Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

Gioele Dix

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    Gioele Dix


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    Gioele Dix, pseudonimo di David Ottolenghi (Milano, 3 gennaio 1956), è un attore e comico italiano.



    biografia

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    Sono nato a Milano la mattina del 3 gennaio 1956. Nevicava di brutto già dalla notte prima. Non che mi ricordi, me l’ha raccontato mio padre. Dice che, nell’ansia e la fretta di portare in tempo mia madre in clinica, per poco non ci capottavamo tutti (e tre). L’ho perdonato: sono totalmente incapace di montare le catene, come lui.

    A partire dall’età di sette anni, mi misi in testa che da grande avrei fatto l’attore. Questo me lo ricordo bene anch’io. Capivo di esserci portato, perché sapevo spesso cavarmi d’impaccio recitando. Il mio cavallo di battaglia era la finta emicrania per saltare gli allenamenti di nuoto (ho fatto nuoto per otto anni e il mio allenatore mi massacrava per il mio scarso rendimento nella rana, che cavolo gli importasse non so, nelle gare di dorso prendevo le medaglie, ma lui niente, sei sotto i tempi! devi migliorare la rana! gli sportivi sono fatti così).

    Nessuno in famiglia si intendeva di recitazione, se si esclude la mia geniale nonna Giulietta che rendeva tutto un teatro e, per conseguenza, la vita di mio nonno Maurizio tutto un inferno. Insomma, ho dovuto arrangiarmi da solo. A vent’anni ho cominciato a cercare la strada. Mica facile. Provini, audizioni, foto di qua e di là, attese, promesse, pochi spiragli, tanti chilometri a vuoto. Come diceva il mio amico Bruno Olivieri, al tempo attore in cerca di fortuna come me: “molto movimento, nessuna direzione”. Confesso che, quando mi capitava di leggere qualche dolente intervista a certi figli d’arte condannati a combattere col fantasma dei loro padri, mi incazzavo parecchio. Ma proprio con Bruno e altri coraggiosi colleghi trovammo il modo di mettere in piedi una Compagnia, poi diventata Cooperativa, il Teatro degli Eguali. Il nome scelto era orgogliosamente programmatico e posso dire che, pur nelle tante difficoltà, riuscimmo a tener fede a un progetto ideologicamente limpido: dedicarsi al mestiere dell’attore, con la convinzione che il teatro potesse essere utile anche agli altri e non soltanto al nostro individuale narcisismo.

    In seguito, mi capitò la fortuna di lavorare accanto ad artisti che furono decisivi per la mia formazione: Antonio Salines, attore e regista intelligente e generoso; gli attori della splendida compagnia del Teatro dell’Elfo; l’indimenticabile Franco Parenti, al quale, per quasi tre anni, sera dopo sera, ho rubato tutto il rubabile. Era un tipo brusco e severo, Franco. Ma mi spronava con passione a migliorarmi. I suoi metodi con me furono sempre all’insegna dell’insulto amoroso: una sera, nel suo camerino al Teatro La Pergola di Firenze, sintetizzò così il suo pensiero sullo stato della mia arte: “Non sei male, ma per ora, più che recitare, tu fai rumore”. Capii più avanti che, nel suo linguaggio arcigno, queste parole equivalevano a un attestato di stima.

    In molti, nell’ambiente, parlavano degli alti e bassi, a volte improvvisi e imprevedibili, di cui la carriera dell’attore è disseminata. Ascoltavo indifferente, quasi con fastidio, parole che mi parevano dettate più che altro da frustrazione, da quella deprecabile vocazione al lamento, piuttosto diffusa fra i creativi. In fondo – pensavo – io ne sono fuori, sono un giovane attore in ascesa, ogni anno una scrittura sempre più importante, che mi potrà mai capitare? E invece, proprio all’improvviso e senza apparente spiegazione, il vuoto. Prima uno spettacolo già pronto che salta, poi l’esclusione da un progetto per far posto a un altro (un figlio d’arte!) e via con una serie di vedremo, le faremo sapere, magari la prossima volta, tecnicamente una serie incalcolabile di sfighe. E intanto mi ero sposato e avevamo avuto una dolcissima bambina. La spiavo nel buio della sua stanzetta dopo averla fatta faticosamente addormentare e pensavo: “Ma a questa che le racconto quando smetteranno di piacerle le fiabe? Di un ragazzo che voleva fare l’attore e che ora gestisce un autolavaggio?” (Un autolavaggio? Sì, l’immaginario di un attore in crisi è sempre tragicomico).

    Bene, tagliamo corto su questa lacrimevole vicenda. Negli anni a seguire, grazie a qualche buona nuova idea, parecchia intraprendenza e una certa dose di fortuna sono riuscito a riprendere quota. Ho cercato di puntare su di me, ho cominciato a scrivere spettacoli e a inventarmi personaggi, senza aspettare passivamente che fossero altri a propormi una parte (anche perché non mi arrivavano proposte da nessuna parte).

    “Vedrai, fra qualche anno ti farai un nome” mi dicevano fiduciosi gli amici e i parenti che affollavano – solo loro – il mio one man show al Derby di Milano. Anticipando tutti, decisi di farmelo da solo, il nome. In un pomeriggio di novembre del 1987, a pochi giorni dal mio debutto allo Zelig, voluto fortemente dal mio amico Giancarlo Bozzo, caddi preda di un delirio anagrafico creativo: decine di nomi su un foglio, altrettanti cognomi su un altro, semplici, astrusi, ridicoli, onomatopeici. Per ore a cercare l’incastro giusto e infine, stremato e privo di qualsiasi lucidità, ho scelto. Gioele Dix. Ricordo perfettamente il mio pensiero definitivo: non funzionerà mai.



     
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    GIOELE DIX

    Se c'è una cosa che non sopporto è l'invadenza, di ogni tipo; coi cellulari ad esempio, l'invadenza è diventata un problema serio, soprattutto se hai a che fare con quelli che hanno la specialità di chiamarti sempre nei momenti meno opportuni, sembra che abbiano il radar... non so, tu stai tornando da un viaggio, stai scendendo dalla macchina, valigie, pacchi, per scaricare stai bloccando due linee di autobus, piove, non hai neanche l'ombrello... pronto... come stai... ti disturbo? Eh, guarda, mi prendi un po' in un momento... non ti preoccupare, ti rubo solo due secondi.

    Ti ricordi tre anni fa... e caspita come l'hai presa larga... e allora cerchi di tagliare, tiri fuori la classica scusa... guarda, abbi pazienza ma purtroppo sto entrando in una riunione... non hai mai avuto un ufficio ma speri che quello ci caschi ma quello niente, è invadente, va avanti, non ti scolta e allora ti giochi l'altra carta perché ti confondi, ti innervosisci, sovrapponi scusa a scusa, gli dici “guarda, tra l'altro sto entrando anche in una galleria” quello ti dice “ma scusa, una riunione in una galleria...” ah ma allora ascolti... si, una riunione in una galleria, una riunione dell'Anas “ma perché, adesso lavori all'Anas?” Si, ho fatto strada", anche le cazzate ti inventi pur di togliertelo dai maroni.

    Non c'è scampo, gli invadenti... per esempio certi vicini di casa, alcuni nemmeno ti accorgi che esistano ma c'è sempre... tipo la vicina... quella che il radar non è che sembra, ce l'ha, proprio dietro la porta, appena sei sul pianerottolo... tac, esce fuori... “ah buonasera” come fosse per caso.

    Qualunque scusa è buona, finge di annaffiare le piante anche se sono di plastica... dice “tornato dal calcetto come tutti i giovedì sera”... sa tutto di te... poi vedi che con la testa... allunga il collo per cercare di guardarti dentro l'appartamento... fa “ah, ha cambiato colore nell'ingresso eh... ha fatto bene, aveva bisogno di una bella rinfrescata”; ti controlla “mangiato le lasagne lei ieri sera... e stasera cosa facciamo di buono...” guardi io non lo so ma lei, se si facesse una bella teglia di... si, di quelli signora... sono ottimi.

    Ma il paradosso è che la volta che torni a casa, trovi la porta sfondata e l'appartamento svaligiato, lei non c'è, allora sei tu che sei costretto ad andare a bussare “signora...!” e lei fa “non ho sentito niente”... perché la regola dell'invadente è questa, mi faccio sempre gli affari degli altri ma casomai fosse utile allora mi faccio i c... miei.

    Allora è chiaro, l'invadenza è un problema di educazione, infatti ad essere invadenti lo si impara fin da piccoli, e come lo capisci? Basta che una volta sei al ristorante e al tavolo accanto c'è mamma, papà e bambino... che bella famigliola... che bel bimbo, certo un po' irrequieto, però è normale, un bambino in un ristorante, si alza, si siede, non sta fermo un attimo... è normale, un bambino in un ristorante... urla, strilla, corre per in tavoli, lancia posate, ortaggi... viene lì, ti tira la giacca, ti vomita in faccia.

    E questo non è normale perché sarà anche un bambino in un ristorante ma ci sono anch'io nel ristorante, ma la vera domanda è: dove sono i genitori? Che stanno facendo per arginare l'invadenza... i genitori son lì, non si son mossi, ti guardano e ridono, dice “sa, è piccolo” si ma tu sei grande c... e allora hanno la brillante idea di tirarti in mezzo, che tu non c'entri niente e dicono “guarda quel signore, guarda che faccia brutta”... ma sarai bello tu... “non farlo arrabbiare quel signore lì se no chissà cosa ti fa”... ma io non gli faccio niente al bambino, sono qui che rifletto su cosa fare a voi due.

    Ma quando si è al colmo del delirio, il bambino ha rovesciato il carrello dei bolliti, è salito in piedi su quello dei dolci intingendo le scarpe nella zuppa inglese, sta per appendersi al lampadario per fare l'altalena, il padre sorridente ti dice “ma questo è niente, dovrebbe vedere quello che fa a casa”


    (Monologo tratto da Zekig)
     
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3 replies since 6/3/2011, 21:45   105 views
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