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George Harrison: Living in the Material World

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    George Harrison: Living in the Material World

    locandina

    Un film di Martin Scorsese. Con Terry Gilliam, George Harrison, Paul McCartney, Ringo Starr, Jane Birkin

    La storia di George Harrison narrata da un sensibile e raffinato cineasta votato alla seconda arte
    Tirza Bonifazi


    george_harrison01In una piccola stanza celata dietro lo schermo del Bambi Kino, un cinema a luci rosse di Amburgo, dormivano quattro ragazzetti di Liverpool prima di diventare più famosi di Gesù. Reeperbahn era quanto di più lontano dal glamour che i Fab Four avrebbero conosciuto da lì a breve, piena com'era di marinai, donne di facili costumi e tipi facinorosi, l'aria da festa impregnata d'alcol. È la storia dei Beatles secondo George Harrison narrata da uno dei più sensibili e raffinati cineasti votati alla seconda arte.
    Martin Scorsese ha due modi di raccontare la musica: attraverso spettacolari film concerto come L'ultimo valzer o Shine a Light o ritratti privati di leggendari musicisti quali Bob Dylan: No Direction Home. Rispetto al biopic sul menestrello di Duluth, concentrato sugli anni della cosiddetta svolta elettrica dell'artista, George Harrison: Living in the Material World è una cronistoria, finalmente ordinata e corredata da immagini e filmati d'archivio, interviste e canzoni, della vita e opera del musicista inglese, dalla nascita come componente dei Beatles alla sua scomparsa terrena. Concepito per il piccolo schermo, dove è andato in onda diviso in due puntate, il documentario di Scorsese fa luce su uno degli aspetti più importanti della vita di Harrison il quale, come anticipa il titolo, si sentiva intrappolato tra due mondi, quello spirituale e quello materiale. Per raccontare il pubblico e privato dell'artista sono stati chiamati a raccolta alcuni tra i suoi amici più intimi: Eric Clapton, Tom Petty, Terry Gilliam, il pilota di Formula 1 Jackie Stewart, oltre alla seconda moglie Olivia e il figlio Dhani (che si dice sia interessato a formare una band con James McCartney e Sean Lennon in memoria dei Fab Four, tutto sta nel convincere il figlio di Ringo Starr), gli ex compagni di gruppo, Yoko Ono e Phil Spector a narrare tutte le passioni del più introverso e taciturno dei Beatles: la musica, il cinema, la spiritualità, le auto e le donne.
    Con l'aiuto dell'egregio David Tedeschi in sala di montaggio, Martin Scorsese dispone, quasi fosse un puzzle, tutti i contenuti a sua disposizione (interviste, foto, video, registrazioni) in ordine, creando uno stile narrativo storicamente lineare. La prima parte del documentario serve a creare il contesto – sociale, politico, culturale – e si concentra maggiormente sugli anni in cui era il chitarrista del quartetto di Liverpool. Si va dal momento in cui Harrison passa l'audizione per John Lennon suonando la canzone "Raunchy" su un autobus, fino allo scioglimento del gruppo che qualcuno definì il punto più basso toccato nella storia dell'impero britannico. La seconda parte presenta George Harrison in solitario, con le sue aspirazioni e i suoi limiti, i viaggi in India e la conseguente collaborazione con Ravi Shankar, protagonista del famoso aneddoto del leggendario concerto per il Bangladesh che nel film è supportato dall'immagine video in cui il maestro di sitar, dopo aver accordato lo strumento, si rivolge al pubblico che sta applaudendo e dice "se vi è piaciuta tanto l'accordatura, speriamo vi piaccia anche il concerto!". Fu lo stesso Ravi Shankar ad affermare che il suono era Dio, e qualcosa di vero ci deve essere in queste parole che sembrano descrivere il patrimonio artistico lasciato da George Harrison all'umanità.

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