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Commento "Vento a Tindari" e "Oboe sommerso"( Quasimodo)

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    Commento "Vento a Tindari" e "Oboe sommerso"( Quasimodo)

    -VENTO A TINDARI:
    Il tema centrale della poesia Vento a tindari è il contrasto tra il sogno della Sicilia dell’infanzia, luogo mitico di luce e di vita, e la condizione del presente, nella nuova residenza del poeta, Milano, grande città disumana e alienante. Questa poesia è molto significativa x 2 motivi:1) in essa sono riscontrabili i temi più caratteristici della poesia di Quasimodo: l’amore nostalgico per la Sicilia, il senso di colpa per l’allontanamento, la percezione dell’esilio presente come una condanna di quella colpa. 2) sul piano formale la poesia presenta i caratteri fondamentali dello stile ermetico: linguaggio fortemente metaforico ( sfoglia), uso di analogie anche molto ardite ( vento dei pini) volute ambiguità, espressioni ellettiche, uso vago della preposizione a e uso dei sostantivi astratti. L’effetto è quello dell’oscurità, della vaghezza, della sospensione.
    Parafrasi: Tindari ti guardo in un giorno mite, poste su colline ampie e affacciata di fronte alle acque delle belle isole Eolie, oggi mi assorbi con viva forza emi fai commuovere il cuore.
    Salgo vette elevate e precipizi,
    sono assorbito dal vento che soffia tra i pini
    e la brigata mi accompagna lietamente, mentre si allontana nell'aria aperta,
    che porta i loro suoni e il loro affetto;
    e la tua vista mi incanta ancor di più, e
    penso che io mi allontanai da te a mio danno e oggi sono preso da paure d'amore e di silenzi,
    nascondigli un tempo di dolcezze assidue
    e oggi mi sorge la paura nell'anima.
    la terra dove oggi vivo e sprofondo e dove scrivo poesie nascoste ti è ignota;
    un'altra luce illumina le tue case durante la notte, e una gioia, che ora non provo più è rimasta in te.
    L'esilio è oggi duro e la ricerca di felicità, che speravo di trovare in te, oggi si trasforma nella preoccupazione di dover morire presto: e ogni amore è solo un velo alla tristezza, è soltanto un passo silenzioso nel buio, della città dove tu mi hai mandato per spezzare l'amaro pane per vivere.
    Tindari torna serena dal vento;
    un gentile amico mi sveglia dal mio assorbimento, dai miei pensieri x evitare che io mi sporga dalla rupe,
    e io fingo di avere paura del pericolo al mio amico, che non sa quale vento mi ha assorto, in profondi pensieri e dolci ricordi.

    -OBOE SOMMERSA:
    Esemplìfìca in modo forse estremo il linguaggio oscuramente analogico del primo Quasimodo che avrà ampie zone di contatto con quello del successivo ermetismo fiorentino (i versi della raccolta cui Oboe sommerso dà titolo sono del 1930-1932). Comune denominatore alle due esperienze è la matrice simbolista e surrealista. Non è qui il caso di insistere sulle diversità (di spirito e contenuto, prima che di linguaggio), che ruotano soprattutto attorno all'assenza in Quasimodo di un'ansia metafisica paragonabile a quella degli ermetici più autentici.
    L'oscurità del linguaggio attirò anche strali polemici al poeta, tanto che un De Robertis poté parlare di «una finzione di profondi sensi, che diventano nonsensi»; ma è anche vero che proprio la funzione di mediatore di esperienze straniere estreme, sapientemente mescolate a materiali nostrani (da reperti di gusto neoclassico, al simbolismo dannunziano, a certe cadenze ungarettiane) contribuì a costituire quella fortuna del poeta e ancor più dei suoi modi stilistici (Mengaldo li vede alla base «della koinè dell'ermetismo minore", che solo in tempi recenti è veramente declinata. Tutto è criptico in Oboe sommerso, tutto deve essere intuito o indovinato, sulla scorta dell'eco che le parole nettamente scandite e lungamente assaporate (e sempre ricercate) portano con sé, e dell'esile trama delle suggestioni foniche e timbriche («Un òboe gelido risillaba / gioia di foglie», «Ali oscillano in fioco cielo, / labili», «il cuore trasmigra... gerbido... giorni... maceria» ).

     
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