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PARASITE

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    PARASITE

    locandina

    Regia di Bong Joon-ho. Un film Da vedere 2019 con Song Kang-ho, Lee Sun-kyun, Yeo-jeong Jo, Choi Woo-Sik, Park So-dam, Hyae Jin Chang. Titolo originale: Parasite. Genere Drammatico, - Corea del sud, 2019


    Una famiglia coreana viene sconvolta da un traumatico evento. Il film ha ottenuto 6 candidature e vinto 3 Premi Oscar, Il film è stato premiato al Festival di Cannes, ha vinto un premio ai David di Donatello, 3 candidature e vinto un premio ai Golden Globes, 4 candidature e vinto 2 BAFTA, 1 candidatura a Cesar, 7 candidature e vinto 2 Critics Choice Award, ha vinto un premio ai SAG Awards, ha vinto un premio ai Spirit Awards, ha vinto un premio ai Writers Guild Awards, 1 candidatura a Directors Guild, 1 candidatura a Producers Guild, Il film è stato premiato a AFI Awards, ha vinto un premio ai ADG Awards, 4 candidature e vinto 2 NSFC Awards, Parasite è 3° in classifica al Box Office, ieri ha incassato € 34.949,00 e registrato 5.569 presenze.



    Ki-woo vive in un modesto appartamento sotto il livello della strada. La presenza dei genitori, Ki-taek e Chung-sook, e della sorella Ki-jung rende le condizioni abitative difficoltose, ma l'affetto familiare li unisce nonostante tutto. Insieme si prodigano in lavoretti umili per sbarcare il lunario, senza una vera e propria strategia ma sempre con orgoglio e una punta di furbizia. La svolta arriva con un amico di Ki-woo, che offre al ragazzo l'opportunità di sostituirlo come insegnante d'inglese per la figlia di una famiglia ricca: il lavoro è ben pagato, e la villa del signor Park, dirigente di un'azienda informatica, è un capolavoro architettonico. Ki-woo ne è talmente entusiasta che, parlando con la signora Park dei disegni del figlio più piccolo, intravede un'opportunità da cogliere al volo, creando un'identità segreta per la sorella Ki-jung come insegnante di educazione artistica e insinuandosi ancor più in profondità nella vita degli ignari sconosciuti.

    Bong Joon-ho ha costruito una carriera sulla distorsione del fantastico, con affreschi plastici di larga scala come The Host, Snowpiercer e il recente Okja. A dispetto del titolo, però, in Parasite non ci sono creature, né immersioni nel soprannaturale: solo due famiglie, due case, e la brutale dissezione di una disuguaglianza di classe nella società tanto coreana quanto globale.

    Le due case - letteralmente - raccontano la storia, con gli eventi sempre più tesi e rocamboleschi che vengono incorniciati da due finestre, ognuna con quattro pannelli. La prima è una minuscola apertura ribassata su un vicolo, che lascia entrare rumori, disturbi e disinfestazioni nel salotto dei protagonisti, già impegnati a contorcersi nelle poche stanze disponibili alla ricerca di una connessione WiFi priva di password nei paraggi. La seconda è una gigantesca vetrata a parete nella villa dei Park, che "inquadra" l'ampio giardino teatro di un climax a orologeria, e invita lo sguardo esterno, d'invidia e di indagine.

    Nell'era delle fratture sociali sempre più scomposte, Parasite è un'eccellente lettura del suo tempo, che Bong Joon-ho riposiziona nel verticale delle stratificazioni domestiche dopo averlo disteso sull'orizzontalità del treno in Snowpiercer. Alla fotografia, vivida e fluida nello sfruttare i volumi architettonici, c'è Hong Kyung-po, reduce dal fenomenale lavoro su Burning, che della lotta di classe faceva uno sfondo elegante laddove Parasite la erge ad allegoria principale. E come studio delle idiosincrasie familiari, Bong Joon-ho riesce a entrare nel pieno territorio del primo Lanthimos e dell'ultimo Peele.

    IL PARASSITA DELLE VITE BORGHESI DI BONG JOON-HO.
    Overview di Emanuele Sacchi
    lunedì 15 aprile 2019

    Oggi che catturare l'attenzione è un'impresa sempre più ardua, ci vuole uno sforzo straordinario a livello promozionale per elevarsi sopra la cacofonia di stimoli e strilli. Un'intuizione insolita, destinata a far parlare di sé e divenire virale nel giro di breve tempo. Bong Joon-ho è riuscito, ancora una volta, a compiere tutto questo. Non era un'impresa semplice dopo l'accoglienza tiepida riservata al suo ultimo Okja, capofila delle produzioni Netflix con ambizioni d'autore e catapultate nei festival, realizzate prima che Cannes si tirasse indietro e che Roma vincesse Oscar e Leoni d'oro.

    Per tornare uno dei registi più cool all'orizzonte a Bong non serve nemmeno un trailer. Basta una foto: in mezzo primo piano la figura di Song Kang-ho, straordinario interprete di diversi film di Bong, in una delle sue classiche posture da disagio crescente.

    Più vicino alla soggettiva quello che ha tutta l'aria di un cadavere, disteso in giardino. Sullo sfondo invece immagini surreali e ossimoriche: sulla soglia un ragazzo con in mano una roccia, mentre un bambino con un braccio meccanico osserva, riflesso in un vetro, e appena uscito dal suo tipi indiano. Intanto una coppia borghese si rilassa al sole, nella più completa indifferenza. Se l'inquietudine degna di un film di Haneke o di Lanthimos non fosse già a un livello sufficiente, ecco che tutti gli occhi dei personaggi sono nascosti da strisce censorie. Qualcosa non va decisamente per il verso giusto.

    Anche il titolo contiene in sé un MacGuffin: Parasite infatti non racconta di qualche possessione aliena, ma di un dramma incentrato su due nuclei familiari. Non meno terrorizzante, a giudicare dalla foto di cui sopra. Come se i parassiti tipi dei lavori del primo Cronenberg trovassero posto in ambientazioni da ultimo Cronenberg. Ma Bong non ha bisogno di accostamenti con altri maestri del cinema: la sua poetica unica e inconfondibile è più che mai presente in Parasite.

     
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