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(City of Angels) La città degli angeli-colonna sonora e film

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    City of Angels] La città degli angeli

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    1 Se Dio manderà i suoi angeli - U2 Gabriel Yared
    2 Uninvited - Alanis Morissette Gabriel Yared
    3 Red House - Jimi Hendrix Gabriel Yared
    4 Feelin 'Love - Paula Cole Gabriel Yared
    5 Mama, You Got A Daughter - John Lee Hooker Gabriel Yared
    6 Angel - Sarah McLachlan Gabriel Yared
    7 Iris - Goo Goo Dolls Gabriel Yared
    8 I Grieve - Peter Gabriel Gabriel Yared
    9 I Know - Jude Gabriel Yared
    10 altre Up On The Road - Eric Clapton Gabriel Yared
    11 Un Salto Angel - Gabriel Yared Gabriel Yared
    12 Il bacio insensibile - Gabriel Yared
    13 Ali Diffusione - Gabriel Yared Gabriel Yared
    14 City Of Angels - Gabriel Yared



    Regia: Brad Silberling

    Cast: Nicolas Cage, Meg Ryan, Dennis Franz, Andre Braugher, Colm Feore

    Genere: Fantastico

    Trama: Per amore della dottoressa Maggie, l’angelo Seth si incarna: rinuncia all’immortalità e può godere anche lui le gioie del sesso. Peccato che la tragedia sia in agguato.

    Gli angeli de “Il cielo sopra Berlino” di Wenders volano su una Berlino non ancora riunita, una metropoli piena di tracce post-belliche: la Berlino della Guerra Fredda. Essi osservano il dolore senza poterlo lenire, il loro potere salvifico vale solo al patto di perdere la celestialità.
    Undici anni dopo, gli angeli di “City of Angels – La città degli angeli” di Brad Silberling non sono entità parallele che tutto vedono e nulla possono, sono agenti speciali. Qualcuno potrebbe dire “in missione per conto di Dio”, si aggirano tra la spiaggia e i “boulevard” della città più esagerata d’America, e sono visibilissimi a chiunque. Circa il loro potere di modificare la sorte degli uomini, esso non è superiore a quello degli angeli di Wenders.
    Quanto all’esito finale, sembra essere, fino a un certo punto, analogo. Ma una differenza esiste, sostanziale, e nel film di Silberling volge in beffa. Beffa del destino, capriccio del fato, o degli dei. O semplicemente normalità di vita, la cui accettazione implica possibilità positive o negative. Altra fondamentale differenza tra i due, è che in Wenders l’amore tra l’angelo e la fanciulla sboccia al termine di un percorso, mentre in questo suo “remake” avviene da subito, diventa il filo conduttore dell’azione (scelta più commerciale, dunque più convenzionale).
    A ben guardare “City of Angels – La città degli angeli” si presenta come un prodotto facilmente classificabile nel genere edificante dei "film per famiglie", giacché “non possono non piacere agli spettatori che vanno al cinema per sognare, distrarsi, trattenere fiato e respiro, piangere, reinventarsi la vita dopo la morte.” E Silberling, non si dimentichi, è lo stesso autore di un film dedicato a un altro personaggio “spettrale” quanto fumettistico, Casper.
    Eppure, laddove “Il cielo sopra Berlino” è analizzabile come un lungo, magico sogno in bianco e nero, in cui il colore fa capolino e contrappunta la magia, la stessa poesia di questo sogno, “City of Angels – La città degli angeli” è la ripetizione del sogno, aggiornata (e resa più agevole) dalle mode “new age” e dagli odierni usi e costumi del cinema odierno, nello specifico quello americano. “Un gioco di squadra, dunque, che permette anche ai personaggi “umani” del film di volare leggeri come piume e di tingere i desideri del colore preferito perché siamo (sono) in California, non nella tetra Germania in bianco e nero.”
    C’è chi paragona gli angeli del film di Silberling a figure vampiresche, appollaiate come sono sui segnali stradali: “sempre presenti quando la vecchia munita di falce chiama, puntuali nelle peggiori situazioni, pronti a dispiegare le ali non appena il sangue comincia a scorrere (…). Senza morte e senza morti sarebbero disoccupati. Così come i poliziotti, senza crimini.” Eppure sono figure eterne: beate se angiolesche, dannate (e, a pensarci, perennemente giovani) se vampiresche, ma pervase da un’identica, comune eternità di fondo.
    Insomma, se nel film di Wenders condividono con gli umani la consapevolezza del dolore, della pena e della fatica del vivere senza una vera possibilità di modificare il corso degli eventi, se non la rinuncia all’imperturbabilità dei puri spiriti (e dunque acquistano umanità attraverso la condivisione diretta del dolore terreno, ma anche della felicità terrena), se gli angeli berlinesi nulla possono se non patire per gli uomini e consolarsi con essi attraverso una partecipazione solidale della condizione umana, quelli di “City of Angels – La città degli angeli” sono entità interventiste, che pretendono di modificare il corso stabilito delle cose entrando personalmente in campo (in ciò, anticipando l’unità pre-crimine dello spielbergiano “Minority Report”), secondo una visione pragmatica tipicamente americana, ma il risultato è, di fatto, il medesimo, e l’“happy end” desiderato e cercato si rivela essere una conclusione tutt’altro che felice (o comunque, non automaticamente felice).
    Se uno degli angeli di Wenders ha la faccia di un sagace, umanissimo detective come quella di Colombo-Peter Falk, garanzia di riassetto di un ordine sconvolto, uno degli angeli di Silberling ha le sembianze di Dennis Franz, specialista in ruoli di poliziotto dei telefilm, di detective più avvezzo a subire gli eventi che ad interpretarli, più abituato a trovarsi nei problemi altrui per forza, in qualche modo a sporcarsi con le miserie umane più che a ragionare logicamente sulla loro genesi e il loro sviluppo: una condizione che non necessariamente fornisce il giusto perché, la giusta motivazione ad ogni fatto.
    Agenti speciali del potere celeste, non sono però onnipotenti, e l’esito della loro missione non necessariamente è scontato: resta la loro tendenza a compatire, a soffrire con gli uomini per ciò che distrugge; resta insomma un’umanità di fondo davvero poco angelica, e in questo senso il film di Silberling risulta assai meno risolto rispetto alle sue premesse che non l’opera di Wenders.
    L’anno successivo, Nicolas Cage sembrerà infatti prolungare il proprio personaggio in una direzione solidaristica e partecipata interpretando il bel ruolo dell’autista di ambulanze in “Al di là della vita” di Scorsese, dove la sofferenza degli uomini può contare solo sulla forza degli uomini per essere alleviata, e di interventi angelici rivolti a diminuirla non solo non v’è traccia, ma neppure la più remota speranza.
    In un cinema americano via via sempre più tentato da soluzioni demiurgiche, interventi divini, miracoli veri e propri, soluzioni irreali e fantastiche ad ogni concreto problema, “City of Angels – La città degli angeli” va tutto sommato in un’altra direzione, ed è forse questa sua caratteristica a riscattare un’opera le cui contraddizioni rischierebbero di far deragliare.

     
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