmente le “prede” sono tutte titolate e bellissime. Gettatosi a capofitto nel “Piacere”, non riesce a stordirsi a sufficienza, non tanto da dimenticare l’amata, delle cui seconde nozze gli giunge intanto notizia. Nel corteggiare Donna Ippolita Albonico trova ostacolo nella gelosia dell’amante della donna, tanto che i due rivali giungono a sfidarsi a duello. Dall’alto della sua migliore preparazione tecnica Andrea domina facilmente l’avversario, toccandolo a più riprese con lucida freddezza; ma un colpo fortuito e rabbioso del rivale lo tramortisce.

    Andrea trascorre la convalescenza nella campagna di Rovigliano, a villa Schifanoja, sotto le vigili cure di sua cugina, la marchesa Francesca d’Ateleta. Immerso nella contemplazione e nello studio, fra gli altri, dei libri sacri indiani, si purifica, rinnegando la vita precedente, il piacere, il desiderio e gettandosi nuovamente nella fatica-ebbrezza della composizione.

    Intanto giunge a Schifanoja un’amica di Francesca, Donna Maria Ferres, la moglie del ministro plenipotenziario di Guatemala. La sua cosa più bella sono i capelli, il suo amore più dolce è per la figlia, il suo aspetto è monacale, la sua ritrosia è assoluta: è insomma l’esatto contrario di tutte quelle donne che sono passate nel letto e nel cuore di Andrea e proprio per questo egli fortemente se ne invaghisce, pur continuando inconsciamente a pensare ad Elena.


    Nel dichiararsi Andrea sceglie attentamente le sue parole: contenute nella forma e negli atteggiamenti; pronte per essere interpretate come irresistibile slancio passionale, ma contemporaneamente del tutto rispettose e testimoni della disposizione al sacrificio, alla rinuncia. L’ingenua e casta Maria è in grande affanno, travolta dagli eventi che la vedono in bilico tra una prudenza radicata e il turbine di sensazioni nuove e sconvolgenti da cui non sa difendersi.

    L’alternata presenza della figlia può ancora toglierla d’impaccio, lasciando Andrea senza una risposta, senza un’indicazione certa dei suoi sentimenti. Tanto che d’Annunzio, pur avendo fatto ampiamente intuire il turbamento della donna e presagire il suo cedimento, ricorre a questo punto ad un espediente narrativo, inserendo nel testo pagine di diario della Ferres, che ripercorrono le stesse vicende, più alcune seguenti, fino alla partenza di tutti gli ospiti da villa Schifanoja.

    Così si apprende che Maria si illude che il rapporto con Andrea, da cui è fortemente tentata, possa avere un suo percorso silenzioso, del tutto platonico e neppure manifestato, ma Andrea incalza l’amata, non le dà tregua, rinnova le sue profferte d’amore trasformandole in moto passionale incontenibile: Maria, infine, è costretta a confessare il proprio amore.

    Quando ancora non si è ripresa dallo choc di avere dovuto rivelare il suo terribile segreto, un altro dolore giunge a tormentarla: si rende conto infatti che Francesca, l'adorabile amica, soffre in silenzio per suo conto della situazione, essendo segretamente innamorata del cugino.

    La partenza da Schifanoja viene vista da Maria come una fuga salutare ed opportuna ma al tempo stesso come frutto di sofferenza per l’abbandono di Andrea, profondamente amato.

    Andrea, tornato nel pieno delle sue forze, si reca nuovamente a Roma. Ancora un po’ toccato dal ricordo di Maria Ferres, mette da parte ogni scrupolo e si getta nella vita di un tempo con un entusiasmo sforzato. Il ritorno in grande stile al Piacere non soddisfa più di tanto Andrea: donne, bella vita, Roma, Londra e Parigi, gli lasciano ora un senso di vuoto e di nausea; ciononostante non riesce a distaccarsene. E’ a questo punto che l’azione prende il giusto andamento cronologico; l’incontro con Elena Muti riporta infatti il livello narrativo al momento originario, all’indomani dell’incontro col quale si era aperto il romanzo.

    Soltanto adesso Andrea viene a sapere il reale motivo per cui Elena lo ha abbandonato: la donna, sull’orlo di una gravissima crisi finanziaria, ha potuto trarsi d’impaccio solo grazie a un matrimonio d’interesse con Lord Heathfield, un ricchissimo nobiluomo inglese. Ora nel suo animo si consolida l’idea di un’Elena crudele e ingannatrice: quasi per contrasto, allora, ritorna l’immagine dolce di Maria Ferres e le due donne, come già è avvenuto, tendono a sovrapporsi.

    Tuttavia la passione per la vecchia amante è troppo forte e lo Sperelli si ripromette di conquistarla nuovamente, senza la pretesa di ritrovare un amore che, nella sua più completa accezione, è ormai perduto.

    Una sera viene a sapere che Maria Ferres è appena tornata a Roma. Il giorno successivo, l’incontro con la donna conferma che lei è ancora innamorata, anche se perdura una ferrea volontà di opporsi al suo desiderio. Ma Andrea ha ormai ben compreso quel carattere, per cui non corre il rischio di rovinare tutto con mosse premature. Programma quindi innocenti incontri, come la presenza ad un concerto cui assiste casualmente anche Elena. Egli sembra scorgere in entrambe della gelosia: l’insistenza di Maria nel sottolineare la bellezza della Muti, così come l’invito di quella nella propria carrozza, dopo che Maria se né andata ne sono la conferma. E infatti, dopo tanto ritrosia e freddezza, Elena lo bacia appassionatamente. Seppur attratto dall’improvviso bacio di Elena, la preda più ambita continua ad essere la Ferres, nei confronti della quale Andrea prosegue l’opera iniziata senza alcuno scrupolo, senza preoccuparsi delle continue menzogne e della perdizione cui conduce se stesso e la donna.

    Intanto Elena, un po’ misteriosamente, lo invita per la notte davanti al suo palazzo: tuttavia la trepidante attesa non è ricompensata dall’arrivo della donna che ritorna a casa senza poi recarsi dall’amante. Le rose bianche predisposte per l’amore, in perfetta sintonia con la nevicata notturna, andranno allora a rendere il doveroso omaggio altrove, gettate a fascio davanti alla porta della Ferres. La donna, quasi in attesa di un simile gesto in una notte come quella, sta spiando dai vetri la strada sottostante: vedere l’amato compiere un tale gesto la convince dell’inevitabilità di quel rapporto. Per questo i loro incontri si intensificano, permettendo ad Andrea di condurla sugli itinerari preferiti dal suo cuore, quegli stessi su cui aveva condotto per mano Elena, appena due anni prima, nei giorni del loro amore.

    Non bastano al conte le crescenti dimostrazioni d’affetto di Maria per dimenticare l’amante infedele. L’inutile attesa nella carrozza ha ancora di più esacerbato il suo desiderio. Così egli si trova a dovere sopportare le manie di raffinato collezionista del marchese suo consorte, pur di avere occasioni per starle vicino, per chiedere spiegazioni e riallacciare i contatti. La rabbia e il disgusto sono tali che Andrea giunge a pianificare di uccidere lui, possedere lei e poi uccidere se stesso.

    Nel frattempo Maria ha finalmente ceduto, ma la mente di Andrea, ora che possiede il corpo di Maria, ritorna inevitabilmente e in modo ossessivo a quello di Elena. La Ferres diventa quindi soltanto un inconsapevole strumento per placare la sua smania, tanto che subisce la violenza dell’amante, reso quasi pazzo dal ricordo della Muti.

    Continuando a frequentare il bel mondo, Andrea viene a conoscenza del grave scandalo che sta per travolgere don Manuel Ferres, sorpreso mentre barava al gioco. Chi gli racconta il fatto è proprio il giovane gentiluomo che sta per prendere il suo posto come amante della Muti; il tarlo di quel mancato possesso, in presenza di chi invece ne potrà godere, lo rode ancora più atrocemente. L’amore di Maria gli è ormai quasi indifferente, se non nella misura in cui approfitta del suo corpo per illudersi di possedere l’altra.

    Intanto Maria deve affrontare la bufera dello scandalo legato al marito; ai molti debiti risponde con la messa all’asta dei suoi beni, mentre il cuore si concentra sempre più sull’amante, che è l’unico a non averla abbandonata a se stessa, seppur per motivi che lei neppure lontanamente sospetta. Cerca quindi di ricevere da quel rapporto tutte le dolcezze possibili prima di una separazione che sente come definitiva, nonostante le promesse di Andrea. Non mancano tra i due momenti di struggente tenerezza, anche se l’amante, preso dalla sua folle necessità di sovrapporre l’immagine delle due donne, la costringe spesso ad amplessi furibondi. Andrea, egoisticamente e brutalmente, giunge al punto di morsicarla con violenza durante l’amore per trattenere in gola il nome di Elena.

    Andrea è talmente ossessionato che, ricevuta in confidenza la conferma che Elena ha ormai un nuovo amante, la segue mentre si reca all’appuntamento d’amore. Poi, con la morte nel cuore e l’immagine di lei nella mente, attende Maria per scaricare su di lei il suo impossibile sogno. Ma stavolta Sperelli è troppo fuori di sé, tanto che il nome così lungamente trattenuto gli sfugge di bocca. Maria, in un attimo, comprende tutto; piena di orrore e di pena se ne va, mentre Andrea disperandosi cerca inutilmente di trattenerla. E’ l’epilogo. Lo Sperelli è consapevole del completo fallimento della sua vita, nonché della crisi irreversibile di quel mondo fatato in cui ha condotto l’esistenza.



    PERSONAGGI

    ANDREA SPERELLI

    Nel protagonista di questo romanzo confluiscono due opposte volontà: l’intenzione dell’autore di ritrarsi nel suo personaggio e quella del narratore di criticarlo, condannarlo e superarlo come tipo umano.

    La volontà autobiografica risulta evidente poiché nel personaggio di Sperelli d’Annunzio incarna sia il frutto delle sue esperienze reali sia i suoi sogni e le sue aspirazioni: Sperelli è ciò che d’Annunzio è e ciò che vorrebbe essere. Così è giovane, elegante, raffinato e piacente come lui, ma è anche come lui non è, nobile, ricco e alto di statura; come lui è un intellettuale, ma Sperelli oltre che poeta è anche incisore; è come lui un seduttore ora timido come “Cherubino” ora cinico come “Don Giovanni”, ma diversamente da lui è libero da vincoli coniugali e da obblighi familiari; come lui ha facile accesso nei ritrovi mondani e nei salotti della nobiltà, ma diversamente da lui vi entra come protagonista e non come cronista.

    Tuttavia nel romanzo il narratore non manca mai di sottolineare la debolezza morale di Sperelli oltre che il suo cinismo e la sua perversione. È evidente come questo personaggio sia solito scindersi in ciò che è e in ciò che deve apparire, in ciò che è e in ciò che vorrebbe essere, in ciò che sente e in ciò che esprime all’esterno. La sua intera vita è fondata sulla doppiezza, sulla falsità, sulla menzogna e sull’inganno.



    ELENA MUTI e MARIA FERRES

    Costituiscono le due figure in cui è scisso il protagonista femminile, rappresentano infatti l’una l’opposto dell’altra. Emblematicamente si contrappongono fin dal nome: l’una richiama la donna che secondo il mito trascinò in rovina un intero popolo, l’altra la donna pura della tradizione cattolica. La prima incarna l’ideale dell’amore erotico e sensuale la seconda quello dell’amore spirituale: Elena, nella sua vicenda d’amore si avvale dei versi di Goethe (poeta sensuale), Maria invece ha il suo poeta in Shelley (poeta più malinconico). Elena non ha figli; Maria è madre. Elena ha una cultura superficiale; Maria è colta e ha un’intelligenza sensibile alle cose dell’arte e della musica. L’unica cosa che le accomuna è la voce, che costituisce nel testo il primo indizio di una futura sovrapposizione.

    Nel corso della vicenda, Elena consapevolmente e Maria passivamente, le due donne subiscono prima un processo di radicalizzazione dei ruoli (Elena sempre più malvagia, Maria sempre più dolce e tenera), poi un processo d’identificazione che le porta dapprima alla sovrapposizione sentimentale ed erotica dell’una all’altra e, infine, addirittura allo scambio dell’una con l’altra: è il mostruoso connubio finale di cui Andrea è artefice e vittima e che pone fine drammaticamente a tutto il romanzo.



    TEMPO E SPAZIO

    La vicenda si svolge tra il 1884 e il 1887 a Roma e per un breve lasso di tempo nella campagna di Rovigliano, a villa Schifanoja.



    NARRATORE E PUNTO DI VISTA

    Nel Piacere, d’Annunzio delega il compito di raccontare gran parte della vicenda a un narratore in terza persona singolare, inoltre, nel capitolo quarto del libro secondo, il narratore a sua volta lascia che parte della vicenda venga appresa mediante il diario di un personaggio.

    Per distinguersi dal narratore, d’Annunzio fa si che il narratore lo citi ben due volte: una volta come un “poeta contemporaneo” che Sperelli predilige, e una seconda volta come autore di un “emistichio sentenziale” caro allo stesso personaggio.

    Questo narratore-autore è un narratore onnisciente: interviene a integrare il punto di vista dei personaggi, a spiegare e a puntualizzare; si lascia andare ad anticipazioni e a premonizioni; non esita a farsi avanti in prima persona per attestare la veridicità di qualcosa. Tuttavia l’onniscienza del narratore non gli impedisce a volte di utilizzare il punto di vista interno di svariati personaggi.

    Il narratore è solito intrecciare i piani temporali, tagliando e saldando a suo piacere momenti diversi, anche attraverso ellissi che provvede poi a integrare mediante il ricorso a più o meno diffusi flashback.

    L’oggettività di partenza viene quasi sempre sopravanzata e cancellata dagli interventi personali e soggettivi del narratore, che anche nel corso delle descrizioni si inserisce continuamente con le sue valutazioni personali introdotte da formule come “quasi direi”.



    STILE

    Il mondo raffinato ed elegante di Andrea Sperelli trova a livello espressivo una precisa corrispondenza nella lingua con cui viene descritto: una lingua preziosa e ricercata che si adatta tanto alle descrizioni d’ambiente cui il narratore si abbandona quanto al suo gusto per l’analisi degli stati d’animo dei personaggi. Infatti, le forme arcaiche e letterarie (conscienza), il continuo uso delle tronche di tradizione illustre (l’epansion) e, nell’edizione originale, la forma antiquata di articoli e preposizioni articolate (li) contribuiscono ad impreziosire le pagine del libro e a creare l’atmosfera alta e nobile che caratterizza il romanzo.

    La prosa utilizzata è ricca ed elegante ma allo stesso tempo allusiva, suggestiva e musicale: la lingua del romanzo perde spesso la sua funzione comunicativa per acquistarne una espressiva.

    Il romanzo è appiattito su un solo registro linguistico: quello ricercato e un po’ troppo eloquente classico del d’Annunzio di quegli anni.

    Lo scrittore ricorre spesso allo strumento della comparazione e della metafora che molte volte rende complicato o sfuocato ciò che dovrebbe invece chiarire e smorza i già scarsi nuclei di tensione narrativa.

    Per quanto riguarda la sintassi, è da sottolineare l’uso quasi esclusivo della struttura paratattica, la più adatta ad accentuare la tendenza alla comparazione, all’anafora e all’elencazione.

    L’utilizzo del flashback permette di evitare le situazioni e i passaggi più scontati e prevedibili, vitalizzando una narrazione generalmente statica e coinvolgendo il lettore in un gioco di collaborazione e di ricostruzione degli eventi.



    INTERPRETARE

    Nel 1889, quando il naturalismo e il positivismo sembrano oramai conquistare pienamente la cultura italiana e Verga pubblica in volume il Mastro don Gesualdo, D'Annunzio dà alle stampe il romanzo attraverso cui entra nella nostra letteratura il personaggio dell'eroe decadente. Così come quasi un secolo prima l'eroe dalle passioni sconvolgenti e assolute Jacopo Ortis aveva diffuso la cultura e la sensibilità romantica in Italia, ora il protagonista del Piacere, Andrea Sperelli, si fa propulsore e mediatore della tendenza più recente e raffinata della cultura decadente europea, l'estetismo. Come sottolineò Croce, con D'Annunzio «risuonò nella letteratura italiana una nota, fino ad allora estranea, sensualistica, ferina, decadente».

    Servendosi dei più svariati materiali, soprattutto francesi ( Baudelaire, Flaubert, Huysmans, Verlaine, Moréas, i preraffaelliti, Wagner e molti altri ancora ), quasi volesse costruire con la sua opera - dice Mario Praz- «una monumentale enciclopedia del decadentismo», D'Annunzio si propone di uscire dai limiti del naturalismo, non più imitando, ma continuando la natura. Quindi, inaugurando con Il Piacere un tipo di prosa introspettiva - psicologica che conoscerà in seguito notevoli favori, tenta di scandagliare le complicazioni e le deviazioni della vita mondana e amorosa del protagonista «ultimo discendente d'una razza intellettuale», educato dal padre a costruire la propria esistenza come «un'opera d'arte».

    Il culto dell'arte, la risoluzione della vita stessa nell'arte, la ricerca del bello e di tutto ciò che è prezioso nel più assoluto distacco da ogni convenzione morale, il disprezzo per la volgarità del mondo borghese, accomunano l'Andrea Sperelli di D'Annunzio al Dorian Gray di Oscar Wilde e al Des Esseintes di Huymans, e ne fanno la versione Italiana dell'esteta decadente.

    Non solo, ma 1' «anima camaleontica, mutabile, fluida, virtuale» di Andrea Sperelli rivela quella mancanza di autenticità , di forza morale e di volontà che si ritroverà in tanti personaggi decadenti, crepuscolari, inetti e indifferenti che affollano la letteratura del secolo scorso. Duplice e ambigua appare dunque questa figura in cui convivono sia il grandioso che il meschino; e in modo altrettanto duplice, D'Annunzio si immedesima e si distacca da essa.

    L'estetismo dannunziano inoltre, abbagliando ed incantando il lettore, trionfa nell'elencazione e nella descrizione delle opere d'arte, degli oggetti raffinati e preziosi di cui ama circondarsi la frivola e mondana Roma degli anni Ottanta, nuova capitale, centro del nuovo giornalismo e della nuova editoria. Non la Roma classica «dei Cesari, … degli Archi, delle Terme, dei Fori» - che al tempo de Il Piacere aveva il suo vate in Carducci- ma la Roma tardo-rinascimentale e barocca «delle Ville, delle Fontane, delle Chiese» era il grande amore di Andrea Sperelli. Ma da tutta quella magnificenza spira un senso di decadenza e di disfacimento per cui Roma sembra adagiarsi «tutta quanta d'oro come una città dell'Estremo Oriente, sotto un cielo quasi latteo, diafano» in «una primavera de' morti, grave e soave». Roma, capitale dell'estetismo, sembra una nuova Bisanzio, capitale del declino imperiale. E Il Piacere diviene il romanzo della Roma bizantina.

     
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