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CLAUDIOBAGLIONI
«A 16 ANNI
GIURAI CHE
CE L’AVREI
FATTA»
Per scrivere Questo piccolo grande amore «impiegai 7-8 mesi. Prima arrivò il ritornello, preceduto da una
parte rock che non mi convinceva...». I segreti di un artista-simbolo della musica italiana, a lungo ritenuto disimpegnato:
«Sono uno di pianura, non ho mai cercato espressioni complicate per arrivare al pubblico»
claudio Baglioni presidiail palco.Tazza con tisana allozenzeroinmano,
un toccasana per la voce; lo misura passo passo, scruta le mosse dei
ballerini, ripassa i suoi movimenti. Il tour con cui il cantautore celebra
i 50 anni di carriera «dal primo provino discografico» è una macchina
che ruota attorno al suo personaggio e alle sue canzoni e Claudio, perfettamente
coerente con la leggenda che lo vuole precisino, verifica
ogni dettaglio. Qui un po’ di più, la un po’ di meno. «Una sensazione di
ubriacatura, un soffio inebriante, che passa in un istante anche se dura
tre ore e mezzo. Alla fine di questo racconto antologico e cronologico
ricevo un senso di insieme confortante»racconta accomodandosi su un divano nella
penombra del suo camerino.
Sino a fine novembre Baglioni porterà lo spettacolo nei palazzetti, palco al centro e pubblico
disposto a 360 gradi, poi si dedicherà al Festival di Sanremo di cui è stato confermato
«dittatore» artistico e, a partire dalla seconda metà di marzo, tornerà a spegnere le
candeline in tour. «Sento il tempo che è passato, ma non trovo le distanze ascoltando le
canzoni. Non mi sembra che ci sia così tanto fra l’una e l’altra. Ci rinvengo una costante
musicale nel respiro melodico, un pop comunicativo e mai scontato, e una costante tematica
nel racconto dell’avventura e disavventura del vivere». Battuta autoironica. «Da
un lato è bello, significa che c’è una costante nel mio repertorio. Dall’altro viene un senso
di depressione: non è vero che nel corso degli anni si migliora». Si diverte a prendere a
picconate il monumento Baglioni. Però la parola monumento gli fa paura. «Sulle statue
i piccioni ci fanno cose poco simpatiche. Tutti quelli che fanno questomestiere vogliono
diventare un monumento, ma quando senti la gabbia sei il primo a cercare di evadere dal
marmo. E lo fai cercando di non ripeterti. È svicolando dal percorso con un disco che in
quel momento senti di dover fare o con un concerto diverso, che eviti la fissità». Se qualcuno
lo ferma per strada con la classica frase «Sono cresciuto con le tue canzoni», la
risposta del cantautore è automatica: «Poteva andartimeglio...ma anchemolto peggio».
La sua carriera non poteva andaremeglio vistii 60milioni di dischi venduti,ma all’inizio
il molto peggio lo ha sfiorato. Il provino zero. Claudio aveva 16 anni e mezzo, viveva a
Roma, e per l’occasione mamma, «che mi ha sempre sostenuto», lo accompagnò a Milano.
«Alloggiavamo in una pensioncina. Mi presentai a una piccola etichetta, non ricordo
quale, e non andò bene.Venni subito ripreso perché,mi dissero, stavo sempre “insaccato
con le spalle e portavo gli occhialoni neri... E poi le cose che scrivi non funzionano”, mi
dissero». Lo misero alla prova con altri brani,roba anni 50 tipo La più bella del mondo di
Don Marino Barreto jr. «Ero al pianoforte mentre negli uffici arrivavano degli ospiti per
una cena: mi prese una tristezza mista a... mi sentivo al pianobar». Tornando verso l’albergo,
Claudio salì su un tram e «guardandoil cielo diMilano dai finestrini, preso da una
rabbia malinconica, mi dissi a mezza voce un “ce la farò, ve la farò vedere”». Anche la
seconda volta però non funzionò come sperava. La casa discografica era la Ricordi, lo
sfondo sempre Milano. «Arrivai con le mie canzoni e la chitarra e mi affiancarono tre
turnisti svogliati: quello al contrabbasso fumava la pipa mentre suonava. Andò meglio
ma per mesi non si fece sentire nessuno».
Nel 1969, questa volta a Roma, il provino con la Rca che gli offrì il primo contratto. Il
primo 45 giri,Una favola blu/ Signora Lia, venne pubblicato l’anno successivo. «Signora
Lia in origine si intitolava Signora Lai— ricorda con il sorriso—. La cambiai all’improvviso
quando, al famoso provinoRca, vidi sul camice bianco di uno deitecnici la spilla con
il nome: si chiamava “S. Lai”. La canzone parla di una donna che tradisce il marito, non
mi sembrava il caso di inimicarmi la persona che aveva nellemani ilmio destinomusicale».
I primi due album non sfondarono, si era mosso qualcosa nell’Est Europa dopo un tou
«DOPODUE
PROVINIFALLITI,
EROSUUNTRAMDI
MILANO.GUARDAI
ILCIELOEAMEZZA
VOCEMIDISSI:
CELAFARÒ»
in Cecoslovacchia e Polonia, ma Claudio
pensò di mollare tutto e di dedicarsi agli studi
di architettura. «Lavorai ai testi di Questo
piccolo grande amore come altestamento artistico
di un incompreso. Arrivò subito in
classifica. Il successo fu come un dono inatteso».
Aneddoto sulla nascita della hit: «Ci
misi sette-otto mesi a scriverla. Prima arrivò
il ritornello. Nella stesura iniziale era preceduto
da una parte molto rock che non mi
convinceva. Ricordo ancora quando al telefono,
dal letto della camera dove vivevo in via
Prenestina a Roma, feci sentire la strofa al
produttore». L’incipit è stampato nella memoria
collettiva. Di chi era la maglietta fina
sotto cui avrebbe voluto infilare le mani? «Le
magliette fine sono tante... Anche se poi
è
stata connotata con quella di Paola (la prima
moglie; ndr). In varie prove è stata anche maglietta
fine, nel senso di elegante, oppure camicetta
stretta». E qui ecco un altro sfregio al
monumento. «O forse maglietta Fila, in un
primo tentativo di sponsorizzazione (ride).
Un
a volta una signora mi scrisse una lettera
per ringraziarmi, era convinta che cantassi
“quella tua maglietta, Pina”. Delresto il destino
delle canzoni è di essere manomesse e
composte da tutti».
Baglioni prima di Baglioni.Il cantautore riavvolge
il nastro della memoria. «Non sono figlio
d’arte, però in famiglia si cantava spesso:
canti popolari di guerra, amore e lavoro. Papà
e mamma venivano da famiglie contadine e
quando andavamo a trovare i parenti in Umbria,
sul treno del ritorno cantavamo per coprire
i versi degli animali che ci erano statiregalati
e che nascondevamo fra i bagagli perché
era vietato portarli. Ho imparato a esibirmi
su un reato. Sono un maledetto...». Ci
scherza,ma negli anni del cantautoratoimpegnato
politicamente lui e Battisti erano considerati
degli eretici, simboli del disimpegno e
della canzonetta d’amore. «Sono un artista di
pianura, non ho mai cercato forme di espressione
complicate per arrivare al pubblico».
Non fu però la ricerca di sdoganamento da
parte dell’altro fronte a farglimetterein piedi
O Scià, ilfestival che ha organizzato dal 2003
al 2012 a Lampedusa per accendere una luce
sul tema dell’immigrazione: «Ci sono arrivato
non per fiuto, ma perché ci ho sbattuto
contro andando al mare in quella splendida
isola toccata dal fenomeno. Mi sono messo
al servizio delle sorti di Lampedusa e del fatto
che media e classe dirigente non vedessero
il problema. Questa manifestazione era
contro l’immigrazione clandestina, ma non
contro i clandestini che sono le vittime. Credo
che oggi si debba metabolizzare il fenomenoeprenderlo
come dato di fatto. Non credo però di riproporlo ora che il tema è al
centro del dibattito politico: non sarebbe
maneggiabile e nonvoglio diventare complicedi
risse, è terreno di consenso e dissenso».
Le tre ore e mezzo dello show sono un riassunto
che non svela nulla del Baglioni futuro.
Per l’ultimo album, ConVoi del 2013, il
cantautore sperimentò la pubblicazione di
una canzone alla volta cercando di interpretare
lo spirito del download che stava cambiando
le regole della discografia. Ora c’è lo
streaming che sembra voler distruggere il
concetto di album. «L’album è quasi un desaparecido.
Lo streaming richiede una forma
mentale che non posso darmi. Fatico a
immedesimarmi, sento l’angoscia dell’oceano
aperto senza il punto dove mettere la bandierina
sulla terraferma. Faccio fatica a pensare
che non ci sia un supporto. Il disco ai cui
sto lavorando sarà dannatamente classico
anche nelle forme». Il nuovo progetto, titolo
di lavorazione Duello, è in fase avanzata ma
al momento è in pausa. Claudio lo protegge
dalle indiscrezioni ma svela uno dei titoli dei
nuov brani, Liberi tutti,proprio come il settimanale
nato da qualche mese a cui sta concedendo
l’intervista: «L’idea viene dal tana
libera tutti del gioco che si faceva da bambini.
E viene dal desiderio che ci sia qualcuno
capace di sollevare le nostre vite».
fonte:http://www.saltasullavita.com/.