Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

L’uomo che cavalcava nel buio

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    L’uomo che cavalcava nel buio


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    Pino Donaggio
    L’uomo che cavalcava nel buio (2009)
    Digitmovies SPDM002
    23 brani + 3 canzoni – Durata: 51’40”

    Consolidatasi nel tempo, l’amicizia e la collaborazione fra i due veneziani Giuseppe Donaggio detto Pino e Mario Girotti detto Terence Hill sono passate attraverso occasioni e committenze diverse, televisive e cinematografiche, dalle prime serie di Don Matteo a esperienze non fortunatissime come Botte di Natale e Don Camillo, diretti dall’attore. Questa edificante miniserie di Raiuno per la regia di Salvatore Basile, con l’ex-Don Matteo nei panni ruvidi e tormentati del responsabile di una scuderia alle prese con fantasmi della memoria, un cavallo “particolare” e una ragazza in cerca di futuro, rappresenta senz’altro dal punto di vista della concentrazione espressiva un picco musicale nel sodalizio Hill-Donaggio. Il maestro veneziano vi distende in piena libertà e con straordinaria ariosità la propria vena lirica, elevandone a baricentro un leitmotiv di rara bellezza cantabile, certamente uno dei più toccanti di Donaggio, strutturato su una doppia frase, la prima iterata e discendente e la seconda svettante verso il registro alto: la si può ascoltare in un paio di versioni “vocal” affidate alla limpida voce sopranile di Claudia Avati su testi del fedele Paolo Steffan (che firma anche il “sound” elettronico della partitura), ma poi ci si rende conto che si tratta di una vera e propria “cellula” tematica utilizzata con fine tratteggiatura psicologica, come nel fraseggio lieve degli archi in “Magia nel buio” o nell’accenno evocativo del corno solo in “Gli ostacoli”, o ancora nell’idilliaca esposizione del flauto sostenuto da archi e arpa, poi ripresa appieno dagli archi, in “Di nuovo a casa”. Complice la precisa e calibratissima orchestrazione e direzione di Maurizio Abeni sul podio della Sofia SIF 309 Orchestra, la partitura schiude progressivamente quelle che rimangono le doti più vistose della poetica di Donaggio: una vena melodica e lirica mai banale e sempre sostenuta da complesse architetture armoniche, un eclettismo stilistico unico (il pop discreto di “Lo scherzo”), una tecnica di utilizzo del leitmotiv che passa attraverso raffinate procedure di psicologia squisitamente musicale e strumentale, repentine sospensioni e ambiguità tonali (“Vecchie memorie”). Sono queste tecniche che consentono al musicista di ottenere, con il minimo dispiego di appariscenza, il massimo risultato espressivo, all’insegna di una sobrietà inventiva continuamente percorsa da dettagli “significanti” (il breve tremolo a crescere dei legni che inframmezza “Come tuo padre”): anche quando Donaggio si concede a pagine per così dire d’ambiente, come “Vita da ranch”, che è forse uno dei tracks più westerneggianti della partitura, sullo sfondo permangono sempre una sottile, sorridente ironia e un garbo quasi signorile nell’individuazione del suono giusto.
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    Semplice ma penetrante anche nei momenti più allarmanti (gli accordi riverberati degli archi e il divagare atonale del pianoforte in “Tentativo di fuga”, le meditate dissonanze iniziali col controcanto del cello solo in “Triste incontro”) così come nei momenti più spensierati (“Lezione a sorpresa”), dove affiorano più che mai le radici neoclassiche e quasi rossiniane del compositore, Donaggio trova spazio anche per colori quasi depalmiani di suspense e tensione, come in “Fuori controllo”, ricordandoci così che sta per vedere la luce la sua settima collaborazione col regista di Carrie e Vestito per uccidere, ossia il thriller-melò Passion. L’impasto drammatico degli archi, tanto severi quanto lenti, contrappuntati dall’oboe, di “Verità difficile” e ancor più “Il dubbio”, le sommesse pulsazioni elettroniche di “Gioco sporco”, le fantasiose variazioni per chitarra sul leitmotiv di “Veri amici”, testimoniano una varietà di accenti che a volte trova spazio anche in un solo breve brano, come “Incontro con il cavallo” (introduzione minacciosa, sviluppo lirico, coda briosa): è la carta vincente della partitura e un po’ in generale del “Donaggio-touch”, che non alza mai i toni più del dovuto e ottiene attenzione e crea apprensione spesso con una rara economia di mezzi (ancora pulsazioni elettroniche, riverberi sommessi, armonie oblique in “La giacca rossa”), così come cattura le emozioni senza mai inondare l’ascoltatore di enfasi, anzi lavorando spesso per sottrazione e allusione, sussurro e gentilezza. Uno stile assolutamente solitario nel suo genere, che continua a farne, a oltre quarant’anni dal suo esordio in questo campo, un outsider della musica per film.




     
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