Claudio Baglioni Forum - Un mondo in musica

Parafrasi Eneide

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    Parafrasi Eneide2

    Parafrasi dei versi 254 – 368 Eneide

    Giove, il creatore dei numi e degli uomini, sorridendole con uno sguardo rassicurante, la baciò e le disse: ”O Citerea, non ti preoccupare i destini dei tuoi protetti non possono essere cambiati, vedrai una città, e porterai Enea sublime fino alle stelle del cielo: nessuno mi preoccupa. Enea (ti svelerò, per placarti la paura, che farà una grande guerra in Italia, combatterà popoli selvaggi, darà una città e delle leggi alla sua gente, fino a tre anni dopo in inverno dopo la battaglia con i Rutuli.
    Ma il piccolo Ascanio, chiamato anche Iulo o anche Ilo durante il regno di Ilio, avrà trent’anni, prenderà il comando e trasferirà la sede del regno a Lavinio, e rinforzerà Albalonga. Da qui per trecento anni ci sarà un regno guidato dai discendenti di Ettore finché la regina partorirà da Marte due gemelli in Ilia. Allora, dopo essere svezzato da una lupa Romolo erediterà il comando, fonderà le sacre mura e battezzò il suo popolo i Romani: a questi darò un regno vasto, potente e duraturo. E Giunone che ora scuote i mari e agita la terra, cambierà comportamento in meglio, insieme a me farà crescere i dominatori del mondo, i Romani. Così vuole il destino. Verrà il tempo in cui i Greci verranno dominati. Nascerà il bel Troiano, Cesare che allargherà il regno fino all’Oceano, Giulio, dal nome che deriva da Iulo sarà un amante delle stelle. Lui anche da morto, dalle battaglie in Oriente, lo accoglierai sicura e sarà messo ai voti. Dopo un secolo travagliato da guerra ci sarà un periodo di pace, le Fede candida e Vesta, Quirino con il fratello Remo daranno delle leggi: saranno deposte le armi e verrà deposto il Furore della battaglia sotto le spade. Disse e manda dal cielo il figlio di Maia poiché le porte di Cartagine si stanno aprendo per i Troiani perché Didone ignara di tutto non deve cacciarli. Mandalo in Africa volando nell’aria battendo le ali. Deve compiere l’ordine e i Cartaginesi devo non devono essere ostili e per volere del Dio Didone deve essere di animo benigno nei confronti dei Troiani. Ma Enea trascorse una notte travagliata dagli affanni e una volta giorno decide di esplorare i nuovi luoghi, sapere dove si trova, che vi abita, se uomini o animali feroci, poiché la terra è incolta e riferire ogni cosa trovata ai compagni. Nasconde le navi nei boschi, in una gola protetta dal buio e da alberi. Ed egli va, seguendo soltanto Acate, stringendo in mano due aste di ferro. E nel mezzo del bosco si presento a lui la madre sotto forma di vergine, come quelle di Sparta. Fino alla spalla aveva teso l’arco come vuole una cacciatrice e lasciva che i capelli fossero spostati dal vento, le ginocchia nude con le vesti raccolte con un nodo. E disse: ”O giovani, guardate se vedete qualcuna delle mie sorelle, che inseguono una lince o un cinghiale con la faretra in spalla. Poi il figlio Enea: ”Non ho visto né sentito nessuna delle tue sorelle, o vergine? Anche se non hai una voce mortale sei forse la sorella di Febo? Sei una Ninfa? È tuttavia un buon incontro. Dicci in quali rive del mondo siamo finiti: non conoscendo né i nomi né i luoghi qui vagabondiamo, sbattuti qui dalle onde e dal vento. Sacrificherò molte vittime per te. E Venere: Oh no, non sono degna di simile onore, solitamente porto la faretra alle fanciulle di Tiro e legò la veste nelle gambe. Qui vedi il territorio dei Puni, popolo tirico, discendenti da Agenore anche se in Africa, imbattibili in guerra. Regna Didone, partita da Tiro per fuggire dal fratello. Ebbe una vita piena di intrighi e ostacoli e ora ha sposato Sicheo, il più ricco tra i Fenici, amato dalla povera con grande amore; che le fu promessa in sposa dal padre che la unì in prime nozze. Il fratello Pigmalione aveva il regno di Tiro, uomo molto feroce; e trai i due ci fu subito odio e lui accecato dalla brama di ricchezza uccise Sicheo a tradimento senza avere cuore per la sorella. E per molto tempo la donna si illuse del delitto con molte finzioni ma invano. Ma un giorno le venne in sogno il fantasma insepolto del marito che le mostro la ferita nel petto e così svelò l’assassino della casa. Poi la incita ad abbandonare la casa, la patria e per aiutarla nel cammino le fa trovare quantità d’oro e d’argento, tesori antichi nascosti nel terreno, e così sconvolta Didone cercava la fuga e amici. Si unirono coloro che avevano odio verso il tiranno di Tiro o per terrore prepararono già le navi, caricarono l’oro e si portano i tesori di Pigmalione per il mare con a capo la donna. Giunsero nei luoghi dei quali ora tu vedi le mura della città e sorgere la nuova città e contrattarono il terreno con la pelle del toro.


    Parafrasi dal 676 al 722.

    Per riuscire a farlo ascolta ora il mio piano. Il regio bambino, sotto la mia cura, va, chiamato dal padre a la simonia città per portare doni salvati dal mare e dall’incendio: e io addormentato voglio nasconderlo o sull’alta Citera o sull’Idalio, mie sacre sedi, che non venga a conoscenza dell’inganno e non diventi un ostacolo. Tu nascondi il suo volto, per non più di una notte, assumi l’aspetto del fanciullo, quando Didone ti prenderà felice in braccio, tra i banchetti e il vino, quando t’abbraccerà, ti darà dolci baci, tu potrai iniettargli il veleno -. Amore obbedisce al comando della sua cara madre e si alza in volo festoso camminando con il passo di Iulo. Ma Venere fa scorrere un tranquillo sonno nel piccolo corpo di Ascanio, e presolo in braccio la dea lo porta nell’alto bosco dell’Idalio, dove l’erba profumata e morbida lo accoglie con i fiori e con l’ombra. Cupido obbediva, e portava i doni del re ai Tiri, seguendo allegro Acate. Quando arrivò sui tappeti superbi la regina ricoperta d’oro si appoggia alla sponda: Enea e i giovani Teucri arrivano, tutti siedono su drappi di porpora. I servi puliscono le mani e dispongono nei canestri il dono di Cerere, offrono mantelli. Dentro, cinquanta ancelle, che hanno il compito di curare i cibi e tener acceso il fuoco, e cento altre ancelle e cento giovani della stessa età, a riempire le tavole di cibi, di calici, anche i Tiri nei saloni sono giunti e si stendono su cuscini variopinti. Ammirano i doni di Enea, ammirano Iulo, bel volto del dio, le false parole e l’aspetto, e la veste ricamata da un fregio di acanto. Ma sopra tutti, infelice, già predestinata agli eventi futuri, non sazia il suo cuore e contemplando si accende Didone, e la turbano sia i doni che il fanciullo. Quello, dopo che abbracciò il collo di Enea, e saziò con il suo grande amore il falso padre, cercò la regina. Con gli occhi, con tutto il suo cuore lei lo abbraccia e lo tiene in braccio, inconsapevole che il terribile Dio le sta in braccio. Memore della madre Acidalia, pian piano Sicheo lo cancella, e già con l’amore d’un vivo tenta di travolgere l’animo lento e il cuore ormai abituato.

     
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    Eneide, libro IV, parafrasi dei versi
    Parafrasi del famoso brano dell'Eneide di Virgilio riguardante la passione della regina di Cartagine, Didone, abbandonata dall'eroe Enea.


    Ma la regina, ormai tormentata da un grande affanno, nutre un sentimento d'amore dentro di sè che la fa soffrire ed è divorata da un dilemma interiore (un fuoco cieco).
    Le tornano in mente il grande valore dell'eroe e la memorabile storia della sua stirpe: non riesce a dimenticare, poichè li porta impressi nel cuore, il volto e il racconto dell'eroe (Enea); l'affanno non le concede di dormire.
    L'aurora del giorno successivo illuminava le terre con la luce del sole e aveva già allontanato dal cielo l'umidità della notte, quando (Didone), già turbata, parla con la sorella con cui va d'accordo: "Anna, sorella, non sai che sogni mi tengono sveglia e mi angosciano! Che ospite straordinario è entrato nel nostro palazzo, mostrandoci il suo volto! Che forza nell'animo e nelle armi! Credo che sia davvero di stirpe divina e non per un'ingannevole illusione! La paura mostra gli animi paurosi.

    Quale destino lo ha agitato! Narrava di tristi battaglie! Se non avessi preso la decisione irremovibile e fissa nel cuore di non volermi unire a nessuno in matrimonio, dopo che il mio primo amore (Sicheo) deluse con la morte le mie aspettative di una vita felice, se non odiassi il letto nuziale e le fiaccole del corteo di nozze, forse solo per lui (Enea), potrei peccare rompendo la mia promessa. Lo confesso, Anna, dopo la morte del mio povero sposo, Sicheo, e dopo che la mia casa è stata insanguinata da una strage ordita da mio fratello, solo lui (Enea), mi ha scosso l'animo e fatto vacillare nelle mie decisioni.

    Riconosco i segni dell'amore. Ma prima che ti violi, Pudore, prima che ignori le tue leggi, mi si deve aprire un abisso a terra, e Zeus, padre onnipotente, mi deve spingere con la folgore tra le ombre del regno dei morti. L'uomo che per primo mi ha sposata (Sicheo), ha diritto a tutto il mio amore. Lo porti con sé negli inferi e lo custodisca nel suo sepolcro"
    Così detto pianse a dirotto nella sua veste.
    Anna rispose: "O tu che mi sei più cara della luce, vuoi vivere da sola la tua giovinezza e non conoscere la dolcezza della maternità e dell'amore (doni di Venere)? Credi che gli dei dei morti e le ceneri di Sicheo si interessino a questo? E' vero, nessuno ti ha piegato a nuove nozze, nè in Africa nè, prima, in Fenicia; hai rifiutato l'amore di Iabra e degli altri capi Africani, terra piena di trionfi.
    Ma resisterai anche ad un amore apprezzato? Non ti viene in mente nei territori di chi ti sei insediata? Da una parte sei circondata dalla popolazione getule, stirpe invincibile in guerra, dagli sfrenati Numidi e dalle inospitali Siri, dall'altra dal deserto (regione desolata dalla sete) e per un lungo tratto dai Bracei che ci sono ostili! Cosa dovrei dire delle guerre che vengono da Tiro e delle minacce di tuo fratello? Penso davvero che le navi troiane seguirono la rotta per arrivare qui con il favore degli dei e la condiscendenza di Giunone. Come vedrai questa città, sorella, e quale regno potrebbe sorgere da questo matrimonio! Potrebbe ingrandirsi a causa di grandi eventi la gloria Fenicia! Ma tu, invoca il favore degli dei ed offri sacrifici, pensa a cause d'indugio per prolungare l'ospitalità dei Troiani, mentre inizia la stagione autunnale, l'inverno imperversa sul mare, le navi sono rovinate e il cielo è tempestoso".
    Con queste parole accese l'animo già ardente d'amore della sorella, diede speranza ai suoi dubbi e sciolse la resistenza dettata dal pudore. Prima si recano ai templi e chiedono la pace sugli altari; sacrificano, secondo la cerimonia, delle pecore di due anni a Cerere guardiana delle norme di legge, ad Apollo e al padre Bacco, ma prima di tutti a Giunone, protettrice del matrimonio. La bellissima Didone, tenendo una coppa nella mano destra, la versa tra le corna di una mucca bianca, si aggira tra i ricchi altari davanti alle statue degli dei, inizia il giorno con il dono del sacrificio e, dopo aver aperto il ventre delle vittime, consulta ansiosamente le loro viscere ancora palpitanti (gli animali sono morti ma le viscere ancora si muovono per un riflesso post mortem). Oh, ingenue menti degli indovini! Perché rendono gradite a Didone folle d'amore le preghiere e i sacrifici agli dei? Intanto una dolce fiamma d'amore le stringe lo stomaco e permane, anche se in silenzio, la ferita del cuore. L'infelice Didone arde e vaga per tutta la città folle d'amore; come una cerva colpita da una freccia da un cacciatore che l'aveva seguita lontano dai boschi di Creta perché incauta e l'aveva trafitta, e senza saperlo le aveva lasciato dentro la freccia dalla punta di ferro; quella (la cerva) fugge per i boschi e le discese del monte Ditta, ma non riesce a togliersi dal fianco la freccia mortale.

    Ora (Didone) conduce Enea con lei attraverso le mura, gli mostra la città e le ricchezze provenienti da Sidone; comincia a parlare e si ferma a metà del discorso; ora, al tramonto, desidera un nuovo banchetto e chiede, come folle, di ascoltare nuovamente le vicende di Troia e anche questa volta pende dalle labbra del narratore (Enea). Poi, appena si congedano e la luna, offuscandosi, nasconde la luce, e le stelle calanti conciliano il sonno, (Didone) si tormenta nel palazzo che senza Enea le sembra vuoto, e giace sui tappeti. Ascolta e, da lontano, vede lui (Enea) lontano, e tiene in braccio Ascanio pensando al padre (il padre di ascanio, Enea), per cercare di calmare il suo incredibile amore.
    Le torri, cominciate a costruire non crescono, la gioventù non si esercita nelle armi e non vengono allestiti porti o bastioni sicuri per la guerra; rimangono interrotti i lavori e la costruzione di mura maestose e imponenti, e le impalcature si levano fino al cielo.

    PARAFRASI

    L'ultimo colloquio


    Ma la regina disse: "Chi ingannerebbe un'amante" e previde il futuro, già piangendo perché certa di quello che aveva visto. La stessa malvagia Fama ripara alla furente che (Enea ed i suoi) stavano preparando la flotta, pronti per partire. Infuriata persa nell'animo e ardente vaga per la città, come una Baccante (sacerdotessa di Bacco) eccitata dall'entusiasmo religioso all'inizio delle celebrazioni delle feste di Bacco, quando, udito il grido in onore del dio la eccitano feste che si celebrano ogni tre anni e il monte Citerone di notte la richiama.

    Infine diceva per prima ad Enea queste parole:
    "Speravi, o perfido, di poter nascondere un fatto tanto indegno, e di allontanarti senza dire niente dalla mia terra? Non ti trattiene il nostro amore né la promessa di fedeltà né la pietà per me che potrei morire di dolore? Sotto le stelle invernali prepari la flotta, e ti prepari a prendere il largo con venti invernali, o spietato? Se tu non stessi cercando terre straniere e dimore ignote, e ci fosse ancora l'antica Troia, vi torneresti con le navi sul mare tempestoso? Fuggi da me? Ti prego per queste lacrime, per la tua destra (per la promessa che hai fatto con la mano destra), perché null'altro è rimasto a me sventurata, per le nostre nozze, per il nostro appena iniziato matrimonio; se da te meritai del bene, o qualcosa di me ti fu dolce, abbi pietà della casa che va in rovina, lascia, se ancora valgono qualcosa le mie suppliche, questa idea.

    Per colpa tua le genti della Libia e i principi dei Numidi mi odiano, mi sono ostili i Cartaginesi; si spensero, sempre a causa tua, il pudore e la fama di cui godevo per la quale solo io giungevo alle stelle. A chi mi lasci, in fin di vita, ospite? (Questo è l'unico nome che mi resta dello sposo). Che cosa aspetto? Forse che mio fratello Pigmalione distrugga le mie mura, o che mi prenda prigioniera il getulo Iarba? Almeno se stringessi tra le braccia un figlio avuto da te prima della tua fuga, se giocasse con me nella corte un piccolo Enea che ti somigliasse almeno nel volto, certo non mi sentirei sorpresa o abbandonata del tutto". Disse.
    Egli pur toccato dalle parole di Didone ubbidisce alle parole di Giove, e tiene a stento nel cuore il dolore.
    Infine risponde brevemente: "Per quanto tu possa avere moltissimi pregi, e mai negherò che tu li abbia, o regina, né mi dimenticherò di ricordare Didone finché sarò consapevole di me stesso e lo spirito mi sorreggerà. Di ciò parlerò brevemente. Non speravo, non crederlo, di tenerti nascosta la fuga, né mai ti ho offerto il matrimonio o sono giunto a stringere questi patti. Se il destino permettesse che io viva la vita secondo i miei desideri o riuscissi a placare i miei dispiaceri, per prima cosa sarei di nuovo a Troia, con i dolci resti dei miei, e ci sarebbe ancora l'alto palazzo di Priamo, e avrei ricostruito per i vinti Troia caduta già due volte. Ma Apollo Grineo e gli oracoli della Licia mi ordinano di raggiungere la grande Italia; questo il desiderio, questa la patria. Se la rocca di Cartagine e la vista di una città libica ti trattiene, fenicia, perché non vuoi che i Troiani si stabiliscano in Italia? Anche noi possiamo cercare terre straniere. L'immagine di mio padre Anchise, ogni volta che la notte copre la terra con le ombre, e sorgono le stelle, mi rimprovera nel sonno e mi spaventa adirata; anche il piccolo Ascanio cui farei offesa se lo privassi del regno d'Italia e del territorio a lui destinato dal Fato. Ora anche Mercurio, mandato da Giove, lo giuro sul capo di entrambi, mi porta ordini per mezzo dell'aria veloce; io stesso ho visto il dio nella chiara luce attraversare i muri, e ne ho sentito con queste orecchie la voce. Smetti d'inasprire me e te con questo pianto: non cerco l'Italia di mia volontà".
    Con sguardo ostile (Didone) lo guardava già da un po' parlare, con gli occhi che guardavano qui e là percorrendolo tutto con lo sguardo, e parla infuriata:
    "Non ti è madre una dea, o perfido, né sei fondatore della stirpe Dardano, ma ti è genitore il Caucaso irto di dure rocce, e ti porsero le mammelle tigri ircane. Perché fingere e nascondermi dispiaceri più grandi? Forse piangesti al mio pianto, o chinasti gli occhi? Forse vinto versasti una lacrima, o mi commiserasti? Quale affronto peggiore di questo? Ormai la grande Giunone e il padre Saturnio non mi guardano con occhi imparziali. La lealtà nei miei confronti è incerta ovunque. Naufrago, quando necessitavi di tutto, ti accolsi e, come folle, ti misi a parte del regno; salvai la tua flotta perduta e i tuoi compagni dalla morte.
    Ahi, l'ira mi consuma e mi travolge! Adesso l'augure Apollo, e gli oracoli della Licia, e il messaggero degli dei (Mercurio) mandato da Giove porta comandi terribili per mezzo dell'aria. Questo turba gli dei; una tale preoccupazione li preoccupa. Ma non ti trattengo, non contesto le tue parole. Va, insegui l'Italia nei venti, cerca il regno tra le onde. T'auguro, se i numi pietosi hanno qualche potere, di naufragare tra gli scogli, di chiamare spesso il mio nome. Ti seguirò lontana con fiaccole funeree, e quando la fredda morte avrà separato le membra dall'anima, ti sarò fantasma ovunque.

    Verrai punito, o malvagio. Lo saprò, e la notizia mi raggiungerà tra le ombre".
    Con ciò smise di parlare; triste si nasconde dalla luce del sole, e si gira, e si sottrae allo sguardo, lasciando Enea molto esitante nel timore e con l'intenzione di dire molte cose. Le ancelle la accolgono, e la portano nella stanza decorata con marmi il corpo svenuto e lo mettono sui cuscini. Ma poi Enea, nonostante voglia rassicurare la dolente, e confortarla, e allontanare con parole le pene, piangendo molto ed insicuro nell'animo per il grande amore, tuttavia esegue gli ordini degli dei, e torna alla flotta.



    Eneide - Prarafrasi, Libro I: protasi e invocazione

    La parafrasi interessa i vv 1-16.

    Protasi e invocazione (vv 1-16)
    L'armi canto e 'l valor del grand'eroe
    che pria da Troia, per destino, a i liti
    d'Italia e di Lavinio errando venne;
    e quanto errò, quanto sofferse, in quanti
    e di terra e di mar perigli incorse,
    come il traea l'insuperabil forza
    del cielo, e di Giunon l'ira tenace;
    e con che dura e sanguinosa guerra
    fondò la sua cittade, e gli suoi dèi
    ripose in Lazio: onde cotanto crebbe
    il nome de' Latini, il regno d'Alba,
    e le mura e l'imperio alto di Roma.
    Musa, tu che di ciò sai le cagioni,
    tu le mi detta. Qual dolor, qual onta
    fece la dea ch'è pur donna e regina
    de gli altri dèi, sí nequitosa ed empia
    contra un sí pio? Qual suo nume l'espose
    per tanti casi a tanti affanni? Ahi! tanto
    possono ancor là su l'ire e gli sdegni?

    Parafrasi
    Racconto delle guerre che l'eroe Enea dovette combattere nel Lazio, alle cui sponde era arrivato per primo per la volontà del destino, e sulle coste del Lazio aveva fondato la sua città chiamandola Lavinio, trabalzato dalla terra al mare, per l' ira della figlia di Saturno, Giunone. Egli dovette affrontare molte battaglie prima di fondare una nuova città e riporre i suoi dei protettori nel Lazio, dove ebbe origine il popolo latino, Alba Longa e l'eccelsa Roma.
    Dea, dimmi il motivo di tanti dolori, con i quali Giunone fece soffrire un uomo così pieno di pietà e lo fece imbattere in tante difficoltà. Perchè gli dei provano tanto odio per gli uomini?

    Costruzione
    Canto l'armi e l'eroe che venne per primo in Italia ai lidi di Lavinio per fato, e molto trabalzato per terra e per mare dalla forza del ciel per l' ira memore della crudel Giunone. Egli dovette sopportare ancora molto in guerra prima che fondasse una nuova città e riponesse i suoi penati in Lazio ond' ebber vita il popolo latino, Alba e le mura dell'eccelsa Roma. Musa, narra a me le cagioni e dimmi per quale contrasto, offesa, e per che duol, la regina dei numi abbia costretto un uomo sì pio tra pericoli e pene. Sono tali le ire nei cuori celesti?

     
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