Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

La Danza nel Medioevo

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Millennium Member

    Group
    Administrator
    Posts
    112,793
    Location
    Milano

    Status
    Offline

    La Danza nel Medioevo


    iconografia-danzabig

    Nel linguaggio comune adoperiamo indifferentemente le parole ballo e danza. Infatti, siamo soliti esprimerci dicendo: “andiamo a ballare”; oppure “ieri ho danzato una serie di balli alla moda”.

    La formazione di codesta terminologia risale al Medioevo.

    Velocemente ricordiamo che per i Greci la danza era orchèsis, donde orchestra era la porzione semicircolare del teatro dinanzi alla scena in cui agiva il coro e, di qui, l’altro termine coreutico per indicare, ancora sotto diversa forma, la danza in quanto proprio il coro eseguiva gli stasimi della tragedia cantando e danzando.

    Nel mondo romano, all’arcaica Béllicrepa istituita da Romolo come esercizio preparatorio alla guerra (Bellicrepus = Bellum-Crepitare cioè “grido feroce misto a rumore delle armi”), si affermò e si diffuse la Pantomima, denominata più propriamente Fabula Saltica perché derivata da un’altra arcaica danza: la Saltatio, di tipo rurale che, da saltus = luogo selvoso, indicava un rituale legato alla crescita delle piante.

    Il Medioevo assiste al declino della Pantomima, sotto l’incalzare dei popoli barbarici che premono ai confini dell’Impero e che riportano in auge danze ancestrali, dal forte sapore pagano contro cui la Chiesa dell’Alto Medioevo invano si opporrà.

    Ricompaiono così le “Danze della fertilità”, con il loro corredo di motivi erotici e di significati magici, ed al loro seguito, nel volgere dei secoli, via via si diffondono le “Danze mascherate”, le “Danze demoniache”, le “Danze del fuoco”, le “Danze delle spade”.

    Eventi apocalittici quale il flagello della peste nera (anno 1348), sulla scia di precedenti e sfrenate “baladoires” (letteralmente “baldorie”), daranno l’occasione allo svilupparsi di balli turbolenti, con ritmi ossessivi che conducono all’estasi collettiva (“Danza Macabra”; “Ballo di San Vito”, e i corali deliri delle “Tarantole” o “Taratolate”).

    Si torna a prediligere il nudo con danzatrici vergini e con la finzione del sesso, mentre tutte le feste vengono mano a mano a collocarsi ed a concentrarsi in determinati periodi dell’anno: calendimaggio; solstizio d’estate; San Giovanni; vendemmia; carnevale.

    Il passaggio dal mondo classico a quello medio viene contrassegnato da una mutazione lessicale: il classico saltare viene sostituito dal nuovo ballare che fa la sua prima apparizione in Sant’Agostino. Quindi la denominazione ballo per indicare l’evento orchestico, dal francese antico baler.


    Comunque la tradizione “saltatoria” non scompare del tutto, essa diviene appannaggio dei joculatores, i giullari, che la eseguono nelle piazze e sul sagrato delle chiese e, al tempo stesso, essa viene favorita e praticata dentro la chiesa, in onore di Dio (Lodate Iddio nel suo santuario…lodatelo con timpani e con la danza. Salmo 150)

    Numerose descrizioni di balli liturgici ci sono pervenute: a Sens, in Francia, la notte di Pasqua, l’arcivescovo onorava il suo appellativo di “presule” (etimologicamente prae silit = colui che inizia il ballo o che balla davanti) conducendo una danza rituale nel chiostro e poi nel coro, innanzi all’altare (choròs, il “coro orchestico” di greca memoria).

    Successivamente, sempre all’interno della cattedrale, al ballo si associava il gioco. I canonici, a passo di danza e cantando la sequenza Victimae paschali laudes, si lanciavano l’un l’altro una grossa palla, seguendo un percorso a forma di labirinto disegnato sul pavimento della navata centrale.

    Gli stessi Padri della Chiesa, Tertulliano, San Gregorio Nazianzeno, San Basilio, non condannavano il ballo. Gregorio Magno consigliava al vescovo inglese Meletius di permettere di ballare ai catecumeni del suo paese dentro o intorno alla chiesa, mentre San Basilio esaltava il ballo come occupazione prediletta degli angeli in cielo.

    La stagione “saltatoria”, a causa di inevitabili degenerazioni, contaminazioni tra sacro e profano (orge del popolo sulle tombe, le “feste dei folli”, le “feste dell’asino” ecc.), fu troncata da proibizioni stabilite dai concili di Laodicea, di Agde, di Toledo fino al rigore dell’anatema e della scomunica contro i canti diabolici sulle tombe dei morti e joca et saltationes ispirate dal demonio o inventate dai pagani.

    Dopo l’anno mille, a cavallo dei secoli XII e XIII, nel periodo storico legato ai Trovatori, alle Crociate, alla nascita dei Comuni, assistiamo al rifiorire, con nuova ricchezza di forme e di ritmi, dell’arte coreutica che assume ancora un altro nome: danza (dal germanico danezzan, antico francese dencier, spagnolo danzar, tedesco tanzen, antico slavo tanec) che, nei linguaggi romanici, viene a collocarsi accanto alla vecchia dizione ballo ed a distinguersi ed a contrapporsi ad altre voci germogliate in ambito europeo:

    carola (da corolla; francese carole)
    ronda (francese ronde; latino rotundus)
    brando (germanico brand; francese brande)
    ridda (alto tedesco ridan)
    tresca (germanico threskan)

    Sin qui abbiamo seguito l’evolversi di un processo semantico, abbiamo cioè visto come, sotto l’effetto di vari eventi, cambiava la nomenclatura di una medesima manifestazione artistica: la danza nella lunga stagione del Medioevo europeo.

    danza2

    Cerchiamo ora di scoprire cosa ci resta della danza medievale.

    Se diamo uno sguardo alla trattatistica sul tema ci accorgiamo che essa non può soccorrerci in quanto quella conservataci è molto tarda; siamo quasi alle soglie del Rinascimento. Intendiamo riferirci ai famosi trattati De arte saltandi et choreas ducendi (ca. 1420) di Domenico da Piacenza (o Domenichino da Ferrara), De praticha seu arte tripudii vulgare opusculum (conservato in sei redazioni diverse variamente datate tra il 1460 e il 1475) di Guglielmo Ebreo e Libro dell’arte del danzare (1465) di Antonio Cornazano, gli ultimi due discepoli del primo.



    Indirettamente ci viene incontro Johannes de Grocheo, teorico musicale francese della seconda metà del sec. XIII, con il suo singolarissimo trattato De musica nel quale, delle tre specie di musica (mundana, humana e instrumentalis) codificate da Boezio, rifiutò le prime due e circoscrisse il suo studio solo all’instrumentalis. Buon per noi in quanto, parlando della musica profana strumentale, ci riporta nomi di danze e, sia pure sommariamente, ce ne descrive le forme.

    Pertanto, la ricerca delle informazioni dobbiamo orientarla su altre fonti e non sempre pertinenti alla materia oggetto della nostra indagine. Tali fonti sono rappresentate dai preziosi codici miniati della letteratura cortese, e da quelli altrettanto importanti della musica profana.



    Utili segnalazioni le ricaviamo inoltre dagli apparati iconografici: affreschi, dipinti, miniature, che riproducono scene di ballo, al chiuso o en plein air, che, talvolta in maniera elementare, altre volte con dovizia di particolari, ci mostrano la composizione cavalieri-dame, il loro atteggiamento e le loro movenze, nonché la formazione strumentale che esegue le musiche del ballo.

    fonte:http://www.jongleurs.it/danza.html

     
    Top
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Millennium Member

    Group
    Administrator
    Posts
    112,793
    Location
    Milano

    Status
    Offline
    :drive1.gif:
     
    Top
    .
1 replies since 22/4/2016, 22:18   59 views
  Share  
.