Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

il bimbo e la nascita...

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    C'è chi lo chiama sbaglio o errore ....
    io lo chiamo amore!



    Di _ La nascita di un figlio segna l'alba di una nuova vita _
     
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    Il Parto: la nascita di un bambino

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    Il parto è tutto l’insieme dei fenomeni meccanici e fisiologici che portano all’uscita di un neonato dall’utero materno.

    Il parto viene definito a termine quando succede tra la trentottesima e la quarantaduesima settimana, mentre è considerato prematuro quando avviene prima della trentaseiesima settimana.

    Il parto è detto spontaneo quando si compie naturalmente e provocato quando è indotto da un intervento esterno.

    Durante le fasi del parto, il feto compie un percorso che coinvolge il bacino, la vagina e poi il perineo della madre.

    A causa delle contrazioni, durante il parto il collo dell’utero si accorcia e si dilata progressivamente sino a raggiungere un diametro di 10 centimetri.

    Il bacino della madre non è certo flessibile, quindi il feto, durante le fasi del parto, deve flettere la testa portando il mento contro il petto. Il bacino materno può essere suddiviso in tre parti: superiore, medio e inferiore.

    Il feto assume una posizione obliqua per superare il distretto superiore, quindi esegue una rotazione durante il passaggio del distretto medio e infine si disimpegna giungendo nel distretto inferiore. Le contrazioni gli consentono di superare il pavimento perineale e giunti a questo punto la testa del feto spunta dalla vulva.

    Come può presentarsi un feto al momento dell’uscita dall’utero?



    Nella quasi totalità dei casi il feto si trova in posizione longitudinale, presentandosi con la testa e talvolta con i piedi.

    Cosa sono le presentazioni di testa o presentazioni cefaliche?



    Con esse si identificano le presentazioni dell’apice (flessione della testa del feto), della fronte (lieve deflessione) e della faccia (deflessione totale).

    La presentazione di fronte rende necessario il taglio cesario.

    Il viso del nascituro può essere rivolto verso il pube della madre (presentazione posteriore) o verso l’osso sacro (presentazione anteriore).

    Cosa sono le presentazioni podaliche?



    Comprendono la presentazione podalica completa (arti inferiori ripiegati) e la presentazione podalica incompleta (arti inferiori tesi o sollevati di fronte al tronco).

    Le presentazioni podaliche richiedono un esame radiologico del bacino (radiopelvimetria) e il confronto della sua ampiezza con le misure del bambino per poter effettuare un parto per via naturale.

    Cosa sono le presentazioni trasverse o oblique?



    Queste causano sempre un parto distocico (un parto che presenta delle difficoltà che rende impossibile un parto per via naturale) e quindi richiedono il taglio cesario.

     
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    Le fasi del parto, tappe del viaggio verso la luce


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    Sono stati nove mesi di tranquillità, per il bambino: il tepore del liquido amniotico, l’oscurità quasi assoluta, il battito del cuore materno. Ma tutto questo sta per cambiare, perché è arrivato il momento di nascere.

    Via libera al travaglio


    Il bambino lo sa ed è pronto per affrontare la prova, per condividere con la mamma l’impegno del parto. È lui a prendere le decisioni importanti. Qualche giorno prima del travaglio le sue ghiandole surrenali hanno iniziato a secernere deidroepiandrosterone solfato, un ormone che stimola la placenta a fabbricare gli estrogeni necessari alla formazione del latte. E la sua ipofisi collabora con quella materna alla produzione di ossitocina, un altro ormone che favorirà le contrazioni uterine. Inoltre, da un paio di settimane il bebè si è capovolto, rannicchiandosi nella posizione giusta per aprirsi la strada verso la luce. A 7-8 ore dal lieto evento (qualcuna di più se la donna è al primo figlio), la sua testa preme sul collo dell’utero.
    È il segnale che dà il via alle contrazioni del travaglio: ogni 15-20 minuti per le prime due ore, poi sempre più ravvicinate, fino a susseguirsi ogni 4 o 5 minuti. A ogni contrazione, della durata di circa 45 secondi, la muscolatura dell’utero comprime la sacca amniotica e trasmette una maggiore pressione al corpo.
    Il bambino non sta soffrendo, ma il suo organismo è sottoposto a un piccolo stress al quale non è abituato. Lo schiacciamento diminuisce anche il flusso all’interno del cordone ombelicale e abbassa l’ossigenazione fetale del 10% circa. Questo determina un aumento della pressione sanguigna e anche della frequenza cardiaca, che accelera di circa 5 battiti (partendo da una media di 140 al minuto) per poi normalizzarsi durante le pause tra una doglia e l’altra.

    Sospeso fra due ambienti


    Le contrazioni del travaglio hanno anche l’effetto di spingere la testina contro il collo dell’utero, facendolo dilatare e dando al bambino un senso di schiacciamento, una specie di “cerchio alla testa”.
    Le spinte provocano la lacerazione del sacco nella zona sollecitata dalla sommità del cranio e si ha una prima fuoriuscita di liquido amniotico. Ora il piccolo si trova fra due ambienti diversi: da una parte il corpo, ancora compresso dall’utero, dall’altra la testa affacciata al canale del parto (il tratto cervice-vagina) e soggetta alla pressione atmosferica. Questa, essendo inferiore, provoca un risucchio, i liquidi interni affluiscono e si accumulano sotto la cute. Se il travaglio dura più del previsto, in genere si forma un edema sulla sommità del capo, una specie di bernoccolo che, dopo il parto, sparisce da solo.
    Adesso la dilatazione è completa e il momento di venire al mondo si avvicina. In alcuni casi, il piccolo deve sopportare un’altra sollecitazione: se, durante il travaglio, il battito cardiaco veniva misurato attraverso il ventre materno, ora l’ostetrica applica un elettrodo (un sottile filo metallico) sulla testina.

    Un vigoroso massaggio


    Questa è la fase di maggiore impegno, sia per la mamma sia per il bambino, che con la testa comincia a percorrere lentamente il canale del parto: per coprire una distanza di soli 10-12 cm impiegherà infatti circa tre quarti d’ora. Tenendo il capo reclinato sul petto, il bebè non è ancora in grado di vedere la luce. D’altra parte, non avrebbe nemmeno il tempo di farci caso, perché a questo punto lo sforzo e la concentrazione sono al culmine. Il canale è largo esattamente quanto la circonferenza delle testa (circa 30 cm) e le morbide pareti premono con decisione sul piccolo: alle contrazioni dell’utero si sono aggiunte le spinte da parte della madre. La sensazione, per lui, è quella di un vigoroso massaggio.
    Ora il suo organismo sta affrontando una prova faticosa. È come se un adulto continuasse a correre i 100 metri a tutta velocità per un’ora, facendo solo brevi pause per riprendere fiato. Lo sforzo, cui si aggiunge un’ossigenazione ridotta a causa dello schiacciamento del cordone, è superiore a quello affrontato nella prima fase del travaglio, tanto che adesso la reazione del suo corpo è opposta: a ogni spinta non corrisponde più l’aumento di qualche battito, bensì una forte diminuzione (da 140 fino a 90). Tutto ciò è normale perché il piccolo sta spendendo parecchie energie, ma niente paura: è attrezzato per farlo.

    Ora arriva la testina


    Ed ecco che l’impegno è stato ricompensato. La testa è uscita completamente e c’è lo stupore della luce improvvisa (anche se le ostetriche che praticano il parto “dolce” a questo punto abbassano l’illuminazione). In genere, basta un’ulteriore spinta per far seguire anche le spalle e quindi l’intero corpo.
    Tra un passaggio e l’altro è possibile che il faccino perda il colore roseo, diventando leggermente cianotico. È un fenomeno normale: si verifica infatti una stagnazione sanguigna dovuta al fatto che il corpo, ancora compresso nel canale, fa affluire il sangue arterioso alla testa, ma fatica a ricevere quello venoso di ritorno. Con la nascita tutto tornerà alla normalità.

    Un respiro di sollievo


    Quando il bimbo esce dal pancione, il senso di compressione scompare e i polmoni si possono espandere.
    Le vie aeree sono però piene di liquido e c’è un momento di “apnea fisiologica” in attesa del primo respiro. L’ostetrica ne approfitta per liberarle aspirando con una cannula. Il piccolo, a sua volta, recupera le energie a tempo di record. Infine l’aria affluisce nel corpo, seguita da un pianto liberatorio. Che cosa significa questo primo strillo? Sollievo per avere superato l’ostacolo? Fastidio per il gas sconosciuto che irrita i polmoni? Disagio per il freddo sulla pelle? Forse tutte queste cose insieme. Ma è un disorientamento di breve durata, perché il bebè verrà subito adagiato sul ventre materno, dove ritroverà il tepore, il profumo e il ritmo del cuore con cui ha vissuto per tanti mesi.

     
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    Pronto per nascere: posizione cefalica, podalica, di faccia, di traverso. E i gemelli?



    In un 5% delle gravidanze il bambino che sta per nascere non assume la posizione più adatta alla nascita, ovvero quella cefalica. Ecco caso per caso come si potrebbe presentare e cosa comporta per il parto.


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    Di solito intorno alla 30esima settimana di gravidanza, il bambino assume la posizione più adatta per la discesa lungo il canale del parto: il capo rivolto verso il basso, l’asse longitudinale del corpo parallelo a quello della madre, la testa piegata in avanti, con il mento appoggiato allo sterno, le gambe e le braccia flesse e raccolte sul tronco. Questo avviene nel 95% delle gravidanze. Vediamo cosa può succedere nel restante 5% dei casi.

    A testa in giù è più facile
    Si parla di presentazione cefalica quando il bebè è posizionato con il capo verso il basso, quando cioè la testa è la prima parte del bimbo che si affaccia al momento della nascita. Se poi il collo del piccolo è completamente flesso e la regione della testa che avanza per prima nel canale del parto è la parte posteriore del capo, dove si apre la più piccola delle due fontanelle, la presentazione si chiama cefalica di vertice: questa è la situazione ideale per un parto fisiologico. Quello della testa è il diametro maggiore nel corpo del bambino e, se la dilatazione del collo dell’utero ha raggiunto un’ampiezza tale da consentire il passaggio del capo, il resto del corpo uscirà senza problemi.

    Qualche complicazione può insorgere se il collo non è del tutto piegato in avanti. In tal caso il bimbo può farsi strada nel canale del parto con la parte superiore della testa, la regione dove si apre la fontanella maggiore, o con la fronte, o con la faccia. Si parla allora, rispettivamente, di “presentazione di bregma”, “di fronte” o “di faccia”. In queste condizioni, la discesa del bambino nel canale del parto può arrestarsi e il monitoraggio del battito fetale può evidenziare uno stato di sofferenza del piccolo dovuto allo stress. In tal caso, può rendersi necessario il ricorso al cesareo.

    Posizione podalica
    Nel 4% delle gravidanze il bimbo arriva alle soglie della nascita con la testa rivolta verso l’alto e l’estremità inferiore del corpo rivolta verso il basso, pronta a impegnarsi nel canale del parto. Talvolta le gambe del bambino sono flesse e raccolte sul bacino. In tal caso, la parte che si presenta per prima è il sederino del piccolo. A volte, invece, le gambe sono distese e la presentazione è di piedi.

    Non sempre la presentazione podalica richiede un parto cesareo. Il ricorso al bisturi è necessario se il bambino ha un peso stimato superiore ai 3,8 chilogrammi. Se il feto è più piccolo, si può tentare il parto vaginale, anche se però è difficile trovare un ginecologo disposto ad assistere una donna che voglia partorire spontaneamente un bimbo podalico.

    Ma quali sono i rischi?

    Il diametro del bacino del bambino è inferiore a quello della sua testa. C’è dunque la possibilità che il sederino inizi la discesa nel canale del parto quando la dilatazione è ancora insufficiente per far passare la testa e che la testa rimanga poi bloccata, col pericolo di asfissia del piccolo.
    I rischi aumentano se la presentazione è di piedi, perché la rapida fuoriuscita delle gambe può far sì che le braccia del bambino, normalmente raccolte sul petto, si distendano verso l’alto. Se ciò accade, il bimbo può rimanere bloccato all’altezza delle spalle. Esistono manovre che il medico può fare per cercare di liberare rapidamente le spalle, ma il pericolo di asfissia è significativo.
    Altra complicazione possibile, in particolare nella presentazione di piedi, è il prolasso del cordone ombelicale, cioè la fuoriuscita di una parte del cordone durante la fase espulsiva. Così, compresso nel canale del parto, il cordone non è in grado di rifornire di ossigeno il piccolo impegnato a nascere. È un’eventualità assente in caso di presentazione cefalica.
    Per tutte queste ragioni, nel caso il bambino sia podalico di solito si preferisce fare ricorso al cesareo anche se il peso del nascituro è inferiore alla soglia di 3,8 chilogrammi.

    Se è messo di traverso
    Più rara in assoluto è la presentazione di spalla: quella del feto che ha l’asse del corpo trasversale rispetto all’asse dell’utero e una spalla che spinge verso il basso. È un’evenienza che si verifica nello 0,5-1% delle gravidanze.
    Nelle primipare, la posizione trasversale può essere dovuta a una malformazione dell’utero o del bacino oppure alla presenza di un fibroma di grosse dimensioni sul fondo uterino. Nelle pluripare, può essere una conseguenza della perdita di elasticità delle pareti dell’utero.
    Oltre all’impossibilità fisica per il feto di venire alla luce spontaneamente in queste condizioni, la presentazione di spalla comporta anche un rischio molto elevato di prolasso del cordone ombelicale. Non si può tentare un parto vaginale con una presentazione di spalla, è indispensabile programmare un cesareo.

    Aiutare la capriola
    Sia che il nascituro abbia la testa rivolta in alto, sia che abbia il corpo in posizione trasversale rispetto all’asse dell’utero, prima che la gravidanza giunga al termine si può tentare di modificare la sua posizione con diverse procedure.

    Si può stimolare il piccolo a ruotare spontaneamente e a portarsi in posizione cefalica. La mamma può rimanere per qualche minuto rilassata e distesa, mantenendo con l’aiuto di un cuscino il bacino sollevato più in alto del tronco.
    Si può ricorrere all’agopuntura e la moxibustione, due tecniche originarie della medicina tradizionale cinese che, applicate singolarmente o abbinate tra loro, stimolano la contrattilità uterina e incoraggiano il feto a muoversi. I risultati non sono garantiti, ma sembrano favorire i rivolgimenti spontanei.
    Infine, c’è la possibilità di intervenire con una manovra di rivolgimento manuale, una procedura che consiste nella manipolazione esterna dell’addome della madre per spingere il nascituro a ruotare in posizione cefalica. Si esegue in ospedale, sotto sorveglianza ecografica, pronti a intervenire con un cesareo d’urgenza se la rotazione forzata dovesse provocare una rottura della placenta o danni al cordone ombelicale. È una procedura che non tutti i ginecologi sono in grado di effettuare e sono disposti a tentare.

    Parto gemellare
    Due gemelli in procinto di nascere non si dispongono sempre nella stessa posizione. Può accadere che uno sia podalico e l’altro cefalico. Quella che conta ai fini delle modalità del parto è la presentazione del gemello destinato a nascere per primo. L’ecografia fatta nelle ultime settimane di gravidanza mostra chiaramente quale dei due fratelli è sceso più in basso e si impegnerà per primo nel canale del parto. Sulla base di questa osservazione si può decidere se tentare il parto spontaneo oppure programmare un cesareo.

    Se il primo gemello è in posizione cefalica, il secondo non avrà problemi a uscire anche se si presenta di natiche o di gambe. In questo caso, si può procedere con relativa tranquillità con il parto vaginale. Si ricorre al cesareo, invece, se il primo gemello o entrambi i fratelli sono podalici.

    Se il primo gemello si presenta in posizione trasversale, il cesareo è d’obbligo. Se il primo è cefalico e il secondo trasversale, teoricamente il ginecologo potrebbe tentare di rivolgere manualmente il secondo fratellino durante il parto, dopo l’espulsione del primo, ma di fatto i rischi sono tali che anche in questo caso si preferisce fare ricorso al cesareo.
     
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    Dubbi sul travaglio


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    Che cosa è concesso e che cosa è vietato fare quando si avvertono le prime doglie? E a quali controlli si verrà sottoposte una volta raggiunto l’ospedale? Ecco le risposte ai 10 dubbi più comuni.


    È necessario correre in ospedale appena cominciano le contrazioni?


    Da quando iniziano le prime doglie fino all’istante in cui il bebè nasce passano 12-16 ore. Per questo si consiglia di raggiungere l’ospedale quando le contrazioni durano un minuto e si manifestano a intervalli regolari di 5. Se le contazioni durano un minuto ma si è alla seconda gravidanza, meglio invece partire subito, indipendentemente dalla frequnza che intercorre tra l’una e l’altra. Naturalmente, se questa scelta fa sentire più tranquille, nulla vieta di recarsi in ospedale anche a travaglio appena iniziato.

    E’ indispensabile fare il clistere?


    Di solito, nelle ore che precedono il travaglio la necessità di andare in bagno per liberare l’intestino si manifesta spontaneamente, un po’ come accade quando iniziano le mestruazioni. Per questo, a travaglio avviato non c’è bisogno di effettuare un clistere. A meno che non sia la donna a chiederlo, perché sente lo stimolo a scaricarsi, ma non ci riesce.

    Il monitoraggio deve essere continuo?


    Per controllare il cuore del piccolo e verificare come procedono le doglie basta una cardiotocografia di circa mezz’ora: viene effettuata al momento del ricovero, applicando sul pancione due fasce collegate a un apparecchio che elabora un tracciato. Durante le ore successive l’esame viene ripetuto solo se c’è il sospetto che il battito cardiaco del piccolo (registrato ogni 15 minuti) non sia regolare e c’è il pericolo di una sofferenza fetale, oppure se il travaglio è lungo e difficile. Il monitoraggio continuo è invece previsto se la gravidanza è a rischio o se il parto è indotto con i farmaci.

    Si può bere qualcosa?


    Si può prendere qualche goccia d’acqua o inumidirsi le labbra con un cubetto di ghiaccio. Meglio non assumere, invece, grosse quantità di liquidi, che potrebbero indurre il vomito. Se bisogna effettuare un cesareo urgente occorre comunicare all’anestesista ciò che si è bevuto.

    È possibile mangiare se si sente un po’ di languore?


    Il parto richiede un notevole lavoro muscolare e a volte si avverte il bisogno di mangiare qualcosa per recuperare le forze. Meglio preferire alimenti facilmente digeribili ma energetici, come ad esempio un cucchiaino di miele o una fetta biscottata. Questi contengono zuccheri semplici che vengono bruciati subito dall’organismo. In caso di un cesareo urgente è opportuno comunicare al medico che si è mangiato.

    Si può cambiare posizione?


    Per affrontare le contrazioni si può assumere la posizione che si preferisce: c’è chi desidera stare sdraiata, chi si accuccia e chi si mette carponi. La scelta deve seguire le esigenze del momento.

    Le visite sono frequenti?


    Circa ogni 15 minuti l’ostetrica rileva il battito cardiaco del bimbo con lo stetoscopio doppler, un apparecchio che viene appoggiato sul pancione e riporta la frequenza su un display. Ogni due ore, invece, valuta l’andamento delle contrazioni, la dilatazione del collo dell’utero e la progressione della testa del piccolo nel canale del parto.

    E camminare?


    Se si sente questa necessità, è addirittura consigliabile farlo: stando in posizione eretta, si sfrutta maggiormente la forza di gravità e si facilita la discesa del piccolo nel canale da parto. Dopo la rottura della borsa delle acque, però, è meglio consultarsi prima con il ginecologo o con l’ostetrica: se la testa del piccolo è alta e non aderisce al collo dell’utero è preferibile stare sdraiate, finché non scende. Poi, ci si può muovere senza problemi.

    Ci si può lavare?


    Se la donna lo desidera, può fare una doccia, anche se ha già rotto la borsa delle acque. Il getto dell’acqua calda diretto sul corpo può risultare rilassante e aiutare ad affrontare meglio le contrazioni, perché elimina le tensioni muscolari. Per evitare cali di pressione, la temperatura dell’acqua non deve superare i 37 gradi.

    Si può chiedere un analgesico?


    Il corpo può compensare il dolore perché durante il travaglio produce endorfine, che fungono da antidolorifici naturali. Inoltre, se hai fatto un corso di preparazione al parto e hai appreso una tecnica di rilassamento, puoi riuscire a controllarlo. Se senti ugualmente che non ce la fai a tollerarlo, puoi chiedere un antispastico all’ostetrica. Rivolgiti all’ostetrica o al ginecologo ogni volta che vuoi essere rassicurata. Non temere di essere “invadente”: sapere come stanno le cose è un tuo diritto.
     
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    La celiachia? Dipende anche dalla data di nascita!

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    Chi nasce in primavera e in estate ha più probabilità di diventare “celiaco”. E’ quanto è emerso da uno studio americano presentato alla Digestive Disease Week (DDW). In pratica c’è un legame tra celiachia, ossia una forte intolleranza al glutine, e mese di nascita del bambino.
    Gli esperti parlano di una particolare connessione di fattori stagionali e ambientali.

    Una cosa è certa: la celiachia è una delle malattie autoimmuni più diffuse nell’infanzia.

    Eppure, è una mia sensazione, fino a qualche anno fa se ne sentiva parlare poco e chi aveva questo tipo di problema era costretto ad andare nelle farmacie per acquistare gli alimenti.

    Negli ultimi anni, invece, c’è stata una maggiore sensibilizzazione verso questo tema, tanto che anche i supermarket, le pizzerie, le gelaterie, i ristoranti e persino le mense scolastiche si sono adeguati.

    Ma può essere vera una relazione così forte tra data di nascita e malattia? Secondo i ricercatori statunitensi la risposta è “sì”.

    Lo studio è stato condotto su piccoli nati in Massachussetts e ha coinvolto 382 giovani pazienti con malattia celiaca confermata da una biopsia. Ancora oggi l’esatta causa della patologia è ignota, ma potenziali fattori scatenanti includono l’introduzione del glutine nella dieta del neonato e alcune infezioni virali nel primo anno di vita.

    Secondo i ricercatori, anche la stagione della nascita avrebbe un ruolo, dal momento che normalmente i bimbi iniziano a mangiare biscottini, pappe e alimenti con glutine intorno ai 6 mesi di vita, cosa che per i piccini nati in primavera e in estate coincide con l’inizio della stagione fredda.

    Per verificare il legame tra stagioni e malattia, il team diretto da Pornthep Tanpowpong ha esaminato un gruppo di bimbi e ragazzi che avevano ricevuto la diagnosi tra gli 11 mesi e i 19 anni. Tra i più grandicelli (15-19 anni) non è stato rilevato un legame particolare tra periodo del compleanno e malattia. Mentre nei 317 bimbi sotto i 15 anni il 57% era nato proprio in primavera o in estate (da marzo ad agosto).

    Cosa ci suggerisce questo studio?
    Secondo gli esperti potrebbe portare a ripensare al momento migliore per introdurre i cereali e altri alimenti che contengono il glutine nella dieta dei neonati. Forse anche attendere e programmare uno svezzamento un po’ più specifico potrebbe essere un buon inizio.

     
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    Gravidanza e parto
    Tipi di parto



    E' podalico: si può partorire naturalmente?

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    Hai saputo che il bimbo nel pancione è podalico ma ti piacerebbe partorire naturalmente. Come comportarti?

    Secondo le linee guida nazionali, quando il feto è in una posizione anomala (in questo caso opposta a quella fisiologica) si richiede un intervento chirurgico con cesareo.
    Il problema principale del parto podalico è che l’ultima parte a uscire dal corpo materno, dopo gli arti inferiori e il tronco, è la testa del bambino: il cordone ombelicale, che connette il feto con la placenta, potrebbe rimanere compresso tra il bacino materno e la testolina, provocando una sofferenza fetale, ragione per cui di solito si consiglia di procedere al cesareo.
    Questo però non succede se il parto avviene in epoca precoce, ad esempio al 7° mese, e la donna si presenta in ospedale a dilatazione dell’utero avanzata o completa: in tal caso viene semplicemente assistita, perché la ridotta dimensione della testa del bambino riduce il rischio di compressione del cordone ombelicale.
    Comunque, se una donna desidera fortemente evitare il cesareo, può parlarne con l’ostetrica o il ginecologo e, dopo essersi informata su tutti i rischi, i benefici e le possibili complicazioni, può prendere una decisione che vada nel senso di un parto naturale, provando a far girare il bambino con una manovra manuale eseguita da un medico esperto.


    Il parto distocico

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    Parto distocico: così si definisce la nascita che non si svolge in maniera naturale e che, per essere portata a termine, richiede l’intervento dell’ostetrico, che utilizza forcipe e ventosa oppure effettua il cesareo. Le cause possono essere diverse: difficoltà dell’utero a contrarsi (distocia dinamica) o disturbi dovuti alla dilatazione del canale cervicale (distocia meccanica), una conformazione del bacino che rende difficile la fuoriuscita del bambino oppure anomalie nella presentazione o nella posizione del bimbo o un suo peso eccessivo.

    Il vocabolario del parto
    Disimpegno, amnioressi, episiotomia, indice di Bishop: sono solo alcune delle espressioni impiegate in medicina per descrivere lo svolgimento del parto , ma possono risultare un po’ difficili ai “non addetti ai lavori”. E talvolta, per imbarazzo, si evita di chiedere spiegazioni. Per risolvere tutti i tuoi dubbi, ecco un piccolo glossario, che spiega in modo chiaro e semplice alcune delle parole-chiave legate alla nascita.

    Amnioressi: è la rottura delle membrane, provocata artificialmente con l’aiuto di una piccola sonda, chiamata amniotomo. Viene di solito praticata durante il travaglio (sarebbe meglio non effettuarla prima che la dilatazione del collo dell’utero abbia raggiunto almeno 4-5 cm) per facilitare l’inizio della fase espulsiva.

    Canale del parto: comprende canale cervicale (ultima parte dell’utero) e vagina; è il “tragitto” che il piccolo percorre per nascere.

    Disimpegno: indica l’insieme dei movimenti che il bimbo compie nel corso del parto per permettere alla testa e alle spalle di uscire dall’ultimo tratto del canale del parto .

    Episiotomia: piccola incisione della vagina e della cute del perineo (fascia muscolare compresa tra la vagina e l’ano), che può essere praticata nelle ultime fasi del parto , per facilitare l’uscita del bimbo, evitando possibili lacerazioni spontanee dei tessuti. Viene praticata soprattutto se il bimbo è troppo grosso per poter uscire dalla vagina o se lo spazio disponibile è un po’ esiguo per il bambino. Viene eseguita in anestesia locale.

    Episiorrafia: si tratta dell’intervento di sutura che viene effettuato dall’ostetrico per ricucire il taglio provocato dall’episiotomia.

    Impegno fetale: movimento con cui il bimbo entra nel canale del parto per prepararsi all’espulsione dall’utero. La parte del feto che normalmente viene “impegnata” è la testa. Quando il feto si presenta di podice (piedi o sedere) oppure di spalla, si esegue il taglio cesareo.

    Indice (o punteggio pelvico) di Bishop: calcolo che permette di valutare se ci sono i presupposti per procedere alla stimolazione del parto . In particolare, si controllano le condizioni del collo dell’utero e i rapporti tra la testa del bambino e il canale del parto che dovrà attraversare.

    Macrosomia: è una condizione che si verifica spesso nei figli di donne diabetiche. Non si tratta di una malattia e nemmeno di un’anomalia genetica, ma del semplice fatto che il neonato è un po’ più grosso della media. In genere, si parla di macrosomia se il bambino pesa più di 4,5 chili al momento della nascita.



    Il parto in acqua

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    Sembrava una moda passeggera, invece si è rivelata sempre più una realtà consolidata. Come si svolge? Quando il collo dell’utero ha raggiunto una dilatazione di 3-5 centimetri, la futura mamma si accomoda in un’apposita vasca (ne esistono alcune con un portellone per agevolare l’ingresso e l’uscita) colma di acqua calda. E lì dà alla luce il proprio bimbo.

    Viene considerata una tecnica di parto dolce, perché permette al piccolo di ‘scivolare’ dal liquido amniotico in cui era immerso nel ventre materno direttamente nell’acqua calda della vasca. Al bebé viene evitato, in questo modo, il brusco passaggio dal pancione all’ambiente esterno. In più, l’immersione in acqua permette alla mamma di ridurre ansia, paura e dolore. La permanenza in questo elemento, infatti, determina il rilassamento della muscolatura e la maggiore distensione favorisce la produzione spontanea di endorfine, gli ormoni del piacere, che si contrappongono all’adrenalina prodotta in situazioni di ansia e paura. L’andamento del travaglio viene monitorato, con apparecchi che funzionano sott’acqua, fino al momento della nascita. Grazie al diving reflex (riflesso d’immersione), il neonato inizia a respirare soltanto quando entra in contatto con l’aria.

    È una tecnica consigliata a tutte le mamme, soprattutto a quelle al primo parto, perché riduce di circa un’ora e mezza i tempi della fase dilatante. È invece controindicato in caso di sospetta sofferenza fetale: in presenza di liquido amniotico tinto e quando il tracciato cardiotocografico (che registra il battito cardiaco del bimbo) rileva una patologia. Niente nascita in acqua anche per chi aspetta gemelli, se il piccolo è podalico (si presenta al canale del parto con i piedi o il sederino) e nei parti prematuri. Non possono ricorrervi, inoltre, le mamme che hanno avuto una gravidanza a rischio.


    Il parto in casa

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    È il parto naturale per eccellenza: si svolge senza che sia necessario alcun tipo di intervento medico e il tutto avviene tra le mura domestiche, con l’assistenza di due ostetriche, pronte ad assecondare i ritmi e i desideri della futura mamma.
    Se la futura mamma sceglie questa modalità, è necessario che contatti un’ostetrica esperta nel parto extraospedaliero entro il settimo mese di gravidanza, in modo che possa valutare se ci sono le condizioni adatte per la nascita in casa e che si instauri un clima di fiducia reciproca. Occorre, poi, predisporre tutto quello che potrà servire quindici giorni prima del parto, data a partire dalla quale le ostetriche dovranno essere reperibili 24 ore su 24. Se si presentano difficoltà, si decide il trasferimento in ospedale, che non deve distare più di mezz’ora e con cui l’ostetrica è costantemente in contatto.

    Non tutte le future mamme, però, possono scegliere di mettere al mondo il loro bimbo a casa propria. Esistono condizioni indispensabili legate all’andamento della gestazione e alla salute di mamma e bebé, che indicano i parametri necessari perché questo tipo di nascita avvenga in tutta sicurezza.

    1) Innanzitutto la mamma deve vivere una gravidanza fisiologica.

    2) Il bambino deve presentarsi in posizione cefalica e avere un peso previsto tra 2,700 kg e 4 kg.

    3) Inoltre, sono escluse le gravidanze gemellari.

    4) La futura mamma, inoltre, non deve soffrire di patologie quali ipertensione, anemie gravi e problemi di coagulazione, diabete, gestosi.

    5) Se ha già altri figli, il parto precedente non deve essere avvenuto con un cesareo.

    6) Il travaglio deve iniziare tra la 37ª e la 42ª settimana di gravidanza. Sono escluse, quindi, tutte le nascite premature e i casi in cui venga superata di quindici giorni la data presunta del parto.

    7) L’ospedale di riferimento, necessariamente un centro di 2° livello, deve essere raggiungibile in un tempo non superiore a 30, massimo 40 minuti.

    8) Infine, per l’assistenza è necessaria la presenza di due ostetriche.

    Dopo il parto, la mamma può contare su un’assistenza domiciliare anche nei primi giorni di vita del bebé. L’ostetrica è, infatti, la figura di riferimento che aiuta ad avviare l’allattamento, a prendersi cura del bimbo e a risolvere dubbi e paure comuni a tutte le neomamme alle prime armi. Il rapporto, in genere, non si interrompe neanche in seguito: le mamme che hanno partorito a casa possono affidarsi alle ostetriche anche in seguito e prendere parte a incontri a loro riservati, su temi relativi alla cura e alla crescita del bambino, come il sonno, lo svezzamento o il gioco.

    La tariffa del parto a domicilio varia a seconda delle zone e delle professioniste, ma in media si aggira intorno ai 2.000 euro. Alcune regioni, però, prevedono un rimborso della spesa, parziale o addirittura totale. Il consiglio, quindi, è informarsi prima del tempo per valutare la possibilità di ottenere esenzioni.

    Il parto attivo

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    Non esiste un parto ‘standard’. Oggi più che mai il ventaglio di possibilità è ampio e la futura mamma può scegliere di dare alla luce il proprio bambino in modo ‘attivo’ o con parto cesareo, a seguito di un’induzione, in acqua o addirittura a casa propria. Senza dimenticare che la nascita può essere operativa o medicalizzata. Conoscere le diverse possibilità è il modo migliore per poter operare una scelta con grande serenità.

    Parto attivo

    Fino a non molto tempo fa, partorire significava sottoporsi a pratiche di routine estremamente fastidiose e spesso inutili: dalla rasatura del pube (per evitare che i peli infettassero la ferita dell’episiotomia, che veniva eseguita a tutte) al clistere per svuotare l’intestino ed evitare che si svuotasse durante le spinte espulsive, alla rottura delle membrane per accelerare il travaglio. Risultato: travaglio spesso più doloroso del dovuto, parto scomodo e più che mai innaturale. Da diversi anni la tendenza è andata invertendosi e diverse strutture offrono alla donna la possibilità di un parto cosiddetto attivo. Si tratta senza dubbio della modalità più vicina a un parto naturale.

    Le sue caratteristiche sono state definite a Londra negli anni Ottanta da Janet Balaskas, fondatrice dell’International Active Birth Movement. Oggi si tratta di una realtà abbastanza diffusa e sostenuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In pratica, viene concessa totale libertà di movimento e di iniziativa alla futura mamma, che mantiene, in tutte le fasi del travaglio e del parto, un ruolo da protagonista. Proprio per questa sua peculiarità, il parto attivo non si può ricondurre a una tecnica precisa. Le ostetriche lasciano che sia la donna a ‘condurre le danze’, scegliendo i movimenti che le sembrano migliori in quel momento: può partorire in piedi, sdraiata su un fianco, accovacciata o appoggiata al compagno. Oppure utilizzare strumenti che le siano d’aiuto, come la spalliera, lo sgabello olandese, speciali lettini ribassati, materassini…

    Il parto attivo è accessibile all’85 per cento delle donne e vi si può ricorrere anche se si sono già rotte le acque (una volta si pensava che fosse una controindicazione). Devono rinunciarvi soltanto le future mamme che, per qualsiasi ragione, non possono avere un travaglio normale e che sono quindi candidate a un cesareo programmato. Gli effetti del parto attivo sono molto positivi: le mamme che hanno mantenuto il controllo dell’evento si sentono psicologicamente più forti. Uno stato d’animo davvero prezioso nei primi giorni in compagnia del piccolo. Anche le condizioni fisiche sono buone: con questa modalità, infatti, si riduce drasticamente l’impiego di manovre invasive (caratteristiche, invece, del parto operativo) e di episiotomie, cioè dell’incisione del perineo (il tessuto compreso tra la vagina e l’ano). Se la mamma può muoversi come preferisce, la testolina del bambino scende più facilmente.


    Il parto cesareo

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    Può essere d’elezione, cioè programmato per malattie materne o fetali, oppure d’urgenza, ossia praticato durante il travaglio per l’improvviso insorgere di complicazioni (una posizione anomala del bambino, per esempio).
    La tecnica è la medesima, che il cesareo sia d’urgenza o d’elezione. Un telo sterile viene teso, in modo che la donna possa ‘partecipare’ all’intervento, senza tuttavia vedere la parte inferiore del proprio corpo, alla quale ‘lavorano’ il medico, le infermiere e le ostetriche. Alla futura mamma viene somministrata l’anestesia, che il più delle volte è spinale: rispetto all’epidurale, l’ago va più in profondità e l’iniezione determina la completa perdita di sensibilità e motilità degli arti inferiori. Quindi il chirurgo estrae il bimbo direttamente dall’addome della mamma. Può effettuare un’incisione trasversale di una decina di centimetri appena sopra il pube in modo che la cicatrice resti al di sotto della ‘linea bikini’. Dopo di che, taglia il sottocute e la fascia muscolare, divarica i muscoli addominali e apre il peritoneo fino ad arrivare a incidere la parte bassa dell’utero creando una breccia uterina. Bastano pochi minuti e poi viene estratto il bambino. A quel punto la ferita viene suturata nei suoi diversi strati, per una durata complessiva dell’intervento da mezz’ora a un’ora: la cute è ricucita con una serie di graffette metalliche da togliere dopo una settimana. In alternativa esiste la tecnica Stark: dopo aver tagliato la cute ed eseguito un piccolo ‘occhiello’, il chirurgo abbandona il bisturi e si fa strada usando soltanto le dita per separare e scollare i vari piani senza più incidere. In questo modo si rispetta di più l’anatomia, ma poi l’utero viene inciso come nella tecnica tradizionale. È più breve (circa 15 minuti) perché la fase della sutura è molto rapida: a parte la ricucitura dell’utero e delle fasce muscolari, i vari piani sono soltanto riavvicinati e per la cute bastano pochi punti in seta.

    In seguito, la mamma deve restare a letto per un breve periodo con un catetere vescicale, prova dolore alla ferita e le vengono somministrati antibiotici e antidolorifici con la fleboclisi.

    La causa più frequente dell’intervento è un cesareo praticato nella gravidanza precedente (un quarto del totale). Ma questo tipo di parto è indicato soprattutto in presenza di patologie legate all’attesa, come l’ipertensione o nel caso in cui il bambino sia podalico. Ma vi si ricorre anche anche quando insorgono problemi durante il travaglio oppure si registra una sofferenza fetale. Altre volte, è richiesto dalla futura mamma in assenza di indicazioni cliniche: è importante, però, prendere una decisione dopo aver valutato attentamente tutte le possibilità, perché i rischi non mancano e sono 3-4 volte maggiori rispetto a un parto naturale.


    Il parto indotto

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    È un parto medicalizzato: si verifica in seguito a un travaglio stimolato artificialmente con sostanze chimiche o manovre ostetriche, che inducono il collo dell’utero ad accorciarsi e poi a contrarsi. Una volta iniziato, il travaglio tende a procedere più velocemente del normale e con contrazioni più forti. Per l’intera durata, viene quindi tenuto sotto stretto controllo medico.

    La prassi: il giorno stabilito la mamma viene ricoverata in ospedale e le viene applicato in vagina, ogni sei-otto ore, un gel formulato con prostaglandine, sostanze responsabili dell’avvio e del mantenimento del travaglio. Il farmaco è quindi in grado di modificare il collo dell’utero e di indurre l’inizio del travaglio, favorendo la comparsa delle contrazioni. Va premesso che, perché questo accada, possono essere necessarie più applicazioni di gel e sono molti i casi in cui il periodo di degenza prima del parto dura anche uno o due giorni.

    Se il gel non è sufficiente per indurre il travaglio, l’ostetrica di turno pratica l’amnioressi, ossia la rottura del sacco amniotico e comincia la somministrazione di ossitocina tramite flebo, al fine di stimolare e mantenere le contrazioni. Non è raro che alla fine di questo lungo e spesso doloroso percorso si riesca a evitare il parto operativo oppure il cesareo: si calcola che nella metà dei casi, l’utero non risponda alla stimolazione farmacologica.

    Nella maggior parte dei casi si pratica l’induzione del travaglio quando la futura mamma ha superato il termine dell’attesa, cioè 41 settimane e mezza (stabilite ecograficamente). Ma vi si ricorre di solito anche in tutte le situazioni che sconsigliano o impediscono il proseguimento della gravidanza, come gestosi (si manifesta con ipertensione, gonfiori e perdita di proteine nelle urine), diabete o parto gemellare. È invece controindicata se la nascita si rende necessaria prima della 36ª settimana (in questo caso, si pratica il cesareo).


    Il parto indolore con epidurale

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    In termini tecnici si chiama partoanalgesia e ha lo scopo di ridurre il dolore della fase dilatante del travaglio. Prevede il posizionamento di un sondino a livello della colonna vertebrale, all’altezza del tratto lombare, attraverso il quale l’anestesista somministra gradualmente una combinazione di anestetici locali. L’effetto è analgesico e non anestetico: viene perciò ridotto il dolore ma non la possibilità di movimento. Nel giro di 15-20 minuti, la futura mamma percepisce una netta diminuzione del dolore, pur mantenendo la capacità di muoversi. Se l’anestesia è stata ben dosata, il suo effetto si modula prima che inizi la fase espulsiva, in modo da permettere alla donna di assecondare le spinte.

    Il sondino viene posizionato una volta raggiunti i 3-4 centimetri di dilatazione del collo dell’utero. Dapprima la mamma viene visitata e il suo battuto e la sua pressione vengono monitorati. Quindi, l’anestesista la invita a rannicchiarsi sul fianco (oppure a mettersi seduta, piegata in avanti), per inserire il catetere tra gli spazi vertebrali lombari. Dopo l’inoculazione dell’analgesico, il travaglio prosegue ‘sotto controllo medico’: possono, infatti, essere necessarie, per favorire la dinamica del parto, nuove dosi o alcune ‘correzioni’ farmacologiche, come la somministrazione per via venosa di ossitocina, l’ormone che stimola le contrazioni dell’utero, rendendo più veloce il parto.

    Se si decide di ricorrere all’epidurale, alcune settimane prima della data presunta è necessario sottoporsi a una visita anestesiologica e a esami del sangue mirati. Le controindicazioni sono limitate ad alcune complicanze della gravidanza. L’iniezione non può essere praticata, per esempio, nei casi in cui il parto si deve effettuare in condizioni di emergenza; epidurale off limit anche in caso di assunzione di particolari farmaci (come gli anticoagulanti) e in presenza di patologie precedenti, come problemi di coagulazione oppure infezioni.

    L’analgesia epidurale può contribuire al benessere materno-fetale, perché diminuisce lo stress dell’evento. Ma può anche comportare alcune complicazioni: la più diffusa (ma la percentuale non supera il 3 per cento dei casi) è la cefalea. Complicanze più gravi (come paralisi o danni neurologici permanenti) sono molto rare.



     
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    Il neonato.

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    Appena date alla luce vostro figlio è sotto posto a una serie di continui controlli per appurare le sue condizioni di salute generali. Queste valutazioni riguardano; prima di tutto il colorito della pelle se è roseo o scuro, se le sue dita delle mani e dei piedini sono cianotiche o se è tutto il bimbo bluastro. Poi si continua ad valutare le pulsazioni cardiache, la reazione allo stimolazione del pianto ( se piange, se fa smorfie o se non reagisce affatto ).Si continua con il tono dei muscoli (se le braccia e le gambine si muovono con energia, se sono flesse o se invece sono immobili, o molli d deboli. La respirazione è un’altra tappa importante si osserva se buona, o in caso contrario debole irregolare o addirittura assente. Tutte valutazioni per noi mamme, ma principalmente per il bambino sono molto importanti, qui il piccolo ottiene un punteggio APGAR di 2, 1 o 0. Il punteggio buono dopo i primi 10 minuti di vita è un totale di 7 punti, ma invece se vi è un neonato che arriva ad un totale di 4 punti, dopo i primi attimi di vita, vuol dire che un attimino di aiuto.

    Testa e viso


    Alla nascita la testa del bambino può risultare un poco deforme. Generalmente le guance sono tonde, il nasino schiacciato, il mento sfuggente. Il bimbo può mostrare segni di vivacità con i suoi occhioni spalancati, oppure che li apre ad intervalli.

    La pelle.

    La cute può mostrare ancora dei segni bianchi e cremosi, questa è l’ha protetta che durante tutto il periodo della gravidanza, ha protetto il feto, oppure la carnagione del bambino si può presentare coperta da una tenue peluria. Può accadere in altri bebè, invece che possiamo scoprire una pelle morbida, altri che posseggano una cute dura, altri invece che nascono con l’epidermide rugosa, e altri ancora sono coperti con delle macchie. Comunque una cosa è sicura per tutti i neonati, che nei primi giorni di vita, la loro pelle si presenta secca e si desquama.

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    Mani e piedi.

    Dopo la nascita possono restare violacei per diverse ore dopo la nascita, ma quando la respirazione e la circolazione si regolano, diventano di colore normale.

    Cuoio capelluto.

    Quando il bebè nasce calvo o con la testa colma di capelli sottilissimi di colore scuro, che poi piano piano nei mesi successivi cadranno. Sulla vertice della testina possiamo trovare la fontanella “ la zona molle al centro del cranio in cui le ossa non si sono ancora saldate” e sotto di questa si può notare una pulsazione.

    Cordone ombelicale.

    Il funicolo è legato ed tagliato. In genere il frammento restante cade nel giro di una settimana quindici giorni, dopo averne avuto cura con diverse applicazioni mediche.

    Genitali.

    Sia per i maschietti sia nelle femminucce i genitali sono gonfi e deformi rispetto al resto del corpo.

    Riflessi.

    Il riflesso una riscontro inconscio a un particolare stimolo: quelli caratteristici del neonato sono attaccarsi e ciucciare. I principali riflessi del bambino sono controllati subito in clinica o in ospedale, e quasi tutti svaniscono prima che il piccolo abbia compiuto sei mesi di vita.

    “Passi”


    Se, in posizione eretta, fate posare i piedini del piccolo, su una superfice piana e dura, il neonato solleverà prima un piede e poi l’altro come se volesse camminare.

    Pressione.

    Il bambino chiude molti forte le sue manine quando qualcosa, gli tocca il palmo, lo stesso comportamento lo farà con i piedini se gli sarà toccata la pianta del piedino.

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    Trasalimento.

    Chiamato anche riflesso di Moro. Questa è una reazione del neonato a un qualsiasi rumore improvviso, a uno spavento, a uno squillo di telefono ecc. Il bambino alzerà le braccia come se cercasse qualcosa cui aggrapparsi.

     
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    Il parto si avvicina, ecco la valigia per la futura mamma da portare in ospedale


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    La gravidanza volge ormai al termine e il pensiero è già lì, al parto. Ma cosa bisogna mettere in valigia, cosa bisogna portare in ospedale per il grande evento?

    Me lo ha chiesto Chiara, una mia amica in dolce attesa. Ma visto che le pancione di questo blog aumentano di giorno in giorno, da Valentina, a Rosa, a Marika, a Giuli… e giusto ieri ho saputo che anche Margherita, una mia cara amica diventerà mamma-bis (tanti auguroni!!) allora ho pensato di scrivere un post per tutte.

    La lista è divisa in due parti: l’occorrente per la mamma e il necessario per il bebè.

    Partiamo dalla mamma:

    1) camicie da notte: almeno tre e aperte davanti fino alla vita per facilitare l’allattamento. Visto il gran caldo che fa negli ospedali vi suggerisco di prendere quelle di cotone anche in pieno inverno!
    Per il parto vero e proprio vi consiglio di portare una t-shirt lunga e comoda oppure una camicia da notte decisamente non preziosa. Considerate che si sporcherà parecchio e quindi la dovrete candeggiare per bene o, nel peggiore delle ipotesi, buttare!
    Per le 48 ore successive (perché se va tutto bene dopo due giorni al massimo vi mandano a casa!) tre camicie da notte dovrebbero bastarvi!
    2) Vestaglia
    3) Mutante di rete usa e getta. Si trovano facilmente in tutti i negozi che vendono le cose per i neonati.
    4) Pantofole
    5) Eventualmente se le usate delle calze (io non le ho portate!), canottiere e reggiseni.
    6) Beauty case con spazzolino, dentifricio, detergente eccetera eccetera… Io ho portato anche della calendula madre per disinfettare bene le parti intime
    7) Coppette assorbilatte: la prima volta non mi sono servite, la seconda volta sì!
    8 ) Assorbenti per la notte. In genere gli ospedali forniscono gli assorbenti, ma spesso sono in cotone senza una base di plastica.
    Vi lascio immaginare: tempo due minuti ed è tutto sporco: camicie da notte, letto, eccetera eccetera. Io avevo portato gli assorbenti normali per la notte (che sono più lunghi) e sopra avevo messo quelli dell’ospedale e mi sono trovata bene! (mi rendo conto che non è bellissimo parlare di queste cose… ma qualcuno questo sporco lavoro lo deve pur fare, ah ah! )

    9) Infine… e per me è stata la cosa più importante: la crema per il seno.
    Vi assicuro che quando il pupetto si attaccherà saranno dolori! Soprattutto se non si attacca nel modo giusto (fatevi aiutare dalle puericultrici, sono lì apposta!!). Il vostro capezzolo sarà subito messo a dura prova anche se negli ultimi periodi lo avrete ammorbidito con creme e oli o esposto al sole.

    Io ho usato una crema di lanolina pura al 100%. Fantastica anche perché non bisogna lavare il capezzolo prima di attaccare il bambino. Unico neo: è un unguento giallognolo che sporca le camicie da notte ed è difficile da togliere, anche lavandole per bene. Ma se non siete molto affezionate alle camicie…

    Altra cosa, è un rimedio della nonna, ma vi assicuro efficacissimo: semi di melocotogno.
    Mettete cinque-sei semi in una tazza da caffè, ricopriteli con dell’acqua (un centimetro circa sopra ai semi). Tempo due ore si formerà un unguento che potrete applicare sul capezzolo.
    Anche in questo caso non è necessario lavare il seno prima di allattare.
    In entrambi i casi, ve lo giuro, mi ha salvato le tette!

    Quando è nato Marco, credo di avervelo già raccontato, mi stavano venendo le ragadi. Il bambino si era attaccato male al capezzolo e io piangevo per il dolore tutte le volte che allattavo. Che male!
    Siccome allattava praticamente notte e giorno (povero aveva fame e il colostro non gli bastava!), vi lascio immaginare i lacrimoni. Fino a che mia madre non mi ha preparato “l’unguento magico”.
    Per me è cambiato il mondo!
    Siccome anche tante altre neo-mamme erano nella stessa condizione, abbiamo fornito semi di melocotogno a tutte. Mia madre, per fortuna, ne aveva una bella scorta!

    Successivamente sono passata alla crema di lanolina, perché più comoda anche da portare in giro. E la uso anche adesso sui nasini dei bimbi screpolati dal raffreddore. E’ ottima!

    Ultimo consiglio salva tette e vi prego non ridete: lasciatele “al vento” più che potete.
    Io anche in casa, quando potevo, andavo in giro a seno scoperto. Tra una poppata e l’altra, infatti, areola e capezzolo devono essere ben asciutti per favorire la cicatrizzazione di eventuali taglietti.

    10) Decimo e ultimo punto… in valigia mettete anche i vestiti per quando tornerete a casa.

    Ops.. ho visto che mi sono dilungata un po’ troppo. Praticamente ho scritto un post-lenzuolo. E allora l’occorrente per il bimbo ve lo scrivo nel prossimo post![/CENTER]
     
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    Gravidanza indesiderata: come reagirà il partner?

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    Quando una giovane donna scopre di essere incinta teme inevitabilmente la reazione del proprio fidanzato e, anche se la coppia dura da diversi anni, quello che succederà è davvero imprevedibile.


    Il desiderio di maternità, l’essere sposata o fidanzata con l’uomo giusto, l’avere un lavoro fisso, sono le principali motivazioni che inducono una donna a cercare una gravidanza e a diventare finalmente mamma. Inoltre, sapere di essere nella situazione migliore per dare alla luce una nuova creatura, realizzare di essere rimasta incinta, annunciare la notizia e vedere parenti, partner e amici felici e commossi è davvero impagabile.

    Spesso, però, per incoscienza o per errore, molte tappe vengono tagliate da un’imminente gravidanza indesiderata che provoca inevitabilmente turbamento, non solo nella vita della giovane donna ma anche in quella del partner e dei genitori di entrambi. È allora che le cose si complicano; la giovane fatica a realizzare di aspettare un bambino, che ciò sia capitato proprio a lei e sa già quanto sarà duro comunicare la notizia.
    Di solito il primo pensiero va ai genitori. Per quanto difficile sia far accettare la situazione, i genitori sono anche le persone che meglio di tutti possono dare il supporto e l’aiuto necessari, perchè amano incondizionatamente e con il tempo capiranno e accetteranno.

    Più complicato, invece, diventa comunicare la notizia al partner perchè le situazioni possono essere svariate. Nella maggior parte dei casi si ha una relazione consolidata ma numerose sono anche le gravidanze dovute a rapporti occasionali che rendono difficile determinare la paternità o far in modo che la gravidanza sia accettata. Ma nei casi in cui ci sia una relazione più o meno duratura le reazioni alla notizia di aspettare un bambino possono essere moltissime.

    Per prima cosa se si ha anche il minimo sospetto di essere incinta sarebbe bene parlarne con il proprio partner. Condividere le paure e comprendere quali sono i suoi pensieri in merito può aiutare a capire come affrontare la situazione nel caso si decida di comunicargli la notizia in seguito. Un consiglio potrebbe essere quello di fare un test di gravidanza con il partner perchè apprendere la notizia insieme può essere meno difficile che trovare le parole giuste per dirlo poi. Davanti a una scoperta di questo tipo un ragazzo si sente impaurito e impotente perchè alla sua età non ha le risorse per creare una famiglia e darle stabilità e per questo tenta di tirarsi indietro proponendo la via dell’aborto. Per quanto sia difficile per la giovane donna realizzare di essere incinta è importante non puntare il dito contro il partner perchè anche lui ha bisogno di essere rassicurato. La sua reazione e le sue parole sono sicuramente dettate dal timore. Non bisogna quindi aspettarsi esclusivamente reazioni di conforto e ressicurazione; talvolta è la donna che deve prendere l’iniziativa.

    L’uomo, infatti, vive un maggior senso di responsabilità nel costruire una famiglia e sente il dovere di proteggere e sostenere sia la compagna sia il futuro bambino. Non bisogna tralasciare di rendere partecipe sempre il proprio partner nel corso della gravidanza, aiutandolo ad accettare il bambino che nascerà e preparandolo a diventare padre. Le difficoltà ci saranno ma con il tempo e con l’appoggio immancabile dei genitori si affronteranno, arrivando con qualche sforzo in più a costruire la propria stabilità. Un campagno presente e amorevole è fondamentale per permettere alla donna, seppur giovane, di essere una buona madre.

     
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    Quanto è cambiata la tua vita da quando sei una mamma?

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    Te lo aspettavi che la tua vita sarebbe cambiata così tanto? Eri già preparata a fare dei “sacrifici“? A diminuire l’intensità della tua vita sociale e, purtroppo, a perdere di vista il tuo “punto vita“?
    Io me lo immaginavo e devo ammettere che, nei primi mesi della vita di un bambino, sei talmente assorbita da questo uragano di novità che non ricordi più nulla della tua “vita precedente“, non pensi neppure lontanamente agli amici che ti danno per dispersa, al lavoro … questo almeno capita alle fortunate che possono abbandonare il lavoro per qualche mese.
    Iniziamo dal fisico: ammettiamo l’evidenza di non essere come le donne dello spettacolo, che tra un personal trainer ed un massaggio tornano in forma dopo poche settimane. Il nostro corpo riprenderà una forma presentabile nel giro di 6 mesi – un anno, se non di più. Magari seguendo undieta e facendo un po’ di ginnastica, anche soltanto con delle lunghe passeggiate in compagnia dei nostri bambini!
    Passando agli interessi: ci dedichiamo in toto al neonato e quindi ogni altra cosa passa in secondo piano. Questo non vuole essere un lamento, ne’ voglio far passare le mamme come vittime, perchè (come mi dice mia figlia di 7 anni quando sclero perchè avrei voglia di fare qualcosa di mio) “I figli te li sei fatti e te li guardi!“ Però ammetto che quando vedo su Facebook, riguardo alla partecipazione a feste, eventi, ecc. le possibilità Si – NO- FORSE … secondo me dovrebbe anche esserci la voce MAGARI! per tutte quelle mamme che vorrebbero uscire e che non possono!
    A tutto c’è una soluzione: nonni, baby sitter, ecc per fuggire alle piacevolezze dell’essere mamme una tantum è lecito, anzi necessario, perchè ritengo che una mamma serena e soddisfatta dia molto più amore ai figli rispetto ad una che in quel momento è là, ma che vorrebbe essere su un cubo a ballare con le amiche!
     
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    Allattamento: attenzione alle ragadi al seno

    allattamento



    Il parto è passato. Questo grande scoglio è superato.Ma per noi donne c’è sempre un imprevisto dietro l’angolo della lunga strada della carriera di mamme. Ed ecco in alcuni casi spuntare, ai primi allattamenti, le temute “ragadi al seno”. Cosa sono: Sono dei piccoli graffietti, o piccole lacerazioni della cute del capezzolo, che nascono principalmente a causa del mal posizionamento del bambino nel momento della poppata.Possono avere due entità.
    La prima è un lieve fastidio dato da piccoli graffietti, appunto, al momento dell’attaccamento del bambino, ma con pochi giorni, resistendo un po’ e pulendo bene il capezzolo dopo la poppata, spariranno da sole.
    La seconda, e più dolorosa, è una vera e propria lacerazione della parte, con successivi sanguinamenti, che possono portare grande dolore alla mamma, al punto di farla desistere anche dall’allattare il bimbo, ricorrendo a metodi artificiali. In questo caso la mamma, per tirare il meno latte possibile per non sentire dolore, può incorrere, in basse percentuali, anche in una mastite (dovuta a seguito di un ingorgo mammario non curato, oppure per delle ragadi, appunto, che sfociano in un’infezione al seno).
    I rimedi: Per prevenire il formarsi della ragadi, o per far si che non diventino più gravi, possono essere i seguenti:
    Come prima cosa, intorno a 6 settimane prima del parto, possiamo preparare il capezzolo, massaggiandolo con olii naturali alle mandorle dolci, oppure alle germe di grano. Questo renderà la parte interessata più idratata e fortificata.
    Accertarsi che la bocca del bimbo non sia ancorata solo alla punta del capezzolo, bensì a tutta l’areola, in modo da non lesionarlo e prevenire la formazione delle ragadi.
    La tirata deve avvenire per non più di 15 minuti a seno. Quindi dobbiamo fare in modo di: non superare questo limite alternando le poppate; far staccare il piccolo delicatamente dalla mammella, in modo da non provocare traumi.
    Dopo la poppata detergere sempre il seno, in modo che le piccole infezioni che il piccolo potrebbe passarci con la saliva, non attacchino. L’importante è non farlo con saponi aggressivi che potrebbero seccare la pelle, accrescendo così la probabilità si rottura della cute. Il metodo migliore è solo dell’acqua tiepida corrente, o, se siamo impossibilitate, anche con delle salviettine detergenti delicate.
    Alla fine della pulizia asciughiamo bene la parte. Lasciare infatti il seno bagnato nel reggiseno può aggravare la lacerazione del capezzolo.

    Evitiamo cibi irritanti e indumenti troppo stretti che possano strusciare o irritare i taglietti già esistenti. Utili sono sicuramente i dischetti da indossare tra capezzolo e reggiseno.
    Per far regredire le lacerazioni, è consigliato l’uso di prodotti riepitelizzanti e quello dei paracapezzoli in silicone durante l’allattamento, finché i tagli non scompaiono. Sono sconsigliati antidolorifici o antinfiammatori.
     
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    Inps: Indennità di maternità lavoratrici dipendenti – figli biologici

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    Articolo preso per voi dal sito ufficiale dell’INPS, per aiutarvi in questa pratica.


    CHE COS’È Un’indennità economica, sostitutiva della retribuzione, pagata dall’Inps alle lavoratrici per il periodo di assenza obbligatoria dal lavoro per maternità (congedo di maternità). A CHI SPETTA
    A tutte le lavoratrici dipendenti assicurate all’Inps anche per la maternità (apprendiste, operaie, impiegate, dirigenti)
    alle disoccupate, sospese o assenti dal lavoro senza retribuzione a condizione che non siano trascorsi più di 60 giorni tra la data di inizio della disoccupazione, sospensione o assenza dal lavoro e la data di inizio del congedo di maternità
    alle disoccupate che hanno diritto all’indennità di disoccupazione, mobilità o cassa integrazione, anche se sono trascorsi più di 60 giorni tra la fine del rapporto di lavoro e l’inizio del congedo di maternità alle disoccupate che negli ultimi due anni hanno svolto lavori esclusi dal contributo per la disoccupazione (ad esempio lavori in capo artistico, teatrale e cinematografico) a condizione che: 1) non siano trascorsi più di 180 giorni tra la fine del rapporto di lavoro e l’inizio del congedo di maternità; 2) siano stati versati all’Inps 26 contributi settimanali negli ultimi due anni precedenti l’inizio del congedo
    alle lavoratrici agricole a tempo determinato che hanno lavorato per 51 giornate nell’anno precedente quello di inizio del congedo di maternità oppure nello stesso anno del congedo, prima dell’inizio del congedo stesso
    alle lavoratrici domestiche (colf e badanti) che hanno 26 contributi settimanali nell’anno precedente l’inizio del congedo di maternità oppure 52 contributi settimanali nei due anni precedenti l’inizio del congedo stesso
    alle lavoratrici LSU o APU (attività socialmente utili o di pubblica utilità).
    COSA SPETTA Un’indennità economica pari all’80% della retribuzione giornaliera percepita nell’ultimo mese di lavoro. L’indennità è pagata per il periodo di congedo di maternità che comprende:
    i 2 mesi precedenti la data presunta del parto (oppure il mese precedente in caso di flessibilità) ed il giorno del parto
    i 3 mesi dopo il parto (oppure 4 mesi dopo il parto in caso di flessibilità)
    se il parto avviene prima della data presunta, i giorni compresi tra la data effettiva e la data presunta si sommano ai 3 mesi dopo il parto
    se il parto avviene dopo la data presunta, sono pagati anche i giorni compresi tra la data presunta e la data effettiva
    altri periodi di astensione obbligatoria anticipata o prorogata disposti dal Servizio ispezione del lavoro della Direzione Provinciale del Lavoro (DPL).
    LA DOMANDAVa presentata al proprio datore di lavoro ed alla sede Inps di residenza (o domicilio se diverso dalla residenza), di regola prima della data di inizio del congedo di maternità. Le disoccupate presentano la domanda solo all’Inps.
    La domanda, in ogni caso, deve essere presentata entro il termine di un anno dalla fine del congedo di maternità; diversamente, il diritto all’indennità si perde.
    Può essere utilizzato il modello Mod.Mat. SR01 disponibile nelle Sedi dell’Inps oppure sul sito internet www.inps.it – Modulistica online.
    La domanda può essere spedita per posta (raccomandata con ricevuta di ritorno) o tramite un ente di patronato che offre assistenza gratuita, allegando la fotocopia del documento di identità. DOCUMENTAZIONE
    Certificato medico di gravidanza rilasciato dal medico dell’ASL (Servizio Sanitario Nazionale) contenente la data presunta del parto. Il certificato va consegnato in busta chiusa
    Certificato di nascita del bambino o autocertificazione da consegnare di regola entro 30 giorni dal parto
    Copia del provvedimento con il quale il Servizio ispezione del lavoro ha disposto altri periodi di astensione obbligatoria dal lavoro. Non occorre consegnare tale copia se il provvedimento viene inviato all’Inps dal Servizio ispezione
    Documentazione medica da cui risulta l’interruzione della gravidanza avvenuta dopo 180 giorni dall’inizio della gravidanza
    Per le lavoratrici che scelgono la flessibilità, certificazioni mediche rilasciate in data non successiva alla fine del 7° mese di gravidanza: 1) dal ginecologo del Servizio Sanitario Nazionale (ASL) o con esso convenzionato; 2) dal medico aziendale, ove previsto. Le certificazioni vanno presentate all’INPS in busta chiusa.
    CHI PAGA Di regola, l’indennità è anticipata in busta paga dal datore di lavoro. L’indennità è pagata direttamente dall’Inps alle lavoratrici:
    stagionali a tempo determinato
    domestiche
    agricole a tempo determinato
    dello spettacolo saltuarie o a termine
    disoccupate.
    Il pagamento diretto è effettuato dall’Inps secondo la modalità scelta nel modello di domanda:
    bonifico presso l’ufficio postale
    accredito su conto corrente bancario o postale.
    Una volta presentata la domanda, se l’Inps non paga entro 1 anno dalla fine del congedo, l’indennità si perde per prescrizione. Per evitare la perdita dell’indennità, è necessario portare all’Inps una richiesta scritta di pagamento prima che finisca l’anno di prescrizione. La richiesta può essere anche spedita per posta con raccomandata con ricevuta di ritorno. Dalla data della richiesta, se nel frattempo il pagamento non è avvenuto, inizia a decorrere un altro anno di prescrizione. Veronica Mordanini
     
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    La giusta alimentazione durante l’allattamento!
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    Cosa è meglio mangiare per la salute della madre e del proprio figlio!



    Alla base di una sana crescita del proprio figlio, c’e’ una sana alimentazione che la madre deve rispettare durante l’allattamento e che è importante, soprattutto per tutelare la propria salute. L’alimentazione da seguire, è simile a quella consigliata durante la gravidanza poiché prevede calcio, ferro e vitamine però, nel periodo post-parto, è necessario un maggiore apporto di proteine indispensabile per il neonato.Una donna che allatta ha bisogno, rispetto al normale fabbisogno, di circa 500 chilocalorie in più, da assumere nell’arco di tutta la giornata dal momento che, l’allattamento richiede energia continua.

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    Per rispettare questo bisogno, si deve seguire una giusta alimentazione che in primis, sia varia e ricca di verdure fresche, condite principalmente con olio d’oliva. Non può di certo mancare il latte e i suoi derivati e soprattutto il pesce, poiché arricchisce il latte materno di acidi grassi omega, utili per lo sviluppo del sistema nervoso del bambino.E’ anche importante bere molta acqua, senza però sforzarsi di farlo oltre la sete che si sente.Ciò che invece va evitato, sono tutti gli alimenti che posono alterare gli odori e i sapori del latte materno, come gli asparagi, l’aglio, le cipolle, i cavoli, le mandorle amare, il peperoncino e altri tipi di spezie. Bisognerebbe evitare anche gli eccitanti come il tè e il caffè e ovviamente abolire alcolici e sigarette.

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    Oltre a indicarvi questa sana dieta, vi consigliamo di provare il “cuscino per allattamento” che, oltre ad essere un utile appoggio per il neonato durante l’allattamento, è per voi mamme, un ottimo supporto nei momenti di riposo. Inoltre questo cuscino, avendo una forma a U e una soffice imbottitura, permette un comodo sostegno al neonato durante i suoi primi movimenti e giochi. Essere una mamma perfetta è difficile, ma di sicuro ci sono tanti consigli per aiutarvi in questo bellissimo compito!
     
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    Mamma a 60 anni. Si può, ma è giusto?

    nonne
    Il boom delle ‘mamme-nonne’.



    Mercoledì una signora 58enne torinese, ieri una donna cinese di 60 anni. Entrambe accomunate dalla voglia di maternità tardiva.Che una donna fosse in grado di procreare dopo i 60 anni era un dato emerso già dal 1993 in Italia con Liliana Cantadori, di 61 anni che mise al mondo un maschietto. Oggi questa è diventata una vera e propria moda. Sono infatti sempre di più le donne ultra 60enni che, grazie anche alla fecondazione assistita, danno alla luce bimbi sani, anche se l’età anagrafica le vedrebbe più come nonne che mamme. Ma è giusto dare alla luce bimbi a questa età? Che il fisico lo permetta, sono d’accordo, ma il bimbo? Avrà le stesse attenzioni accurate che può offrire una mamma 30enne, la stessa possibilità che il papà accompagni la bimba all’altare da grande, la certezza di non rimanere orfano ancora adolescente?Credo che in questi episodi ci sia molto egoismo, molto voler apparire, come per dire ‘Io ci sono riuscita!’. Ma al piccolo chi davvero ci pensa? Come una donna indiana, Rajo Devi (nella foto), che nel 2008, a ben 70 anni, aveva dato alla luce un bimbo, sempre grazie alla fecondazione assistita, con gli spermatozoi del marito 72enne. La sua soddisfazione fu soprattutto quella di strappare il primato ad una sua connazionale. Allora, in tutto questo, dov’è la bellezza dell’essere madre? Non è un caso secondo me che la natura ad un certo punto blocchi nella donna il meccanismo dell’ovulazione e della fecondazione naturale. Perchè la scienza deve assecondare le ‘pazzie’ di donne che forse della maternità vera e propria non hanno capito molto?Essere madre non vuol dire recarsi in un ospedale e dare alla luce un bimbo. Essere madre vuol dire assicurare allo stesso bimbo delle attenzioni, delle cure, degli insegnamenti. Come può una donna di 65/70 anni avere la forza di crescere ed accudire un bimbo, che già fatto in età giovanile assorbe tutte le energie della mamma?Mi domando anche a questo punto che ruolo abbia un medico. Un medico deve assicurare l’integrità salutare e mentale di un individuo. Deve dire NO, quando un soggetto chiede interventi che soggettivamente sono contro natura. O forse anche qui subentra l’egoismo del professionista, in questo modo anche il suo nome sarà su tutti i giornali, in qualità dell’uomo che è riuscito a far portare avanti una gravidanza ‘bellissima’ ad una donna 70enne.Rimango allibita.Approvo la fecondazione per le donne che purtroppo per seri problemi non riescono a coronare il sogno di dare alla luce una vita. Donne giovani, che amano i propri mariti, ma che purtroppo ‘naturalmente’ incontrano seri problemi nel restare incinta.Essere madre non è un gioco, non è un sfizio, è molto di più.
     
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71 replies since 2/3/2011, 15:38   11395 views
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