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I 60 anni di Claudio Baglioni

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    I 60 anni di Claudio Baglioni
    Il cantautore brinda preparando un grande concerto, il 3 giugno, a Lampedusa. Noi, gli facciamo la festa con 60 immagini: dalle canzoni illustrate, alle foto in bianco e nero di quando lo chiamavano «agonia», alle (sue) confessioni su sesso e sogni

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    Brinderà ai suoi sessanta in una festa «piccola, con venti o trenta persone».
    Perché invecchiando Claudio Baglioni, è rimasto l'uomo introverso, solitario, romantico di sempre. Che arriva sul palco in camicia bianca, e anche quando non si vede in giro, non stacca mai, sta lavorando: adesso a un nuovo album d'inediti, per l'inizio del 2012.

    A guardare meno lontano, il cantautore romano sarà a Lampedusa, il 3 giugno, nell'estate più drammatica dell'isola siciliana, invasa da scirocco e migranti. Ha fondato O’ Scià’, un'organizzazione che si occupa d’immigrazione. E chiamato sulla spiaggia di Cala Pisana gli amici più cari per un concerto speciale.

    «Una serenata», la chiama, «un canto d’amore e d’augurio per queste isole e per la gente che vive qui, sul bordo estremo d’Italia».

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    E una risposta, anche. A chi quando era un ragazzo figlio unico - malinconico e schivo tanto da guadagnarsi il soprannome di «agonia» - gli rimproveravano di essere poco impegnato, in tempi in cui le canzoni d'autore lo erano.


    Noi, gli facciamo gli auguri per i suoi 60 anni, con 10 canzoni illustrate, 10 video, 10 immagini in bianco e nero, 10 album, 10 cose che ha raccontato a Vanity Fair, negli anni.

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    QUANDO DA PICCOLO
    MI CHIEDEVANO
    CHE COSA VUOI FARE DA GRANDE



    «Non l'ho mai detto,
    ma a 16 anni
    volevo farmi frate.
    Ho un ricordo preciso del periodo:
    i pomeriggi passati
    a scavarmi dentro,
    la solitudine, la timidezza,
    lo specchio, i brufoli.
    Insegnavo catechismo
    ai ragazzi più piccoli.
    Mi sentivo nella parte»

    (Vanity Fair, 2005)

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    LA NAUSEA


    «Ho cantato
    Piccolo grande amore
    10 mila volte,
    ci sono invecchiato dentro.
    La detesto»

    (Vanity Fair, 2005)

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    LA COMPAGNA DI VIAGGIO


    «Ho avuto molto:
    la musica,
    un figlio,
    il successo,
    i soldi.
    Eppure,
    la depressione
    è sempre stata
    la mia compagna di viaggio»

    (Vanity Fair, 2005)

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    CON DE GREGORI

    «Pomeriggio di primavera,
    primi anni '80.
    Io e Francesco
    ci eravamo bevuti un paio di bottiglie
    al ristorante.
    Prendiamo le nostre chitarre
    e ce ne andiamo in Piazza al Pantheon
    Per terra, sulla custoria,
    mettiamo un po' di monetine.
    Facciamo un paio di pezzi
    tipo Rimmel e Porta Portese.
    Non si fermò nessuno.
    Rimediammo giusto
    cento lire»

    (Vanity Fair, 2005)



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    FEDELE
    COME UN RAGAZZO DI PIANURA



    «Sono un ragazzo di pianura.
    Ho avuto solo due sole
    donne importanti,
    la mia prima moglie
    e da 20 anni
    Rossella.
    Sono lento e monogamico».
    (Vanity Fair, 2005)

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    LA DROGA

    «Detesto la droga.
    Ho fumato
    un paio di canne
    a 18 anni,
    poi basta»

    (Vanity Fair, 2005)

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    LA FRITTATA

    «Con le donne,
    da studente ero una frana,
    collezionavo un insuccesso micidiale
    dietro l'altro.
    La prima volta che chiesi
    a una ragazza di metterci insieme,
    lei mi rispose:
    "Sarebbe una frittata".
    Per anni quest'immagine
    mi ha perseguitato»

    (Vanity Fair, 2009)

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    IL PRIMO AMORE

    «A 17 anni,
    Patrizia, una ragazzina
    che vedevo a scuola.
    Ma è stata una cosa platonica.
    Non l'ho mai più rivista».

    (Vanity Fair, 2009)

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    IL PAGLIAIO

    «Il sesso
    è il gioco più bello
    dell'universo,
    a qualsiasi età.
    Un aspetto della vita
    legato al nostro essere bambini:
    ti permette di fare cose
    in cui non sei
    neanche te stesso.
    Per me, il massimo della perversione
    rimane la stalla, il pagliaio».

    (Vanity Fair, 2009)

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    MIO FIGLIO GIOVANNI

    «Ricordo una volta
    che decisi
    di portarlo al luna park.
    Era piccolo, ce l'avevo sulle spalle
    e lui a un certo punto,
    poverino, per non cadere
    si è dovuto attaccare alle mie orecchie,
    perché io stringevo le mani
    a tutta la gente
    che mi salutava»

    (Vanity Fair, 2009)

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