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TINTORETTO - UN RIBELLE A VENEZIA

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    TINTORETTO - UN RIBELLE A VENEZIA



    locandina


    LA VOCE INTENSA DI STEFANO ACCORSI RACCONTA TINTORETTO IN UN FILM CHE LANCIA UN BEL SEGNALE, POETICO E PRATICO.
    Recensione di Rossella Farinotti


    Tintoretto si ispirava per i disegni e le forme a Michelangelo, per i colori a Tiziano. Due nomi che hanno fatto la storia – non solo quella dell’arte – e che Jacopo Robusti, detto il Tintoretto perché figlio di un tintore di tessuti, ha studiato e frequentato, nel caso di Tiziano, in bottega. Quando l’allievo supera il maestro non è mai semplice: la competizione e la rivalità tra Tiziano e Tintoretto a Venezia crescono, facendo acuire la furbizia del più giovane che, per vincere i concorsi con lo scopo di decorare i luoghi più preziosi della sua città e lasciare il segno, anche a costo di farlo senza remunerazione di denaro, riesce a piazzarsi dove vuole, ultimando anche pareti e soffitto della Scuola Grande di San Rocco, il suo lascito artistico più imponente, ricco e speciale.

    Tintoretto. Un ribelle a Venezia è un film importante sulla figura di un artista talentuoso, irriverente ed energico che deve essere ancora un po’ scoperto e riconosciuto.

    La Scuola Grande di San Rocco è un luogo che ancora in pochi conoscono, racconta l’appassionata Melania Mazzucco, ideatrice e autrice del film diretto da Pepsy Romanoff. La scrittrice narra la vita e l’incessante lavorìo di Tintoretto tra le strade e l’archivio di Stato di Venezia, restituendo al pubblico dettagli della vita privata e del carattere del pittore, personaggio impetuoso e determinato, e del momento storico e sociale in cui l’Italia versava.

    Tintoretto rappresenta il reale sia nelle forme, che nelle espressioni e nei colori. Toni cupi, grigi, pennellate perfette, che appaiono in movimento anche una volta fissate sulla tela; velature energiche che delineano gli episodi rappresentati mai in maniera ordinaria, ma con un’umana e quasi ossessiva attenzione verso i protagonisti.

    Gente semplice, vera, che Tintoretto osservava per le strade, nei negozi, nelle taverne… per poi renderli protagonisti di scene in cui la narrazione non risulta mai canonica, quasi spiazzante. “L’ultima cena” (1547), quella racchiusa nella chiesa di San Marcuola, è quasi caotica, i personaggi sono difficili da riconoscere e Gesù non pare neppure protagonista, forse per l’inquadratura della tavola, per la prima volta mostrata in verticale e non frontalmente al fruitore.
     
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