Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

Claudio Baglioni (Auschwitz e dintorni)

27gennaio 2016

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    Sono passati 71 anni
    da quando i Russi il 27 gennaio del 45
    scoprirono ad Auschwitz e dintorni
    il più grande luogo di sterminio nazista
    spalancando le porte di un orrore indicibile.
    Nel '71 ero in giro in Polonia
    per la mia terza tournée di concerti
    nell'Europa dell'Est.
    Viaggiavamo ogni dì tutti in pullman
    per raggiungere i posti e i teatri
    dove avremmo cantato e suonato la sera.
    Quel giorno bigio e piovigginoso
    stavamo attraversando un po' insonnoliti
    un territorio di boschi e paludi.
    Arrivando ad un grande cartello stradale
    con su scritto Oświęcim
    il traduttore avvertì me e i miei musicisti
    ch'eravamo in anticipo sul ruolino di marcia
    e che ci saremmo fermati per visitare
    un sito "famoso di carcere e di lavoro".
    Distratti dal viaggio nessuno di noi
    collegò quello strano nome polacco
    ad Auschwitz e alla sua terribile storia.
    C'incamminammo nell'umido freddo
    verso le recinzioni di filo spinato
    a linee ordinate e sovrapposte
    passando un cancello con sopra
    una scritta tortuosa tra due cornici di ferro
    Arbeit match frei
    "il lavoro fa liberi"
    - disse la nostra guida -.
    Mi colpì la B di Arbeit saldata al contrario.
    "Per protesta di fabbro" rispose la guida.
    Strusciammo vialetti spogli e paralleli
    ai reticolati ad alta tensione
    tra i blocchi delle basse baracche
    con i mattoncini a vista.
    Mentre l'accompagnatore parlava
    ascoltavamo quasi meccanicamente
    e cominciavamo a renderci conto.
    Qui concentravano 'i morti in vacanza'.
    Dapprima i dissidenti polacchi.
    Gli intellettuali e gli oppositori.
    Poi i prigionieri di guerra per lo più russi.
    Quindi i criminali comuni tedeschi.
    Infine tantissimi ebrei e gli zingari.
    E ancora i cosiddetti asociali.
    Prostitute e omosessuali.
    Deportati e internati nei campi.
    I malati, i vecchi, i bambini
    insomma gli inabili erano subito eliminati.
    Gli altri - i rinati - venivano messi a produrre
    le teste rasate e le ossa sempre più in fuori
    con le divise a pigiama rigato e gli zoccoli
    la matricola su una pezza di vari colori
    cucita all'altezza del cuore
    e un numero tatuato all'interno del braccio.
    Entrammo ancor più costernati
    nelle camerate coi letti a castello
    e i pagliericci senza cuscini e coperte
    e nei magazzini con le valigie accatastate
    e le scarpe, i vestiti e gli occhiali.
    Avanzammo lungo il cunicolo
    detto 'la strada del paradiso'
    per arrivare alle docce e alle camere a gas
    attaccate ai forni con i camini e le ciminiere
    e non lontano le fosse dei roghi.
    Seguimmo tutto il tremendo percorso
    di quella fabbrica della morte
    che gli aguzzini chiamavano 'svelta e dolce'
    con cui annientarono come in una catena
    e solo lì un milione e mezzo di poveri cristi.
    Nel fare il tragitto obbligato verso l'uscita
    ero come stordito sperando in cuor mio
    che fosse come nei parchi tematici
    o negli ex teatri di posa del cinema
    dove sai che è tutta pura finzione.
    Ma sulle pareti una teoria infinita di foto
    e gente con su solo gli occhi
    mi confermò che non era così.
    Uscimmo a riprendere il pullman
    in un silenzio irreale e sgomento
    e nessuno fiatò per tutto il resto del tempo.

    Primo Levi lo scrittore e poeta torinese
    sopravvissuto alla detenzione
    ci lasciò, tra le tante, queste parole:
    L'Olocausto
    è una pagina del libro dell'Umanità
    da cui non dovremo mai togliere
    il segnalibro della memoria.
    Auschwitz è fuori di noi
    ma è intorno a noi.
    È nell'aria.
    La peste si è spenta
    ma l'infezione serpeggia.
    Se comprendere è impossibile
    conoscere è necessario.
     
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